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PUBLIO CORNELIO TACITO
STORIE

LIBRO PRIMO



Prima di iniziare il racconto Tacito avverte che parlerà di un periodo tristissimo, denso di sciagure, guerre, abusi e ingiustizie durante il quale molti persero la vita e Roma fu devastata dalla violenza.
Egli è consapevole, scrivendo alcuni decenni più tardi, di poter parlare di quei tempi con libertà maggiore di quella che gli storici dell'epoca potevano permettersi, quindi decide di affrontare quel periodo rimandando ad un'altra opera gli accadimenti del tempo di "rara felicità" che egli stesso ha vissuto sotto Nerva e Traiano.
Il primo libro ha inizio con l'anno del consolato di Servio Sulpicio Galba e Tito Vinio Rufino (69 d.C.), anno della morte di Nerone.
Le legioni proclamarono imperatore Galba ma questa decisione non piacque a tutti. Molti lo ritenevano troppo vecchio o troppo avaro. I pretoriani erano stati spinti alla ribellione dal prefetto Ninfidio Sabino il quale mirava a prendere il potere ma ora molti di loro erano dubbiosi e temevano la ben nota disciplina di Galba.
Fra gli uomini di Galba erano Tito Vinio e Cornelio Lacone, due pessimi soggetti che sparsero sangue al rientro di Galba a Roma uccidendo il console designato Cingonio Varrone e il consolare Petronio Turpiliano senza dar loro alcuna possibilità di difendersi.
Roma era piena di soldati: quelli di Galba reduci dalla Spagna e le truppe di Germani, Britanni ed Illiri assoldate da Nerone.
In Africa Trebonio Garuciano uccise Claudio Macro per ordine di Galba, in Germania fu ucciso Fonteio Capitone da Cornelio Aquino e Fabio Valente che agirono di propria iniziativa.
Nelle province: la Spagna era governata da Cluvio Rufo, poco esperto di cose militari, in Germania dopo la morte di Capitone le legioni erano prive di comandante.
Le legioni stanziate nelle province settentrionali disprezzavano il loro comandante Ordonio Flacco che era vecchio e gottoso. Nella Germania Meridionale, Galba inviò Vitellio. Le legioni in Britannia e quelle in Illiria erano quiete. Governava la Siria Licinio Muciano, personaggio notevole dotato di grandi capacità ma non privo di vizi.
In Giudea si combatteva ed il comandante romano era Vespasiano, non avverso a Galba.
Le altre province erano tutte rette da procuratori, pronti a servire il più forte. Lo stesso spirito vigeva in Italia quando Galba e Vinio assunsero il consolato.
Poco dopo giunse la notizia che le legioni della Germania Superiore chiedevano un altro imperatore, lasciando la scelta al popolo e al senato.
Mentre iniziava una nuova competizione per il potere imperiale (il console Vinio fu da subito sostenitore di Otone), Galba preoccupato per la situazione decise di adottare Calpurnio Pisone Frugi Liciniano, appartenente a nobile famiglia e imparentato con Pompeo e Crasso. Quando annunciò pubblicamente la sua decisione Galba non destinò donativi ai soldati come era consuetudine in simili circostanze. Probabilmente il gesto intendeva essere una severa punizione per le insubordinazioni ma, come osserva Tacito, un comportamento più generoso avrebbe certamente giovato alle fortune di Galba.
Si stabilì quindi di inviare agli eserciti sollevatisi in Germania degli ambasciatori che furono scelti da Galba con poca accortezza e si emanarono decreti per tentare di recuperare, almeno in parte, il tesoro che Nerone aveva sperperato.
Intanto liberti e cortigiani congiuravano contro l'anziano imperatore stringendosi intorno a Otone il quale, incoraggiato dagli indovini, si preparava a prendere il potere.
La sera del 14 gennaio tutto era pronto ma i congiurati ritennero pericoloso agire di notte e rimandarono l'azione. La mattina del 15, mentre Galba sacrificava, Otone si allontanò con una scusa e si recò al Foro dove fu proclamato imperatore dalla folla e dai soldati.
Quando la notizia giunse al palazzo imperiale, Pisone parlò con la coorte che era di guardia per procurare protezione all'imperatore e a se stesso e i sostenitori di Galba organizzarono la difesa mentre si spargeva la notizia falsa della morte di Otone.
Intanto Otone arringava alle legioni che lo avevano scelto per spronarle ad eliminare Galba e i suoi uomini. Presto i rivoltosi si scatenarono ed attaccarono il palazzo, invasero il Foro e il Campidoglio. Galba fu ucciso presso il Lago Curzio e il suo corpo fu fatto in pezzi; fu ucciso Tito Vinio e Pisone, benché ferito, cercò rifugio nel Tempio di Vesta ma venne trovato ed ucciso a sua volta.
I soldati insorti sfilarono la città recando le teste mozzate degli uccisi sulle punte delle lance.
Si nominarono nuovi prefetti del pretorio e la carica di prefetto della città fu conferita a Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, che l'aveva già detenuta sotto Nerone.
