4/vgF0McT6WBi1RPOKg40mK96lk1bJq1dTncfbVzjMYsVgdkLfU3L2ZoQ

Sunelweb
    
Guida rapida
A B C D E F G H I J K L M
N O P Q R S T U V W Y Z  

Gaio Tranquillo Svetonio

VITE DEI CESARI




Libro I. - Cesare


I. Designato flamine all'età di diciassette anni Giulio Cesare scioglie il fidanzamento con Cossuzia, di famiglia equestre (la moglie del flamine doveva essere patrizia) e sposa Cornelia, figlia di Cinna. Vinto Cinna il dittatore Silla tenta di costringere Cesare a ripudiare Cornelia ma Cesare rifiuta, viene privato del sacerdozio e perseguitato. Infine ottiene il perdono per l'intercessione dei parenti e, stando a Svetonio, Silla predice che Cesare "sarà un giorno fatale al partito degli ottimati perché in lui vi sono molti Marii".
II. Tirocinio militare di Cesare in Asia al seguito del pretore Marco Termo. Durante questo periodo sospetti di pederastia cadono sul giovane Cesare, a causa di una sua permanenza presso il re di Bitinia Nicomede IV.
III. Morto Silla, Cesare torna a Roma dove rifiuta di aggregarsi al tentativo di sedizione di Marco Lepido.
IV. Disputa giudiziaria di Cesare contro Cornelio Dolabella, accusato di concussione. Quando Dolabella è assolto Cesare si ritira a Rodi dove segue le lezioni del famoso oratore Apollonio Molone.
Cesare viene catturato dai pirati e trattenuto per quaranta giorni mentre i suoi amici cercano il denaro per il riscatto. Liberato dopo il pagamento Cesare non si da tregua fin quando non riesce a far catturare e giustiziare i suoi sequestratori. Quindi passa in Asia con delle truppe ausiliarie per respingere i tentativi di espansione di Mitridate.
V. Tornato a Roma Cesare ottiene il tribunato militare e si adopera a favore degli esuli della ribellione di Lepido, fra cui il cognato Lucio Cinna.
VI. Durante la sua questura Cesare pronuncia l'elogio funebre della zia paterna Giulia e della moglie Cornelia: poichè la zia era la vedova di Caio Mario e Cornelia, come si è visto la figlia di Cinna con le sue orazioni Cesare prendeva apertamente posizione contro il partito sillano aristocratico. Dopo la morte di Cornelia Cesare sposa Pompeia, figlia di Quinto Pompeo e nipote di Silla, dalla quale divorzierà presto per sospetto di adulterio con Publio Clodio.
VII. Come questore Cesare ha in sorte la Spagna Ulteriore. Durante questo periodo Cesare decide di compiere imprese maggiori della modesta occupazione di questore. Svetonio dice perché colpito ed ispirato dalla vista di una statua di Alessandro Magno.
VIII. Cesare di reca nelle colline latine che si erano sollevate per ottenere la cittadinanza.
IX. Tornato a Roma Cesare è coinvolto in una congiura ordita da Marco Crasso, Publio Cornelio Silla e Publio Autronio Peto per occupare il Senato. La congiura però non viene attuata.
X. Da edile Cesare offre giochi ed espone sul Campidoglio la propria collezione di opere d'arte.
XI. Gli ottimati ostili a Cesare gli negano il governo di una provincia.
XII. Cesare scelto a sorte come giudice nel processo contro Caio Rabirio, accusato di alto tradimento.
XIII. Cesare concorre alla carica di pontefice massimo.
XIV. Cesare propone il confino per Catilina e gli altri congiurati e contro Cicerone che ne propone la condanna a morte.
XV. Nominato pretore Cesare si scontra in vari modi con il partito degli ottimati.
XVI. Cesare appoggia le riforme proposte dal tribuno Cecilio Metello ed entrambi vengono sollevati dalla carica per volontà del Senato. Cesare calma una folla che si era radunata per sostenerlo ed il Senato lo ringrazia reintegrandolo nella pretura.
XVII. Delatori cercano di coinvolgere Cesare nella congiura di Catilina, Cesare ne esce pulito grazie alla testimonianza di Cicerone ed i delatori vengono arrestati.
XVIII. Dopo la pretura Cesare ottiene il governo provinciale della Spagna Ulteriore dove svolge una fulminea campagna militare, quindi torna a Roma a chiedere il consolato.
XIX. Cesare ottiene il consolato insieme a Marco Bibulo. Spinto dall'ostilità degli ottimati Cesare si avvicina a Pompeo Magno e dopo aver risolto i contrasti fra questo e Crasso arriva agli accordi del triumvirato.
XX. consolato di Cesare. Cesare, forte anche della sua carica di pontefice massimo, sovrasta il collega Bibulo e lo riduce al silenzio. Inizia la politica tirannica di Cesare che fa arrestare Catone per averlo contrastato ed imponendo il proprio potere con una strategia di terrore.
XXI - XXII. Cesare sposa Calpurnia, figlia di Lucio Pisone che sarà suo successore al consolato e da in moglie sua figlia Giulia a Gneo Pompeo.
XXII. L'anno successivo al consolato Cesare riesce ad insabbiare un'inchiesta senatoriale nei suoi confronti.
XXXIV. Con l'aiuto di Pompeo e Crasso Cesare ottiene che il suo comando militare venga prorogato per un quinquennio. Dopo di che si reca in Gallia ed inizia un'intensa attività militare.
XXV. Riepilogo delle gesta di Cesare in nove anni in Gallia: - Sottomette tutta la Gallia. - Attacca, primo fra i Romani, i Germani oltre il Reno. - Attacca e vince i Britanni, ancora sconosciuti.
XXVI. Cesare si procura popolarità con opere pubbliche, giochi e banchetti. Raddoppia il soldo delle truppe. Muoiono la madre e la figlia.
XXVII. Per conservarsi la parentela con Pompeo, Cesare gli offre in sposa Ottavia, nipote di sua sorella.
XXVIII. Il console Marco Claudio Marcello (51 a.C.), contrario a Cesare, propone in Senato che gli venga tolto il comando dell'esercito in Gallia.
XXIX. Cesare usa ogni mezzo per conservare il comando della Gallia e dell'esercito di veterani ma anche i consoli dell'anno successivo, Gaio Marcello e Emilio Paolo, si adoperano per destituirlo. Cesare invoca l'aiuto del Senato e ricorre anche alla corruzione per mantenere il comando.
XXX. - XXXI - XXXII. Vedendo che i suoi avversari stanno per sottrargli la Gallia Cesare muove verso Roma e "passa il Rubicone" dando origine alla guerra civile. Varie considerazioni riportate da Svetonio sull'episodio.
XXXIII. Passato il Rubicone invoca la fedeltà delle truppe e si prepara ad attaccare Roma.
XXXIV. Riepilogo delle successive imprese di Cesare: Occupa l'Umbria, il Piceno e l'Etruria vincendo la resistenza di Lucio Domizio, quindi insegue i consoli e Pompeo che cercano di imbarcarsi a Brindisi.
Sfuggitogli Pompeo ripiega verso Roma e tiene una seduta in Senato per subito partire verso la Spagna per affrontare le migliori truppe di Pompeo. Benchè ritardato da Marsiglia che gli si dimostra ostile, Cesare in Spagna ottiene rapide vittorie.

XXXV. Dopo la Spagna Cesare attacca Pompeo in Macedonia fino a sconfiggerlo completamente nella battaglia di Farsalo. Inseguitolo in Egitto lo trova ucciso e si scontra con il re Tolomeo. Vinto Tolomeo Cesare consente a Cleopatra di continuare a governare l'Egitto. Dall'Egitto Cesare passa in Siria, quindi nel Ponto dove Farnace, figlio di Mitridate, saputo della morte di Pompeo era insorto contro Roma e lo sconfigge facilmente. Infine Cesare passa in Africa dove sconfigge Giuba.
XXXVI. Per tutta la durata delle guerre civili Cesare non subisce disfatte. Solo alcuni suoi luogotenenti ebbero la peggio, Curione, Caio Antonio, Dolabella, Gneo Domizio Calvino.
XXXVII. Finite le guerre civili Cesare celebra cinque trionfi.
Svetonio ricorda le celebre frase "Veni, Vidi, Vinsi" con la quale Cesare commemorava la rapidità della sua campagna nel Ponto.
XXXVIII - XXXIX. Cesare elargisce premi ai soldati e munificenze al popolo ; offre spettacoli e banchetti.
XL. Riforma del calendario.
XLI. Riforma del Senato che passa da seicento a novecento poi a mille membri. Altre riforme di Cesare, riduzione della lista dei plebei sovvenzionati dall'erario. Censimento.
XLII. Riforme di carattere giudiziario. Confisca dei beni per i patrizi colpevoli di gravi reati.
XLIII. Scacciati dal Senato gli accusati di concussione. Interventi di moralizzazione.
XLIV. Progetti di Cesare in merito alle opere civili, fra cui la bonifica delle paludi pontine, una strada dall'Adriatico al Tevere, un canale nell'Istmo di Corinto. Cesare progetta la spedizione contro i Daci.
XLV. Aspetto fisico di Cesare: alto, ben proporzionato e di colorito chiaro, viso troppo pieno, occhi neri e vivaci. Godeva di ottima salute ma negli ultimi tempi fu colto da attacchi epilettici. Cercava di nascondere la calvizie portando avanti i radi capelli. Molto elegante e ricercato nel vestire.
XLVI. Amante del lusso e dell'eleganza.
XLVII. Hobbies di Cesare: collezione di gemme, vasi, quadri, statue antiche. Schiavi belli e colti.
XLVIII. Ferrea disciplina nella casa di Cesare.
XLIX. Fama di omosessualità di Cesare.
L. Amori di Cesare. La più amata fu Servilia, madre di Bruto.
LI. Adulteri di Cesare.
LII. Relazione di Cesare con Cleopatra. Cesarione figlio di Cesare e Cleopatra. Curione padre, in un discorso definisce Cesare "marito di tutte le mogli, moglie di tutti i mariti".
LIII. Cesare sobrio nel bere e disinteressato al cibo.
LIV. Avidità di Cesare, saccheggi e rapine durante le campagne.
LV . Doti di Cesare come oratore.
LVI. Commentari sulle guerre galliche e sulle guerre civili. L'ultimo libro del De Bello Gallico terminato da Irzio. Altri scritti di Cesare.
LVII. Resistenza fisica di Cesare.
LVIII. Doti militari di Cesare. Prudenza ed audacia nelle sue strategie.
LIX. Cesare privo di superstizioni e scrupoli religiosi.
LX. Tattiche militari di Cesare.
LXI. Il cavallo di Cesare, con zoccoli fissi come dita.
LXII - LXIII - LXIV. Fermezza di Cesare in battaglia, suo coraggio.
LXV. Disciplina imposta da Cesare ai suoi soldati.
LXVI. Disciplina imposta da Cesare ai suoi soldati.
LXVII. Disciplina imposta da Cesare ai suoi soldati.
LVIII. Valore e dedizione delle legioni di Cesare.
LXIX. Valore e dedizione delle legioni di Cesare.
LXX. Prestigio di Cesare fra le legioni.
LXXI e LXXII. Lealtà di Cesare verso i propri clienti ed amici.
LXXIII. Clemenza di Cesare verso i detrattori, Valerio Catullo.
LXXIV. Mitezza di Cesare nella vendetta.
LXXV. Clemenza di Cesare verso Pompeo.
LXXVI. Abusi di Cesare nel farsi attribuire titoli ed onori.
LXXVII e LXXVIII. Tracotanza di Cesare, affronti al Senato.
LXXIX. Sospetti pubblici che Cesare aspiri alla monarchia. I tribuni Flavio Cesezio e Epidio Marullo fanno arrestare un uomo che aveva posto una corona sul capo della statua di Cesare, il dittatore si offende e depone i due tribuni.
LXXX. I Congiurati: per Svetonio i congiurati esprimevano il malcontento popolare, la scarsa sopportazione della tirannide che ormai andava manifestandosi in tutti i modi.
LXXXI. Prodigi annunciano la morte di Cesare. Si arriva alle idi di Marzo. L'aruspice etrusco Spurinna lo aveva avvertito del pericolo ma Cesare non gli aveva dato ascolto. Appena giunto in Senato Cesare è circondato dai congiurati.
LXXXII. Cimbro Tillio da il segnale afferrando la toga di Cesare, Casca sferra il primo colpo. Cesare muore sotto ventitre pugnalate.
LXXXIII. Su richiesta del suocero Lucio Pisone si apre il testamento di Cesare che come è noto nominava suo erede Ottaviano per i tre quarti, Lucio Pinario e Quinto Pedio per il quarto residuo. Inoltre il testamento conteneva l'adozione di Ottaviano. Lasciava al popolo i suoi giardini ed un legato di trecento sesterzi a testa.
LXXXIV. Funerali di Cesare. Elogio funebre di Marco Antonio.
LXXXV. La folla in tumulto per l'uccisione di Cesare. Il noto caso di Elvio Cinna che scambiato per Cornelio Cinna, avversario di Cesare, viene ucciso.
LXXXVI - LXXXVII. Considerazioni sulla morte di Cesare che probabilmente era già preparato ad essere ucciso.

LXXXVIII. Commemorazioni di Cesare volute da Ottaviano.
LXXXIX. Conclusione: quasi nessuno dei suoi assassini gli sopravvisse più di tre anni.


