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Dante Alighieri

De vulgari eloquentia


Libro I



I

Iniziando il suo trattato sulla lingua volgare Dante è consapevole della novità dell'opera e, secondo l'uso medievale, chiede aiuto a Dio per il suo componimento.
La lingua volgare vera e propria è quella che si impara da bambini ed è patrimonio di tutti gli uomini. A questa lingua "naturale" i popoli più evoluti ne aggiungono un'altra, più sofisticata e colta, soggetta alle leggi della grammatica.


II

Solo l'uomo ha la facoltà di parlare. La natura, che rifugge da ogni atto inutile, non l'ha data infatti agli angeli che comunicano tramite l'intelletto che si rifletto nello Specchio dell'intelletto divino, quindi non hanno bisogno di parlare. Neanche gli animali hanno bisogno di parlare perché fra loro tutti gli individui della stessa specie, guidati da medesimi istinti, compiono gli stessi atti ed hanno le stesse passioni.


III

L'uomo, guidato dalla ragione a pensieri che si differenziano da individuo a individuo, ha bisogno di uno strumento per comunicare che sia sensibile, cioè capace di trasmettersi attraverso i sensi, e "razionale", cioè capace di far percepire il pensiero di chi parla alla ragione di chi ascolta.

IV

Secondo Dante il linguaggio umano fu usato per la prima volta nel paradiso terrestre da Adamo rispondendo a Dio che gli ordinava di dare un nome a tutte le cose. Egli rifiuta che il primo dialogo possa essere stato quello di Eva con il Serpente.

V

Dunque Adamo fu il primo a parlare e, subito, nel pensiero di Dante il linguaggio assume valore di dono divino, nobilissima qualità prettamente umana.

VI

Per me la patria è il mondo dichiara Dante parafrasando Ovidio, tuttavia il luogo più bello ed adorabile per lui rimane la nativa Firenze, dalla quale è stato ingiustamente esiliato (dunque l'opera è stata composta dopo il 1302). E' da stolti però ritenere che la propria patria sia la più bella e la propria lingua la più antica, dunque su basi culturali e superando ogni sentimentalismo, Dante dichiara che al mondo possono esistere città più belle di Firenze e lingue migliori dell'italiano.
A questo punto il problema di determinare quale lingua sia la più antica viene affrontato, come era consuetudine medievale, tramite la materia biblica. Dante sostiene che la lingua più antica sia l'ebraico e lo argomenta con l'episodio della Torre di Babele.

VII

La costruzione della Torre di Babele fu un atto di superbia e costò all'uomo la terza punizione divina, dopo la cacciata dal paradiso terrestre ed il diluvio universale. Secondo Dante la confusione delle lingue divise i gruppi di quelli che facevano gli stessi lavori (gli architetti, i muratori, ecc.) e risparmiò un gruppo di persone che avevano rifiutato di partecipare all'impresa.
Da questo gruppo derivò il popolo ebreo, la cui lingua fu preservata per essere parlata da Cristo.

VIII

Dopo la caduta della Torre di Babele, gli uomini si dispersero su tutta la Terra. Quelli che vennero a stabilirsi in Europa portarono con se tre diversi ceppi linguistici: il primo si diffuse nell'Europa meridionale, il secondo in quella settentrionale ed il terzo in Grecia ed in parte dell'Asia.
Successivamente ciascuno dei tre ceppi si ramificò in diversi idiomi. E' chiaro, dice Dante, che gli idiomi volgari degli Italiani, dei francesi e degli spagnoli, derivano dalla stessa matrice, come dimostra l'affinità di molti vocaboli. Notoriamente Dante distingue queste tre lingue in base alla parola "Si", detta "Oc" nell'Europa di Sud-Ovest (Provenza e Penisola Iberica), "Si" in Italia e "Oil" nella Francia settentrionale.

IX

Dante restringe la sua analisi alla lingua italiana ma avverte il lettore che "quello che è causa razionale in una lingua, risulta esserlo anche nelle altre". Afferma inoltre che da ora in poi tratterà la materia solo in base alla propria capacità di raziocinio, non potendo basarsi sull'autorità di studiosi che prima di lui abbiano esaminato questo argomento.
Viene ribadita la comune origine delle lingue in cui si dice "Si", "Oc" ed "Oil" con l'esempio di alcuni versi scritti in tali lingue: sono tratti da componimenti del trovatore Giraldo da Bornello, del troviere Thibaut re di Navarra e di Guido Guinizelli. In tutti compare la parola "amor", identica nei tre idiomi.
Indagando sui motivi della diversificazione delle lingue nello spazio e nel tempo, Dante nota come la lingua parlata cambi, nella stessa nazione, da regione a regione, da città a città fino a differenziarsi addirittura fra i vari quartieri della stessa città. Tanta instabilità della lingua deriva da quella più generale della natura umana e la grammatica con le sue regole è dunque un tentativo di arginare i frequenti cambiamenti del parlato.