Alla sera i senatori accorsero per tributare onori e adulazione al nuovo imperatore mentre le vittime della rivolta venivano sepolte e onorate come possibile dai parenti.
Pisone aveva trentun'anni e la sua vita sotto Claudio e sotto Nerone aveva conosciuto molte disgrazie.
Tito Vinio aveva quarantasette anni, la sua era stata la vita torbida di un avventuriero con periodi di onore ed altri di vergogna, si era arricchito grazie all'amicizia di Claudio.
Galba moriva a settantatre anni, durante la vita aveva conosciuto la gloria militare e aveva retto con onestà prima l'Africa poi la Spagna, era stato felice sotto cinque imperatori ed infelice durante il proprio regno.
Intanto giunse la notizia che le legioni in Germania avevano proclamato imperatore Vitellio, notizia terribile perché significava l'inizio di una nuova guerra civile.
Vitellio era incoraggiato a prendere il potere dai suoi legati Fabio Valente e Aulo Cecina.
La rivolta aveva avuto inizio con le legioni quarta e diciottesima che avevano abbattuto le immagini di Galba, poco dopo Fabio Valente con la prima legione aveva raggiunto Vitellio a Colonia e lo aveva salutato imperatore.
Ancora una volta alla proclamazione dell'imperatore seguirono proscrizioni e condanne: molti sostenitori di Galba, o comunque potenziali avversari, furono giustiziati, con altri invece si usò clemenza per opportunismo o per paura. Fu il caso di Giulio Civile che vide confermata la grazia già accordatagli da Galba perché era capo dei Batavi, popolazione potente e bellicosa che incuteva timore.
Valerio Asiatico legato della Belgica, Giunio Bleso governatore della Gallia Lionese, Trebellio Massimo e Roscio Celio comandanti in Britannia passarono dalla parte di Vitellio.
Vitellio assegnò la guida all'esercito in Italia ai suoi legati Valente e Cecina.
Durante la marcia i soldati di Valente fecero una strage immotivata nel territori dei Treveri e procedendo non trovarono altre città che li accogliessero serenamente. Valente dovette anche ristabilire la disciplina quando scoppiò una contesa fra i legionari e gli ausiliari batavi. Tuttavia nel complesso, anche se i soldati avanzarono minacciando, derubando e ricattando i danni subiti dalle popolazioni civili furono relativamente contenuti.
Diversamente andò il trasferimento delle legioni guidate da Cecina che si scontrarono con gli Elvezi e ne fecero a pezzi molte migliaia. Dopo la sanguinosa battaglia Cecina rimise a Vitellio il destino dei superstiti e della loro capitale Aventico. L'eloquenza degli ambasciatori elvetici indusse Vitellio ad usare clemenza. Intanto giunse la notizia che molte città dell'Italia settentrionale erano favorevoli a Vitellio.
Da parte sua Otone aveva iniziato a governare e per mostrarsi magnanimo aveva perdonato Mario Celso, già sostenitore di Galba, e ne aveva fatto uno dei comandanti del suo esercito.
In quei giorni fu condannato a suicidarsi Tigellino, l'infame consigliere di Nerone che era riuscito a superare anche il regno di Galba procurandosi l'amicizia di Vinio. Si salvò invece dalle molte accuse Galvia Crispinilla, amante di Nerone poi passata in Africa dove aveva istigato Clodio Macro alla ribellione.
Inizialmente Otone e Vitellio si scambiarono lettere cortesi invitandosi l'un l'altro a non opporre resistenza e promettendosi onori e ricompense per passare poi agli insulti e quindi all'invio di sicari.
Mentre Vitellio organizzava la guerra, Otone governava come se fosse in pace varando provvedimenti e conferendo cariche. Fece rialzare le statue di Poppea e forse avrebbe riabilitato Nerone per conquistare la simpatia di una parte del popolo.
Approfittando della situazione interna dell'impero i Sarmati attaccarono la MesiaMesia e vi fecero scorrerie e saccheggi finché non furono massacrati dalla terza legione che, superiore per armamento e tecnica di combattimento, ebbe facilmente la vittoria.
Dalla parte di Otone si erano schierate la Dalmazia, la Pannonia, la Mesia, la Spagna, le province africane e gli eserciti di Siria e Giudea, Vitellio aveva le legioni della Germania Inferiore e Superiore, l'Aquitania, la Spagna e la Gallia Narbonese.
Quest'ultima provincia fu l'obiettivo che Otone decise di attaccare. Affidò l'organizzazione dell'impresa a Antonio Novello, Svedio Clemente e Emilio Pacense con la supervisione del suo liberto Osco. Scelse come comandanti Svetonio Paolino, Mario Celso e Annio Gallo, affidò il comando supremo a Licinio Proculo prefetto dei pretoriani.
Il 14 marzo 69 Otone partì con la sua armata dopo aver affidato il governo della città e dell'impero al fratello Salvio Tiziano.


LIBRO SECONDO

Tito figlio di Vespasiano era partito dalla Giudea per Roma per rendere visita a Galba ma giunto a Corinto era stato informato della morte dello stesso Galba e della guerra in corso fra Otone e Vitellio e dopo un momento di incertezza aveva deciso di tornare indietro.