Libro II. - Vita di Augusto



I. Antiche testimonianze della gente Ottavia a Velletri.
II. La gente Ottavia entrò in Senato all'epoca di Tarquinio Prisco ed ottenne il patriziato con Servio Tullio. Col tempo ricaduta alla condizione plebea tornò fra i patrizi per volere di Cesare. La gente Ottavia ottenne varie cariche pubbliche nel tempo, il primo fu Gneo Ottavio, questore e padre di Gneo e Gaio, capostipiti di due famiglie, la prima delle quali ebbe diversi consoli mentre l'altra fu di condizione equestre fino al padre di Ottaviano. il bisnonno di Ottaviano fu tribuno militare in Sicilia durante la seconda guerra punica. Il nonno, più pacifico, ottenne magistrature municipali ed accumulò un ingente patrimonio.
III. Gaio Ottavio, padre di Ottaviano fu ricco e stimato: dopo la pretura ottenne in sorte la Macedonia. Durante il viaggio di andata su incarico del Senato sconfisse i resti delle truppe di Catilina nei pressi di Turi, da cui il soprannome di Turino. Ottavio governò saggiamente la Macedonia tanto da ricevere le lodi di Cicerone.
IV. Ottavio morì improvvisamente di ritorno dalla Macedonia lasciando i figli Ottavia Maggiore, Ottavia Minore e Ottaviano con la moglie Azia. Azia era figlia di Marco Azio Balbo e di Giulia, sorella di Cesare.
V. Nascita di Ottaviano, sul Palatino, sotto il consolato di Cicerone e di Antonio.
VI. Ottaviano allevato nella casa di famiglia a Velletri. Svetonio dice che ai suoi tempi il luogo era oggetto di venerazione.
VII. Da bambino Ottaviano ebbe il soprannome di Turino, dai luoghi di origine. In seguito assumerà il nome di Gaio Cesare, dopo la morte del prozio, ed infine quello di Augusto per decreto del Senato.
VIII. Aveva quattro anni quando perdette il padre, dodici quando pronunciò l'elogio funebre della nonna Giulia, sedici quando indossò la toga virile. Augusto, adolescente, segue Cesare in Spagna nella spedizione contro i figli di Pompeo. Dopo questa campagna Cesare invia Ottaviano ad Apollonia per studiare. In Apollonia Ottaviano seppe della morte di Cesare e del suo testamento e dopo alcune esitazioni decise di tornare in Italia per prendere possesso dell'eredità sebbene sconsigliato caldamente dalla madre Azia e dal nuovo marito di lei, Marcio Filippo.
IX. Con il suo consueto procedimento per argomenti e non annalistico Svetonio inizia la narrazione della vita politica di Ottaviano dopo averne rapidamente raccontato l'infanzia e l'adolescenza. Sostenne cinque guerre civili: Modena, Filippi, Perugia, Sicilia ed Azio.
X. All'origine delle cinque guerre civili Svetonio colloca la decisione di Ottaviano di vendicare la morte di Cesare: venendogli a mancare in questo proposito l'appoggio di Antonio, Ottaviano si rivolge agli ottimati che non stimavano il console. Dal Senato Ottaviano ricevette l'ordine di mettersi a capo insieme ai nuovi consoli Irzio e Pansa delle truppe inviate contro Antonio che assediava a Modena Decimo Bruto il quale non aveva voluto cedere la provincia avuta per legato di Cesare. Da qui la guerra di Modena, durata tre mesi e conclusasi dopo due battaglie con la sconfitta di Antonio.
XI. Poichè i consoli Irzio e Pansa perirono entrambi nella guerra di Modena gravò su Ottaviano il sospetto di aver provocato la loro morte per aprirsi la strada al consolato.
XII. Dopo Modena Antonio si allea a Lepido ed Ottaviano ritiene opportuno cambiare posizione e rinunciare all'appoggio degli ottimati.
XIII. Alleatosi con Antonio e Lepido (secondo triumvirato) Ottaviano si scontra a Filippi con i cesaricidi. Vittorioso Ottaviano incrudelisce contro i prigionieri più illustri. Dopo Filippi Ottaviano si assume il compito di ricondurre i veterani in Italia e di distribuire loro le terre nei municipi, ma questo compito lo rende impopolare sia ai civili espropriati che ai militari non soddisfatti dei compensi ricevuti.
XIV. Lucio Antonio, fratello di Marco, ottenuto il consolato cerca di provocare disordini contro Ottaviano, dando origine alla guerra di Perugia.
XV. Dopo la conquista di Perugia Ottaviano mette a ferro e fuoco la città e punisce i suoi abitanti per aver aiutato il rivale.
XVI. Le ostilità contro Sesto Pompeo rimandate più volte si aprono dopo la costruzione del porto Giulio (Capo Miseno). Pompeo è vinto a Nauloco e Milazzo e Svetonio attribuisce il merito della vittoria al generale Agrippa.
Dopo la fuga di Pompeo, Lepido tenta un colpo di mano ma viene sopraffatto da Ottaviano che coglie l'occasione per spodestarlo e relegarlo al Circeo.
XVII. Ottaviano ruppe infine l'insicura alleanza con Antonio ed intraprese una campagna per screditare il rivale, facendo leva soprattutto sulla scandalosa relazione di questi con la regina Cleopatra. Non molto tempo dopo si arriva alla battaglia di Azio che comporta la definitiva sconfitta di Antonio.
Dopo la battaglia di Azio, si verifica un ammutinamento fra i soldati di Ottaviano, le richieste dei soldati vengono soddisfatte dopo una pausa forzata a Brindisi durata ventisette giorni. "Poi passando per l'Asia e la Siria, entrò in Egitto e quivi, assediata Alessandria, dove Antonio e Cleopatra si erano rifugiati se ne impadronì in pochi giorni". Antonio e Cleopatra si suicidarono ed Ottaviano accordò loro l'onore della sepoltura in comune e fece completare il monumento funebre da loro iniziato. Fece uccidere il giovane Antonio, figlio di Marco Antonio e di Fulvia e Cesarione, figlio di Cleopatra e di Cesare, graziando gli altri figli dei due defunti.
XVIII. Prima di lasciare Alessandria Ottaviano fece aprire il mausoleo di Alessandro Magno per rendere omaggio alle spoglie del condottiero. A memoria della vittoria di Azio fondò la città di Nicopoli, ampliò il tempio di Apollo e consacrò a Marte e Nettuno il luogo ove era sorto il suo accampamento.
XIX. Diversi tentativi rivoluzionari ed attentati soffocati da Ottaviano: il giovane Lepido, Varrone Murena e Fannio Cepione, Marco Egnazio e Lucio Paolo.
XX. Augusto condusse di persona solo due guerre esterne: quella con i Dalmati e quella con i Cantabri.
XXI. Conquiste di Ottaviano e dei suoi legati: Cantabria, Aquitania, Pannonia, Dalmazia e Illirico, Rezia, territori dei Vindelici e dei Salassi. Frenò le incursioni dei Daci e ricacciò i Germani oltre dell'Elba.
XXII. Pax Augusti: il tempio di Giano Quirino fu finalmente chiuso regnando la pace ovunque nell'Impero.
XXIII. Sconfitte di Ottaviano: Lollio e Varo. Disperazione di Ottaviano per la sconfitta di Varo.
XXIV. Riforme di Ottaviano in campo militare: Svetonio dice che mantenne sempre la disciplina con grande severità consentendo solo nei mesi invernali ai suoi luogotenenti di andare in visita dalle proprie mogli. In caso di insubordinazione o di comportamento vile in combattimento riapplicò l'antica usanza della decimazione delle coorti o condannò le truppe a nutrirsi d'orzo. Applicò la pena capitale in caso di abbandono del posto.
XXV. Ottaviano fu sempre molto parsimonioso nell'elargire onorificenze militari. Come comandante riteneva essenziale la prudenza e suoleva dire che non si debba intraprendere una guerra se il timore della perdita è maggiore della speranza di guadagno.
XXVI. Magistrature ed onori rivestiti da Ottaviano: il primo consolato a vent'anni ottenuto con la forza e le minacce contro il Senato. Assunse il secondo consolato dopo nove anni, quindi il terzo l'anno successivo e tutti i successivi fino all'undicesimo. Dopo una pausa di diciassette anni assunse il suo dodicesimo consolato e due anni dopo il tredicesimo in occasione dell'inizio del tirocinio nel Foro dei nipoti Lucio Cesare e Gaio Cesare.
XXVII. Esercitò per dieci anni il "Triumvirato per restaurare la repubblica", nel periodo delle proscrizioni delle quali fu spesso autore feroce. Tenne in perpetuo la potestà tribunizia nonchè la sovraintendenza dei costumi e delle leggi.
XXVIII. Pensò due volte di ristabilire la Repubblica, la prima dopo Azio, la seconda dopo una lunga malattia. Desistette ovviamente.
XXIX Eresse numerosi edifici pubblici fra i quali il Foro con il tempio di Marte Vendicatore, il tempio di Apollo sul Palatino e quello di Giove Tonante sul Campidoglio.
Il Foro, il terzo della città, fu costruito per l'insufficienza dei fori esistenti a contenere il pubblico dei processi e delle cerimonie ufficiali, il tempio di Marte fu costruito per un voto fatto da Augusto in vista della battaglia di Filippi. Il tempio di Apollo fu costruito per una segnalazione degli aruspici, quello di Giove per ringraziare il Dio di uno scampato pericolo corso durante la campagna contro i Cantabri quando un fulmine stava per ucciderlo. Altri edifici fece costruire in onore dei propri parenti: il portico e la basilica di Gaio e Lucio, il portico di Ottavia e quello di Livia ed il Teatro Marcello. Incitò inoltre i più facoltosi cittadini ad abbellire a proprie spese la città.
XXX. Divise la città in regioni e contrade. Istituì un corpo di vigili del fuoco e fece ripulire l'alveo del Tevere per prevenire le inondazioni. Fece risistemare e proprie spese la via Flaminia fino a Rimini. Restaurò antichi templi, ecc.
XXXI. Dopo la morte di Lepido assunse la carica di pontefice massimo . In questa veste fece bruciare un gran numero di testi sacri greci e latini ritenuti poco attendibili e conservò i Libri Sibillini. Riformò gli ordini sacerdotali ripristinando antiche cerimonie religiose cadute in disuso.
XXXII. In materia di ordine pubblico Augusto represse il brigantaggio molto diffuso e prese provvedimenti per evitare la diffamazione fra cittadini. Promulgò inoltre una sorta di sanatoria dei vecchi debiti verso lo stato e delle questioni giudiziarie irrisolte. Aumentò il numero dei magistrati e dei giovani dedicati ai processi in modo da facilitare l'ufficio giudiziario.
XXXIII. Spesso svolse personalmente la funzione di giudice e, stando a Svetonio lo fece con equità e clemenza.
XXXIV. Riformò diverse leggi in particolare nell'ambito del diritto familiare.
XXXV. Ridusse il numero dei senatori (che erano diventati oltre mille) in due successive epurazioni. L'operazione non dovette essere del tutto tranquilla se come dice Svetonio in quel periodo Augusto presiedeva le sedute del Senato con una corazza sotto la toga ed una spada al fianco, circondato dagli amici più valorosi, e faceva perquisire tutti i senatori prima di ammetterli nell'aula.
XXXVI. Suggerì altre riforme di materia organizzativa e legislativa, per esempio quella di trasferire la sovraintendenza dell'erario dai questori ai pretori.
XXXVII. Istituì nuove cariche cittadine, come l'incarico di sovraintendere alle opere pubbliche, alle acque, alle piazze, alla manutenzione del Tevere, ecc.
XXXVIII. Augusto generosamente distribuiva onori militari decretando oltre trenta trionfi. In realtà sembra che questo abbondare nelle cariche civiche e negli onori militari servisse a sminuire le onorificenze stesse e quindi l'importanza di chi le riceveva.
XXXIX. Con una commissione di senatori passò in rassegna la condotta dei cavalieri comminando punizioni a coloro che erano trovati in difetto.
XL. Vari provvedimenti di Augusto in materia amministrativa, contro brogli elettorali, ecc. Augusto restio a concedere la cittadinanza romana agli stranieri. Tentativi di moralizzazione dei costumi e recupero di usi tradizionali nell'abbigliamento.
XLI e XLII. Liberalità di Augusto, suoi donativi alla popolazione, suoi interventi in tempo di carestia.
XLIII. Augusto offrì spesso giochi e spettacoli con grande magnificenza. Volentieri esponeva in pubblico animali esotici ed altre stranezze provenienti dalle province lontane, si mostrava in tutte le occasioni per tenere alta la propria popolarità.
XLIV. Regolò la distribuzione dei posti negli spettacoli, riservando le prime file ai senatori. Decretò che le donne non potessero assistere a spettacoli di pugilato.
XLV. Personalmente Augusto seguiva con piacere i giochi, particolarmente gli incontri di pugilato e di lotta greca. Fu favorevole ai personaggi circensi, agli attori ed agli atleti aumentandone il compenso e migliorandone le condizioni anche se alcuni di loro furono puniti per comportamenti indecorosi.
XLVI. Per ripopolare l'Italia (evidentemente le guerre civili avevano fatto un pò di vuoto) fondò 28 nuove colonie e le dotò di mezzi ed opere pubbliche. Incoraggiò la prolificità delle famiglie con donativi.
XLVII. Assunse personalmente il governo delle province più difficili da gestire (province imperiali) e visitò spesso sia tali province che altre.
XLVIII. Coltivò le relazioni con gli stati clienti, procurando di insediare sovrani amici.
XLIX. Distribuì le forze militari nelle varie province ed istituì le flotte di Miseno e di Ravenna . Pose alcune truppe a guarnigione della capitale ed altre ne destinò a propria scorta personale, ma non permise mai che in Roma soggiornassero più di tre coorti ed anche queste senza stabili alloggiamenti, venivano collocate in castelli vicini alla città. Istituì un erario militare ed un servizio di messaggeri per l'inoltro dei dispacci.
L. Nel sigillare i documenti usò prima una sfinge, poi l'immagine di Alessandro Magno, infine la propria, incisa da Dioscoride.
LI. Clemenza di Augusto nei confronti dei suoi avversari, perdono di alcuni calunniatori ed esortazione a di non raccogliere le provocazioni.
LII. Modestia di Augusto: non volle che gli fossero consacrati templi nelle province se non associando al suo nome quello di Roma, non volle alcun tempio a suo nome nella capitale. Fece fondere tutte le statue d'argento a lui dedicate e con il ricavato dedicò dei tripodi d'oro ad Apollo Palatino. Rifiutò la dittatura.

