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Gaio Giulio Cesare

LA GUERRA CIVILE


LIBRO I


L'opera ha inizio con la consegna di una lettera di Cesare contenente un ultimatum ai consoli Lucio Cornelio Lentulo e Gaio Claudio Marcello.
Lentulo ne riferisce al senato dichiarandosi contrario a Cesare. Analoga posizione assume Quinto Cecilio Metello Pio Scipione, suocero di Pompeo.
Altri si dimostrano più moderati come Marco Claudio Marcello, Marco Calidio, Marco Celio Rufo.
Infine, grazie alla presa di posizione dei consoli e alla presenza delle legioni di Pompeo alle porte di Roma, si decide di intimare a Cesare di deporre il comando, ma i tribuni Marco Antonio e Quinto Cassio oppongono il veto.
Quella stessa sera Pompeo raduna tutti i suoi sostenitori e quanti hanno motivo di rancore verso Cesare se schierano con lui.
Lucio Calpurnio Pisone e Lucio Roscio Fabato si offrono di recarsi presso Cesare per informarlo, ma non vengono ascoltati. Per le pressioni di Pompeo e dei suoi compagni spinti dall'ambizione, si arriva rapidamente al senatoconsulto ultimo che conferisce ai consoli l'incarico di agire "perché lo stato non subisca alcun danno". Viene ignorato il sacro diritto di veto dei tribuni e questi fuggono presso Cesare che aspetta a Ravenna la risposta alla sua lettera.
Quella sera stessa il senato si riunisce fuori Roma per consentire di partecipare a Pompeo, che in quanto comandante in carica non può entrare in città. Si prendono molte decisioni affidando a Pompeo il compito di fermare Cesare.
Informato della situazione Cesare parla ai soldati spiegando loro come Pompeo con grande ingratitudine è diventato suo avversario e come ha tolto ai tribuni il diritto di veto che anche Silla aveva rispettato. I soldati della tredicesima legione gridano di essere pronti a combattere e Cesare li guida verso Rimini (12 gennaio 49 a.C.)
A Rimini incontra Lucio Cesare e il pretore Roscio Fabato che recano un messaggio privato di Pompeo con la proposta di mettere da parte ogni rivalità per il bene della patria. Cesare risponde tramite gli stessi messaggeri di essere stato più volte offeso, quando gli si è ordinato di rientrare a Roma e di deporre il comando; tuttavia si dice ancora disposto a cercare una composizione pacifica con Pompeo a condizione che tutti depongano le armi.
A sua volta Pompeo risponde che incontrerà Cesare in Spagna se questi si ritirerà in Gallia congedando il suo esercito. Cesare ritiene ingiusta la proposta e manda Marco Antonio con cinque coorti ad Arezzo mentre rimane a Rimini per organizzare un nuovo arruolamento ed invia Curione ad occupare Gubbio cacciandone il pompeiano Quinto Minucio Termo.
Dirigendosi verso Osimo Cesare si scontra con Attio Varo e lo sconfigge. Molti soldati di Varo passano a Cesare.
Intanto i consoli fuggono a Capua perché circola la falsa notizia che Cesare sia alle porte di Roma. Raggiunto dalla dodicesima legione e reclutati altri soldati nel Piceno, Cesare conquista Fermo cacciandone Lentulo Spintere legato di Pompeo e procede verso Corfinio scontrandosi con Domizio Enobarbo.
Marco Antonio muove con cinque coorti verso Sulmona dove viene accolto con entusiasmo dalla popolazione cacciando il presidio comandato da Quinto Lucrezio e da Attio Peligno.
Domizio Enobarbo, assediato a Corfinio, ha inviato inutilmente una richiesta di aiuto a Pompeo e ha deciso di fuggire con pochi intimi, ma viene scoperto dai suoi soldati che lo consegnano a Cesare aprendo le porte della città. Cesare accetta la resa ed accoglie i soldati che vogliono unirsi a lui mentre Domizio e i notabili della città vengono lasciati liberi.
Intanto Pompeo sta concentrando le proprie forze presso Brindisi e Cesare gli fa pervenire una nuova proposta di incontro.
