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Marco Tullio Cicerone

Pro Sesto Roscio Amerino

Crisogono, liberto di Silla, aveva fatto uccidere Sesto Roscio Amerino e, per nascondere la propria colpa, lo aveva fatto inserire nelle liste di proscrizione dopo la morte.
Quando Sesto Roscio Amerino figlio venne a Roma per protestare, Crisogono lo accusò di parricidio. Nella causa che seguì, Cicerone ebbe il ruolo di difensore di Sesto Roscio.
Dopo una breve premessa formale, Cicerone racconta per esteso gli eventi che riguardano la causa presente. Sesto Roscio, padre dell'imputato, era stato cittadino di Amelia, uno dei primi per nobiltà e ricchezza. Era noto anche a Roma e aveva rapporti di amicizia con famiglie importanti come i Metelli, i Servili, gli Scipioni.
Da tempo erano suoi avversari due amerini, Tito Roscio Capitone e Tito Roscio Magno. Sesto Roscio figlio si trovava nella villa di Amelia quando Sesto Roscio padre venne ucciso presso i bagni del Palatino mentre tornava da una cena. Un domestico di Tito Roscio Magno percorse velocemente durante la notte la distanza tra Roma e Amelia per portare la notizia e l'arma del delitto a Tito Roscio Capitone. Pochi giorni dopo fu informato anche Lucio Cornelio Crisogono, che si trovava con Silla a Volterra. I due Titi Rosci proposero a Crisogono di unirsi per far ricadere la colpa del delitto su Sesto Roscio figlio. Crisogono acquistò i beni del defunto, cedette tre poderi a Capitone e affidò a Tito Roscio Magno l'amministrazione degli altri. Un patrimonio di seicentomila sesterzi fu così acquistato per duemila.
Tito Roscio Magno, procuratore di Crisogono, prese possesso delle proprietà in Amelia e ne scacciò Sesto Roscio figlio, quindi trafugò molti oggetti di valore e altri ne fece vendere all'asta, tutto ciò con grande dispiacere degli Amerini che ricordavano le virtù del padre e compiangevano la situazione del figlio.
Furono scelti dieci tra i cittadini più eminenti per presentare a Silla la richiesta di lasciare al figlio i beni del padre deceduto.
Gli ambasciatori furono accolti da Crisogono, liberto e consigliere di Silla, che li pregò di non disturbare il suo padrone e di affidare le loro richieste a lui che se ne sarebbe occupato con sollecitudine.
Crisogono promise di far cancellare il nome di Sesto Roscio dalle liste di proscrizione e di far avere al figlio la sua eredità. Gli ambasciatori credettero alle sue parole e tornarono in Amelia. Le promesse non furono mantenute e Crisogono e i due Titi Rosci progettarono di far morire Sesto Roscio figlio.
Essendo consapevole del pericolo Sesto Roscio si nascose in casa di Cecilia, figlia di Nepote vecchio amico del padre, dove trovò sollecitudine e protezione.
Non potendo uccidere Sesto Roscio, i suoi nemici decisero di accusarlo di aver ucciso il padre. Lo portarono in giudizio credendo che non avrebbe trovato un difensorema su questo, evidentemente, si erano sbagliati.
Tre cose, osserva l'oratore, sono al momento contrarie a Sesto Roscio: l'accusa mossa dagli avversari, la loro audacia e la loro potenza. Confutare la prima è compito dell'oratore, respingere l'audacia e la perniciosa potenza degli accusatori spetta ai giudici.
Sesto Roscio figlio, accusato dell'omicidio dal padre, non presenta i caratteri e le attitudini che sarebbe lecito ricercare in un assassino, egli ha vissuto sempre nella casa di famiglia coltivando i campi. Quanto al movente è stato detto che il figlio non era amato dal padre, ammesso sia vero, non sembra motivo adeguato per un parricidio. Non è sostenibile che il figlio odiasse il padre perché voleva che si occupasse della terra, attività redditizia che era normale venisse intrapresa da un figlio di agricoltore.
L'accusa ha sostenuto anche l'intenzione del padre di diseredare il figlio, ma anche questa affermazione non è sostenibile in mancanza di testimoni.
Dimostrata l'assenza di un movente, Cicerone passa a chiedersi in quali modi il delitto sarebbe stato compiuto e chi ne sarebbe stato l'esecutore materiale. Roscio padre è stato ucciso a Roma mentre il figlio era in villa a Amelia, quindi Roscio figlio non può aver commesso personalmente il parricidio, ma chi avrebbe potuto incaricare se non era mai stato a Roma tanto a lungo da stringere amicizie o altri rapporti?
Un altro argomento che Cicerone intende esaminare è l'interesse dell'esecutore nel compiere il delitto. Dalla morte di Sesto Roscio il figlio non ha avuto alcun utile, anzi si è trovato in miseria mentre Tito Roscio Magno è entrato in possesso per una cifra irrisoria di beni di grande valore.
Manlio Glaucia, servitore di Tito Roscio, viaggiò tutta la notte per portare a Capitone la notizia della morte di Sesto Roscio, ciò dimostra l'urgenza di portare a termine il piano per impadronirsi dei beni della vittima.
Pochi giorni dopo fu informato Crisogono che si trovava a Volterra nel campo di Silla, e Crisogono procurò che i beni del defunto si vendessero. Capitone ebbe tre poderi, Magno l'amministrazione degli altri dieci. Crisogono e Capitone fecero in modo che Silla non venisse a conoscenza delle loro manovre.
Tito Roscio si oppose alla richiesta di interrogare i servi presenti all'assassinio e Cicerone afferma che opporsi a questi interrogatori equivale a riconoscersi colpevoli.
Cicerone continua la sua orazione esaminando la regolarità della vendita dei beni e sottolineando ancora gli abusi compiuti da Crisogono.
L'oratore si oppose a un grande rischio nell'attaccare il potente liberto che godeva il pieno favore di Silla e non si sa se il dittatore fosse personalmente implicato negli eventi. Cicerone vinse la causa ma poco dopo. per prudenza si assentò da Roma per visitare la Grecia.