X

Dante ritiene che il latino sia una sorta di lingua artificiale costruita dagli eruditi e non l'idioma popolare dell'antica Roma. Compara quindi rapidamente le tre lingue volgari ma senza arrivare a formulare un giudizio su quale sia la migliore.
Restringendo ancora l'area della sua analisi, Dante riconosce in Italia due gruppi di idiomi volgari; a destra ed a sinistra dell'Appennino. A loro volta questi gruppi si suddividono in varie parlate locali. Dante conta quattordici volgari italiani che potrebbero ancora scomporsi in modo più dettagliato.

XI

Ora Dante passa ad esaminare le varie parlate volgari italiane alla ricerca di quella che meriti di essere considerata più "illustre". Per primo viene scartato il volgare romano definito "tristiloquio" conforme alla grossolanità dei costumi ed all'aspetto esteriore dei cittadini romani dell'epoca. Seguono le parlate di Ancona e di Spoleto, quelle di Milano e di Bergamo, di Aquileia e dell'Istria ed in generale gli idiomi parlati nelle campagne e nelle zone montuose.
Quanto al dialetto sardo non viene neanche considerato un volgare ma una sorta di imitazione del latino.

XII

Dopo questa prima cernita, così duramente critica, Dante passa ad esaminare il dialetto siciliano. Questo dialetto è stato nobilitato dai poeti della scuola di Federico di Svevia. In effetti la nobiltà di questo linguaggio è limitata a quegli scrittori insigni mentre il popolo non parla una lingua della stessa qualità.
Anche nell'Italia meridionale si parla generalmente male, pur se non mancano autori illustri come Giacomo da Lentini e Rinaldo d'Aquino.

XIII

A questo punto Dante stronca le pretese dei toscani che ritengono di meritare il primato del volgare "nazionale", pretesa condivisa con il popolo da eruditi quali Guittone d'Arezzo, Bonagiunta da Lucca e Brunetto Latini. Dimostrata con alcune citazioni dai dialetti delle varie città toscane la sua argomentazione, Tuttavia Dante riconosce che alcuni autori della sua regione hanno "sperimentato un volgare eccellente", si tratta di Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia. Umbria ed Alto Lazio vengono ancora escluse per affinità con i dialitti romano e marchigiano. Quanto al genovese è deprecato per eccessivo uso della lettera "z" dal suono molto duro.

XIV

La ricerca del volgare "illustre" diventa più approfondita: in Romagna Dante riconosce due parlate fondamentali delle quali la prima difetta per eccessiva sdolcinatezza e la seconda suona troppo dura. In Veneto i dialetti risultano invece corrotti da numerosi "barbarismi" fra i quali Dante addita come esempio la "sincope" per cui "mercatus" diventa "mercò" e "bontatis "bontè". Anche il veneziano viene escluso per varie imperfezioni.

XV

Fra i migliori dialetti italiani è il bolognese che riesce a mediare la morbidezza di uno dei due idiomi romagnoli (imolese) con l'asprezza della parlata che le sue vicine Modena e Reggio Emilia ricevono dalla Lombardia.
Tuttavia i pregi del bolognese non bastano ancora a renderlo il volgare "illustre" cercato da Dante, lo dimostra il fatto che i migliori poeti bolognesi (primo fra tutti Guinizelli) si sono spesso allontanati dalle parole e forme tipiche del loro dialetto.
XVI

Esaurita la sua indagine senza aver trovato quanto cercava, Dante arriva alle decisione che il volgare illustre sia una lingua superiore ai vari idiomi municipali, che pur essendo presente in tutte le città non risulti propria di alcuna di esse. Questo volgare Dante definisce "Illustre, cardinale, aulico e curiale".
XVII

Il termine "illustre" viene associato all'idea di illuminare, in senso figurato.
Ora la lingua che Dante sta indicando è capace di commuovere il lettore e di far onore a chi la usi, quindi in questo senso viene definita "illustre". Quella lingua ha saputo trovare una sua struttura armonica e sintattica al di sopra dei dialetti, delle loro parole deturpate e delle loro costruzioni intricate.

