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Publio Virgilio Marone

Georgiche


Furono composte nel periodo che va dal 38 o dal 36 a.C. al 27 a.C. Circa un decennio, denso di grandi avvenimenti politici, durante il quale si chiuse definitivamente un'era della storia antica e si costruirono le premesse della nascente età imperiale.
Opera sollecitata da Mecenate, ribadisce i valori arcaici del popolo di agricoltori e soldati enfatizzando la ricchezza naturale e storica dell'Italia in contrapposizione all'Oriente.
La restaurazione della pace italica, quella dell'arcaico regno di Saturno, sarà opera e merito di Augusto, tema questo che verrà amplificato nell'Eneide.
Il lavoro agricolo cantato nelle Georgiche non è quello arcadico delle Bucoliche ma è più reale: è fatica, pericolo, a volte frustrazione. Chiedendosi le ragioni di tutto questo Virgilio arriva a sposare la tesi stoica che sarà anche di Seneca: l'uomo dell'età dell'oro non era virtuoso ma ingenuo ed ignorante, per farlo uscire dal suo torpore la provvidenza ha reso la natura ostile, affinché l'uomo con l'intelletto e le arti abbia modo di sviluppare le proprie capacità.
Seguendo questo processo innovativo del proprio pensiero, Virgilio descrive la natura guardando più al lavoro agricolo che non alle bellezze del paesaggio.
La natura stessa viene in qualche modo umanizzata e vista a volte ostile, a volte favorevole alle attività dell'uomo.



Libro I


Un breve dedica a Mecenate comprende l'enunciazione degli argomenti del libro, segue subito una serie di invocazioni agli dei: Libero (Bacco) che ha donato il vino agli uomini, Cerere, donatrice delle spighe di grano, Nettuno, creatore del cavallo, Aristeo inventore dell'apicoltura, Pan dio dei pastori, Minerva creatrice dell'ulivo, Silvano divinità italica della vegetazione.
Infine viene invocato come un nume Ottaviano, qui con l'appellativo di cesare, al quale vengono rivolte grandi benedizioni e la preghiera di guidare i sudditi "che non sanno la via" così come il poeta si accinge a consigliare gli agricoltori.
Ha inizio la trattazione vera e propria: all'inizio della primavera si dovrà cominciare ad arare. L'agricoltore dovrà saper riconoscere le attitudini dei terreni per scegliere le culture più adatte.
Le colture dovranno essere alternate di anno in anno ed il terreno concimato con il letame e cosparso di cenere.
Inverni polverosi e solstizi umidi, il terreno frequentemente mosso e ben irrigato, sono i presupposti indispensabili per un raccolto abbondante. Per questi motivi più che per arte dell'agricoltore, la Misia vanta la sua fecondità e stupiscono le messi del monte Gargara.
Ma nonostante tutte le fatiche e precauzioni dell'agricoltore, gli uccelli, le erbe infestanti, le condizioni atmosferiche possono rendere vano il suo lavoro. Così volle Giove perché "il suo regno non si intorpidisse in un grave letargo". Prima del suo regno, nell'età dell'oro, infatti gli uomini vivevano senza lavorare dei frutti spontanei della terra, ma il dio creò insidie, rese più difficili da ottenere le ricchezze della natura e così dal bisogno, a poco a poco, nacquero le arti.
L'uomo imparò a navigare e ad orientarsi con le stelle, a cacciare, a pescare, a forgiare i metalli.
Cerere insegnò l'uso dell'aratro quando i doni offerti dai boschi non bastarono più a saziare l'umanità.
Ancora indicazioni su come proteggere il raccolto: estirpare le erbacce, cacciare gli uccelli, abbattere la vegetazione che copre il sole.
Proseguendo nell'indottrinamento dell'ipotetico agricoltore fruitore dell'opera, Virgilio descrive gli attrezzi agricoli, quindi passa a parlare di segnali che si possono trarre dalle stelle per stabilire il momento migliore per ciascuna fase del lavoro dei campi.
Questi brani sono alternati con quelli in cui, sfruttando vari spunti di astronomia, Virgilio inserisce temi mitologici (i Titani, Tifeo, Prometeo).
Durante l'inverno i coloni, che compiono con la bella stagione gran parte del loro lavoro, potranno riposare godendo del raccolto e svagandosi con la caccia o con le loro riunioni conviviali.
In ogni stagione l'agricoltore dovrà cercare di prevedere i temporali per contenere i loro terribili danni: lo potrà fare osservando la luna, valutando il vento e guardando i segnali del comportamento degli uccelli e di altri animali.
Se la luna si presenterà in un alone di nubi e umidità, sarà senz'altro presaga di pioggia, colorandosi di rosso annunerà il vento mentre quando si presenta candida e limpida porta sempre il sereno.
Anche l'aspetto del sole aiuta a predire i cambiamenti del tempo, il sole è l'astro principale ma è anche un dio profetico che annuncia i grandi mutamenti: qui Virgilio riprende la tradizione secondo cui il giorno dell'uccisione di Cesare si sarebbe verificata un'eclissi solare, fenomeno che avrebbe annunciato i grandi avvenimenti politici che sarebbero seguiti..
In quella stessa occasione, racconta il Poeta, si verificarono anche molti altri prodigi, da quelli rappresentati dal volo particolare degli uccelli alle eruzioni dell'Etna, dalle statue piangenti nei templi agli animali parlanti. Infatti gli accadimenti successivi sfociarono nella guerra civile e nei grandi spargimenti di sangue di Filippi. Il canto si chiude con un'invocazione agli dei che proteggono Roma perché aiutino Ottaviano nel suo compito pacificatore mentre, ai confini dello Stato si combatte sull'Eufrate ed in Germania.


