4/vgF0McT6WBi1RPOKg40mK96lk1bJq1dTncfbVzjMYsVgdkLfU3L2ZoQ

Sunelweb
    
Guida rapida
A B C D E F G H I J K L M
N O P Q R S T U V W Y Z  

LA CANZONE DI ORLANDO


L'argomento della canzone è basato sulle gesta e sulla tragica fine di Orlando, prefetto di Bretagna, caduto combattendo contro i Saraceni a Roncisvalle.
Orlando comandava la retroguardia dell'armata di Carlomagno che rientrava in Francia dopo una campagna militare contro i Musulmani durata sette anni. La canzone fu composta da autore ignoto probabilmente nell'XI secolo mentre gli eventi descritti si svolsero nel 778. La durata della campagna carolingia in Spagna fu soltanto di alcuni mesi, i sette anni di cui parla la canzone sono una delle "dilatazioni" scelte dall'autore per dare un tono epico alla sua narrazione.
Gli eventi avranno una durata complessiva di sei giorni (come la Creazione nella Bibbia) e, iniziando dalla riunione con la quale i Saraceni deliberano di mandare ambasciatori a Carlomagno, comprenderanno il tradimento del nobile Gano, la battaglia vera e propria, la morte di Orlando, la vendetta di Carlomagno ed il processo contro Gano.
Nelle prime "lasse", dunque, ci viene presentato Marsilio, re saraceno di Saragozza che convoca preoccupato i suoi consiglieri avendo saputo dell'avvicinarsi dell'armata carolingia. Come suggerito dal nobile Biancandrino si decide di inviare dieci ambasciatori ad offrire a Carlo doni ed ostaggi per chiedere la pace e l'incolumità. L'ambasciata viene ricevuta personalmente da Carlo che comunque si mostra scettico sulle proposte di Marsilio. Per vincere la sua diffidenza Biancandrino offre degli ostaggi. Trascorsa la notte ospiti del campo dei Franchi, i messaggeri tornano da Marsilio mentre Carlo convoca il consiglio dei baroni.
Il consiglio decide di accettare le proposte di Marsilio, l'unico ad opporsi è Orlando. Si tratta ora di inviare un messaggero a Saragozza per rispondere ai Saraceni: è una missione pericolosa perchè tutti ricordano che in passato Marsilio ha soppresso altri ambasciatori franchi. Si offrono Orlando, Oliviero ed altri appartenenti ai "dodici pari", ma re Carlo rifiuta il suo consenso. Orlando propone allora che venga inviato Gano, suo patrigno. (Gano aveva infatti sposato la sorella di Carlomagno, madre di Orlando).
Alla proposta Gano reagisce con fierissima ira: fra Orlando e Gano preesistono forti rancori dei quali l'autore non spiega le causee. Gano sostiene che Orlando lo ha proposto solo perchè venga eliminato dai Saraceni e promette vendetta contro di lui, contro Oliviero e contro gli altri pari. Ma il re ha deciso e Gano dovrà partire.
Quando Carlo gli consegna il guanto ed il bastone (simboli che lo avrebbero accreditato come messaggero del re), Gano lascia cadere il guanto, evento che viene giudicato di pessimo augurio da tutti i presenti.
Preso congedo dai suoi sostenitori, Gano si mette in viaggio e, sulla strada di Saragozza, raggiunge Biancandrino. I due conversano studiandosi a vicenda, Biancandrino loda la grandezza di Carlo, Gano critica l'arroganza di Orlando. I due si accordano per la rovina di Orlando, infatti quando poco dopo Gano si trova al cospetto di Marsilio non esita a proporgli il suo piano.
Carlomagno, dice Gano, intende sottomettere in ogni caso Marsilio: se questi si convertirà al cristianesimo vedrà comunque il suo regno ridotto e sottoposto ai Franchi, se rifiuterà di convertirsi sarà giustiziato. L'unico modo per fermare Carlomagno è privarlo del suo campione Orlando, braccio destro del re e cavaliere di formidabile valore.
Gano propone che i Saraceni, quando l'esercito Franco sarà al confine, aggrediscano la retroguardia comandata da Orlando. Sarà una battaglia dura, avverte il traditore, e molti Saraceni soccomberanno, ma se Marsilio continuerà ad attaccare Orlando, trovandosi isolato, sarà infine sconfitto ed ucciso. Una volta morto Orlando, Carlomagno sarà troppo indebolito per costituire ancora una seria minaccia per i nemici.