Durante il viaggio di ritorno Tito visitò il tempio di Venere di Pafo ed interrogò l'oracolo ottenendo responsi favorevoli per se e per il padre. Tornato in Giudea trovò che Vespasiano e Muciano avevano sottomesso l'intera regione ma Gerusalemme resisteva ancora all'assedio.
Le legioni di Vespasiano e quelle di Muciano avevano già giurato fedeltà a Otone, i due comandanti alla morte di Nerone avevano deposto ogni rivalità e si erano accordati anche grazie all'efficace mediazione di Tito.
In quel periodo un oscuro personaggio, schiavo del Ponto e liberto italiano, sfruttò una certa somiglianza con Nerone per farsi passare per il defunto imperatore e trovare il modo di depredare la popolazione dell'isola di Citno. Smascherato da Aulo Calpurnio Asprenate governatore della Galazia e della Panfilia, fu messo a morte.
A Roma il ricco Vibio Crispo riuscì a far condannare il cavaliere Annio Fausto che era stato una spia di Nerone in base a una legge varata sotto Galba. Vibio Crispo, che era colpevole dello stesso comportamento, riuscì ad ottenere la condanna di Fausto e la propria incolumità corrompendo giudici e senatori.
L'inizio della guerra fu incoraggiante per Otone che vide riunirsi sotto il suo comando la moltitudine dei soldati delle legioni che gli avevano giurato fedeltà. Tuttavia non tutti i suoi ufficiali erano in grado di mantenere la disciplina e si verificarono molti abusi e atti di violenza dei soldati ancora in territorio italiano. Per rappresaglia contro i tentativi di resistenza della popolazione ligure, i soldati di Otone in marcia verso la Gallia Narbonese devastarono Ventimiglia e ne massacrarono gli abitanti.
La prima battaglia fu vinta dagli otoniani e le legioni di Vitellio subirono gravi perdite.
Il procuratore della Corsica Decimo Pacario che odiava Otone decise di portare aiuto a Vitellio ed indisse un reclutamento forzato ma gli isolani non gradirono l'iniziativa ed uccisero Pacario ed i suoi collaboratori.
Nonostante gli inizi favorevoli per Otone, la gente in Italia era stanca di combattare e le truppe di Cecina occuparono facilmente la Pianura Padana.
A Piacenza un modesto gruppo di soldati Batavi sparse il panico e si diffuse la voce non vera che fosse arrivato Cecina in persona con un grosso esercito. Spurina che aveva il comando delle forze di Otone a Piacenza fortificò la città dopo aver pazientemente dissuaso i suoi soldati a non compiere azioni avventate.
Quando Cecina giunse veramente assediò Piacenza che resistette validamente tanto che i vitelliani ripassarono il Po puntando su Cremona. Spurina avvertì Annio Gallio che sopraggiungeva in suo soccorso e Gallo deviò per intercettare Cecina e si fermò a Bedriaco fra Verona e Cremona.
La prima battaglia fu vinta dagli otoniani grazie a Celso che manovrò abilmente le sue forze mettendo gli avversari in gravi difficoltà, tuttavia Svetonio Paolino non fu altrettanto abile e rapido e fornì al nemico il modo di portarsi al sicuro contenendo le perdite.
Intanto a Pavia i Batavi che militavano nell'esercito di Valente si ribellarono contro il loro comandante accusandolo di aver sottratto loro dei bottini conquistati e furono sedati da Alfeno Varo che facendogli credere che Valente fosse morto li pose a confronto con la loro incapacità di agire senza un comandante.
Otone si confrontò con i suoi più stretti collaboratori: i tre comandanti Svetonio Paolino, Celso e Gallo consigliarono di temporeggiare mentre Tiziano e Licinio Proculo insistettero per combattare subito. Otone accettò il consiglio dei secondi. Decise anche di ritirarsi a Brescello e non prendere parte ai combattimenti e questo fu, secondo Tacito, un errore fatale perché i soldati si fidavano solamente di lui. Otone assegnò a Flavio Sabino il comando dei soldati che avevano in precedenza obbedito a Claudio Macro e ordinò a Vestricio Spurina di lasciare una guardia a Piacenza e unirsi all'esercito contro i vitelliani.
La battaglia di Bedriaco viene descritta da Tacito in modo molto drammatico, alla fine i vitellini prevalsero e fecero strage degli avversari perché non si fanno prigionieri nelle guerre civili.
L'indomani della battaglia gli otoniani proposero la pace e i vitelliani accettarono ed insieme piansero le comuni miserie e gli orrori della guerra. Quanti portarono la notizia della sconfitta ad Otone cercarono di confortarlo e di convincerlo a resistere insistendo sul coraggio e sulla fedeltà dei suoi soldati, ma Otone nobilmente affermò che la sua vita non valeva quanto quella dei troppi soldati che sarebbero caduti se la guerra non avesse avuto fine e, congedati quanti erano con lui, si concesse una notte di quiete. All'alba si tolse la vita con un pugnale. Aveva trentasette anni, era nato a Ferente, suo padre era stato console, suo nonno pretore.