XVIII

Questa lingua è cardinale in quanto vista come "centrale" rispetto a tutto il sistema linguistico italiano.
E' aulica e curiale perché è la lingua che si parlerebbe nell'aula e nella curia (nei luoghi cioè dove il monarca vive ed esercita il potere) se in Italia ci fosse una curia. Si deve tener presente che ai tempi di Dante il potere imperiale aveva sede in Germania.

XIX

Dante conclude il primo libro con l'affermazione che la lingua "illustre" che ha individuato, presente in tutte le regioni ma non specifica di alcuna può essere definito il "volgare italiano".
Dichiara inoltre che nel libro successivo si occuperà del corretto uso di questa lingua.



Libro II



I

Il volgare italiano potrà essere usato sia in prosa che in poesia ma non da tutti, infatti la sua qualità di lingua "illustre" se non unita a "ingegno e scienza" anzichè migliorare il componimento metterà i difetti in maggiore evidenza.
Interessante il procedimento di Dante che distingue le qualità umane in tre tipi: quelle derivanti dal genere animale, cui l'uomo appartiene, quelle caratteristiche di tutta la specie umana, e, infine, quelle individuali.
I tre tipi vengono esemplificati con le sensazioni (che possono essere percepite da tutti gli animali), la risata (tutti gli uomini possono ridere, nessun altro animale ne è capace) e la la cavalleria (non tutti gli uomini sono "cavalieri"). il volgare italiano, in questo schema logico, viene collocato con le caratteristiche individuali in quanto non tutti gli uomini possiedono le qualità e la capacità necessarie per servirsene correttamente.

II

Se il volgare italiano è adatto solo ai poeti migliori, anche rispetto agli argomenti si dovrà scegliere solo i "più degni", cioè quelli di maggior dignità. A questo punto l'esposizione assume contenuti filosofici: l'anima umana dispone di tre "potenze": la vegetativa (comune anche alle piante), l'animale (comune a tutti gli animali) e la razionale, propria solo degli uomini.
Queste tre potenze tendono rispettivamente alla conservazione, al piacere ed alla ricerca di ciò che è onesto. Ora il massimo grado della conservazione è la salvezza, il massimo grado del piacere è l'amore, il massimo grado dell'onestà è la virtù.
Alla luce dell'intelletto di un poeta degno di usare il volgare illustre i tre argomenti dei quali sarà giusto trattare in quella lingua saranno salvezza, amore e virtù o, più precisamente "podestà d'armi, amore supremo e rettitudine".

III

Per quanto concerne la metrica, Dante ritiene che si debba utilizzare la forma di composizione più elevata e complessa, cioè la canzone, considerata superiore alla ballata in quanto compiuta in se stessa (la ballata veniva composta per accompagnare la danza) ed al sonetto per la struttura metrica più articolata.

IV

Fra coloro che scrivono Dante distingue i poeti "regolari", cioè quelli che regolano la loro opera in base a tecniche precise senza affidarsi all'improvvisazione. Il loro esempio dovrà essere seguito da chi vorrà raggiungere un livello veramente artistico servendosi del volgare illustre.
Tralasciando il sonetto e la ballata (dei quali dichiara di volersi occupare nel quarto libro che, però, non fu composto), Dante passa a ricercare lo stile migliore per comporre canzoni in volgare; così definisce i tre stili fondamentali:
lo stile tragico è il più nobile e quello intrinsecamente più vicino alla metrica della canzone ed al volgare illustre;
lo stile comico, più vicino ad un volgare "mediocre";
lo stile elegiaco che più si adatta al volgare umile.
Quello tragico è dunque lo stile indicato da Dante per le canzoni in volgare italiano. Poiché lo stile tragico è il sommo degli stili in esso dovranno essere trattati gli argomenti più alti che sono già stati individuati come salvezza, amore e virtù.

V

Si passa ora a trattare della scelta del verso da usare in volgare: Dante predilige l'endecasillabo (che infatti sceglierà per la Commedia) per "l'ampiezza ritmica" e per la sua capacità di "contenere pensieri, costrutti, vocaboli".
Molto elegante può essere l'accostamento dell'endecasillabo al settenario. Dante giudica noioso il novenario ed in genere rozzi tutti i versi con un numero pari di sillabe.