Libro II


Questo libro è dedicato alla coltivazione degli alberi, la vite e l'olivo in particolare; si apre con una breve invocazione a Dioniso e con un nuovo ringraziamento a Mecenate.
Il lavoro umano può fare in modo che da piante selvatiche ed infeconde ne derivini altre in grado di dare ottimi frutti. Gli alberi presentano molte varietà, specialmente la vite di cui Virgilio elenca le varietà più pregiate e famose ai suoi tempi.
Piante diverse crescono in luoghi diversi, questo è lo spunto per tessere un grande elogio dell'Italia, la più ricca di vegetazione pregiata.
In Italia il clima è sempre favorevole, la fertilità delle piante e degli animali è inarrivabile, non esistono animali feroci.
Dell'Italia vengono lodate anche le città, il mare, i fiumi, i laghi e le più antiche ed orgogliose popolazioni.
Si torna a parlare di alberi, dell'olivo che preferisce le colline. Si descrivono inoltre le varie nature dei terreni: scavando una buca e riempiendola nuovamente si noterà che la terra rimossa non occupa tutto lo spazio originale nei terreni porosi (adatti alla vite), mentre nei terreni più densi, buoni per i cereali, non si riuscirà a rimettere nella buca tutto il terriccio rimosso.
Quindi Virgilio descrive la tecnica con cui le viti devono essere disposte in filari, ed altri accorgimenti della viticoltura.
Attenzione particolare dovrà essere prestata per evitare che il bestiame danneggi le vigne: è a causa dei danni che gli animali arrecano alle viti che si suole sacrificare un capro a Bacco.
Più facile e meno faticosa è la coltivazione delle olive e quella di altri alberi da frutto che, una volta cresciuti, richiedono poche cure.
Il libro si conclude con un'esaltazione della vita dei campi, del lavoro del contadino e dei suoi semplici valori che lo tengono lontano dalla guerra, dall'invidia e da tutti i mali della vita cittadina.


Libro III


Invocando le divinità pastorali, il Poeta dichiara di aver scelto un nuovo argomento da trattare per raggiungere la fama.
Molti hanno già cantato i miti di Ercole, di Apollo e degli eroi, egli quindi tornerà a Mantova per innalzarvi un tempio al nuovo Cesare.
In attesa di tanta gloria, Mecenate continuerà ad aiutarlo mentre compone il suo poema sulla campagna.
Ora si parla di allevamento: consigli sulla scelta delle fattrici e degli stalloni. Particolari cure si dovranno dedicare al bestiame nel periodo degli amori. I maschi dovranno essere ben nutriti mentre alle femmine si dovrà limitare il cibo affinché "il campo genitale non si ottunda per eccesso di pinguedine".
Le bestie gravide dovranno essere, invece, abbondantemente nutrite e dissetate oltre che protette dai tafani
. Dopo il parto l'allevatore sceglierà gli animali da destinare al lavoro, con i quali dovrà subito iniziare l'addomesticamento. Così i cavalli destinati alle battaglie dovranno abituarsi fin dalla prima età al clamore delle trombe e dei carri. Tori e cavalli che si voglia mantenere in gran forma dovranno essere tenuti lontano dalle femmine.
Per amore molti animali combattono fino alla morte, si deve quindi evitare che si dedichino precocemente agli influssi di Venere.
La trattazione prosegue con insegnamenti sull'allevamento degli ovini. Descrivendo le greggi e gli usi dei pastori, Virgilio divaga sul popolo degli Sciti, abitatori di luoghi freddissimi, perennemente invasi dal ghiaccio.
Il pastore alleverà con cura anche i suoi cani e preserverà le sue bestie dall'insidia della vipera e del colubro.
Si passa a parlare di scabbia ed altre epidemie del bestiame. Su questo tema - che chiuderà il libro - Virgilio elabora una grandiosa scena di morte descrivendo con versi potenti l'agonia delle bestie, il misero destino degli allevamenti, il dilagare del morbo.
Il brano si pone con precisione prospettica alla fine di un libro che era iniziato parlando della vita, del concepimento, della nascita e dello svezzamento.