A Roma i senatori si affrettarono a adulare Vitellio mentre i volsati vincitori sparsi per l'Italia si davano al saccheggio e alla violenza contro la popolazione. Vitellio, che ancora non sapeva di aver vinto, era in Gallia e tentava di reclutare altre forze, ma una volta informato mosse verso Roma.
In Africa il procuratore Lucio Albinio venne ucciso e le considerevoli forze che aveva a disposizione passarono a Vitellio. Vitellio fece sosta a Lione dove elogiò pubblicamente Cecina e Valente e fece sopprimere tutti i centurioni fedeli a Otone.
Svetonio Paolino e Licinio Proculo riuscirono a convincere Vitellio di aver tradito Otone e furono assolti. Salvio Tiziano venne scusato in quanto fratello di Otone e ritenuto non pericoloso, Mario Celso fu confermato nel consolato.
Vitellio cacciò da Roma gli indovini e proibì ai cavalieri di recitare. Fece ammazzare Dolabella che Otone aveva confinato a Aquino.
Marco Cluvio Rufo governatore della Spagna era stato calunniato da un liberto ma Vitellio ne ebbe fiducia e confermò la sua carica. Rimosse invece Trebellio Massimo dal governo della Britannia sostituendolo con Vettio Bolano.
Preoccupato per la forza della XIV legione rimasta fedele a Otone, la trasferì in Britannia con i Batavi e l'antica rivalità fra questa legione e i Batavi provocò alcuni incidenti. Trasferì alcune legioni in Spagna ed altre ne destinò a fabbricare teatri a Cremona e Bologna.
Vitellio era dedito all'ozio e alla crapula e il suo atteggiamento spesso era imitato dai soldati e in questa situazione era facile che scoppiassero liti e risse.
Lucio Vitellio, fratello del neoimperatore, per evitare questi disordini rimandò alle loro case i Batavi e gli ausiliari galli. Per problemi di liquidità gli effettivi dell'esercito vennero ridotti e si presero varie misure di questo genere senza rendersi conto che le difese venivano compromesse.
Vitellio si recò a Cremona per assistere ai festeggiamenti organizzati da Cecina e volle visitare le piana di Bedriaco dove ancora giacevano molti corpi in putrefazione, i caduti della battaglia di quaranta giorni prima.
Assistette quindi alla festa di Fabio Valente a Bologna dove si esibivano istrioni ed eunuchi già tanto cari a Nerone.
Le legioni d'oriente giurarono fedeltà a Vitellio con molta perplessità perché sollecitavano Vespasiano a prendere il potere. Dal canto suo Vespasiano, che era già sessantenne, era indeciso sul da farsi. In particolare Muciano si disse pronto a sostenere Vespasiano e a combattere per lui, subito imitato da molti ufficiali delle legioni sulle quali Vespasiano poteva contare. Del resto anche i responsi degli indovini gli erano favorevoli.
Il primo di luglio Tiberio Alessandro comandante in Egitto fece giurare ai suoi soldati fedeltà a Vespasiano, poco dopo le legioni in Giudea giurarono spontaneamente al cospetto dello stesso Vespasiano. Prima della metà di luglio giurarono anche tutti i soldati di Muciano stanziati in Siria.
Antioco e la regina Berenice si schierarono con Vespasiano. Si tenne un consiglio di guerra a Berito, si offrirono donativi alle truppe e si organizzò l'impresa, si raccolsero finanziamenti dai sostenitori.
Anche le legioni di Pannonia passarono a Vespasiano, istigate da Antonio Primo. Questi era stato condannato sotto Nerone e riabilitato sotto Galba, ignorato da Otone, quando fu in grado di prevedere la fine di Vitellio si mise a disposizione di Vespasiano.
Il giovane Cornelio Fusco procuratore in Dalmazia, già sostenitore di Otone, passò a Vespasiano con tutto il suo entusiasmo e coraggio ed aggiunse così le forze dell'Illirico a quelle della Mesia e della Pannonia.
Intanto Vitellio procedeva lentamente verso Roma facendo continue soste, seguito da sessantamila soldati oltre a cortigiani e schiavi. L'entrata in città attraverso Ponte Milvio avvenne tuttavia con grande solennità, con Vitellio che avanzava in toga circondato dalle insegne delle sue legioni.
Publio Sabino e Giulio Prisco furono nominati rispettivamente comandante dei pretoriani e colonnello di una coorte.
Vitellio iniziò a governare in modo inetto lasciando mano libera ai suoi collaboratori Valente e Cecina fra i quali covava una certa rivalità, anche ai soldati veniva lasciata eccessiva libertà.
Fra i soldati germanici e gallici si diffusero malattie a causa del clima al quale non erano abituati e all'uso di bagnarsi nelle acque del Tevere, le finanze statali languivano e Vitellio non era in grado di versare i donativi ma continuava a sperperare denaro per giochi e spettacoli. In pochi mese diede fondo a un patrimonio dedicandosi solo al piacere senza pensare ad altro.