Gano rientra nell'accampamento dei Franchi e presenta a Carlomagno un falso resoconto della sua missione dicendo che Marsilio accetta di convertirsi al cristianesimo e che il "califfo" (zio di Marsilio che Carlo avrebbe voluto come ostaggio) è morto in un naufragio.
Carlomagno decide di tornare in Francia mentre i Saraceni preparano la fatale imboscata. Durante la notte Carlo ha due sogni premonitori: nel primo si vede, giunto ormai al valico, aggredire da Gano, nel secondo viene aggredito, nella cappella di Aquisgrana, da un verro e da un leopardo: accorre a difenderlo un veltro e la battaglia fra i tre animali si presenta incerta.
Su proposta di Gano la retroguardia viene affidata ad Orlando, Carlomagno, intuendo le maligne intenzioni di Gano, esita nella decisione. Vorrebbe quindi lasciare ad Orlando metà del proprio esercito ma Orlando rifiuta garantendo che con soli ventimila uomini saprà portare a termine la missione.
Si uniscono ad Orlando i "dodici pari" ed i cavalieri Turpino e Gualtiero dell'Ulmo.
L'esercito dei Franchi transita per il valico rientrando in Francia, viene descritta la commozione dei soldati nel tornare nelle loro terre ma Carlo, memore dei sogni premonitori, è angosciato per le sorti di Orlando.
Intanto nel campo dei Saraceni si decide chi dovrà guidare l'attacco: il comando viene affidato al nipote di Marsilio, Aelrotte, accanto al quale saranno undici cavalieri per fronteggiare i Dodici Pari dei Franchi.
Come suggerito da Gano i dodici cavalieri attaccheranno la retroguardia franca con centomila soldati, il resto dell'esercito effettuerà un secondo attacco sotto il diretto comando di Marsilio.
Avvistato l'enorme esercito saraceno che si avvicina minacciosamente, Oliviero propone a Orlando di suonare il corno per richiamare indietro Carlomagno ma Orlando rifiuta sdegnosamente. La battaglia è ormai prossima ed inevitabile, l'arcivescovo Turpino sale su un'altura e benedice i Franchi della retroguardia impartendo loro l'assoluzione dai peccati.
La battaglia ha inizio con un rapido scontro fra Orlando e Aelrotte, che viene rapidamente ucciso. Da parte sua Oliviero elimina con un formidabile colpo Falsarone, fratello di Marsilio.
Anche Turpino uccide uno dei cavalieri nemici e la canzone continua descrivendo una serie di duelli nei quali ciascuno dei dodici pari riporta la vittoria. Fra i dodici antagonisti saraceni si salva solo Margarigi che riesce a colpire Oliviero il quale rimane illeso solo perché la lancia del saraceno si spezza miracolosamente. La battaglia è terribile ed i centomila saraceni vengono sterminati, ma anche i Franchi perdono moltissimi uomini sul campo. Intanto in Francia una tempesta ed un terremoto sono lugubri presagi della fine di Orlando e dei suoi prodi.
Sopraggiunge il resto dell'esercito di Marsilio e sferra un nuovo assalto. Cadono in duello alcuni dei dodici pari, subito vendicati da Orlando, Oliviero e Turpino, ma ancora una volta la retroguardia franca resiste valorosamente ed i nemici sono costretti alla ritirata lasciando sul campo numerosissimi caduti.
I Saraceni continuano ad attaccare: nei primi quattro assalti i Franchi anno avuto il sopravvento ma il quinto supera le loro forze. Ne rimangono in vita solo sessanta.
Orlando ed Oliviero discutono ancora se suonare il corno per richiamare Carlomagno. Oliviero rimprovera Orlando: se lo avesse voluto ascoltare e suonare prima dell'arrivo dei Saraceni ora la battaglia sarebbe vinta ed il re Marsilio morto o prigioniero.
Turpino interrompe la contesa e prega Orlando di suonare il corno: almeno i caduti saranno vendicati ed i loro cadaveri avranno una degna sepoltura.