Giunto a Brindisi Cesare pone l'assedio alla città e comincia a costruire fortificazioni per controllare il porto, la parte sua Pompeo tenta di disturbare i lavori usando grosse navi da carico. Pompeo inoltre si prepara a lasciare l'Italia prima che i soldati di Cesare irrompano in città, ma i Brindisini sono favorevoli a Cesare e lo avvertono consentendogli di intervenire mentre il nemico sta salpando e catturare due navi cariche di soldati. Tuttavia la nave di Pompeo riesce a sfuggire e Cesare non dispone di imbarcazioni adatte all'inseguimento, quindi decide di recarsi in Spagna per nuovi reclutamenti mentre invia i legati Valerio e Curione rispettivamente in Sardegna e Sicilia.
Gli abitanti di Cagliari scacciano Marco Aurelio Cotta legato di Pompeo costringendolo a fuggire in Africa.
In Sicilia il governatore Marco Catone, impegnato nei reclutamenti e nell'approntamento di nuove navi per Pompeo, informato dell'arrivo di Curione fugge a sua volta dalla provincia.
Lucio Elio Tuberone, inviato in Africa da Pompeo, trova Attio Varo ad impedirgli l'accesso al porto di Utica ed è costretto ad allontanarsi.
Cesare raggiunge Roma e riunisce il senato per chiarire la propria posizione e denunciare le offese arrecategli dai suoi avversari. Ribadendo che Pompeo ha più volte rifiutato di incontrarlo, propone al senato di mandargli ambasciatori. La proposta viene approvata ma nessuno è disposto a compiere la missione presso Pompeo, così dopo aver perso inutilmente alcuni giorni Cesare lascia Roma e si reca nella Gallia Ulteriore.
Qui la città di Marsiglia, trattando con Cesare, si dichiara neutrale ma quando giunge Domizio, legato di Pompeo, i Marsigliesi si prodigano nell'aiutarlo. Sdegnato Cesare organizza rapidamente l'assedio della città e lo affida a Decimo Giunio Bruto e Gaio Trebonio.
Intanto in Spagna le legioni di Pompeo comandate da Lucio Afranio, da Marco Petreio e da Terenzio Varrone operavano per prepararsi a fronteggiare le forze di Cesare che stavano occupando i valichi dei Pirenei sotto la guida di Gaio Fabio.
Sui Pirenei si svolgono scontri occasionali, Cesare ne racconta uno in cui il suo legato Lucio Munazio Planco, colto di sorpresa dal nemico a causa del crollo di un ponte, riesce a difendere validamente la propria posizione fino all'arrivo dei rinforzi.
All'arrivo di Cesare che ha con se una scorta di novecento cavalieri si prepara un campo fortificato con palizzate e profonde fosse. Avviene il primo scontro importante con i soldati di Afranio che vengono sconfitti ma riescono a mantenere una posizione favorevole sul terreno. Due giorni dopo i soldati di Cesare rimangono isolati e privi di rifornimenti perché due fiumi straripano a causa del maltempo; Cesare è costretto a risalire la vallata per trovare una posizione migliore che possa fortificare e difendere.
Intanto la flotta di Cesare comandata da Decimo Bruto si scontra con quella dei Marsigliesi. I Marsigliesi sono superiori per numero di navi e di uomini, le loro navi sono migliori e i piloti più esperti ma hanno a che fare con i migliori soldati di Cesare che quando riescono ad arpionare le imbarcazioni nemiche hanno sempre la meglio nel combattimento ravvicinato.
Rifornito di viveri da popolazioni locali amiche, Cesare apre un guado nel fiume Sicoris e completa le fortificazioni del suo campo, i pompeiani si sentono isolati e decidono di muoversi per tentare di spostare la guerra in Celtiberia, paese in cui Pompeo era amato o temuto dai tempi della guerra con Sertorio mentre Cesare era poco conosciuto.
Cesare vorrebbe evitare di combattere con altri Romani ma sono i suoi soldati a sollecitare lo scontro e Cesare porta i suoi uomini oltre il fiume, rischiando nelle acque ancora molto profonde e cogliendo di sorpresa Afranio e Petreio che infine decidono di accamparsi prima di raggiungere l'Ebro.
Il mattino seguente, tramite gli esploratori, si appura di essere diretti verso un passo montano molto stretto: chi lo avesse occupato per primo avrebbe potuto impedire al nemico di procedere. Afranio e Petreio valutano troppo pericoloso tentare durante la notte e decidono di attendere l'alba ma Cesare li precede e conquista il passo, inoltre la sua cavalleria circonda i pompeiani costringendoli a riparare su un colle.