La prima notizia di ribellione giunta a Roma riguardava la terza legione e Vitellio tentò di minimizzarla di fronte ai soldati ma chiamò nuovi aiuti dalla Germania, dalla Spagna e dalla Britannia, sempre tentando di dissimulare la necessità.
Le diserzioni e i tradimenti divennero frequenti e presto fu chiaro che Vespasiano conosceva tutti i segreti di Vitellio ma non viceversa. Cecina partì per primo, Valente poco dopo ma l'esercito germanico che uscì da Roma non sembrava più lo stesso tanto l'ozio e il piacere lo avevano indebolito.
Raggiunta Padova Cecina si accordò con Lucilio Basso, un altro degli alti ufficiali di Vitellio, e insieme tradirono decisi a passare a Vespasiano.



LIBRO TERZO

Fra gli ufficiali di Vespasiano, Antonio Primo era dell'opinione di attaccare senza indugio contando sulle capacità e sulla fedeltà delle legioni flaviane e riscuoteva il consenso e la fiducia dei soldati. Anche Cornelio Fusco era deciso ad agire mentre l'anziano Tito Ampio Flaviano titubava provocando qualche sospetto.
Si misero in sicurezza le province che durante la guerra avrebbero potuto ribellarsi affidandone la sorveglianza agli Svevi, gente fedele ai Romani.
Antonio Primo e Arrio Varo entrarono molto rapidamente in Italia, occuparono Aquileia, quindi Este e Padova dove sconfissero tre coorti di Vitellio. Vespasiano aveva ordinato di non procedere oltre fino all'arrivo di Muciano perché, controllando i granai d'Egitto, sperava che il nemico si arrendesse per mancanza di viveri.
Antonio Primo conquistò Vicenza e si fermò presso Verona, non lontano dal campo di Cecina. I due comandanti si scambiavano lettere mentre le forze di Vespasiano venivano accresciute dall'arrivo delle legioni di Apanio Saturnino, di Dillio Aponiano e di Numisio Lupo e circondavano completamente Verona.
In quei giorni l'ira dei soldati si scatenò contro Tito Ampio Flaviano che fu accusato di essere sostenitore di Vitellio e fu salvato dal linciaggio solo da un coraggioso intervento di Antonio Primo. Analoga vicenda toccò a Apanio Saturnino che si salvò con la fuga e il comando dell'esercito rimase al solo Antonio Primo.
Anche fra le file di Vitellio covavano sospetti e discordie. Gli uomini della flotta di Ravenna si ribellarono al loro comandante Lucilio Basso e passarono a Vespasiano affidandosi a Cornelio Fusco.
Cecina tradì Vitellio e fece giurare fedeltà a Vespasiano a una parte dei soldati e degli ufficiali ma il resto dell'esercito si oppose, incatenò Cecina ed elesse altri comandanti.
Antonio Primo, venuto a conoscenza di questi eventi, decise di attaccare prima che l'ordine fosse ristabilito nel campo di Cecina e che Fabio Valente potesse giungere da Roma.
Arrio Varo, tuttavia, desideroso di guadagnare gloria personale, agì troppo presto e si trovò in grave difficoltà, lo soccorse Antonio Primo che con grande valore riuscì a capovolgere l'andamento della battaglia a proprio favore. Quando sopraggiunse anche Vipsanio Messalla con gli ausiliari della Mesia che combattevano per Vespasiano i vitelliani fuggirono a cercare rifugio nelle mura di Cremona, non lontano dal luogo dove era iniziato lo scontro.
Antonio non li inseguì per non affaticare ulteriormente i suoi uomini, a quanti insistevano per attaccare Cremona e costringere i nemici alla resa (ma il loro vero scopo era saccheggiare la città) rispose che si doveva attendere il giorno seguente per evitare le insidie della notte.
Furono invece i vitelliani a tentare di forzare l'accerchiamento nemico in piena notte e ne nacque una furiosa battaglia combattuta alla luce della luna. Tacito descrive magistralmente gli scontri, l'assalto degli assedianti in formazione a testuggine, la difesa dei vitelliani che dalle mura scagliano massi e frecce, infine l'entrata in città e la resa dei vitelliani.
Cecina, che era ancora in catene, fu liberato e mandato a trattare con i vincitori ma Antonio Primo lo fece portare a Vespasiano.
I vincitori odiavano i Cremonesi perché avevano aiutato Vitellio contro Otone, inoltre la ricca città e la grande fiera che vi si teneva in quei giorni stimolavano la cupidigia. Antonio tentò di tenere a freno i soldati ma quando pronunciò una frase che poteva essere fraintesa si scatenò la strage. Il saccheggio di Cremona durò quattro giorni e alla fine la città fu data alle fiamme.
Intanto Vitellio, sempre dedito all'ozio e alla crapula, non si preoccupava della situazione fiducioso che bastasse aver inviato Valente e Cecina a fronteggiare l'esercito del rivale. Anche quando, durante un soggiorno ad Ariccia, ebbe la notizia delle defezioni di Lucilio Basso e di Cecina si limitò ad inveire in senato contro i traditori.