Libro IV


Argomento di questo libro è l'apicoltura. Gli alveari dovranno essere collocati presso un ruscello o uno stagno, in luogo verdeggiante e, ovviamente, ricco di fiori. Gli alveari, realizzati con corteccia o con vimini, dovranno avere l'entrata stretta e le fessure dovranno essere stuccate col fango per proteggere le api ed il miele dal freddo e dal caldo eccessivi.
Con la buona stagione le api inizieranno la loro attività e sciameranno. E' possibile che fra due "re" (i Latini parlavano di re e non di regina delle api) scoppi una guerra. In questo caso l'apicoltore dovrà eliminare quello dei due re che risulterà inferiore e fare attenzione a selezionare le api di razza migliore.
Virgilio canterebbe anche l'arte di coltivare i giardini, residenze eccellenti delle api, ma decide di lasciare ai posteri questa fatica e si limita a raccontare di un vecchio di Corico che da un minuscolo pezzo di terra selvaggia era riuscito a far fiorire uno stupendo giardino.
Tornando alle api, Virgilio ne loda l'organizzazione comunitaria. Esse si dividono il lavoro di ricerca e la cura dell'arnia e della prole. La loro solidarietà, il rispetto assoluto per l'autorità del "re", i loro ordinamenti facevano pensare agli antichi che le api fossero partecipi dell'anima divina che ha creato e governa l'universo.
Si parla quindi del miele, delle malattie delle api e dei relativi rimedi. Quest'ultimo argomento serve ad introdurre il racconto della leggenda di Aristeo. Questo pastore, venerato in Arcadia, aveva trovato infatti il modo di riprodurre uno sciame di api distrutto con il sangue putrido di bovini morti.
Aristeo, semidio figlio di Apollo e della ninfa Cirene, si trovò in grave ambascia per aver perduto tutte le api ed invocò la madre, ninfa del fiume Peneo. Cirene lo udì dal profondo del fiume e mandò a prenderlo la ninfa Aretusa, così, oltre le onde fluviali che si erano aperte per lui, Aristeo riuscì a compiere uno strano viaggio sotterraneo nel luogo ove hanno origine tutti i fiumi. Qui, per risolvere i suoi problemi, dovette catturare ed interrogare il vecchio Proteo. Guidato dalla ninfa, Aristeo raggiunse l'antro di Proteo e, aggreditolo nel sonno, gli legò le mani. Come nell'Odissea (IV libro) Proteo tentò di liberarsi assumendo varie forme ma alla fine fu costretto ad arrendersi.
Proteo svela che tutte le sventure di Aristeo gli sono state inviate da Orfeo che vuole vendicare la fine di Euridice, morsa da un serpente mentre fuggiva dalla bramosia del pastore.
Viene qui raccontata la favola di Orfeo che scende negli Inferi a riprendere Euridice. Notoriamente Proserpina aveva concesso ad Orfeo di portare con se Euridice a condizione che non la guardasse fino all'uscita ma Orfeo non aveva saputo resistere al desiderio di rivedere l'amata sposa e si era girato a guardarla, perdendola definitivamente.
Orfeo pianse ininterrottamente per sette mesi arrivando, con il suo canto, a commuovere le belve. Rifiutò ogni amore, sdegnò qualsiasi altra donna finché le sue molte ammiratrici non incrudelirono per l'offesa e lo uccisero smembrando il suo corpo. Dopo il racconto di Proteo, Aristeo eseguì una serie di riti sacrificali prescritti da Cirene per placare la vendetta di Orfeo ed onorare Euridice, uccidendo le vittime e lasciandole in un bosco per nove giorni. Al nono giorno il pastore ebbe la sorpresa di veder nascere dalle carni in putrefazione una grande quantità di api.
Il poema si chiude con un breve brano autobiografico in cui Virgilio ricorda gli anni (dal 37 al 30 a.C.) in cui ha elaborato l'opera e conclude con un riferimento al tranquillo podere campano che ha ottenuto a titolo di risarcimento per la perduta tenuta di Mantova.