Contrariamente al parere dei suoi ufficiali Cesare evita la battaglia campale e decide di attendere per prendere il nemico per fame. Il giorno successivo Petreio e Afranio si allontanano dal campo e i loro soldati ne approfittano per prendere contatti con quelli di Cesare ai quali mostrano gratitudine per non averli massacrati quando ne avevano la possibilità. Molti ufficiali vogliono parlare con Cesare e molti si dichiarano pronti ad unirsi a lui a condizione di aver salva la vita.
Quando i due capi tornano al campo Afranio affronta la situazione con serenità ma Petreio attacca con pochi cavalieri i soldati di Cesare uccidendo tutti quelli che riesce a catturare, quindi raduna i suoi uomini ed impone loro di rinnovare il giuramento. Ordina di uccidere i soldati di Cesare rimasti bloccati nel campo pompeiano al suo arrivo ma i suoi soldati li lasciano fuggire.
Nei giorni successivi i pompeiani cercano di tornare a Ilerda ma, logorati dalle continue azioni di disturbo della cavalleria di Cesare, cercano lo scontro campale. Cesare lo accetta suo malgrado perchè rifiutandolo rischierebbe il proprio prestigio davanti alle sue legioni, ma alla vista dello schieramento nemico i pompeiani esitano e il combattimento viene rimandato. Infine Afranio chiede un incontro con Cesare e si dichiara sconfitto.
L'unica condizione di resa che Cesare impone è che l'esercito di Afranio e Petreio venga congedato in modo che non si tengano più legioni in armi contro di lui. Quanti sono residenti in Spagna vengono immediatamente congedati, gli altri lo saranno una volta giunti al fiume Varo.
Le legioni si mettono in marcia guidate da Quinto Fufio Caleno, legato di Cesare.


LIBRO II


Contemporaneamente alle azioni svolte da Cesare in Spagna contro Afranio e Petreio, il legato Gaio Trebonio assediava Marsiglia costruendo numerose e complesse macchine da assedio nonostante le difficoltà del terreno e la resistenza degli abitanti.
L'arrivo di Lucio Nasidio inviato da Pompeo con sedici navi incoraggia i Marsigliesi che hanno intanto recuperato vecchie imbarcazioni per rimpiazzare quelle perdute negli scontri precedenti e si preparano a combattere nuovamente in mare.
Anche la flotta comandata da Bruto è stata rinforzata e restaurata.
Cesare narra alcuni momenti della battaglia navale. Questa volta i Marsigliesi sono più preparati e mettono in difficoltà la flotta di Decimo Bruto, ma infine sono sconfitti anche a causa della defezione delle navi di Nasidio.
Intanto sulla terraferma i soldati di Trebonio costruiscono una torre alta sei piani ed una galleria in legno per collegare la torre alle mura della città. Interessanti i paragrafi IX e X nei quali Cesare descrive dettagliatamente le fasi di realizzazione di queste opere.
Quando gli assedianti sferrano un improvviso attacco usando queste macchine, le risorse dei Marsigliesi di dimostrano inefficaci. Infatti la galleria, realizzata con solido legname e vari rivestimenti ignifughi, resiste al lancio di massi e di proiettili incendiari mentre i soldati di Trebonio, dall'alto della torre, la difendono lanciando frecce e proiettili di varia natura.
Altri soldati all'interno della galleria scalzano pietre dalle mura fino a farne crollare una parte e a questo punto i Marsigliesi si arrendono ed escono dalla città.
Invocando la compassione dei legati, i Marsigliesi ottengono una tregua fino all'arrivo di Cesare. Come gli era stato ordinato, Trebonio non permette che i suoi soldati espugnino la città in quanto si teme che vengano indotti alla strage dall'ira per il precedente tradimento. Tuttavia dopo pochi giorni i Marsigliesi violano la tregua e approfittando di un momento di quiete riescono a dare alle fiamme le macchine da guerra degli assedianti distruggendo la cavalleria, la torre ed il resto, ma non riescono a rompere l'accerchiamento e rimangono comunque bloccati fra le mura cittadine.
In Spagna Marco Varrone legato di Pompeo organizza aiuti da inviare ai Marsigliesi e a Afranio e Petreio, ordina raccolte di viveri e costruzioni di nuove navi. Cesare è sul punto di partire per l'Italia ma non intende lasciare in Spagna focolai di guerra, quindi affida il comando delle legioni al tribuno della plebe Quinto Cassio e si dirige a Cordova con seicento cavalieri.
Gli abitanti di Cordova e di città vicine si preparano ad accogliere Cesare allontanando Varrone che si affretta verso Cadice.