LIII. Aborrì di essere chiamato signore e proibì le pubbliche adulazioni nei suoi riguardi.
Mantenne atteggiamento modesto nei confronti del popolo e relazioni amichevoli con molti senatori. Nelle sedute del Senato non permetteva che gli fossero tributati particolari onori e ricordava a memoria il nome di tutti i senatori.
LIV. Alterchi fra Augusto e i senatori.
LV. Circolavano a Roma opuscoli diffamatori contro di lui che Augusto si limitava a confutare pur non perseguitandone gli autori.
LVI. Augusto si guardava dall'esercitare la propria autorità a favore di amici o clienti: non salvò dal giudizio l'amico Nonio Asprenate processato per veneficio. Intercesse solo per un certo Castricio che in precedenza aveva svelato la congiura di Murena.
LVII. Affetto del popolo per Augusto, i cavalieri celebravano per due giorni ogni suo anniversario, quando costruì la sua casa sul Palatino tutti recavano doni, ecc.
LVIII. Il popolo ed il Senato conferirono ad Augusto il titolo di Padre della Patria.
LIX. Onori tributati ad Augusto. Molte province decretarono dei ludi quinquennali in suo nome.
LX. I Re di stati amici e clienti fondarono città con il nome di Cesarea e spesso gli resero visita.
LXI. Svetonio, dopo aver raccontato la vicenda storica e pubblica di Ottaviano, passa alla narrazione della sua vita privata. Perdette la madre durante il suo primo consolato e la sorella Ottavia durante il suo cinquantaquattresimo anno di età.
LXII. I matrimoni di Ottaviano: Claudia (figliastra di Antonio e figlia di Fulvia) che ben presto rimanda a casa ancora vergine, Scribonia, già due volte sposata ed infine Livia Drusilla facendola divorziare da Tiberio Nerone al quale rimarrà legato, dice Svetonio, "con singolare perseveranza".
LXIII. Da Scribonia nacque Giulia, da Livia non ebbe figli. Giulia sposò Marcello, quindi Agrippa ed infine Tiberio al quale fu imposto di lasciare la precedente consorte.
LXIV. Ebbe tre nipoti maschi (Gaio, Lucio, Agrippa Postumo) e due nipoti femmine (Giulia e Agrippina).
Giulia sposò Lucio Emilio Paolo e Agrippina Germanico. Adottò i nipoti Gaio e Lucio e li educò personalmente.
LXV. La fortuna fu avversa ai discendenti di Augusto: mandò in esilio la figlia e la nipote Giulia per comportamento immorale e nell'arco di diciotto mesi morirono Gaio Cesare, in Licia e Lucio Cesare a Marsiglia .
LXVI. Augusto coltivò rare ma durature amicizie, fra queste quelle famose con Agrippa a Mecenate.
Fece condannare per tradimento il suo compagno di studi Salvidieno Rufo e cacciò dalla propria casa l'amico Cornelio Gallo perché malevolo e maldicente. Accettava volentieri i lasciti degli amici ma non quelli degli sconosciuti.
LXVII. Augusto patrono e padrone benevolo e severo: punì con i ceppi lo schiavo Cosmo che lo aveva diffamato, perdonò il suo intendente Diomede che durante una caccia lo aveva spinto contro un cinghiale inferocito ritenendo che l'uomo avesse agito in preda al panico ma fece suicidare il liberto Polo colpevole di adulterio con matrone. Fece spezzare le gambe al segretario Tallo per corruzione e fece affogare il pedagogo di Gaio Cesare per aver vessato la provincia affidata al suo allievo dopo la morte di questi.
LXVIII. In gioventù Ottaviano aveva fama equivoca, Sesto Pompeo e Marco Antonio lo accusavano di essersi prostituito a Giulio Cesare e ad altri.
LXIX. Si diceva che commettesse anche molti adulteri, Marco Antonio approfittava per sparlare di lui, delle frettolose nozze con Livia, della sua probabile infedeltà verso Scribonia, ecc.
LXX. Vizi privati di Augusto: offriva banchetti privati lussuosissimi in cui gli ospiti recitavano il ruolo degli Dei, egli era Apollo; amava il lusso ed il gioco dei dadi.
LXXI. Augusto respinse o sfatò le accuse di sodomia e di cupidigia, non quelle di libidine compiacendosi di amare giovani vergini fino a tarda età. Continuò anche a praticare volentieri il gioco dei dadi.
LXXII. Per il resto i costumi di Augusto furono morigerati. Abitò prima presso il Foro poi sul Palatino sempre in dimore relativamente modeste. Dimorava a volte fuori Roma o nelle Isole Campane.
LXXIII. Semplicità di costumi anche nell'arredamento della casa, nelle suppellettili, conservate ancora ai tempi di Svetonio e nell'abbigliamento.
LXXIV. Usava offrire banchetti di tre o sei portate, invitando tutti a partecipare alla conversazione ed inframezzando le portate con l'intervento di attori e lettori.
LXXV. Celebrava con larghezza i giorni festivi offrendo intrattenimenti e spesso con donativi.
LXXVI. Le abitudini alimentari di Augusto erano semplici, amava il pane, il formaggio di mucca e la frutta, in particolare i fichi. Mangiava ad orari irregolari, spesso da solo.
LXXVII. Era molto sobrio nel bere vino, se gli accadeva di eccedere vomitava. Amava il vino di Rezia ma non ne beveva mai durante il giorno.
LXXVIII. Aveva difficoltà a dormire molte ore consecutive, detestava alzarsi presto al mattino e spesso sonnecchiava dopo i pasti.
LXXIX. Aspetto fisico di Augusto: di bell'aspetto e molto carismatico, statura leggermente sotto la media, capelli castano chiari, occhi chiari e lucenti, denti piccoli, naso un poco prominente.
LXXX. La salute di Augusto era instabile. In particolare dopo la guerra di Cantabria aveva sofferto per il fegato. Mal tollerava sia il caldo che il freddo.
LXXXI. D'inverno si copriva con quattro toghe di lana e d'estate doveva dormire a porte aperte, vicino ad uno zampillo d'acqua o facendosi far vento. Non tollerava il sole neanche d'inverno. Viaggiava di notte a brevi tappe perché mal sopportava le fatiche del viaggio.
LXXXIII. Dopo le guerre civili abbandonò gli allenamenti militari, faceva esercizio fisico a volte con la palla o con la corsa. Giocava volentieri a dadi o ad altri giochi, spesso con bambini, aborrendo la compagnia dei nani.
LXXXIV. Fin dalla gioventù aveva studiato eloquenza e continuò a curare questa disciplina, aveva un tono di voce suadente ma spesso il mal di gola lo costringeva a far pronunciare i suoi discorsi pubblici da un banditore.
LXXXV. Scrisse alcune opere letterarie e filosofiche: Risposte a Bruto intorno a Catone; Esortazioni alla filosofia; Sulla propria vita.
Scrisse anche dei versi sulla Sicilia ed un libro di Epigrammi. Distrusse, senza averla completata, la tragedia Aiace, perché insoddisfatto dello stile.
LXXXVI. Aveva uno stile elegante e piano e si sforzava di rendere i concetti con la massima chiarezza sia nei suoi scritti che nei discorsi. Disprezzava i tentativi arcaicizzanti e i linguaggi oscuri, a volte deridendo Mecenate o Tiberio per queste tendenze.
LXXXVII. Negli scritti di Ottaviano si notavano spesso espressioni di uso comune e non sempre la frase era del tutto corretta sintatticamente, sostenendo egli che lo scritto doveva essere più vicino possibile alla lingua parlata.
LXXXVIII. Il codice di Augusto per cifrare i messaggi: la B al posto della A, la C al posto della B, ecc. Per la X usava la doppia A.
LXXXIX. Teneva in gran conto la cultura greca che aveva studiato con il filosofo Apollodoro di Pergamo.
Amò la poesia ed il teatro, fece opera di divulgazione di alcuni testi letterari, protesse e favorì gli uomini di cultura.
XC. Piuttosto superstizioso, aveva paura dei temporali e dei fulmini e portava con se degli amuleti.
XCI. Credeva nelle premonizioni e nei sogni. In seguita ad un sogno ogni anno chiedeva l'elemosina in pubblico.
XCII. Dava grande importanza agli auspici e soprattutto ai prodigi. Riteneva di buon augurio la rugiada, di cattivo intraprendere atti o viaggi all'ora nona.
XCIII. Aveva grande rispetto per i riti greci mentre disprezzava quelli di altre religioni come l'egiziana e l'ebraica.
XCIV. Prodigi avvenuti prima della nascita di Augusto: un oracolo a Velletri aveva predetto la nascita in quella città di un dominatore del mondo; Azia aveva sognato di unirsi ad un serpente e suo marito Ottavio che venisse al mondo, dal parto di lei, un astro raggiante.
Il senatore Lutazio Catulo sognò che Giove richiedesse il giovane Ottaviano per adottarlo.
XCV. Dopo la morte di Cesare, mentre entrava in Roma, un grande arcobaleno circondò il sole mentre un fulmine cadeva presso la statua di Giulia, figlia di Cesare.
Mentre iniziava il suo primo consolato si alzarono in volo dodici avvoltoi, come la leggenda narrava a proposito di Romolo e della fondazione di Roma.
XCVI. Altri prodigi avevano predetto la fine del triumvirato, la vittoria di Filippi, quella di Nauloco e quella di Azio.
XCVII. Poco prima della sua morte un fulmine colpì un'iscrizione cancellando dal nome CAESAR la lettera C. Il fatto fu così interpretato: la lettera C indicava che mancavano cento giorni alla sua morte, le restanti lettere AESAR in etrusco significavano "Dio", quindi Augusto doveva essere divinizzato.
XCVIII. Negli ultimi giorni Augusto soggiornò a Capri dove i mercanti di una nave alessandrina, incontrandolo per caso, gli tributarono grandi onori.
Trascorse il breve periodo di Capri come una vacanza, dedicandosi al riposo, assistendo a giochi e spettacoli.
Durante il suo ritorno, essendosi aggravate le condizioni della sua salute, dovette fermarsi a Nola.
XCIX. Nel suo ultimo giorno di vita, dopo essersi pettinato ed imbellettato, convocò gli amici e pronunciò la famosa formula finale delle commedie per chiedere il plauso per come aveva recitato sul palcoscenico della vita.
Poco prima si era intrattenuto a lungo in privato con Tiberio. Si congedò da Livia con la frase "vivi nel ricordo della nostra grande unione" e spirò fra le braccia di lei.
C. Morì nella stessa camera dove era morto suo padre, sotto il consolato di Pompeo e Apuleio, quattordici giorni prima delle calende di settembre. Mancavano trentacinque giorni al suo settantaseiesimo compleanno.
La salma fu trasportata a Roma dove, dopo solenni onoranze e dopo l'elogio funebre pronunciato da Tiberio, fu cremata in Campo Marzio.
CI. Nel suo testamento Augusto nominava suoi primi eredi Tiberio e Livia, come secondi eredi Druso, figlio di Tiberio, Germanico ed i suoi figli.
Lasciò quaranta milioni di sesterzi al popolo e legò altre somme alle tribù, agli amici, ecc.
Vietò che sua figlia Giulia e sua nipote Giulia Minore fossero sepolte nel suo sepolcreto.
Il testamento comprendeva anche un rotolo contenente una descrizione sommaria dell'impero e delle sue province.