VI

Ma la qualità dello stile è fortemente influenzata anche dal costrutto, cioè dal modo di costruire le frasi.
Qui l'argomento è molto complesso: nella sua ricerca delle "cose supreme" Dante rifiuta la tecnica lineare e scolastica ed indica un "tipo eccelso" di costrutti ma avverte il bisogno, data la complessità della materia, di documentare il suo pensiero con una lunga serie di esempi.

VII

E' ora il momento di selezionare il lessico del volgare illustre, di scegliere cioè le parole più nobili ed adatte allo stile, al costrutto ed alla metrica che sono stati fin qui individuati. Le regole che Dante indica sono principalmente basate sulla sonorità delle parole stesse, sulla loro composizione sillabica e così via. Tuttavia nei termini che egli usa per distinguere le parole "femminee" da quelle "virili", le "irsute" dalle "pettinate", le "campagnole" dalle "cittadine", sembra di avvertire l'eco di un'elaborazione stilistico-concettuale complessa e personalissima.

VIII

La canzone, nel senso specifico in cui l'intende l'Autore, è "un'insieme ben legato di stanze uguali, senza ritornello, scritte in stile tragico". Prima di questa affermazione Dante ha precisato che nella sua eccezione generale la canzone è un componimento in versi scritto per essere cantato, ma ora aggiunge che la canzone nella lingua illustre dovrà essere necessariamente in stile tragico (il più alto degli stili), qualora si tratti di stile comico sarà più corretto parlare di "canzonetta".

IX

Poiché si è affermato che la canzone è un insieme di stanze, appare subito necessario chiarire cosa sia una stanza.
La stanza è dunque "la matrice e l'insieme di tutti gli elementi tecnici propri della canzone". Fra tali elementi Dante indica i tre principali: la melodia, la disposizione delle parti, il numero dei versi e delle sillabe. Non si parlerà ora della rima in quanto elemento generale della poesia e non specifico della canzone.
Si arriva dunque ad una definizione di stanza come "insieme di versi e sillabe con il vincolo di una precisa melodia e di una precisa disposizione dei versi stessi".

X

Le stanze della canzone potranno avere tutte la stessa melodia o melodie diverse, in quest'ultimo caso i passaggi da una melodia ad un'altra si chiamano Diesis o Volta, i versi che precedono la volta ripetendo la melodia si chiamano piedi, quelli che la ripetono dopo la volta si diconto fronte.

XI

Seguono notazioni tecniche sulla disposizione delle parti stesse.

XII

Sulla disposizione e la scelta dei versi: nello stile classico merita - come si è detto - di primeggiare l'endecasillabo. Spesso si sceglieranno stanze composte di soli endecasillabi, come fece Guido Cavalcanti in "Donna me prega" o Dante stesso in "Donne che avete intelletto d'amore".
Quando nelle stanze si usino anche settenarii Dante prescrive che non siano all'inizio, ancora più limitato dovrà essere l'uso del quinario.
Escluso l'uso del trisillabo "a se stante" mentre è ammesso come parte di versi più lunghi con rima centrale, ne è famoso esempio la cavalcantiana "Donna me prega".
Le combinazioni usate nel piede e nella volta dovranno, per evidenti ragioni strutturali, ripetersi un tutte le stanze.

XIII

Senza entrare nel merito della rima, Dante passa ad esaminare la disposizione dei vari schemi di rima possibile.
Casi particolari sono le stanze senza rima e le stanze con una sola rima. Per il resto ogni poeta adotta in libertà un proprio schema che più di ogni altro elemento contribuisce a definirne lo stile personale. Si potranno ad esempio incatenare le stanze facendo corrispondere le rime di due o più versi appartenenti a stanze differenti.
Seguono vari particolari tecnici e tre consigli: evitare di ripetere troppo le stesse rime, evitare forme equivoche che "tolgono chiarezza al pensiero", tentare di miscelare opportunamente rime aspre e rime morbide.

XIV

L'ultimo tema esaminato è la lunghezza della stanza che dovrà essere commisurata al tipo di argomento trattato. Infatti il senso della canzone nel suo complesso potrà essere favorevole (lodare, convincere) o sfavorevole (deprecare, dissuadere). Agli argomenti sfavorevoli si addicono comportamenti brevi, ai favorevoli componimenti più lunghi.
A questo punto il testo si interrompe ed il trattato rimase incompiuto.