Ma Cadice si è ribellata ed ha cacciato il presidio romano. Varrone ne viene informato e punta verso Italica ma anche questa città gli chiude le porte. A questo punto Varrone si arrende e consegna la provincia, il grano e le navi ad un inviato di Cesare di nome Sesto Cesare.
A Cordova Cesare con la restituzione di denaro pagato a Varrone e di beni confiscati e con alcune donazioni si assicura il consenso della popolazione, altrettanto fa a Cadice e a Tarragona, quindi affida la provincia a Quinto Cassio e raggiunge Marsiglia dove apprende di essere stato nominato dittatore dal pretore Marco Emilio Lepido.
I Marsigliesi, ormai alla disperazione, si arrendono senza più tentare inganni, ma Lucio Domizio è riuscito a fuggire .
Gaio Curione giunge in Africa con due legioni e cinquecento cavalieri e si accampa nei pressi di Utica.
La sua cavalleria si scontra con quella di Varo e con i rinforzi che il re di Numidia Giuba aveva inviato ai pompeiani. Curione vince lo scontro e si impossessa di duecento navi da carico piene di approvvigionamenti.
L'indomani, mentre gli uomini di Curione lavorano a fortificare il loro campo, vengono assaliti da nuove forze inviate da Giuba ma anche questa volta riescono a respingerle.
Una volta stabiliti definitivamente i campi avversari si svolgono degli incontri fra i soldati di Attio Varo e quelli di Curione. Sesto Quintilio Varo, reduce da Corfinio, che milita nelle schiere di Attio Varo si rivolge ai soldati di Curione, molti dei quali sono stati suoi compagni in precedenti occasioni, per indurli a cambiare partito o a astenersi dal combattere. I cesariani non reagiscono apertamente ma più tardi nel campo di Curione c'è grande tensione.
Curione tiene consiglio con i suoi ufficiali e respinge la proposta di attaccare immediatamente il campo nemico ritenendola temeraria ma anche quella di spostare l'esercito più indietro che sarebbe un segnale di vigliaccheria. Si decide quindi di studiare più a fondo la situazione prima di agire.
Rivolgendosi ai soldati Curione li informa sui successi di Cesare in Spagna e li mette in guardia dagli uomini di Pompeo e di Domizio che vorrebbero indurli a disertare.
Il discorso ha l'effetto sperato e i soldati si dichiarano pronti a combattere ribadendo la loro fedeltà. L'indomani Curione li schiera sul campo di battaglia e altrettanto fa Attio Varo.
Il primo scontro si svolge fra le due cavallerie nella stretta valle che supera gli eserciti nemici e viene vinto dai cesariani. Incoraggiato Curione si lancia in avanti seguito dai suoi soldati e mette in fuga l'esercito di Attio Varo, quindi rientra nel suo campo avendo perduto un solo uomo mentre le perdite del nemico sono ingenti.
Durante la notte Varo abbandona il campo in silenzio portando le sue truppe all'interno delle mura di Utica.
Il mattino seguente Curione assedia la città ma poco dopo arriva la notizia che il re Giuba ha inviato un grosso esercito a soccorrere Varo. Curione abbandona l'assedio e porta i suoi in certe fortificazioni romane che risalgono alle guerre puniche preparando le difese mentre invia in Sicilia messaggeri a chiedere rinforzi.
Giunge la falsa notizia che una ribellione ha cambiato i propositi di Giuba che ha inviato solo un piccolo contingente comandato dal legato Saburra contro cui Curione si prepara subito a combattere ma è una trappola: dopo una facile vittoria della cavalleria in un primo modesto scontro con Saburra, Curione si trova ad affrontare il resto dell'esercito numida che in realtà era a sole sei miglia di distanza e presto viene circondato dal nemico.
Curione cerca ancora la salvezza ordinando ai suoi di occupare i colli circostanti ma ancora una volta viene preceduto dal nemico. I cesariani sono alla disperazione. Curione rifiuta ogni offerta di aiuto e si lancia nel combattimento rimanendo ucciso, di tutto il suo esercito si salvano soltanto pochissimi cavalieri.
Quanti erano rimasti nel campo di Curione, affidati al questore Marcio Rufo, vengono presi dal panico e si precipitano alla spiaggia sperando di potersi imbarcare, ma solo in pochi trovano posto sulle navi per la Sicilia mentre gli altri si arrendono a Varo. Il mattino seguente Giuba, violando le condizioni di resa concordate da Varo, fa uccidere gran parte dei prigionieri.