Libro III. - Vita di Tiberio


I. Origini della gente Claudia: provenienti dalla Sabina, la tradizione li vuole chiamati a Roma da Tito Tazio, più probabile che si siano trasferiti in città nei primi tempi della Repubblica.
Nei secoli i Claudii si suddivisero in varie famiglie i cui membri rivestirono molte cariche pubbliche e militari.
II. Luci ed ombre sui Claudii: Appio Claudio Cieco, famoso ai tempi di Pirro; Caio Claudio, vincitore dei Cartaginesi in Sicilia, ma anche Claudio Crasso e Claudio Druso, aspirante dittatore, Claudio Pulcro, irriverente e blasfemo.
Fra le donne, Svetonio ricorda la pia Claudia che avrebbe fatto disincagliare da una secca del Tevere la nave che portava la statua della Dea Madre con le sue preghiere e Clodia coinvolta in scandali e processi. In generale i Claudii furono tutti conservatori ed avversari della plebe.
III. Tiberio apparteneva alla gens Claudia sia in linea paterna, sia in linea materna. La discendenza di sua madre lo legava anche alla gens Livia.
IV. Tiberio Nerone, padre di Tiberio, questore di Gaio Cesare e comandante della flotta ottenne successi durante la guerra alessandrina.
Ricoprì la carica di pontefice e fu inviato in Gallia dove fondò le colonie di Narbona e di Arles. Nella guerra di Perugia si schierò con Lucio Antonio e dovette fuggire a Preneste, poi a Napoli ed infine in Sicilia per unirsi a Sesto Pompeo.
Deluso dalla scarsa considerazione dimostratagli da Pompeo, passò in Acaia da Marco Antonio.
Poco tempo dopo, a seguito di accordi fra Ottaviano ed Antonio, si stabilì un periodo di pace, Tiberio Nerone tornò a Roma ove cedette la moglie ad Ottaviano. Morì poco dopo lasciando due bambini: Tiberio e Druso.
V. Una tradizione dice Tiberio nativo di Fondi mentre un'altra, alla quale Svetonio concede maggior credito, lo vuole nato a Roma, sul Palatino, nei giorni della battaglia di Filippi.
VI. L'infanzia di Tiberio fu turbata dall'esilio e dalla fuga del padre dopo la guerra di Perugia. Perduto il padre a nove anni fu allevato dalla madre, ormai moglie di Augusto. Dopo Azio partecipò al trionfo di Augusto insieme a Marcello, figlio di Ottavia.
VII. Tiberio sposò Vipsania Agrippina, figlia di Marco Agrippa, nipote di Attico, il cavaliere al quale sono indirizzate le lettere di Cicerone.
Dopo aver avuto da Agrippina il figlio Druso fu costretto da Ottaviano a divorziare per sposare Giulia, matrimonio forzato e notoriamente infelice anche a causa dei costumi libertini di lei.
Perdette in Germania il fratello Druso.
VIII. Agli inizi della carriera difese davanti ad Augusto il re Archelao di Cappadocia e perorò la causa delle città di Laodicea, Tiatira e Chio che, colpite da un terremoto, avevano chiesto aiuti al Senato.
IX. La sua prima esperienza militare fu nella spedizione contro i Cantabri.
Poi in Oriente dove restituì a Tigrane il trono di Armenia. In seguito governò per un anno la Gallia Chiomata. Poco dopo guidò le campagne di Rezia e Vindelicia, più tardi quelle di Pannonia e di Germania. Coprì tutti i livelli delle magistrature fino al consolato ed alla potestà tribunizia.
X. Nel pieno del successo decise di ritirarsi ed abbandonare Roma per motivi non chiari: per disgusto della corruzione di Giulia o per non guastare la propria fama con un'immagine troppo invadente, o forse per gelosia verso Gaio Cesare e Lucio Cesare.
XI. Partito da Ostia, dopo una breve sosta in Campania raggiunse l'isola di Rodi, nella quale condusse vita di privato cittadino non esercitando la potestà tribunizia che ancora deteneva e dedicandosi allo studio della retorica e della filosofia.
Passato il periodo della potestà tribunizia, volle tornare a Roma ma Augusto gliene negò il permesso.
XII. Rimase dunque a Rodi ottenendo per intercessione di Livia solo una carica fittizia per "celare la sua disgrazia".
Cominciò per Tiberio un periodo di sospetto e di preoccupazione, temeva di essere "scomodo" per Augusto e calunniatori insinuavano che stesse istigando una ribellione.
XIII. Il ritiro di Tiberio divenne esilio vero e proprio e, caduto in disgrazia, perse tutta la sua popolarità. Augusto lasciò decidere al nipote Caio Cesare. Questi per odio verso Marco Lollio, avversario politico di Tiberio, chiese che l'esule fosse riammesso a condizione di non aspirare al governo.
XIV. Tornò a Roma dopo sette anni, confortato da presagi favorevoli per il proprio avvenire.
XV. Stando ai patti, si astennne dalla vita pubblica.
XVI. Caduto in disgrazia Agrippa Postumo, Tiberio riebbe la potestà tribunizia per altri cinque anni e fu inviato a pacificare la Germania.
Saputo di una ribellione nell'Illirico vi si recò per assumere la direzione della guerra.
La guerra in Illiria durò tre anni e Tiberio domò tutta la regione.
XVII. La campagna ottenne particolare successo perché in quel periodo le legioni di Quintilio Varo caddero contro Arminio e se Tiberio non avesse preso possesso dell'Illirico i Germani si sarebbero uniti ai Pannoni ed avrebbero potuto minacciare gravemente l'impero. Tiberio ottenne il trionfo ma ne rimandò la celebrazione.
XVIII. L'anno seguente tornò in Germania per ristabilire il controllo romano dopo la disfatta di Varo.
XIX. La campagna in Germania fu dura e difficile. Tiberio la svolse con la massima accortezza e mantenendo fra le truppe la più ferrea disciplina.
XX. Tornato a Roma dopo due anni celebrò il trionfo, offrì giochi e dedicò un tempio alla Concordia ed uno a Castore e Polluce.
XXI. Partito per l'Illirico, che avrebbe dovuto governare, Tiberio fu subito richiamato per le gravi condizioni di Augusto.
Svetonio conferma la notizia del lungo e segreto colloquio fra l'imperatore ed il suo successore.
XXII. Subito dopo la morte di Augusto, Agrippa Postumo fu assassinato dal tribuno militare preposto alla sua custodia. Non si seppe se ad ordinare l'omicidio fu Augusto, o Livia, o lo stesso Tiberio.
XXIII. Convocato il Senato, Tiberio fece leggere il testamento di Augusto che lo nominava suo erede.
XXIV. Dopo un periodo di simulata esitazione e dopo essersi fatto pregare dal Senato Tiberio assunse finalmente la guida dell'impero.
XXV. Non era soltanto ipocrisia, secondo Svetonio, quella che spingeva Tiberio ad esitare nel prendere il potere.
Come è naturale cospirazioni e minacce concrete preoccupavano il neoprincipe.
Un servo di Agrippa Postumo, un certo Clemente, per esempio, approfittando di una forte somiglianza con il defunto padrone aveva raccolto un discreto numero di sostenitori per tentare di spodestare Tiberio.
Lucio Scribonio Libone preparava in segreto un colpo di stato, Tiberio lo venne a sapere ma attese due anni per attaccarlo scopertamente per non guastare con la negativa risonanza del processo l'inizio del suo governo.
La maggiore preoccupazione di Tiberio in quel periodo furono però i disordini fra le legioni di Germania e Pannonia e la crescente popolarità di Germanico che le truppe spingevano ad impadronirsi del potere.
XXVI. Accettato il potere, Tiberio si regolò in un primo tempo con grande modestia rifiutando o accettando solo in minima parte onori e distinzioni.
Rifiutò anche di usare il titolo di Augusto ereditato da Ottaviano se non nella corrispondenza con regnanti stranieri.
XXVII. Tiberio detestava l'adulazione al punto da maltrattare chi la praticava nei suoi confronti.
XXVIII. Rivelò molta pazienza e tolleranza verso i suoi oppositori e detrattori ripetendo In una città libera devono essere libere anche le lingue e le menti.
XXIX. Sempre nel primo periodo del suo impero, Tiberio dimostrò almeno formalmente grande deferenza e rispetto nei confronti del Senato.
XXX. Nel quadro di questo comportamento, Tiberio consultava il Senato su tutte le decisioni, grandi e piccole, inerenti la cosa pubblica.
XXXI. Tollerò che alcune decisioni del Senato venissero prese contro la sua opinione e riconobbe pubblicamente l'autorità dei consoli.
XXXII. Biasimava ogni mancanza di rispetto verso il Senato e lodava chi mostrava di avvalorare le tradizioni e la religione.
XXXIII. Interveniva spesso nelle attività giudiziarie per prevenire casi di corruzione da parte dei giudici. Assunse il compito di correggere ogni rilassatezza di costumi.
XXXIV. Ridusse le spese degli spettacoli e dei giochi, limitò il lusso degli arredamenti del Senato e calmierò i prezzi sui mercati.
XXXV. Ripristinò l'antica usanza per la quale erano i parenti a punire le matrone prostitute. Esiliò giovani uomini e donne del patriziato perché libertini.
XXXVI. Proibì le religioni straniere e le cerimonie egizie ed ebraiche. Con la scusa del servizio militare allontanò da Roma la gioventu ebraica.
XXXVII. Perseguì furti, brigantaggio e minacce di sedizione. Costruì la prima caserma militare in Roma. Abolì la consuetudine del diritto d'asilo.
Non prese più il comando personale di spedizioni militari. Attirò a Roma e trattenne alcuni re stranieri che minacciavano la pace (Archelao, Maroboduo, Rescupori).
XXXVIII. Tiberio era di abitudini sedentarie, per i primi due anni di principato non uscì mai da Roma e successivamente (fino al trasferimento a Capri) non si allontanò mai eccessivamente. Dichiarava spesso di voler visitare le province ed arrivava ad organizzare viaggi che poi non faceva.
XXXIX. Dopo la morte di Germanico in Siria e di Druso a Roma, Tiberio lasciò la città per trasferirsi definitivamente in Campania. Durante il viaggio si salvò miracolosamente da una frana.
XL. Tiberio si ritirò a Capri, scelta probabilmente per le sue difese naturali. Poco dopo tornò brevemente sul continente per commemorare le vittime di una sciagura: il crollo del teatro di Fidene dove più di ventimila persone erano morte sotto le macerie.
XLI. Ritiratosi a Capri, si disinteressò del governo e degli affari pubblici lasciando che i Parti invadessero l'Armenia, che i Daci ed i Sarmati devastassero la Mesia ed i Germani la Gallia.
XLII. Nell'isolamento divennero evidenti i vizi che aveva in precedenze dissimulato. Si lasciò andare al suo amore per il vino che beveva senza allungarlo (abitudine insolita per i Romani) tanto da guadagnarsi il soprannome di Caldio Biberio Merone. Partecipò a banchetti e conviti orgiastici.
XLIII. Nel suo ritiro di Capri organizzava orge e spettacoli osceni nel corso dei quali i partecipanti dovevano unirsi al suo cospetto per stimolare la sua decadente virilità.
XLIV. Invecchiando Tiberio si lasciò andare a più turpi passioni come la pedofilia.
XLV. Una certa Mallonia fu calunniata e processata ed infine si suicidò. I delatori erano emissari di Tiberio al quale la giovane aveva rifiutato la propria compiacenza.
XLVII. Non eresse edifici notevoli né finanziò altre opere, non offrì spettacoli e diede sempre prova di grande avarizia.
XLVIII. Due sole volte fu generoso nei confronti del popolo: quando intervenne con le proprie finanze per correggere una grave crisi di circolante mettendo a disposizione per tre anni senza interesse cento milioni di sesterzi e quando indennizzò le vittime di un incendio sul Celio.
Non fu mai liberale verso le province se si eccettua il suo donativo per la ricostruzione delle città asiatiche devastate dal terremoto.
XLIX. "Col volger del tempo indirizzò l'animo alle rapine". Indusse al suicidio il ricco Gneo Lentulo augure per ereditarne le sostanze; si lasciò corrompere in delibere e processi, vessò le province revocando loro antichi diritti.
Tradì l'ospite Vonone re dei Parti rifugiatosi ad Antiochia mettendolo a morte per impossessarsi del tesoro di lui.
L. Manifestò odio anche verso i parenti. Da giovane calunniò il fratello Druso. Inasprì contro la moglie Giulia. Fu geloso dell'autorità della madre Livia.
LI. Ruppe infine ogni rapporto con Livia quando questa, non ottenendo da lui favori per i suoi clienti, gli mostrò vecchie lettere in cui Augusto criticava il carattere di Tiberio. Svetonio annovera l'astio di Tiberio verso Livia fra i motivi del ritiro caprese dell'imperatore.
Nei tre anni in cui Livia visse ancora dopo la partenza di Tiberio si videro una sola volta e dopo la morte di lei si rifiutò di tornare a Roma per le esequie ed annullò il suo testamento.
LII. Non ebbe affetto per il figlio carnale Druso, del quale detestava i costumi rilassati, nè per il figlio adottivo Germanico della cui popolarità era geloso e timoroso. Si sospettò Tiberio di aver ordinato al legato di Siria Pisone di avvelenare Germanico e le successive persecuzioni contro la vedova ed i figli rafforzarono il sospetto.
LIII. Dopo la morte di Germanico, Tiberio screditò e calunniò Agrippina. Infine la fece malmenare e la confinò a Pandateria dove la donna si lasciò morire di fame. Morta Agrippina, Tiberio ne proclamò infausta la memoria.
LIV. Raccomandò al Senato i figli maggiori di Germanico Druso e Nerone ma poi, geloso anche di questi, li calunniò e perseguitò fino a farli uccidere brutalmente.
LV. Complice di tante malefatte fu Seiano che Tiberio aveva innalzato al potere per contrapporlo ai figli di Germanico.
LVII. Tiberio amava circondarsi di letterati ed intellettuali greci ma spesso anche contro questi operò soprusi.
LVII. La crudeltà di Tiberio sarebbe stata repressa fin dall'infanzia e non tardò a manifestarsi quando sentì saldo il potere.
LVIII. Fece della legge di lesa maestà uno strumento di persecuzione dei suoi oppositori. Qualsiasi pretesa mancanza di rispetto alla memoria di Augusto era punibile con la morte.
LIX. La crudeltà di Tiberio divenne proverbiale a Roma. Svetonio riporta alcuni versi popolari contro l'imperatore.
LX. Durante l'isolamento caprese il sospetto incrudelì Tiberio che fece mettere a morte isolani e servitori per futili motivi.
LXI. Svetonio smentisce la tesi per cui la crudeltà di Tiberio sarebbe stata sobillata da Seiano perché gli abusi ed i supplizi continuarono anche dopo la morte del consigliere.
LXII. Quando una denuncia svelò che suo figlio Druso era stato avvelenato da sua moglie Livilla e dall'amante di lei Seiano, Tiberio diede libero sfogo alla sua natura sanguinaria aprendo un lungo processo di terrore. In definitiva gli ultimi anni di Tiberio furono anni di continui arresti, torture ed esecuzioni.
LXIII - LXIV. A causa dei tanti delitti compiuti Tiberio visse circondato dal disprezzo e nella paura dei propri nemici. La paura lo spinse a vietare rapporti fra il popolo e le sue vittime (fra cui la nuora e i nipoti).
LXV. Sospettoso anche verso Seiano, scoprì la congiura che questi ordiva e riuscì a farlo eliminare. Dopo la caduta di Seiano non uscì più dalla sua villa di Capri.
LXVI. L'odio popolare contro Tiberio si manifestava spesso in libelli e scritti ingiuriosi. Artabano re dei Parti, in una lettera durissima, gli rinfacciò i suoi misfatti invitandolo a darne subito soddisfazione con il suicidio.
LXVII. Secondo Svetonio, Tiberio all'inizio del principato avrebbe rifiutato i più alti onori per evitare che agli occhi dei posteri la sua immagine fosse ancora più screditata (sapendo che si sarebbe dimostrato tanto indegno).
LXVIII. L'aspetto fisico. Grande e robusto, più alto della media, ben proporzionato. Aveva la mano sinistra straordinaramente forte. Colorito chiaro e folta capigliatura. Il viso era spesso soggetto ad eruzioni cutanee. Portamento eretto. Molto taciturno. Salute eccellente.
LXIX. Dedito all'astrologia, indifferente alla religione. Aveva paura dei temporali.
LXX. Amò le lettere greche e latine. Stimò l'oratoria di Messala Corvino.
Compose una lirica: Pianto sulla morte di Lucio Cesare e scrisse qualche poesia in greco. Fu appassionato studioso della mitologia.
LXXI. Benché conoscesse ed apprezzasse il greco, proibiva che si parlasse in Senato e che nelle occasioni ufficiali si usassero parole non latine.
LXXII. Durante il suo ritiro a Capri intraprese solo due viaggi verso Roma, il primo interrotto per motivi sconosciuti, il secondo per un presagio funesto.
Tornando a Capri dopo questo secondo viaggio si ammalò gravemente.
Sostando nella villa di Capo Miseno cercò di dissimulare la propria condizione.
LXXIII. Decise di tornare a Capri dove si sentiva più al sicuro ma trattenuto dal maltempo e dalla malattia morì poco dopo nella villa di Lucullo. Aveva settantotto anni, era imperatore da ventitre. Alcuni sospettano che sia stato avvelenato dal nipote Gaio.
LXXIV. Vari presagi della morte di Tiberio.
LXXV. Esultanza del popolo alla morte di Tiberio.
LXXVI. Nel testamento nominava eredi Gaio, figlio di Germanico, e Tiberio figlio di Druso.