E Orlando suona: lo fa con grande sofferenza a causa delle ferite ricevute in battaglia, mentre suona la bocca gli si riempie di sangue e le tempie sembrano esplodere. Carlo ed i suoi odono il richiamo. Il traditore Gano cerca di distrarli affermando che non si sta combattendo, Orlando è vanitoso e capace di suonare mentre caccia una lepre ma Carlo comprende che quel suono annuncia una tragedia, ordina di arrestare Gano e di tornare indietro. I Franchi galoppano rabbiosi ed addolorati, sperando di trovare Orlando ancora vivo e di poter ancora combattere al suo fianco. "Però a che serve - si chiede l'autore della canzone - tardano troppo, a tempo più non fanno".
I pochi superstiti della retroguardia sono ormai pronti a morire ma decisi a non arrendersi. Il re Marsilio affronta Orlando, viene sconfitto e fugge perché un colpo di spada gli ha troncato di netto una mano.
Il "Califfo" ferisce mortalmente Oliviero ma questi, prima di cadere, lo uccide. Orlando ed Oliviero, nella commozione del momento, si riconciliano definitivamente. Pur feriti, esausti e disperati i nobili cavalieri continuano a difendersi e ad incutere il terrore nei nemici, terrore che sale al parossismo quando si odono le trombe dei Franchi di Carlomagno ormai prossimi a Roncisvalle. I Saraceni decidono di scagliare tutte le loro lance e frecce contro i Franchi ancora vivi e fuggire. Muore così il cavaliere Gualtiero dell'Ulmo ed anche l'arcivescovo Turpino viene colpito a morte. Così come poco prima Oliviero, Turpino non muore immediatamente, ha il tempo di benedire i Franchi caduti nella battaglia e di scambiare drammatiche frasi di congedo con Orlando. Questi sviene per le ferite che ricoprono il suo corpo e Turpino muore mentre, in un ultimo sforzo, cerca di andare a prendere acqua per ristorare il compagno.
Mentre Orlando giace privo di sensi un saraceno cerca di impadronirsi della sua spada Durendal (Durlindana), ma il conte rinviene e trova la forza di uccidere il saraceno colpendolo con il corno. Inorridito all'idea che gli infedeli possano impadronirsi della sua sacra spada compagna di tante battaglie, Orlando cerca inutilmente di infrangerla colpendo le rocce circostanti. Infine si distende all'ombra di un albero, il viso rivolto verso la Spagna perché chi lo troverà non pensi che stesse fuggendo, chiede perdono a Dio per i propri peccati e ripensa rapidamente alla sua vita. Tende un guanto verso il cielo: San Gabriele ed un angelo vengono a prendere la sua anima per accompagnarla in Paradiso.
Raggiunto il luogo della strage, Carlo piange amaramente chiamando i nomi di Orlando, Oliviero, Turpino e degli altri pari. Quando gli fanno notare che in lontananza è ancora visibile la polvere sollevata dai Saraceni in fuga lascia un gruppo di soldati a vigilare sulle salme e parte all'inseguimento con l'intero esercito.
Il sole sta per tramontare ma Carlo chiede ed ottiene un miracolo: gli appare un angelo che gli ordina di continuare a cavalcare perché Dio fermerà il corso del sole per consentirgli la vendetta. E la vendetta è totale: i Saraceni si trovano presi fra l'esercito franco ed il fiume Ebro, quelli che non vengono uccisi in combattimento cercano scampo nelle acque del fiume e muoiono annegati.
Finalmente il sole tramonta ed i Franchi riposano sui prati lungo il fiume. Durante la notte Carlo ha due nuovi sogni: il primo annuncia una grande battaglia, il secondo gli mostra la lotta fra un veltro ed un gruppo di orsi, anticipando il processo contro il traditore Gano.
Baligante, l'emiro di Alessandria che Marsilio aveva più volte chiamato in aiuto contro i Franchi, è finalmente giunto in Spagna con la sua flotta ed un grande esercito. I suoi ambasciatori trovano Marsilio nel suo palazzo di Saragozza, ormai morente con la mano mozzata.
Marsilio, che non ha più eredi perché Orlando ha ucciso a Roncisvalle il suo unico figlio, si dice disposto a cedere il suo regno all'emiro se questi sconfiggerà Carlomagno. Baligante, che era deciso ad invadere la Francia, viene informato che Carlo ed il suo esercito si trovano presso l'Ebro in terra spagnola e, dopo una breve visita a Marsilio, muove senz'altro con l'esercito in cerca del nemico.