LIBRO III


Giulio Cesare viene eletto console insieme a Publio Servilio (48 a.C.) ed emana provvedimenti per controllare la situazione del credito che si è fatta critica, nominando arbitri e periti.
Deposta la dittatura, Cesare si reca a Brindisi per raggiungere Pompeo ma trova poche navi disponibili per imbarcare il suo esercito per altro già ridotto dalle guerre precedenti, dai disagi e dalle malattie.
Invece Pompeo, che ha avuto un anno intero per prepararsi, ha raccolto una grande flotta, ha riscosso ingenti somme nelle province orientali ed ha formato nove legioni, cinque di italiani e quattro di soldati delle province.
Dispone inoltre di arcieri, frombolieri e cavalieri inviati in gran numero dai governanti suoi alleati come Deiotaro dalla Galazia, Ariobarzane dalla Cappadocia, Coti dalla Tracia, Rascipoli dalla Macedonia, ecc.
Pompeo si trattiene a Durazzo e Apollonia e dispone la flotta lungo il litorale per impedire a Cesare di sbarcare. Cesare riesce a traghettare sette legioni e trova un approdo non presidiato dal nemico.
Sbarcati i soldati Cesare fa subito ripartire le navi con l'obiettivo di traghettare il resto dell'esercito ma Marco Bibulo, comandante della flotta pompeiana, le intercetta e ne distrugge molte.
Dopo una lacuna nel testo si parla di Marco Ottavio legato di Pompeo che assedia la città di Salona fedele a Cesare ma viene sconfitto da una sortita degli assediati e deve ritirarsi a Durazzo presso Pompeo.
Cesare fa avere a Pompeo un'ulteriore proposta di trattative. Questa volta suggerisce di chiedere a Roma, al senato e al popolo, di stabilire le condizioni della pace nell'interesse della repubblica, quindi di attenersi entrambi a queste condizioni congedando i rispettivi eserciti.
Informato sull'avvicinarsi di Cesare, Pompeo si affretta verso Apollonia per difendere le città costiere ma Cesare lo previene ed occupa la città di Orico. Il comandante del presidio pompeiano di questa città è costretto ad arrendersi perché la popolazione rifiuta di aiutarlo contro Cesare.
Anche gli abitanti di Apollonia costringono alla fuga Lucio Straberio legato di Pompeo e consegnano la città a Cesare, altrettanto fanno i cittadini di Bullis e di Amantia in Epiro.
Pompeo raggiunge con la massima rapidità Durazzo temendo che anche questa città accolga Cesare. Entrambi i comandanti, piantato il campo, decidono di svernare sotto le tende.
Caleno parte da Brindisi con altre legioni ma riceva un messaggio di Cesare e torna indietro evitando la flotta nemica. Una sola nave viene catturata da Bibulo che fa uccidere quanti vi si trovano.
Le navi comandate da Bibulo sostano a largo di Orico ma i cesariani impediscono lo sbarco e i soldati nelle navi non possono rifornirsi di acqua e legna. Bibulo e Libone chiedono una tregua e un incontro con Cesare.
All'incontro, tuttavia, Bibulo non si presenta per evitare che il suo rancore personale nei confronti di Cesare ostacoli le trattative e Libone precisa di non avere alcun potere se non quello di ascoltare le proposte di Cesare e riportarle a Pompeo sollecitandolo ad accoglierle.
Cesare chiede di poter mandare ambasciatori a Pompeo e propone che nel frattempo si tolgano gli ostacoli reciproci che i due schieramenti oppongono lungo la costa ma dall'atteggiamento di Libone che continua ad insistere sulla tregua senza assumere impegni capisce che l'interlocutore non è interessato alla pace ma soltanto a guadagnare tempo.
Poco dopo questo episodio, stroncato dal freddo e da una malattia, muore Bibulo e gli altri ufficiali tentano di convincere Pompeo a considerare le proposte di Cesare ma Pompeo rifiuta ostinatamente.
Cesare cerca ancora l'intesa inviando nel campo avversario una delegazione guidata da Publio Vatinio ma la discussione fra Vatinio e Tito Labieno si surriscalda e gli ambasciatori rischiano il linciaggio. Intanto a Roma il pretore Marco Celio Rufo prende a difendere le cause dei debitori che vogliono appellarsi contro le norme emanate da Cesare in merito alla stima dei beni, tuttavia nessuno ricorre in appello contro tali norme e contro Gaio Trebonio che aveva il compito di applicarle.