Libro IV. - Vita di Caligola


I. Germanico, figlio di Druso e di Antonia Minore, padre di Gaio Cesare adottato dallo zio Tiberio, esercitò la questura cinque anni prima dell'età legale ed immediatamente dopo il consolato.
Dopo la morte di Augusto domò la rivolta delle legioni ed ottenne il trionfo. Nominato console per la seconda volta, venne inviato in Oriente, dove sconfisse il re d'Armenia e costituì in provincia la Cappadocia.
Morì ad Antiochia a trentaquattro anni: si sospettò fosse stato avvelenato.
II. Si ha motivo di ritenere che l'avvelenamento di Germanico sia stato ordinato da Tiberio ed eseguito da Gneo Calpurnio Pisone, governatore della Siria che in seguito fu processato e condannato.
III. Elogio di Germanico: ottimo e coraggioso generale era amato da tutti per la simpatia e per le sue doti personali. Modesto nei costumi ed affabile. Anche contro Pisone non prese alcuna iniziativa nonostante l'ostilità del governatore.
IV. Germanico aveva goduto di grande fama sia presso il popolo che presso le legioni. Augusto aveva considerato la possibilità di nominarlo suo successore ed aveva ordinato a Tiberio di adottarlo.
V. Alla morte di Germanico a Roma ed in tutte le province grandi manifestazioni di lutto. Anche i nemici ed i barbari compiansero la morte del generale.
VI. Già alla notizia della misteriosa malattia di Germanico il popolo romano aveva manifestato la propria ed avevano affollato i templi per ringraziare gli dei.
Dopo la morte di Germanico il lutto si protrasse perfino durante le feste di dicembre. Da allora, si dice, la crudeltà di Tiberio non avrebbe più avuto freno e sarebbero iniziati giorni tristissimi.
VII. Germanico sposò Agrippina, figlia di Marco Agrippa e di Giulia dalla quale ebbe nove figli. Due morirono appena nati, uno durante l'infanzia e gli altri sei sopravvissero al padre: Agrippina, Drusilla, Livilla, Nerone, Druso e Caio Cesare.
VIII. Caio Cesare nacque sotto il consolato di Germanico e di Caio Fonteio Capitone.
Non era certo - già ai tempi di Svetonio - il luogo di nascita di Caio che secondo lo storico Lentulo Getulico sarebbe nato a Tivoli, secondo Plinio il Giovane in Germania. Svetonio ritiene che comunque sia nato in Italia, forse ad Anzio, luogo da lui prediletto.
IX. Cresciuto accanto al padre fra i soldati, ebbe da questi lo scherzoso soprannome di Caligola da caliga, calzatura militare.
Durante la ribellione delle legioni il piccolo Caligola stava per essere allontanato e l'affetto dei soldati per lui contribuì a calmare gli animi.
X. Accompagnò Germanico anche in Siria, poi visse con la madre finché questa non fu relegata, quindi con la bisnonna Livia Augusta, della quale pronunciò l'elogio funebre.
Passò quindi con la nonna Antonia e a diciannove anni venne chiamato a Capri da Tiberio.
Qui sopportò con dissimulazione le disgrazie della sua famiglia dimostrando sempre grande rispetto per il nonno imperatore.
XI. Fin da quegli anni comunque Caligola non riusciva a reprimere la propria natura crudele e viziosa. Assisteva con piacere alle torture e si dava a stravizi ed adulteri.
XII. Sposò Giunia Claudilla, figlia del nobile Marco Silano che morì di parto. Con la caduta in rovina di Seiano, Caligola cominciò a nutrire speranze di successione. Divenne l'amante di Ennia Nevia, moglie di Macrone, il capo delle guardie pretoriane succeduto a Seiano: sedusse la donna promettendole di sposarla se fosse divenuto imperatore.
Pare che con la complicità di Macrone, del quale la donna gli aveva procurato le simpatie, fece avvelenare il vecchio Tiberio.
XIII. Nonostante tutto la successione di Caligola fu molto gradita al popolo sia per il ricordo di Germanico, sia per il sollievo procurato dalla morte di Tiberio.
XIV - XV. Caligola non trascurò nulla per rendersi popolare e benvoluto: pronunciò l'elogio di Tiberio tributandogli sontuosi funerali, si recò a Pandateria e a Ponza per riesumare le spoglie dei suoi familiari e condurle a Roma con gran pompa. Nominò console lo zio Claudio e principe della gioventù il fratello Tiberio. Rifiutò di ascoltare i soliti delatori.
XVI. Restaurò alcune istituzioni augustee come la pubblicazione del bilancio dell'impero, che Tiberio aveva abrogato. Riformò i tribunali, concesse agevolazioni fiscali e pagò con precisione i legati di Tiberio e quelli del testamento di Giulia Augusta che Tiberio aveva annullato.
XVII. Fu nominato quattro volte console. Due volte fece un donativo al popolo di trecento sesterzi a testa, due volte offrì banchetti ai senatori ed ai cavalieri.
XVIII. Offrì qualche volta giochi e spettacoli di gladiatori, più spesso spettacoli teatrali. Spesso offrì anche giochi circensi, combattimenti con le fiere, ecc.
XIX. Fece costruire un grandioso ponte sul golfo di Baia fra Baia ed il molo di Pozzuoli e vi organizzò grandiose e spettacolari sfilate.
Svetonio insinua che questa impresa fu motivata dal vaticinio di un indovino che avrebbe detto "Caio non ha maggiori probabilità di diventare imperatore che di traversare a cavallo il Golfo di Baia".
XX. Offrì spettacoli anche durante i suoi viaggi in Gallia ed in Sicilia. Patrocinò gare di eloquenza.
XXI. Completò il tempio di Augusto ed il Teatro di Pompeo lasciati in sospeso da Tiberio. Iniziò un acquedotto nella zona di Tivoli, poi completato da Claudio. Fece restaurare le mura di Siracusa e progettò altri restauri. Aveva in mente di tagliare l'itsmo di Corinto.
XXII. Fin qui, dice Svetonio, si è detto di un principe, ma da ora dobbiamo parlare di un mostro. L'ebbrezza del potere e la sua vanità lo portarono rapidamente alle famose sceleratezze: volle essere venerato come una divinità e fece sostituire con la sua la testa di molte statue degli dei. Consacrò un tempio a se stesso e si nominò dei sacerdoti. Si faceva tributare sacrifici e fingeva di discorrere con Giove. Infine iniziò la costruzione di una nuova reggia sul Campidoglio, presso i templi più importanti.
XXIII. Rinnegando la parentela con Agrippa, sosteneva che sua madre era nata da un incesto fra Augusto e Giulia. Infangò la memoria di Livia ed umiliò sua nonna Antonia. Fece uccidere a freddo suo fratello Tiberio e costrinse al suicidio il suocero Silano.
XXIV. Commise abitualmente e pubblicamente incesto con le sue sorelle. In particolare infatuato di sua sorella Drusilla la fece divorziare e visse con lei more uxorio. Alla morte di Drusilla proclamò il lutto generale e dette segni di follia. Prostituì le altre sorelle ed infine le fece condannare per congiura contro di lui.
XXI. Invitato al banchetto nuziale di Caio Pisone e Livia Orestilla, portò via la sposa per ripudiarla pochi giorni dopo. Quindi sposò Lollia Paolina, togliendola al marito Publio Memmio, la ripudiò poco dopo vietandole di avere altri rapporti.
Amò e sposò la non più giovane Cesonia dalla quale ebbe una figlia, Giulia Drusilla. Caligola portava con se Cesonia nelle spedizioni militari facendola cavalcare in divisa.
XXVI. Tolomeo, figlio di Giuba e di Selene, Macrone ed Ennia Nevia morirono di morte violenta. Caligola disprezzò ed umiliò i senatori e ne fece uccidere alcuni simulandone il suicidio.
XXVII. Nutrì le belve del circo con i condannati. Fece torturare e condannare ai lavori forzati dei cittadini romani. Condanne, torture, orrori.
XXVIII. Fece uccidere tutti gli esiliati politici. Organizzava delazioni contro i propri avversari.
XXIX. Varie "sfrontatezze" di Caligola.
XXX. Diffamò e minacciò senatori e cavalieri.
XXXI. Si rammaricava che nessuna catastrofe accadesse perché avrebbe rafforzato il ricordo del suo regno.
XXXII. Amava assistere alle torture ed alle esecuzioni e spesso le eseguiva personalmente.
XXXIII. Umorismi macabri di Caligola.
XXXIV. Invidioso e geloso fece abbattere statue di uomini illustri e vietò che se ne erigessero altre senza il suo espresso consenso. Meditò di distruggere i versi di Omero. Vietò la lettura di Virgilio e di Tito Livio.
XXXV. Tolse alle antiche famiglie le distinzioni onorifiche. Invidioso anche delle doti fisiche, usava violenza contro chi le dimostrava.
XXXVI. Ebbe anche amori omosessuali. Praticò l'incesto, frequentò prostitute e commise innumerevoli adulteri.
XXXVII. La folle prodigalità lo portava a bere perle sciolte nell'aceto, servire i convitati con stoviglie d'oro e gettare grosse somme alla plebe. Fece costruire navi da diporto di lusso sfrenato sulla quali banchettava costeggiando la Campania.
XXXVIII. Tutto ciò lo ridusse sul lastrico e prese ad escogitare ogni giorno nuove imposte e vessazioni.
XXXIX. Per finanziare i suoi stravizi, Caligola non disdegnò alcun genere di commercio e di frode.
XL. Impose nuove tasse inaudite sul commercio, sul consumo, sui processi e perfino sulla prostituzione.
XLI. Istituì un lupanare nel palazzo, beneficiando del ricavato.
XLII. Arrivò a mendicare offerte a capodanno e a rotolarsi in mucchi di monete.
XLIII. Una sola volta si occupò di questioni militari per indire una spedizione in Germania.
XLIV. L'unico evento dell'impresa fu di accogliere un principe dei Britanni scacciato dal padre.
XLV. Varie farse e finti combattimenti organizzati da Caligola per procurarsi un po' di gloria.
XLVI. Concluse la sua campagna in Britannia ordinando alle legioni di raccogliere conchiglie.
XLVII. Conclusa la campagna, curò la regia del proprio trionfo con falsi prigionieri ed altre amenità.
XLVIII. Prima di lasciare la Germania progettò di decimare i superstiti delle legioni che si erano ammutinati dopo la morte di Augusto.
XLIV. Morì meno di quattro mesi dopo la sua "campagna" in Germania, mentre progettava di trasferirsi ad Anzio e di far trucidare tutti i senatori.
Fra i suoi effetti personali fu trovato un gran cofano di veleni che, buttato a mare per ordine di Claudio, provocò una strage di pesci.
L. Aspetto fisico: alto, enorme, di colorito livido. Collo e gambe gracilissime, occhi incavati, tempie strette, capelli radi, calva la sommità del capo.
"La sua salute, sia mentale che fisica, fu sempre squilibrata". Fin da bambino soffrì di epilessia, si dice che Cesonia gli avesse propinato un filtro amatorio che lo ridusse alla pazzia. Soffriva di insonnia.
LI. Aveva il terrore dei temporali. Una volta fuggì da Messina terrorizzato dai boati dell'Etna.
LII. Indossava mantelli ricamati, gemme e gioielli. Spesso portava calzature di foggia femminile. Usava presentarsi in pubblico con insegne trionfali.
LIII. Disprezzava gli studi letterari tranne l'eloquenza. Rimproverava Seneca di comporre inutili tiritere con la consistenza di costruzioni di sabbia senza calce.
LIV. Si esercitava a volte come gladiatore, auriga, ballerino e cantante.
LV. Favorì il mimo Mnestre, forse suo amante. Fece costruire per il proprio cavallo una stalla di marmo ed una mangiatoia di avorio e perfino una casa arredata con dei servi. Si dice che volesse nominarlo console.
LVI. Due congiure contro Caligola furono scoperte, la terza gli fu fatale. Durante i giochi palatini il tribuno Cassio Cherea fu l'esecutore materiale della congiura.
LVII. Prodigi annunciarono la morte di Caligola: ad Olimpia una statua di Giove si mise a ridere, il Campidoglio di Capua venne colpito da un fulmine così come la cappella di Apollo Palatino a Roma, ecc.
LVIII. Il nono giorno prima delle calende di febbraio mentre stava recandosi al pranzo, Caligola fu aggredito dai congiurati, il primo a colpirlo fu Cassio Cherea.
LIX. Visse ventinove anni e fu imperatore per tre anni, dieci mesi ed otto giorni. Il suo cadavere fu frettolosamente cremato e seppellito semicombusto, le sorelle tornate dall'esilio gli resero le onoranze funebri.
Insieme a Caligola furono uccise sua moglie Cesonia e sua figlia Giulia Drusilla.
LX. Dopo la morte di Caligola molti temettero che la notizia fosse falsa e divulgata dallo stesso imperatore per verificare le reazioni. Ci si propose di ripristinare la libertà e di condannare la memoria dei Cesari.