In quel periodo morì Giunio Bleso fatto avvelenare da Vitellio che lo sospettava di sostenere Vespasiano.
Valente, che marciava lentamente accompagnato da eunuchi e prostitute, trovò a Ravenna la strada sbarrata dal nemico e il tradimento di Basso lo aveva privato anche delle navi, decise quindi di passare in Umbria e in Toscana per raggiungere via mare la Gallia Narbonense.
Mentre Cornelio Fusco conquistava per Vespasiano Rimini, l'Umbria e parte delle Marche, Valente giunse a Monaco Marittima che era rimasta fedele a Vitellio. La Gallia Narbonense, tuttavia, era in mano ai flaviani e Valente si imbarcò di nuovo ma naufragò a largo di Marsiglia e fu catturato dal procuratore Valerio Paolino, sostenitore di Vespasiano.
Subito dopo le legioni della Spagna, delle Gallie e della Britannia passarono a Vespasiano. In Britannia approfittò della situazione un certo Venuzio per tentare di impadronirsi del trono della tribù dei Briganti che era occupato dalla sua ex moglie Cartimandua e dal nuovo marito di lei Vellocato. Venuzio era al secondo tentativo, la prima volta era stato sconfitto dai Romani chiamati in aiuto dalla regina.
Anche in Germania si verificarono problemi a causa dei Daci che tentarono una ribellione ma furono subito repressi da Muciano.
Nel Ponto il liberto Aniceto, già ammiraglio del re Polemone, occupò Trebisonda e uccise cinquecento soldati del re, prima di darsi a correre il mare praticamente indisturbato perché Muciano aveva trasferito la flotta romana a Costantinopoli. Vespasiano inviò Virdio Gemino il quale sconfisse rapidamente Aniceto e i suoi pirati.
In Egitto Vespasiano, informato degli eventi di Cremona e degli altri fronti, decise che era giunto il tempo di iniziare la grande offensiva e, recatosi ad Alessandria, bloccò tutti gli approvvigionamenti verso l'Italia.
Mentre si esploravano gli Appennini per decidere quale fosse il valico più adatto per entrare nel dominio di Vitellio, cresceva la gelosia fra Muciano, che temeva di non avere il ruolo primario nella guerra, e Primo e Varo che erano impazienti di agire per far loro la gloria della vittoria.
Vitellio si ostinava a ignorare il pericolo e proibiva che se ne parlasse, sembra che facesse uccidere i suoi stessi esploratori mandati a spiare il nemico per impedir loro di divulgare informazioni. Quando finalmente decise di agire mandò Giulio Prisco e Alfeno Varo con una grande armata a presidiare l'Appennino mentre suo fratello Lucio Vitellio con altre coorti sorvegliava Roma.
Infine egli stesso scese in campo, seguito da molti senatori, e sostò a Bevagna in Umbria. Poco dopo, spaventato da cupi prodigi e dalla notizia della ribellione dell'armata di Miseno, l'imperatore tornò a Roma.
Per risolvere la ribellione di Miseno, Vitellio inviò Claudio Giuliano che era già stato comandante di quell'armata, ma anche Claudio Giuliano passò a Vespasiano e occupò Terracina. Intorno a Vitellio, abbandonato dagli amici e dai suoi collaboratori, andava facendosi il vuoto.
Petilio Ceriale, prigioniero dei vitelliani, riuscì a fuggire e raggiunte le forze flaviane sull'Appennino ne divenne uno dei capi. Varo conquistò Terni sconfiggendo il presidio vitelliano, poco dopo Prisco e Alfeno disertarono.
Fu ucciso Fabio Valente che era prigioniero in Urbino e la sua testa venne esibita per sfatare la diceria che fosse fuggito in Germania per reclutare nuove forze.
Molti soldati vitelliani a quel punto cambiarono fronte e Primo e Varo scrissero più volte a Vitellio proponendogli la resa e promettendogli l'incolumità. Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, era incitato da una parte degli avversari di Vitellio a tentare di impadronirsi del potere approfittando della situazione ancora incerta ma non volle agire contro il fratello e si limitò a trattare con Vitellio per indurlo ad arrendersi pacificamente.
Da parte sua Vitellio avrebbe accettato ma i suoi più stretti collaboratori lo mettevano in guardia contro al dubbia affidabilità delle promesse dei vincitori. Quando Vitellio annunciò che avrebbe abdicato il popolo si oppose commosso, ma i partigiani di Vespasiano spinsero Sabino a prendere il controllo.
Seguì uno scontro vinto dai vitelliani e Sabino, che era anziano e spaventato, si rifugiò sul Campidoglio con i suoi soldati e con il nipote Domiziano. I vitelliani assediarono Sabino mentre Vitellio rimaneva nel palazzo in preda alla paura e alla confusione. Privi di capo, gli assedianti agirono senza controllo e portando i loro attacchi agli augusti edifici del Campidoglio incendiarono il tempio di Giove Ottimo Massimo, fatto inaudito perché per la prima volta quel sacro luogo veniva colpito dalla violenza delle guerre civili.