Celio Rufo non desiste ed avanza proposte di legge per il condono dei debiti sobillando il popolo che depone Trebonio, ma viene a sua volta deposto dal senato che incarica il console Servilio di impedirgli di parlare al popolo.
Rufo si mette in contatto con Milone, esule per aver ucciso Clodio, che dispone di un certo numero di gladiatori per organizzare una rivolta in Campania ma, scoperto e dichiarato nemico pubblico, abbandona il proposito e più tardi viene ucciso.
Milone invece prosegue nel tentativo di sollevare i debitori e non riuscendovi provoca una rivolta di schiavi assalendo Compsa.
Libone occupa l'isola di fronte al porto di Brindisi per impedire a Cesare di ricevere nuovi rinforzi, ma viene attirato nel porto da Antonio, sconfitto e costretto ad allontanarsi.
Verso la fine dell'inverno Cesare, che non ha più ricevuto rinforzi, scrive a Brindisi ordinando di effettuare nuove traversate e presto altre navi, comandate da Marco Antonio e Fufio Caleno, giungono in vista di Apollonia e Durazzo.
Una flotta pompeiana uscita per attaccare le navi di Cesare viene distrutta da una tempesta e molti naufraghi sono salvati dagli stessi nemici.
Due navi partite in ritardo da Brindisi sostano di fronte a Lisso e vengono catturate con l'inganno dai pompeiani. Il comandante pompeiano Otacilio Crasso ordina di trucidare i prigionieri ma una parte di questi riesce a difendersi e con l'aiuto della popolazione di Lisso costringe Otacilio a fuggire presso Pompeo. Antonio sbarca a Lisso le sue truppe e rimanda indietro le navi.
Cesare e Antonio schierano le truppe, per farlo devono superare il fiume Apso mentre Pompeo è avvantaggiato dal trovarsi già sulla sponda dove si combatterà. Pompeo tenta di piantare un campo senza farsi avvistare ma, quando viene informato che Cesare ha raggiunto Antonio, per timore di trovarsi circondato cambia posizione.
Intanto Scipione, governatore della Siria, nonostante la grave minaccia dei Parti sulla sua provincia, si prepara a combattere Cesare rastrellando ogni tipo di tributi. Sta inoltre per requisire con la forza il tesoro del tempio di Efeso ma viene distolto dalla lettera di Pompeo che gli ordina di raggiungerlo con le legioni.
Intanto Cesare colloca presidi nelle zone che gli sono favorevoli, ne affida il comando a Lucio Cassio Longino in Tessaglia, Gaio Calvisio Sabino in Etolia e Gneo Domizio Calvino in Macedonia.
Scipione finge di voler attaccare Domizio ma deviando improvvisamente si volge contro Cassio Longino per coglierlo di sorpresa, contemporaneamente Cassio viene attaccato dalla cavalleria inviata dal re Coti alleato di Pompeo e si ritira verso Ambracia in Epiro.
Scipione lo insegue ma desiste quando il legato Marco Favonio, lasciato a capo del campo pompeiano, lo informa di essere minacciato da Domizio.
Scipione schiera le truppe ma esita di fronte alla determinazione dei cesariani e si ritira in una posizione elevata. Dopo qualche giorno tenta un'imboscata ai soldati di Domizio ma viene vergognosamente sconfitto.
Cesare affida la difesa di Orico al legato Caninio che non riesce a difendere il porto dall'attacco di Gneo Pompeo figlio. Questi prosegue fino a Lisso dove affonda le navi di Marco Antonio ma non riesce a conquistare la città difesa dalla popolazione e dai soldati di Cesare.
Cesare raggiunge Pompeo e gli offre battaglia ma vedendo che Pompeo non reagisce si muove a tappe forzate per raggiungere Durazzo dove si trovano tutte le sue risorse.
Pompeo si attesta su un'altura nei pressi di Durazzo ma Cesare circonda il suo campo con presidi e fortificazioni e lo assedia. Cesare descrive vari momenti dell'insolito assedio: contrariamente a quanto accade di solito gli assediati erano più numerosi e più riforniti degli assedianti, ma i soldati di Cesare potevano contare sull'arrivo della buona stagione e disponevano di fonti illimitate di acqua mentre all'interno delle fortificazioni l'acqua scarseggiava.
A questo punto una lacuna interrompe il testo. Nella parte mancante si parlava probabilmente di un fallito tentativo di Pompeo di rompere l'accerchiamento. La narrazione riprende infatti con Publio Silla, legato di Cesare e nipote del dittatore, che accorre nel punto attaccato dai pompeiani e li respinge.