Libro V. - Vita di Claudio


I. Claudio era figlio di Druso, il figlio di Livia del quale questi era incinta al momento del matrimonio con Augusto.
Brevi note su Druso: fu questore e pretore, ebbe il comando della guerra in Rezia e poi di quella in Germania. Fu il primo generale romano a navigare sull'oceano settentrionale.
Druso ricevette le ovazioni e le insegne trionfali, eletto console riprese la campagna in Germania ma morì di malattia negli accampamenti estivi, compianto dall'esercito. Svetonio dice che Druso fu ambizioso di gloria personale e che si disse che a causa di questa ambizione fu fatto eliminare da Augusto, tuttavia l'autore esclude l'ipotesi.
Druso aveva sposato Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e di Ottavia. Gli sopravvissero tre figli: Germanico, Livilla e Claudio. Uno degli onori tributati a Druso dal Senato dopo la sua morte fu il diritto per i discendenti di portare il cognome di Germanico.
II. Claudio nacque a Lione sotto il consolato di Iullo Antonio e di Fabio Africano (10 a.C.). Rimasto orfano di padre ed affidato ad un precettore di umili origini, fu afflitto da molte malattie che lo resero infermo e di mente instabile, tanto da negargli l'accesso alle cariche pubbliche.
III. Sebbene si dedicasse con profitto allo studio, il giovane Claudio non si liberò mai del disprezzo dei suoi familiari.
IV. Svetonio riporta l'opinione di Augusto in merito a Claudio ricavandola da alcune lettere a Livia, Augusto lo considerava evidentemente inetto ed indegno di qualsiasi carica. Tendeva inoltre a tenerlo in disparte per motivi di immagine.
V. Anche Tiberio negò a Claudio qualsiasi carica e Claudio si abbandonò all'ozio.
VI. Come membro della famiglia imperiale, Claudio ricevette qualche onore e fu citato fra gli eredi di Tiberio.
VII. Sotto Caligola fu due volte console.
VIII. Claudio deriso alla corte di Caligola.
IX. Claudio perse il favore di Caligola, fu sospettato ed umiliato, i suoi beni confiscati.
X. Dopo la morte di Caligola, Claudio è eletto imperatore dai congiurati. Il Senato, non trovando altre soluzioni, convalida la nomina.
XI. Claudio punisce con mitezza gli assassini di Caligola e stabilisce varie celebrazioni dei suoi antenati.
XII. Claudio era semplice e moderato e con la sua modestia conquistò rapidamente il favore del pubblico.
XIII. Ci furono anche insidie contro Claudio, come la congiura di Gallo Asinio e di Statilio Corvino e l'insurrezione del legato di Dalmazia Furio Camillo Scriboniano.
XIV - XV. Claudio fu scrupoloso e moderato anche nell'amministrazione della giustizia, tuttavia la sua personalità instabile spesso lo indusse ad errori di superficialità per cui perdette credito e rispetto nell'ambiente forense.
XVI. Claudio ripristinò le funzioni del censore che erano rimaste a lungo sospese.
XVII. Modesta missione militare di Claudio in Britannia. Parte dell'isola si sottomette volontariamente e Claudio celebra il trionfo.
XVIII. Curò con sollecitudine l'approvvigionamento di viveri per la città, spesso intervenendo con i suoi mezzi sul mercato.
XIX. Disposizioni in materia di diritto familiare (il brano è incompleto).
XX. Opere promosse da Claudio: l'acquedotto iniziato da Caligola, il canale di scolo del Fucino per bonificare la regione, il porto di Ostia.
XXI. Donativi, spettacoli, ecc.
XXII. Cerimoniali religiosi attesi con molto zelo.
XXIII - XXIV. Altre riforme promulgate da Claudio.
XXV. Riforme in ambito militare.
Acaia e Macedonia tornano ad essere province senatorie (Tiberio le aveva rese imperiali).
Decretò l'immunità fiscale degli abitanti di Ilio. Espulse da Roma i Giudei agitati dalla propaganda cristiana.
XXVI. Amori di Claudio: fidanzamento con Emilia Lepida, pronipote di Augusto e Livia Medullina Camilla, la prima ripudiata, la seconda deceduta.
Sposò Plauzia Urgulanilla ed in seguito Elia Petina, divorziò da entrambe.
Sposò Valeria Messalina, figlia di Barbato Messala. Messalina oltre a provocare vari scandali si sposò con un certo Caio Silio e Claudio la fece condannare a morte.
Si riunì a Elia Petina, poi sposò Lollia Paolina che era stata moglie di Caligola.
Infine, irretito da Agrippina, figlia di suo fratello Germanico, riuscì a far mutare le leggi che consideravano una simile situazione incestuosa.
XXVII. Figli di Claudio. Da Urgulanilla: Druso e Claudia. Da Petina: Antonia. Da Messalina: Ottavia e Britannico.
Druso morì a Pompei ancora fanciullo.
Claudia fu ripudiata quando Claudio la seppe figlia di un liberto.
Antonia sposò Gneo Pompeo Magno, poi Fausto Silla.
Ottavia sposò Nerone, figliastro di Claudio.
Britannico fu il suo preferito.
XXVIII. Onorò i suoi liberti Poside, Felice e Arpocra ed il suo ministro a studiis Polibio con onorificenze che suscitarono scandalo. Sopra tutti predilisse però Narciso, suo segretario, e Pallante, suo intendente, i quali, secondo Svetonio, lo pilotarono nell'ombra.
XXIX. Governato dai liberti, commise vari soprusi eliminando personaggi non graditi come Appio Silano e le due Giulie, la figlia di Druso e quella di Germanico. Fece uccidere il genero Gneo Pompeo e Lucio Silano, fidanzato di Ottavia.
XXX. Alto e prestante, non mancava di autorità ma aveva incedere malfermo ed era soggetto ad eccessi d'ira.
XXXI. Mentre era stato di salute cagionevole in gioventù, fu molto sano e robusto nella maturità.
XXXII - XXXIII. Banchettava volentieri e mangiava sempre molto. Dormiva poco e male, spesso si addormentava in tribunale. Molto libidinoso ma mai omosessuale. Giocava ai dadi.
XXXIV. Anche Claudio era di natura sanguinaria: applicava volentieri la tortura e le pene capitali.
XXV - XXXVII. Fu pauroso e diffidente. Per il timore di complotti ed attentati spesso evitava di mostrarsi in pubblico e fece ingiustamente uccidere molti sequestrati.
XXXVIII. Consapevole di essere facile all'ira se ne scusò spesso. Provò anche a far credere che la stupidità per cui era noto in gioventù fosse dissimulata.
XXXIX - XL. Era estremamente distratto, al punto di convocare persone che il giorno prima aveva fatto giustiziare.
XLI. Passione di Claudio per gli studi storici.
Opere di Claudio: "Sulla propria vita" e "Difesa di Cicerone contro Asinio Gallo".
XLII. Studi di letteratura greca. Opere in greco: "Storia dei Tirreni" e "Storia dei Cartaginesi".
XLIII. Verso la fine della vita si pentì di aver sposato Agrippina ed adottato Nerone a danno di suo figlio Britannico.
XLIV. Claudio morì probabilmente per un veleno fattogli somministrare da Agrippina.
XLV. Morì a sessantaquattro anni, dopo quattordici di impero.
XLVI. Presagi della morte di Claudio.




Libro VI. - Vita di Nerone


I. Tradizioni della gente Domizia, dalla quale discende Nerone. Il capostipite, Lucio Domizio, mentre tornava dai campi incontrò Castore e Polluce che gli ordinarono di annunciare al popolo ed al Senato una vittoria di cui non si aveva ancora notizia e per dimostrargli la loro divinità gli toccarono la barba mutandone il colore da nero in rosso, da cui il soprannome di Enobarbo che Lucio portò sempre come i suoi discendenti.
II. Svetonio ricorda uno Gneo Domizio, console nel 122 a.C. vinse gli Allobrogi e gli Alverni e quindi marciò in modo trionfale sulla sua provincia.
Suo figlio Gneo Domizio, pretore, fu acerrimo avversario di Cesare che citò davanti al Senato, tentò di privarlo del comando ed infine morì in combattimento sul campo di Farsalo.
III. Il successivo Gneo Domizio Enobarbo, figlio di questo Domizio, fu condannato fra i cesaricidi (a torto, secondo Svetonio) e rifugiò presso Bruto e Cassio. Dopo Filippi si arrese ad Antonio conquistandone la fiducia. Più tardi disertò a favore di Augusto, morendo poco dopo.
IV. Lucio Domizio Enobarbo, figlio del precedente, fu l'esecutore testamentario di Augusto. Arrogante, prodigo e violento, fu noto per i suoi atti di superbia e per la crudeltà dei giochi che offriva. Sposò Antonia Maggiore, figlia di Marco Antonio.
V. Dall'unione con Antonia Maggiore, nacque Lucio Domizio Enobarbo, padre di Nerone, che Svetonio definisce "detestabile sotto ogni aspetto". Violento e fraudolento fu disprezzato da tutti, fu accusato di lesa maestà e di incesto con la sorella Lepida. Morì a Pirgi di idropisia, avendo avuto da Agrippina figlia di Germanico il figlio Nerone.
V. Nerone nacque ad Anzio nove mesi dopo la morte di Tiberio, il 18mo giorno prima delle calende di gennaio (13 dicembre 37 d.C.).
Foschi presagi accompagnarono la nascita di Nerone. A tre anni perdette il padre e fu privato dell'eredità dal coerede Caio. Agrippina era stata relegata e Nerone fu allevato dalla zia Lepida. Quando Claudio ebbe l'impero egli recuperò la sua eredità. Divenuto potente sotto il regno di Claudio, divenne inviso a Messalina che vedeva in lui un possibile rivale per Britannico e che, sembra, tentò di farlo uccidere.
VII. Adottato da Claudio a undici anni, fu affidato agli insegnamenti di Seneca.
Entrato nella famiglia di Claudio fece di tutto per seminarvi la discordia, insinuando sulla reale paternità di Britannico e testimoniando contro sua zia Lepida.
Sposò Ottavia e offrì giochi ed una caccia per la salute di Claudio.
VIII. A diciassette anni, morto Claudio, fu salutato imperatore ed accettò tutti gli onori della carica.
IX. Celebrato il funerale di Claudio lo volle consacrato fra gli dei. Accordò onori anche alla memoria di suo padre Domizio e concesse a sua madre ogni ingerenza negli affari pubblici e privati.
X. Nel primo periodo del suo regno, Nerone si mostrò estremamente liberale, modesto e benevolo. Condonò imposte e reati, stabilì elargizioni pubbliche e stipendi che garantissero la dignità dei senatori poveri.
XI. Offrì molti spettacoli e giochi, rappresentazioni del circo, del teatro e combattimenti di gladiatori. Ogni giorno venivano fatti regali al popolo, offerte vivande, abiti, oro, argento ed altri donativi.
XII. Assisteva personalmente ai giochi. Risparmiava sempre la vita dei gladiatori. Allestì spettacoli fantastici e battaglie navali. Istituì i Ludi Neroniani, concorso quinquennale di musica, ginnastica ed equitazione.
XIII. Accolse in Roma Tiridate accettando in grande pubblica pompa le suppliche di questi per la pace.
XIV - XV. Fu console quattro volte: la prima per un bimestre, la seconda e l'ultima per un semestre, la terza per quattro mesi.
XVI. Fu posto un freno al lusso, i banchetti pubblici vennero ridotti, fu proibita la vendita di cibi cotti nelle bettole. Furono condannati al supplizio i cristiani: "genere di individui dediti ad una nuova e malefica superstizione". Furono mandati al confino i pantomimi e i loro più accesi fautori.
XVII. Furono emesse varie disposizioni contro i falsari ed editti di natura giudiziaria.
XVIII. Non fu mai desideroso di estendere l'impero, anzi pare meditasse di ritirare le truppe dalla Britannia.
XIX. Progettò un viaggio ad Alessandria che non fece per un presagio infausto. Si recò invece in Acaia per dare inizio personalmente ai lavori del canale di Corinto. Svetonio dice che qui termina l'elenco delle azioni lodevoli di Nerone e che d'ora in avanti racconterà le sue nefandezze.
XX. Appassionato di musica studiò canto e tentò di migliorare la propria voce con l'esercizio e le diete. Infine, convinto delle sue doti nonostante avesse voce gracile e roca, prese ad esibirsi fra l'adulazione generale.
XXI. Continuò a Roma la sua carriera canora che aveva iniziato a Napoli, anticipando i giochi per avere migliori occasioni di esibirsi in pubblico.
XXII. L'altra passione di Nerone erano i cavalli. Da imperatore aumentò il numero delle corse ed i relativi premi. In seguito partecipò personalmente ai giochi equestri nel Circo Massimo.
Si recò in Grecia, come si è detto, anche per esibirsi nel canto.
XXIII. In occasione del suo viaggio in Acaia volle che fossero tenute simultaneamente tutte le feste tradizionali. Durante i suoi spettacoli era proibitio allontanarsi. Nelle gare era nervoso e sospettoso ed usava corrompere i concorrenti.
XXIV. Durante la permanenza in Grecia partecipò a tutti i giochi autoproclamandosi sempre vincitore. Partendo donò la libertà a tutta la provincia e la cittadinanza romana ai suoi giudici.
XXV. Al ritorno dalla Grecia celebrò, da Napoli a Roma, vari trionfi per festeggiare le sue vittorie artistiche ed equestri.
XXVI. Girava di notte sotto mentite spoglie folleggiando nei quartieri di Roma, crapulando e saccheggiando i negozi, malmenava i passanti. Una volta fu malmenato da un senatore di cui aveva abbracciato la moglie.
XXVII. Faceva durare i banchetti ore ed ore, talvolta tenendoli in luoghi pubblici e facendosi servire da prostiture e suonatori ambulanti.
XXVIII. Violentò la vestale Rubria e tentò di sposare la liberta Atte corrompendo dei consolari perché testimoniassero che era di sangue reale.
Fece castrare il ragazzo Sparo e lo tenne con se come moglie legittima.
Si dice inoltre che nutrisse passione incestuosa per la madre Agrippina e che ne fu distolto dai nemici di lei che temevano di vederla diventare troppo potente.
XXIX. Travestito da belva, con pelli di animale, assaliva l'inguine di uomini e donne legati ad un palo per poi farsi sodomizzare dal liberto Doriforo con il quale si era unito in matrimonio assumendo il ruolo di moglie.
XXX. Sperperò immense ricchezze volendo in questo imitare lo zio Caligola. Erogò somme ingentissime a Tiridate e regalò patrimoni e palazzi ai suoi liberti. Non indossò mai due volte la stessa veste. Viaggiava con cortei incredibilmente sontuosi.
XXXI. Fece costruire per se una casa che chiamò transitoria poi, quando un incendio la distrusse, la fece riedificare chiamandola "aurea".
Svetonio descrive i lussi della Domus Aurea.
Progettò inoltre la costruzione di grandiose piscine coperte a Capo Miseno e di un canale tra Ostia e il Lago di Aveno.
XXXII. Una volta sperperate tutte le sue risorse divenne avaro e vessò la popolazione con gabelle e confische.
XXXIII. Screditò la memoria di Claudio ed annullò gran parte dei suoi decreti. Avvelenò Britannico per gelosia con l'aiuto della megera Locusta.
XXXIV. Non sopportando l'invadenza di Agrippina, decise di liberarsene e dopo aver tentato più volte di procurarle incidenti dissimulati accusò un liberto di lei di aver tentato di ucciderlo e la fece assassinare dai suoi uomini come mandante dell'attentato.
In precedenza aveva fatto uccidere la zia Lepida per appropriarsi dei suoi beni.
XXXV. Ebbe tre mogli: Ottavia, Poppea Sabina e Statilia Messalina.
Per avere Messalina aveva ucciso il marito Vestino Attico mentre era ancora in carica di console.
Rinnegò Ottavia quindi, poiché l'atto risultava impopolare, le intentò un falso processo per adulterio e la fece uccidere. Subito dopo sposò Poppea dalla quale ebbe una figlia, Claudia Augusta, che morì in fasce. Pare amasse Poppea, comunque la uccise a calci nel corso di una lite mentre era gravida e malata.
Tentò di sposare Antonia, figlia di Claudio, lei rifiutò e Nerone la fece morire.
Fece annegare il figliastro Rufio Crispino, figlio di Poppea. Costrinse il suo precettore Seneca a togliersi la vita.
XXXVI. Scoperte due congiure, i congiurati furono tutti giustiziati ed i loro figli avvelenati o fatti morire di fame.
XXXVII. Fece morire con qualsiasi pretesto molti illustri personaggi ed i loro figli per fame o per avvelenamento.
XXXVIII. Decise di incendiare la città e lo fece in modo sfacciatamente palese. La città bruciò sei giorni e sette notti mentre Nerone, dall'alto della torre di Mecenate, cantava la distruzione di Troia in abito da scena.
XXXIX. Ai tanti mali voluti da Nerone si aggiungevano quelli voluti dal destino: una pestilenza in Livitina, una disfatta in Britannia, una in Armenia.
Nerone era stranamente tollerante verso gli autori di epigrammi contro di lui.
XL. Molti auspici ed oracoli prevedevano la caduta di Nerone. Infine le Gallie, sotto la guida del propretore Giulio Vindice, si ribellarono. Nerone sottovalutò la ribellione e non prese provvedimenti.
XLI. Fu infine offeso dagli ingiuriosi editti di Giulio Vindice e scrisse al Senato di vendicarlo dagli insorti.
XLII. Quando seppe che anche Galba e la Spagna avevano defezionato fu colto dalla disperazione ma presto tornò all'inazione ed ai suoi costumi.
XLIII. Infine decise di recarsi personalmente in Gallia e destituì i consoli assumendone la carica come console unico.
XLIV. Reclutò le forze per la sua spedizione fra gli schiavi non essendosi offerti volontari. Raccolse fondi con imposte straordinarie.
XLV. L'odio popolare contro Nerone, sollecitato dal pericolo, cominciò a farsi manifesto.
XLVI. Incubi, presagi lugubri e manifestazioni di odio perseguitavano Nerone.
XLVII. Infine seppe che tutti gli eserciti si erano ribellati, la guardia del palazzo lo abbandonò, tutti gli rifiutarono ospitalità ed assistenza.
XLVIII. Si rifugiò fuori città nella villetta di un suo liberto.
XLIX. Consigliato dai pochi compagni rimasti con lui, decise infine il suicidio. Seppe da una lettera recapitata al liberto che lo ospitava che il Senato lo aveva dichiarato nemico della patria e condannato a morte. Spaventato dalla condanna trovò il coraggio di uccidersi con il pugnale. I centurioni che lo venivano a prendere lo trovarono ancora agonizzante.
L. Fu cremato e le sue spoglie furono racchiuse nel mausoleo di famiglia dei Domizi.
LI. Di statura quasi normale aveva il corpo chiazzato e maleodorante, bello il viso, capelli biondicci.
Occhi azzurri e molto deboli, collo grosso, ventre prominente, gambe gracili, salute ottima.
LII. Da ragazzo attese a tutte le discipline liberali ma fu distolto dalla madre dalla filosofia e da Seneca dall'oratoria. Si occupò di poesia, di scultura, di pittura.
LIII. Cercando sopra ogni cosa la popolarità, si era esibito, come si è detto. Pare progettasse anche di partecipare ai giochi olimpici e di inscenare lotte con le fiere.
LIV. Verso la fine della sua vita aveva fatto voto di esibirsi come suonatore di organi idraulici, di flauto e di cornamusa se avesse conservato l'impero.
LV. Nell'ossessione della fama aveva sostituito il suo nome a quello di molte cose. Aveva chiamato Neroneo il mese di aprile e pare volesse ribattezzare Roma in Neropoli.
LVI. Disprezzava tutte le religioni ma teneva in gran conto oracoli e presagi.
LVII. Morì a trentadue anni.
Il popolo scese in piazza a gridare la sua gioia, eppure ci fu chi per molto tempo portò fiori sulla sua tomba.