Tornato a Roncisvalle con i suoi, intanto Carlomagno ha ritrovato il corpo di Orlando sul quale pronuncia uno straziante lamento. Segue la triste scena della sepoltura di tutti gli altri caduti franchi, compianti dal re e dai compagni d'armi. I corpi di Orlando, Oliviero e Turpino vengono ricomposti e caricati su tre carri per essere sepolti in Francia.
Quando due messaggeri saraceni giungono per portare a Carlo la sfida di Baligante il re si riprende rapidamente dalla sua contrizione e non esita ad ordinare ai Franchi di indossare le armi.
Seguono le pittoresche descrizioni dei due eserciti, organizzate ciascuno da dieci colonne formate dai vari popoli soggetti ai due monarchi. Baligante viene presentato come un capo sapiente e fiero, degno avversario dell'imperatore dei Franchi.
La descrizione della battaglia è quanto mai intensa: un enorme scontro fra i due eserciti reso magistralmente fa da sfondo ai singoli duelli, agli atti di eroismo, ai momenti più drammatici come quello in cui il duca Namo sta per essere ucciso e Carlo prontamente interviene abbattendo l'avversario. Ma il momento cruciale è lo scontro fra i due capi: si disarcionano reciprocamente e si affrontano con la spada dopo un rapido scambio di battute con cui ciascuno propone inutilmente la resa all'altro. Carlo viene ferito e sta per cedere ma viene soccorso dall'avvertita presenza dell'arcangelo Gabriele e ritrova il suo vigore. Con un gran colpo uccide Baligante. Perduto l'emiro i Saraceni fuggono inseguiti dai Franchi desiderosi di vendetta.
Carlo ed il suo esercito entrano in Saragozza senza combattere, Marsilio muore di angoscia (o di paura), la sua consorte Bramimonda viene fatta prigioniera. I Franchi entrano nei templi pagani e distruggono gli idoli mentre centomila saraceni sono costretti al battesimo.
Trascorsa la notte Carlo riparte per la Francia. A Bordeaux rende omaggio a San Severino, a Blavia i corpi di Orlando, Oliviero e Turpino vengono deposti in bianchi sarcofagi nel santuario di San Romano e finalmente i Franchi giungono nel palazzo di Aquisgrana dove viene subito convocato un tribunale per processare Gano.
Prima che il processo abbia inizio si svolge una scena di grande drammaticità e tenerezza: la giovane Alda, sorella di Oliviero e fidanzata di Orlando, chiede al re notizie del suo amato. Commosso, Carlo le dice della morte di Orlando e le offre di sposare il proprio figlio Ludovico ma la giovane, pronunciando solo un breve rifiuto, muore di dolore.
Gano si difende al processo sostenendo di aver commesso vendetta e non tradimento, di essersi cioè vendicato di Orlando che lo aveva proposto per la pericolosa missione presso i Saraceni. Pinabello da Sorenza, parente di Gano, si offre di combattere per lui un "duello giudiziario", era infatti in vigore l'usanza di affidare al duello fra due "campioni" i processi più difficili ed interpretare l'esito del duello stesso come manifestazione del giudizio divino.
Le parole di Gano e la difesa di Pinabello convincono molti giudici che chiedono clemenza per Gano ma un altro cavaliere, Teodorico d'Angiò, accetta di combattere contro Pinabello.
Lo svolgimento del duello è analogo a quello del precedente scontro fra Carlo e Baligante. I due si disarcionano, Pinabello ha temporaneamente il sopravvento ma infine Teodorico lo uccide. Il giudizio è ora certo. Gano, legato a quattro cavalli, viene squartato. Trenta suoi parenti che lo avevano appoggiato vengono impiccati.
La regina spagnola Bramimonda, prigioniera dei Franchi, grazie ai sermoni ascoltati ad Aquisgrana si converte al cristianesimo e viene battezzata.
Carlomagno si ritira nelle sue stanze per riposare ma gli appare l'arcangelo Gabriele ad ordinargli una nuova missione in difesa della fede, così la canzone si conclude con il gran re che piange ed esclama "quanto è penosa la mia vita!".
L'ultimo verso avverte del concludersi delle gesta "declinate da Turoldo", questo particolare ha indotto molti studiosi ad ipotizzare che Turoldo sia il nome dell'autore ed a cercare di identificarlo con vari personaggi dell'undicesimo secolo, tuttavia l'espressione potrebbe riferirsi anche ad un traduttore o ad un copista, così l'identità del grande poeta autore della Canzone di Orlando rimane avvolta nell'oscurità del tempo.