I combattimenti di quel giorno costano molte perdite ai pompeiani mentre fra i cesariani si contano molti feriti ma nessuna vittima. Cesare premia i suoi per il coraggio e la tenacia. Nei giorni successivi i due eserciti continuano a fronteggiarsi e a rinsaldare le fortificazioni ma si astengono dal combattere.
Cesare invia messaggi a Scipione, suocero di Pompeo, per chiedergli di fare da mediatore per la pace ma ancora una volta non ottiene risultati.
Due ufficiali allobrogi di nome Roucillo e Eco, che Cesare aveva reclutato durante le guerre galliche ed aveva spesso premiato per il loro valore, vengono denunciati per sfruttamento dai loro sottoposti, disertano e passano a Pompeo offrendogli la loro profonda conoscenza della situazione delle forze cesariane.
Grazie alle informazioni fornitegli da questi disertori, Pompeo riesce a portare un attacco al punto più debole delle fortificazioni di Cesare, dalla parte del mare. I cesariani contano molti caduti e la disfatta viene evitata solo grazie al tempestivo arrivo di Marco Antonio con alcune coorti e, poco più tardi, dello stesso Cesare.
Cesare tenta di ottenere la rivincita attaccando direttamente il centro del campo di Pompeo e in un primo momento l'iniziativa sembra avere successo ma poi i cesariani si trovano circondati e sono costretti a cercare la salvezza nella fuga.
Cesare è consapevole della paura e dell'avvilimento dei suoi soldati dopo la sconfitta e capisce anche che Pompeo sopravvaluta la sua vittoria, tuttavia preferisce rimandare nuovi combattimenti per dar tempo ai suoi di riprendere coraggio e parte rapidamente alla volta di Apollonia. Pompeo lo insegue ma la mossa improvvisa di Cesare lo ha colto di sorpresa e non riesce a raggiungerlo.
Con i suoi movimenti Cesare riesce a mettere in difficoltà Pompeo quali che siano le sue scelte: continuando ad inseguirlo si allontanerebbe dalle sue fonti di approvvigionamento, se passasse in Italia Cesare lo bloccherebbe attraversando l'Illirico, se si rivolgesse contro Apollonia Cesare attaccherebbe Scipione.
Poichè si è sparsa la voce che Cesare, completamente sconfitto, stia tentando la fuga, alcune popolazioni locali si allontanano dalla sua amicizia e le strade si fanno più pericolose per i suoi messaggeri e solo per una fortunata coincidenza l'esercito di Cesare riesce a ricongiungersi con quello di Domizio.
Entrato in Tessaglia, Cesare incontra resistenza da parte degli abitanti della città di Gonfi che, ingannati dalle false dicerie, hanno scelto di cambiare partito e chiesto aiuti a Pompeo, ma con un attacco improvviso Cesare espugna la città e lascia che i soldati la saccheggino, quindi muove rapidamente verso Metropoli per fare altrettanto ma qui gli vengono aperte le porte.
Cesare tratta i cittadini di Metropoli con ogni riguardo e il confronto fra le sorti delle due città spinge tutta la Tessaglia ad accogliere Cesare, con l'eccezione di Larissa presidiata da Scipione.
Intanto Pompeo e Scipione hanno stabilito i due grandi eserciti in un unico campo nel quale tutti sono convinti di aver già la vittoria in pugno, tanto da discutere come attribuire i beni che saranno confiscati agli avversari sconfitti e le cariche politiche dopo la guerra. In particolare Lucio Domizio, Scipione e Lentulo disputano per la carica di pontefice massimo attualmente esercitata da Cesare.
Per saggiare le intenzioni di Pompeo, Cesare inizia a schierare il suo esercito sempre più vicino al campo nemico offrendo battaglia, ma Pompeo accetta soltanto brevi scontri fra le cavallerie in uno dei quali muore Eco, uno dei due disertori allobrogi.
Per stancare l'esercito nemico Cesare cambia spesso posizione finché Pompeo, cedendo alle insistenze dei suoi, accetta di combattere.
Pompeo schiera quarantacinquemila uomini, Cesare ventiduemila. Pompeo conta sulla superiorità della propria cavalleria, Cesare ne è consapevole e schiera una legione davanti ai suoi cavalieri.