Libro VII. - Vita di Galba


I. Si estingue, con Nerone, la stirpe dei Cesari. Presagi durante la vita di Nerone.
II. A Nerone successe Galba, in nessun modo legato alla stirpe dei Cesari ma di antica schiatta (Sulpici).
III. Ignota l'origine del soprannome Galba.
Fra gli antenati il consolare Servio Galba, grande oratore, se ne diceva che ottenuta la pretura in Spagna fece trucidare tremila Lusitani provocando la rivolta di Viriato.
Un altro Galba fu fra i condannati della Legge Pedia (cesaricidi).
Il nonno di Galba pubblicò una "Storia".
Suo padre Gaio Sulpicio Galba fu avvocato ed ebbe due mogli: Mummia Acaica (pronipote di Lucio Mummio distruttore di Corinto) e Livia Ocellina. Da Acaica ebbe due figli: Caio e Servio. Caio dilapidò i propri beni e lasciò Roma, si suicidò quando Tiberio lo escluse dal proconsolato.
IV. Servio Sulpicio Galba nacque sotto il consolato di Messalla e di Lentulo (3 a.C.), presso Terracina.
Adottato dalla matrigna Livia Ocellina, assunse il cognome di Ocellario.
Presagi vari durante la gioventù di Galba.
V. Si dedicò allo studio del diritto. Sposò una Lepida e rimasto vedovo rifiutò altre mogli, compresa Agrippina.
Fu favorito di Livia Augusta che lo ricordò nel suo testamento.
VI. Fu pretore prima dell'età legale, quindi governatore dell'Aquitania e poi console per sei mesi. Fu destinato da Cesare a sostituire Getulico e guadagnò onori in Gallia.
VII. Alla morte di Caligola molti lo sollecitavano a cogliere l'occasione, ma Galba preferì rinunciare conquistando la gratitudine di Claudio.
Ottenne il proconsolato dell'Africa dove ristabilì la disciplina.
VIII. Per il suo comportamento in Africa ed in Germania, fu insignito di tre cariche sacerdotali. Dopo un periodo di ritiro gli fu offerto il governo della Spagna tarragonese.
IX. Governò la Spagna per otto anni. Quando scoppiò la rivolta in Gallia fu esortato da Giulio Vindice a partecipare e a mettersi alla testa del movimento. Confortato dai presagi ed avendo saputo che Nerone intendeva eliminarlo, Galba accettò.
X. Arruolò un esercito nella provincia e propagandò la rivolta, sventò un tentativo di ammutinamento.
XI. Morto Giulio Vindice stava per rinunciare all'impresa quando seppe del suicidio di Nerone.
Partì quindi per Roma dove rapidamente eliminò gli avversari: a Roma il prefetto del pretorio Ninfidio Sabino, in Germania il legato Fonteio Capitone ed in Africa Lucio Macro Clodio.
XII. Aveva fama di crudeltà ed avarizia.
XIII. Per questi motivi il suo avvento non fu in generale molto gradito.
XIV: Fu influenzato da tre cortigiani. Tito Vinio, suo legato in Spagna, Cornelio Lacone, prefetto del pretorio, e Icelo, liberto da lui insignito del cognome di Marciano.
Guidato da questi personaggi, commise molte ingiustizie.
XV. Avaro, richiese indietro i doni di Nerone a chi li aveva ricevuti. Non punì Tigellino ed altri infami consiglieri di Nerone, anzi conferì loro nuovi incarichi.
XVI. Si procurò l'antipatia dei soldati rifiutando loro i consueti donativi. L'esercito dell'Alta Germania infranse la disciplina rifiutando di prestare giuramento.
XVII. Galba, ritenendo che l'avversità verso di lui fosse dovuta alla mancanza di discendenti, adottò Pisone Frugi Liciniano.
XVIII. Presagi sulla fine del regno di Galba, fin dall'inizio del suo principato.
XIX. Si giunse infine alla congiura di Otone. Galba si chiuse nel palazzo ma venne convinto ad uscire con l'inganno (si finse che Otone fosse stato ucciso), una volta fuori Galba venne trucidato.
XX. Nessuno volle aiutare Galba e la sua testa, spiccata dal corpo, fu portata in giro per gli accampamenti e beffeggiata.
XXI. Fu di statura regolare, completamente calvo, con occhi cerulei. Aveva il naso aquilino, mani e piedi gravemente deformati dall'artrite.
XXII. Si dice che fosse un forte mangiatore e che fosse molti libidinoso verso maschi maturi e vigorosi.
XXIII. Fu ucciso a settantatre anni nel settimo mese del suo principato.




Libro VIII. - Vita di Otone


I. Gli antenati di Otone erano di origine etrusca.
Suo nonno Marco Salvio Otone era stato cortigiano di Livia Drusilla che gli aveva procurato il rango senatorio.
Suo padre Lucio Otone, nobile per parte di madre, fu molto caro a Tiberio. Resse la magistratura urbana, il proconsolato d'Africa e vari incarichi speciali. Conquistò la stima di Claudio svelando un complotto contro di lui, Lucio Otone ebbe da Albia Terenzia due figli maschi (Lucio Tiziano e Marco) ed una femmina che andò sposa a Druso, figlio di Germanico.
II. Otone nacque sotto il consolato di Camillo Arrunzio e di Domizio Enobarbo (32).
Dopo un'infanzia ed un'adolescenza turbolente e viziose entrò nella corte di Nerone corteggiando un'anziana liberta e si guadagnò le grazie dell'imperatore condividendone i vizi.
III. Partecipe dei segreti di Nerone, fu suo complice nell'omicidio di Agrippina. Prima che sposasse Nerone fu amante di Poppea ed osò contenderla all'imperatore. Per questo motivo venne allontanato da Roma e gli fu affidato il governo della Lusitania che per dieci anni amministrò con singolare "giustizia e disinteresse".
IV. Quando gli si presentò l'occasione per vendicarsi si unì al tentativo di Galba e lusingato da un presagio si comportò in modo da procurarsi amicizie in vista di future opportunità.
V. Otone sperava di farsi adottare da Galba ma quando si vide preferire Pisone Frugi Liciniano concepì il complotto per eliminare il vecchio imperatore.
VI. Compiuto l'attentato a Galba, Otone fu proclamato imperatore dai soldati e dal popolo.
VII. Appena preso il potere Otone fu tormentato, secondo Svetonio, dal terrore dello spettro di Galba.
VIII. Poco dopo la proclamazione di Otone, giunge notizia che le legioni in Germania avevano proclamato imperatore Vitellio. I tentativi di accordo falliscono e presto si profila la guerra civile.
Le forze di Vitellio muovono verso Roma.
IX: Otone mosse incontro a Vitellio e le forze dei due si scontrarono più volte in varie località della Gallia Cisalpina. Vitellio ebbe la meglio ed Otone progettò il suicidio.
X. Svetonio ritiene che Otone fosse sinceramente mosso dal desiderio di evitare la guerra civile e a supporto della tesi porta la testimonianza del proprio padre Svetonio Leto.
Otone si congedò da parenti ed amici, scrisse lettere alla sorella e a Messalina, vedova di Nerone, che avrebbe voluto sposare, distribuì ai servi il denaro che aveva in cassa.
XI. Dopo aver ricevuto varie visite ed aver tentato di sedare i tumulti che la situazione provocava, si uccise con un pugnale ferendosi al cuore e spirando rapidamente. Aveva trentotto anni ed era al novantaquattresimo giorno di regno.
XII. La morte di Otone, decisa per evitare la guerra civile, riabilita agli occhi di Svetonio, la figura del personaggio dissoluto e vizioso. Pare che l'evento abbia commosso molti dei suoi uomini, alcuni dei quali giunsero ad unirsi al suicidio.




Libro IX. - Vita di Vitellio


I: La Gens Vitellia era originaria della Sabina, diverse e confuse le tradizioni riguardanti le sue origini, alcune denigratorie, altre adulatorie.
II. Il primo Vitellio di cui si abbiano notizie certe è il nonno dell'imperatore, Publio Vitellio da Nocera, cavaliere romano e procuratore di Augusto. Ebbe quattro figli: Aulo, Quinto, Publio e Lucio.
Aulo fu console con Domizio (il padre di Nerone) e morì durante lo stesso anno del consolato. Fu noto per lusso e magnificenza.
Quinto fu espulso dal Senato durante una delle purghe di Tiberio.
Publio, amico di Germanico, fu accusatore dell'assassino di questi, Gneo Pisone. Più tardi, arrestato con i complici di Seiano, tentò il suicidio, fallì e morì di malattia durante la detenzione.
Lucio fu proconsole in Siria, poi console e censore sotto Claudio. Grande adulatore di Cesare e dei suoi successori.
III. L'imperatore Aulo Vitellio, figlio di Lucio, nacque sotto il consolato di Druso Cesare e di Norbano Flacco (15 d.C.).
Passò l'infanzia e la prima adolescenza alla corte caprese di Tiberio dove fu soggetto alla pedofilia dell'imperatore.
IV. In seguito primeggiò alla corte di Caligola per la sua abilità con i cavalli e a quella di Claudio come giocatore di dadi.
Adulatore, forse come il padre, si guadagnò anche la simpatia di Nerone.
V. Il favore di tre principi gli procurò cariche ed onori, il proconsolato d'Africa e l'incarico di presiedere alle opere pubbliche a Roma. Nella provincia africana pare si comportò onestamente mentre nel suo incarico romano sembra abbia commesso molte irregolarità ed appropriazioni.
VI. Sposò Petronia dalla quale nacque Petroniano. Petroniano fu nominato erede dalla famiglia materna a condizione che fosse emancipato dalla patria potestà. Vitellio lo emancipò ma poco dopo lo fece uccidere simulando un suicidio.
VI. Sposò in seguito Galeria Fundana, figlia di un ex pretore, dalla quale ebbe due figli.
VII. Fu inviato da Galba al governo della Germania Inferiore, non è chiaro se per merito o per allontanarlo da Roma. Vitellio partì lasciandosi alle spalle molti debiti. Le legioni in Germania, maldisposte verso Galba, lo accolsero volentieri perché giovane ed indulgente.
VIII. Preso il comando, Vitellio divenne molto popolare, tanto che le truppe lo proclamarono imperatore. Successivamente si unirono a lui anche le legioni della Germania Superiore.
IX. Appresa la notizia della morte di Galba, Vitellio divise le sue forze in due eserciti, inviandone uno contro Otone.
X. Mentre era ancora in Gallia, Vitellio seppe della morte di Otone e decretò lo scioglimento delle coorti pretoriane, troppo coinvolte nell'assassinio di Galba.
Viaggiò verso Roma con un corteo trionfale di truppe indisciplinate.
XI. Arrivato a Roma prese tutto il potere, venerò i Mani di Nerone e si autoproclamò console perpetuo.
XII. Durante il regno fu consigliato da spregevoli individui, soprattutto da un liberto suo vecchio concubino.
XIII. Dedito alla gozzoviglia, pranzava anche quattro volte al giorno, compensando gli eccessi con l'abitudine di vomitare. Indiceva sfarzosissimi banchetti ed indulgeva ad ogni forma di voracità.
XIV. Non minore della voracità fu la crudeltà di Vitellio che non esitava ad eliminare i suoi avversari e chiunque lo intralciasse o non lo adulasse. Particolare ostilità dimostrò verso i cantastorie e gli astrologhi.
Fu anche sospettato di aver fatto morire di inedia la propria madre perché un'indovina gli aveva pronosticato che avrebbe regnato a lungo solo sopravvivendo alla madre.
XV. All'ottavo mese del suo principato defezionarono gli eserciti di Mesia e di Pannonia, quindi quelli di Siria e di Giudea che giurarono fedeltà a Vespasiano. Vitellio tentò di conservare il favore delle altre legioni e di organizzare difese contro Vespasiano. Arrivò ad abdicare dopo aver avuto da Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, garanzie di salvezza ma la fazione che era dalla sua parte lo convinse a resistere.
XVI. Vitellio chiese tregua e si nascose mentre il nemico si avvicinava.
XVII. Vitellio fu catturato dalle avanguardie di Vespasiano e consegnato alla folla che lo suppliziò presso le Gemonie.
XVIII. Vitellio morì insieme al fratello ed al figlio nel suo cinquantaseiesimo anno di età.
A scovarlo nel suo nascondiglio era stato Antonio Primo, detto "Becco", comandante delle forze di Vespasiano.




