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Marco Tullio Cicerone

IN DIFESA DI PUBLIO QUINZIO



Pronunciata nell'81 a.C., quella in favore di Publio Quinzio non fu la prima orazione del giovane Cicerone, ma è la prima fra quelle pervenuteci. Non se ne conosce l'esito ma si ritiene probabile che Cicerone abbia vinto questa causa.
Caio Quinzio e Sesto Nevio, commercianti di bestiame e agricoltori, erano stati a lungo soci in affari, quando Quinzio era morto aveva lasciato la sua quota della società al fratello Publio. Questi aveva collaborato e intrattenuto rapporti amichevoli con Nevio per un anno, poi erano nate controversie.
Sesto Nevio aveva chiesto il pagamento di un debito presunto ma non documentato di Caio Quinzio e sciolta la società si era rifiutato di consegnare a Publio Quinzio i beni del defunto che erano in suo possesso. Inoltre aveva più volte organizzato situazioni che facessero apparire l'avversario contumace al momento di chiarire la vicenda davanti al pretore.
Quinzio doveva scegliere se presentarsi in giudizio ammettendo la precedente contumacia (cosa molto disonorevole per i Romani) e versare una cauzione, o essere lui a citare Nevio, il che evitava il disonore e la cauzione ma presentava lo svantaggio di dover presentare per primo le proprie ragioni al tribunale. Quinzio aveva infine deciso di citare Nevio in giudizio. Aveva affidato la propria difesa a Cicerone su consiglio del famoso attore Quinto Roscio, cognato di Quinzio. In un passo della sua arringa, infatti, Cicerone ricorderà di essere stato intimorito dal nome di Quinto Ortensio Ortalo, avvocato della parte avversa, ma di essere lasciato convincere ad accettare la causa dalla sollecitudine e dal prestigio di Quinto Roscio, l'attore migliore del suo tempo ma - diversamente da molti altri attori - uomo di grandi virtù.

Cicerone apre il suo discorso con un convenzionale atteggiamento di modestia di fronte all'eloquenza dell'illustre Quinto Ortensio, suo avversario in questa causa, quanto al suo assistito Publio Quinzio egli è povero di forze, di mezzi e di amici mentre Sesto Nevio è facoltoso e gode di molto favore in città. Inoltre la convocazione improvvisa ed inattesa, dovuta ad un'assenza dell'abituale difensore di Quinzio, non gli ha lasciato il tempo di studiare approfonditamente la causa.
L'oratore passa ad esporre i fatti: Gaio Quinzio, fratello del suo assistito, possedeva poderi ed allevamenti in Gallia e aveva preso in società Sesto Nevio che da buon comunicatore curava l'aspetto commerciale dell'attività. Con eleganza Cicerone insinua che Nevio metteva più diligenza nel riscuotere le sue quote di utili che nell'espletare i suoi compiti.
Morto Gaio Quinzio, Publio aveva ereditato i suoi beni e si era trasferito in Gallia assumendo nella società il ruolo del fratello. Per un anno tutto era andato bene. Quando Publio Quinzio aveva avuto bisogno di contante per pagare un debito lasciato a Roma aveva chiesto a Nevio di curare la vendita all'incanto di alcuni suoi beni ma Nevio si era offerto di prestargli la somma necessaria e insieme si erano recati a Roma per concludere la questione.
Seguendo con cura i consigli di Nevio, Quinzio aveva trattato con i creditori e concordato importo e modalità del pagamento ma quando aveva chiesto a Nevio il denaro promesso quello aveva rifiutato di darlo se prima non si fossero rivisti gli accordi della società.
Pressato dalla fretta di rispettare il suo impegno, Quinzio aveva fatto vendere dei suoi beni in Gallia e l'urgenza aveva ovviamente comportato una perdita. Chiusa la partita con i creditori Quinzio si era rivolto a Nevio per chiarire la situazione ed erano stati scelti degli arbitri ma Nevio aveva cominciato a prendere tempo, a differire l'incontro e alla fine si era rivolto ai magistrati.
Ricco e dotato di conoscenze opportune, Nevio aveva ottenuto che le modalità del processo fossero sfavorevoli per Quinzio il cui legale doveva parlare per primo. Inoltre Ortensio aveva fatto pressioni sul giudice Caio Aquilio Gallo e sullo stesso Cicerone perché la causa si svolgesse con rapidità. L'oratore quindi, dopo aver fin qui esposto i fatti passa senz'altro ad esaminare una ad una le affermazioni di Nevio.
Cicerone nega che Nevio abbia avuto il possesso dei beni di Quinzio per decreto del pretore. Nega che Nevio abbia avuto ragione di richiedere questo decreto perché Quinzio non è mai stato suo debitore o debitore nei confronti della loro società sfidando Nevio a dimostrare il contrario.
A proposito dei crediti vantati da Nevio dei confronti del defunto Gaio Quinzio, Cicerone osserva che non erano stati richiesti all'erede in occasone della sua prima visita in Gallia nè tanto meno Nevio ha esibito le prove contabili dell'esistenza del credito stesso. Esclude, l'oratore, che Nevio abbia avuto ritegno, per delicatezza o timidezza, di richiedere quanto pretendeva dal momento che in seguito non ne ha avuto nel far cacciare violentemente Quinzio dalla proprietà. Nevio ha accusato Quinzio di non aver prontamente risposto alla citazione in giudizio, ma lo ha fatto così rapidamente allo scadere dei termini che Cicerone definisce evidente la sua volontà di rovinare l'ex socio richiedendo l'immediato sequestro dei suoi beni.
Queste considerazioni sulla correttezza, sul comportamento da tenere nei confronti degli amici e dei parenti, non sfiorano Nevio, afferma Cicerone ricordando il proverbio è più facile per un buffone diventar ricco che buono
Le condizioni previste dalle leggi per il sequestro dei beni (contumacia del debitore, sua morte senza eredi, assenza per esilio) non sussistono, quindi Nevio non ha titolo per richiederlo, inoltre quando Quinzio ha dovuto assentarsi ha nominato suo procuratore il cavaliere Sesto Alfeno che lo ha rappresentato correttamente.
Descrivendo in dettaglio l'operato di Alfeno come procuratore (risposta alla citazione, presenza in giudizio) Cicerone nega la contumacia di Quinzio e sfida l'avversario a dimostrare il contrario.
Per dimostrare la malafede di Nevio Cicerone nota che questi aveva citato Quinzio il 20 febbraio. Il 23 febbraio i servi avevano cacciato Quinzio dalla sua villa in Gallia. Nessuno ha potuto percorrere in così breve tempo settecento miglia, perciò Nevio ha dato disposizione di cacciare Quinzio prima di accedere al tribunale.
Al termine del suo discorso Cicerone riepiloga: ha dimostrato che Nevio non ha alcun titolo per vantare un credito nei confronti del suo cliente, che non esiste un decreto del pretore che assegni a Nevio la proprietà dei beni di Quinzio, ha inoltre notato che Nevio che sostiene di possedere legalmente i beni di Quinzio non li ha mai neanche in parte venduti e che nessun altro creditore si sia presentato per riscuotere. L'avvocato si appella alla giustizia del giudice ma anche alla sua umanità trattandosi di un caso in cui la povertà di Quinzio (che non possiede altri beni oltre a quelli contesi ed è ormai avanti negli anni), e la verità dei fatti devono lottare contro la ricchezza e la potenza di Sesto Nevio.