I vitelliani catturarono vivi Flavio Sabino e il console Quinzio Attico e li portarono a Vitellio mentre Domiziano riuscì a fuggire con l'aiuto di un liberto. Vitellio non avrebbe ucciso Sabino ma non riuscì a contenere il furore della folla e Sabino fu lapidato e decapitato, il suo corpo trascinato alle Gemonie. Fu invece graziato Attico perché con la falsa confessione di aver incendiato il tempio ne discolpò i vitelliani.
Lucio Vitellio prese Terracina uccidendo molti flaviani fra cui Giuliano, intanto l'esercito di Vespasiano sostava a Otricoli in attesa di Muciano ma quando giunse la notizia dell'assedio del Campidoglio Antonio Primo mise in marcia l'esercito e percorrendo la via Flaminia durante la notte giunse ai Sassi Rossi dove seppe che Sabino era già morto e il Campidoglio devastato dal fuoco.
Vitellio inviò ambasciatori proponendo trattative ma Antonio rispose che la morte di Sabino e l'incendio del Campidoglio avevano precluso qualunque possibilità di accordo, tuttavia ordinò ai soldati di sostare un giorno a Ponte Milvio nella speranza di calmare gli animi per evitare abusi e atti di violenza in città.
I flaviani penetrarono in città lungo le rive del Tevere e lungo la via Salaria, quindi si combattè per tutto il giorno in molti quartieri mentre la plebaglia ne approfittava per rubare nelle case. Caduta Roma in mano all'esercito di Vespasiano, Vitellio decise di tentare la fuga verso Terracina ma poi, preso dal panico, tornò al palazzo dove fu catturato da un tribuno ed esposto ai soldati che lo malmenarono e lo precipitarono nelle Gemonie, dove era stato gettato il corpo di Sabino.



LIBRO QUARTO

Morto Vitellio i vincitori scatenarono la violenza sulla cittadinanza e soddisfecero la loro cupidigia saccheggiando le case dei ricchi.
Domiziano occupò la casa di Cesare, Antonio Primo si approprio del denaro e degli schiavi di Vitellio. Lucio Vitellio che rientrava da Terracina quando seppe della fine del fratello si arrese insieme ai suoi soldati. Furono incarcerati e Lucio Vitellio venne poi ucciso nonostante la resa.
Il senato rese onore a Vespasiano e lo nominò console insieme a Tito mentre a Domiziano veniva conferita la pretura. Furono tributati onori anche a Muciano, Antonio Primo, Cornelio Fusco e Arrio Varo.
Fra i senatori si distinse Elvidio Prisco che rivolse a Vespasiano un discorso privo di adulazione. Tacito traccia un breve profilo del personaggio. Nativo di Terracina, studiò filosofia con grande profitto. Fu suocero di Trasea Peto e quando questi cadde in disgrazia sotto Nerone fu esiliato. Riabilitato da Galba, fu in contrasto con Marcello Eprio accusatore di Trasea Peto. In occasione dell'arrivo di Vespasiano i due rivali disputarono sulla scelta degli ambasciatori che dovevano andare incontro al nuovo imperatore. Infine il senato decise i estrarre a sorte i nomi degli ambasciatori.
Mentre la città attendeva il nuovo imperatore arrivò Muciano e subito si comportò da principe diminuendo il potere di Antonio Primo e di Arrio Vario. Eliminò Asiatico e fece uccidere Calpurnio Galeriano, figlio di Calpurnio Pisone, della cui popolarità era geloso. L'esecutore di Giulio Prisco prefetto del pretorio si uccise per la vergogna.
Dalla Germania giungevano notizie di guerra. Si trattava dei Batavi, una popolazione che aveva fatto parte dei Catti, era stata cacciata ed aveva occupato un'isola sulla foce del Reno. Erano ottimi soldati e cavalieri, alleati di Roma fornivano uomini e avevano preso parte alle campagne in Germania e in Britannia.
Giulio Paolo e Giulio Civile erano dei Batavi di sangue reale. Fonteio Capitone, con una falsa accusa di ribellione, uccise il primo e mandò il secondo a Roma in catene. Liberato da Galba, Giulio Civile si era finto sostenitore di Vespasiano e aveva trattenuto presso di se gli aiuti destinati a Vitellio, come per altro ordinatogli da Antonio Primo e Ordeonio Flacco.
. Il reclutamento preteso dai Romani era in quel periodo molto forte e Giulio Civile lo usò come principale argomento per spingere la sua gente alla ribellione. Passò quindi a coinvolgere le genti vicine, i Canninefati e i Frisoni e iniziarono le ostilità contro i mercanti romani che si trovavano nella regione.
In un primo momento Giulio Civile finse di non avere parte nella rivolta e di essere ancora amico dei Romani, ma una volta che il suo inganno fu scoperto scese direttamente in campo contro le legioni.
I rivoltosi affrontarono i Romani sul Reno, catturarono molte navi nemiche con le quali risalirono il fiume cercando nuove alleanze. Ordeonio Flacco ordinò al legato Mummio Luperco di attaccare Civile con due legioni e Luperco fu sconfitto anche a causa della diserzione dei Batavi che militavano nelle sue file.