Libro X. - Vita di Vespasiano


I. Dopo il periodo di instabilità seguito alla morte di Nerone (Galba - Otone - Vitellio) la famiglia Flavia prese il potere e consolidò l'impero.
I Flavi erano di origini oscure.
Tito Flavio Petronio, cittadino di Rieti, militò con Pompeo, scampò alla battaglia di Farsalo ed ottenne il perdono ed il congedo.
Suo figlio Sabino Petrone non prestò servizio militare ma fu esattore in Asia e banchiere fra gli Elvezi. Sposò Vespasia Polla dalla quale ebbe due figli: Flavio Sabino e Vespasiano (l'imperatore). Vespasia Polla era nativa di Norcia, figlia del tribuno Vespasio Pollione. La famiglia dei Vespasii era antica e fra Norcia e Spoleto si trovavano sepolcreti familiari e testimonianze dei suoi fasti.
II: Vespasiano nacque in Sabina, nel villaggio di Falacrine, sotto il consolato di Quinto Sulpicio Camerino e di Gaio Poppeo Sabino, cinque anni prima della morte di Augusto (9 d.C.).
Crebbe in campagna, a casa, dove venne educato sotto la guida della nonna paterna per la quale nutrì sempre grande venerazione.
Servì in Tracia come tribuno militare e come questore ebbe il governo di Creta e di Cirene.
III. Sposò Flavia Domitilla, figlia di Flavio Liberale di Ferento.
Ebbe da lei tre figli: Tito, Domiziano e Domitilla.
Sopravvisse alla moglie ed alla figlia che aveva perduto quando era ancora un privato cittadino. Dopo la morte della moglie riprese in casa la liberta Lenide che era già stata sua amante e la considerò come moglie legittima.
IV. Sotto Claudio ottenne il comando di una legione in Germania, in seguito fu trasferito in Britannia dove combattè lungamente, conquistando l'isola di Vette.
In seguito si ritirò a vita privata essendo inviso ad Agrippina che era ancora potente presso Nerone. Ottenne poi la provincia d'Africa che governò con onore. Tornato dall'Africa dovette ritirarsi ancora perché era venuto in antipatia a Nerone non adulandolo sufficientemente.
Fu richiamato quando si decise di affidargli l'impresa di reprimere i moti scoppiati in Giudea. Qui Vespasiano si comportò valorosamente e divenne molto popolare.
IV. Quando Otone e Vitellio, dopo la morte di Galba, si contendevano il potere, Vespasiano decise di approfittare della situazione.
Presagi sul futuro di Vespasiano.
VI. Le legioni di Mesia e di Egitto dettero chiari segni di parteggiare per Vespasiano. I legati Tiberio Alessandro e Gaio Licinio Muciano si misero a sua disposizione e Vologese, re dei Parti, offrì quarantamila arcieri.
VII. Iniziata la guerra civile, mandate in Italia le sue armate si trasferì in Alessandria per mantenere il controllo dell'Egitto.
Poco dopo gli giunse la notizia della morte di Vitellio e Vespasiano prese il potere.
VIII. Tornato a Roma celebrò il trionfo per le sue vittorie in Giudea e si dedicò a rinsaldare lo stato.
Per prima cosa ristabilì la disciplina fra le truppe che dopo la guerra civile si erano lasciate andare ad ogni licenza.
Ridusse a provincia l'Acaia, la Licia, Rodi, Bisanzio, Samo, la Tracia, la Cilicia e la Commagene.
Si dedicò poi all'abbellimento di Roma ed alla ricostruzione degli edifici perduti nei vari incendi.
IX. Eresse nuovi monumenti: il tempio della Pace vicino al Foro e quello del divo Claudio sul Celio.
X. Promosse una sanatoria generale dei processi che si erano accumulati durante il periodo dei disordini a causa dell'inattività del Foro.
XI. Emanò nuove leggi per frenare il lusso, la libidine e l'usura.
XII. Durante il suo principato fu clemente e modesto. Non tentò mai di nascondere le proprie umili origini e fu schivo verso gli onori.
XIII. Clemenza e tolleranza di Vespasiano verso i detrattori e rispetto degli amici.
XIV. Non portando rancore agli avversari procurò una dote ed un matrimonio alla figlia di Vitellio.
XV. Non emise mai condanne ingiuste. Tentò di revocare, ma non fece in tempo, anche quella contro Elvidio Prisco che lo aveva gravemente offeso.
XVI. Il suo solo difetto, dice Svetonio, fu l'avidità di denaro. Aumentò il carico fiscale sui cittadini e sulle province e condusse molte discutibili speculazioni. Tuttavia Svetonio non esclude l'ipotesi che questo comportamento si sia reso necessario a causa delle pessime condizioni in cui aveva trovato le finanze statali.
XVII. Per altro fu molto liberale e fece ottimo uso dei capitali raccolti. Erogò pensioni, soccorse città devastate da terremoti o incendi, favorì gli ingegni e le arti.
XVIII. Premiò i retori, i poeti e gli artisti in genere.
XIX. Restaurò il Teatro Marcello e rianimò l'attività teatrale, offrì banchetti e doni ma non riuscì a dileguare la fama di avarizia.
XX: Ebbe corporatura tarchiata con le membra robuste e solide. Il volto pareva sempre contratto da uno sforzo. Godeva di ottima salute.
XXI. Vespasiano si alzava molto presto e leggeva le lettere e i rapporti di tutti i dicasteri, poi riceveva gli amici. Si calzava e vestiva da solo.
Dopo aver sbrigato tutte le sue pratiche andava a riposare con una concubina quindi passava al bagno e al triclinio.
XXII. Era socievole e molto spiritoso, a volte scurrile.
XXIII. Varie battute di Vespasiano fra cui quella famosa sugli orinatoi a pagamento: il denaro non ha odore, anche quando viene dall'orina.
XXIV. Durante il suo nono consolato si ammalò mentre si trovava in Campania, rientrò a Roma e quindi si recò a Rieti ove poco dopo morì.
XXV. Vespasiano designò alla successione i suoi figli, aveva regnato dal 69 al 79 d.C.




Libro XI. - Vita di Tito


Tito, figlio di Vespasiano, venne detto "amore e delizia del genere umano". Era nato a Roma, nell'anno dell'uccisione di Caligola.
II. Compagno di studi di Britannico ne fu grande amico. Pare assaggiò la bevanda che avvelenò Britannico rimanendo malato a lungo. In memoria dell'amico fece poi fondere una statua in oro.
III. Fin da bambino fu di bell'aspetto e molto robusto. Aveva forte memoria e grande capacità di apprendimento: abilissimo nel maneggiare armi e cavalli lo fu anche nel comporre discorsi e versi. Cantava e suonava la lira. Era molto abile nella stenografia.
IV. Fu tribuno militare in Germania e in Britannia, quindi si dedicò alla carriera forense. Sposò Arrecina Tertulla, alla morte di lei sposò Marcia Furnilla dalla quale divorziò dopo aver avuto una figlia.
Combattè in Giudea conquistando Gamala.
V. Corse voce che Galba intendesse adottarlo. Divenuto imperatore Vespasiano, Tito rimase in Giudea dove concluse vittoriosamente l'assedio di Gerusalemme. Il successo di Tito provocò il sospetto che volesse usurpare il regno del padre, sospetto che Tito eliminò recandosi a Roma e ponendosi agli ordini di Vespasiano.
VI. Da allora affiancò Vespasiano condividendo il governo dell'impero. Ebbe la potestà tribunizia e sette consolati. Assunse anche la prefettura del Pretorio, carica che svolse in modo violento commettendo vari omicidi politici.
Svetonio considera che questo metodo gli procurò sicurezza per il futuro ed impopolarità nell'immediato tanto che Tito arrivò al trono con una pessima fama.
VII. Prima di diventare imperatore, Tito si mostrò crudele, dissoluto ed avido. Fu criticata anche la sua passione per la regina Berenice. Tuttavia appena preso il potere allontanò da Roma Berenice, si circondò di ottimi consiglieri, inaugurando l'anfiteatro (il Colosseo) offrì giochi e banchetti e fece costruire le Terme.
VIII. Estremamente benevolo, confermò tutti i benefici erogati dai suoi predecessori con un unico editto e fu sempre ben disposto verso chi gli chiedeva favori.
Sotto il suo regno accaddero alcune sciagure: l'eruzione del Vesuvio (79 d.C.), un incendio a Roma durato tre giorni e tre notti (80 d.C.) ed una grave epidemia.
Tito soccorse tutti gli sciagurati con editti e donazioni.
IX. Da quando assunse il pontificato massimo non ordinò mai condanne a morte. Fu estremamente clemente anche con chi cospirò contro di lui. Continuò a considerare il fratello partecipe all'impero nonostante questi fosse molto ostile contro di lui.
X - XI. Improvvisamente Tito fu colpito da una febbre. Morì a quarantadue anni dopo due anni, due mesi e venti giorni di regno.




Libro XII. - Vita di Domiziano


Domiziano nacque a Roma durante il sesto consolato del padre. Sordide voci sulla sua adolescenza e sulla sua pederastia. Durante la guerra del padre contro Vitellio, Domiziano colto da paura si nascose e si fece rivedere solo a cose fatte.
Dimostrò fin da giovane di essere violento e libidinoso. Commise molti adulteri ed infine portò via Domizia Longina al marito Elio Lamia e la sposò.
II. Iniziò un'inutile spedizione contro Gallia e Germania solo per guadagnare gloria. Figlio minore di Vespasiano rimase in ombra di Tito, sempre cercando di mettersi in mostra. Alla morte del padre prese a tramare contro il fratello. Quando Tito morì Domiziano prese il potere.
III. All'inizio del suo principato si isolò alcune ore per acchiappare mosche. Dichiarò augusta sua moglie Domizia, poi la ripudiò perché infedele e di nuovo la riprese. Il suo governo fu condotto in modo incostante, spesso con rapacità e crudeltà.
IV. Offriva molti spettacoli, cacce, combattimenti. Celebrò i Ludi Secolari (non considerando quelli indetti da Claudio) e in quest'occasione ridusse da sette a cinque i giri di pista nelle corse per consentire lo svolgimento di cento gare al giorno.
Era solito assistere ai giochi gladiatori in compagnia di un bambino deforme con il quale fu udito consultarsi in merito alla nomina di Mezio Rufo come prefetto d'Egitto. Istituì una gara quinquennale in onore di Giove Capitolino (musica, atletica, equitazione). Vari donativi e munificenze.
V. Ricostruì numerosi monumenti che erano stati distrutti dal fuoco, fra cui il Campidoglio. Costruì templi, un foro, ecc.
VI. Condusse di sua iniziativa una campagna contro i Catti e per necessità una contro i Sarmati e due contro i Daci, a seguito delle sconfitte da questi inflitte al consolare Oppio Sabino e al pretore Cornelio Fusco.
La ribellione di Lucio Antonio, governatore della Germania Superiore, fu facilmente domata grazie ad una piena del Reno che impedì ai ribelli di unirsi con gli alleati locali.
VII. Varie disposizioni: proibizione di castrare gli schiavi, decreti a favore dell'agricoltura, proibizione di piantare nuove vigne per dedicare più terreno al grano, incarichi ai suoi liberti, aumento della paga dei soldati.
VIII. Attività forense: contro la corruzione dei giudici. Editti moralizzanti. Processo alle vestali Oculata, Varronilla e Cornelia ree di aver violato il voto di castità.
IX. Condusse una sanatoria in materia fiscale, condonò molti debiti verso lo Stato e punì severamente i delatori.
X. Gradualmente Domiziano divenne più crudele, fece uccidere molte persone, fra questi Civica Ceriale, Acilio Glabrione e Salvidieno Orfito. Elio Lamia fu messo a morte dopo che Domiziano gli ebbe portato via la moglie.
Salvio Cocceiano per aver celebrato l'anniversario di suo zio Otone, Mettio Pompusiano perché si diceva che un oroscopo gli pronosticava l'impero e dava segni di vanità, Sallustio Lucullo per aver dato il proprio nome ad un particolare tipo di lancia di sua invenzione, e molti altri.
Fra le sue vittime fu anche il cugino Tito Flavio Sabino solo perché un araldo lo aveva per errore chiamato imperatore invece che console.
Dopo aver vinto Lucio Antonio si accanì nella tortura per scovare i suoi complici.
XI. Aveva l'abitudine di ingannare le sue vittime simulando clemenza prima della condanna, lo fece anche con il suo parente Marco Arrecino Clemente con il quale si mostrò amichevole e cordiale fino al giorno precedente la condanna a morte.
XII. Avendo rovinato le proprie finanze con i giochi e con le opere pubbliche divenne estremamente avido.
Ordinò numerose confische di beni e di eredità. Infierì particolarmente sugli Ebrei.
XIII. Molto superbo, arrivò ad ordinare che lo si chiamasse "Signore e Dio".
Si fece nominare diciassette volte console. Dopo il trionfo per le vittorie in Germania, assunse il nome di Germanico e cambiò i nomi dei mesi di settembre ed ottobre in Germanico e Domiziano.
XIV. Temuto e inviso a tutti, rimase infine vittima di una congiura tramata dai suoi amici e dalla moglie. Da sempre era stato pavido e sospettoso.
XV. Per un leggero sospetto mandò a morte il proprio cugino Flavio Clemente (in realtà pare fosse cristiano). Vari prodigi e presagi sulla morte di Domiziano.
XVI. L'ultimo giorno della vita di Domiziano si verificarono vari prodigi. La sera fu trattenuto con un inganno da un servo e fu ucciso nella sua camera da letto.
XVII. Pare che l'esecutore materiale sia stato un certo Stefano, procuratore di Domitilla (figlia della sorella di Domiziano) il quale portò una fasciatura ad un braccio per molti giorni per non destare sospetti (nella fasciatura nascondeva un coltello). Introdotto dal cubiculario Partenio a udienza privata con Domiziano, Stefano estrasse il coltello e colpì l'imperatore. Altri congiurati accorsero e finirono Domiziano. Morì a quarantacinque anni, dopo quindici di regno.
XVIII. Fu alto di statura, facile al rossore, un po' miope. Nell'insieme di bell'aspetto e proporzionato. Era calvo e se ne vergognava.
XIX. Intollerante alla fatica si faceva quasi sempre trasportare in lettiga. Non era esperto delle armi ad eccezione dell'arco del quale era appassionato.
XX. Non si dedicò mai agli studi storici o poetici. Non scriveva volentieri e delegava lettere e discorsi.
XXI. Si dilettava giocando a dadi. Offriva spesso conviti che non degeneravano mai in orge.
XXII. Uomo di libidine eccessiva, sedusse molte matrone fra cui Giulia figlia di Tito che morì perché costretta ad abortire mentre era incinta di lui.
XXIII. Il popolo accolse la morte di Domiziano con indifferenza, i soldati con indignazione, il Senato con gioia.