All'inizio del combattimento i pompeiani non avanzano verso i nemici perché Pompeo ha ordinato loro di rimanere fermi nelle rispettive posizioni lasciando che i nemici sprechino energie per raggiungerli, ma i soldati di Cesare sono esperti e, compresa la strategia di Pompeo, fanno una sosta a metà dello spazio libero fra i due schieramenti per riprendere fiato.
La cavalleria di Pompeo attacca quella avversaria ma la legione schierata strategicamente da Cesare si dimostra una scelta vincente: sorpresi per la situazione inattesa i cavalieri di Pompeo vengono sbaragliati e si danno alla fuga lasciando scoperte le file di arcieri e frombolieri che vengono a loro volta massacrati dai cesariani.
Vedendo la disfatta della cavalleria su cui aveva tanto contato Pompeo ripara nella sua tenda, ma quando i soldati di Cesare ormai vittoriosi invadono il suo campo monta a cavallo e fugge con pochi altri oltre Larissa, per imbarcarsi in incognito.
Cesare taglia la strada ai pompeiani in ritirata e il giorno successivo accetta la loro resa.
A quanti si consegnano spontaneamente è risparmiata la vita. Molti pompeiani fuggono nelle città vicine senza essere inseguiti.
Cesare stima le perdite dei nemici in quindicimila uomini ma molti autori parlano di seimila. Lucio Domizio fugge e viene ucciso dai cavalieri.
Decimo Lelio arriva al porto di Brindisi e occupa l'isola antistante come aveva fatto in precedenza Libone, perde delle navi a opera di Vatinio ma mantiene a lungo la posizione.
Intanto Cassio si porta in Sicilia con una flotta di Siri, Fenici e Cilici e attacca a sorpresa le navi di Cesare comandate da Marco Pomponio che si trovano a Messina e riesce a incendiarne la maggior parte. La legione di presidio a Messina fuggirebbe in preda al panico se a darle coraggio non giungesse in quel momento la notizia della vittoria di Farsalo.
Cassio attacca quindi un'altra squadra navale comandata dal pretore Publio Sulpicio Rufo all'ancora a Vibo ma qui i cesariani si difendono energicamente e Cassio deve ritirarsi.
Cesare insegue Pompeo per impedirgli di riorganizzarsi. Pompeo sosta ad Anfipoli in Macedonia per raccogliere prestiti dagli amici e indire reclutamenti, quindi si sposta a Mitilene, in Cilicia e a Cipro ma qui la popolazione gli impedisce di sbarcare.
Giunge infine in Egitto. Il paese è governato da Tolomeo XIII che ha cacciato la sorella Cleopatra, Pompeo chiede rifugio al giovane re ricordandogli l'aiuto da lui fornito al padre Tolomeo XII in occasione di una rivolta popolare.
Tolomeo e i suoi consiglieri mostrano di accogliere benevolmente gli ambasciatori e mandano il prefetto del re Achilla e il tribuno Lucio Settimio (un romano rimasto in Egitto dopo l'intervento in favore di Tolomeo XII di cui si è detto) a prendere Pompeo.
Pompeo, che riconosce Lucio Settimio suo ex centurione, si fida e si imbarca con i due messi seguito da pochi dei suoi ma viene ucciso per ordine di Tolomeo XIV da Achilla e Settimio. Lucio Lentulo che lo accompagnava viene catturato e più tardi giustiziato in carcere.
Intuita la destinazione di Pompeo anche Cesare si reca in Egitto dove viene informato della fine del suo avversario. L'atteggiamento ostile della popolazione lo induce a chiamare a se altre legioni, nell'attesa decide di arbitrare la controversia fra Tolomeo e Cleopatra in qualità di console in carica ed in forza del trattato di amicizia vigente fra Roma e il regno egiziano.
L'eunuco Potino, reggente per il giovane Tolomeo XIII e suo tutore, raduna l'esercito contro Cesare e ne affida il comando a Achilla. Su invito di Cesare, Tolomeo invia due illustri personaggi, Dioscoride e Serapione, presso Achilla per fermarne l'azione militare ma Achilla manda a morte i due ambasciatori.
Cesare, che dispone di un numero esiguo di soldati, difende la propria posizione nella città occupata da Achilla ed incendia le navi nel porto per evitare che il nemico intercetti i soccorsi via pare. Per controllare il porto, inoltre, Cesare conquista l'isola di Faro e vi pone un presidio.
Arsinoe, sorella minore di Cleopatra, si allea con Achilla ma presto fra i due nasce una lite. Cesare cattura Potino e lo fa giustiziare.