Anche Erennio Gallo, legato della prima legione che avrebbe dovuto fermare i Batavi a Bonna venne sconfitto perché le sue forze comprendevano un gran numero di Belgi che fuggirono di fronte al nemico.
Civile fece giurare ai suoi fedeltà a Vespasiano per dissimulare le proprie intenzioni, quindi passò ad assediare il campo delle legioni romane già sconfitte in battaglia che erano in grave difficoltà per carenza di viveri. Ordeonio Flacco (che era in contatto con Vespasiano) temporeggiava per costringere le legioni di Vitellio a rimanere in Germania impegnate contro i Batavi, ma i suoi soldati lo costrinsero a cedere il comando a Dillio Vocula.
Giunto a Novaesium (attuale Neuss), Vocula raggiunse la legione tredicesima ed Erennio Gallo con il quale stabilì il campo presso Gelduba (Krefeld). Subita una sconfitta, i soldati ne attribuirono la responsabilità a Ordeonio Flacco e lo avrebbero ucciso se non fosse sopraggiunto Vocula a salvarlo.
Intanto Civile raccoglieva nuove alleanze e faceva strage delle genti germaniche rimaste fedeli ai Romani. Vocula combattè a lungo contro Civile per liberare le legioni assediate ma i suoi soldati erano scontenti e la disciplina precaria. Arrivarono la quinta e la quindicesima legione per aiutare Vocula ma i soldati pretesero un donativo che Ordeonio Flacco elargì a nome di Vespasiano. Nei festeggiamenti che seguirono molti si ubriacarono e uccisero Flacco mentre Vocula fuggiva dal campo.
Intanto a Roma i consoli Vespasiano e Tito erano ancora assenti e Muciano, geloso di Antonio Primo e di Arrio Varo, inviò varie legioni nelle province per indebolirli.
Domiziano, nuovo pretore, si presentò al senato e si svolsero alcune inchieste su senatori e cittadini che erano stati spie di Nerone o di Vitellio. Subito si riaprirono aspre polemiche fra i senatori che erano stati favorevoli o contrari ai precedenti principati, fu lite fra Vipsanio Messalla (difensore del fratello Aquilio Regolo) e Curzio Montano e nella lite furono coinvolti Elvidio Prisco, Eprio Marcello, Vibio Prisco ed altri.
A questo punto Domiziano e Muciano proposero di ristabilire la pace chiudendo d'ufficio tutte le vecchie contese e i vecchi processi e il senato approvò la proposta.
In Africa il legato Valerio Festo fece uccidere il proconsole Lucio Pisone (console 57 d.C.).
Quando Vespasiano fu informato della fine di Vitellio rifiutò cortesemente gli aiuti offertigli dal re dei Parti Vologese e salpò per Roma. Il 21 giugno 70 fu consacrato con solenne cerimonia il nuovo tempio sul Campidoglio ricostruito identico al precedente come indicato dagli indovini.
La notizia della morte di Vitellio e quella della distruzione del Campidoglio aiutarono Giulio Civile a stringere alleanza con capi della Gallia: Classico e Giulio Tutore dei Treveri, Giulio Sabino dei Lingoni.
I Galli sostarono presso il campo romano e tentarono di convincere i soldati a unirsi a loro. Vocula che, ovviamente, si opponeva venne ucciso per ordine di Classico. A questo punto i soldati assediati si arresero e giurarono fedeltà ai Galli pur di aver salva la vita ma quando furono a qualche distanza dal campo vennero raggiunti e trucidati dai Germani. Non è chiaro quale responsabilità abbia avuto Civile in proposito.
Mummio Luperco fu inviato a trattare l'alleanza con Veleda regina e sacerdotessa dei Bructeri ma venne ucciso lungo il cammino.
La città di Colonia Agrippina, ricca e cresciuta grazie alla collaborazione dei Romani, era odiata da molte genti della Germania e rischiò di essere distrutta, si salvò unendosi alle schiere dei Batavi e riconoscendo l'autorità di Civile e di Velleda.
Il batavo Claudio Labeone tentò senza successo di fermare l'avanzata di Civile, suo avversario personale, con l'aiuto di Tungri, Betasii e Nervi. Giulio Sabino tentò di proclamarsi imperatore, sconfitto dai Sequani fuggì e visse in incognito per molti anni.
Muciano e Domiziano cominciarono a concentrare le legioni per attaccare i ribelli e a questa notizia gran parte dei Galli si ritirarono dall'impresa.
Petilio Ceriale, comandante dell'esercito romano, si portò rapidamente a Rigodulum (oggi Riol) dove si era attestata un'armata di Treveri comandati da Tullio Valentino. Sconfitto Valentino che fu più tardi consegnato a Muciano e condannato a morte, Ceriale entrò nel territorio dei Treveri dove accolse due legioni sbandate che erano state costrette ad arrendersi ai Batavi.
I Germani erano in disaccordo, Civile voleva attendere altri rinforzi, Classico e Tutore preferivano combattere subito per evitare che altre legioni raggiungessero Ceriale. Prevalse la seconda opinione.
L'attacco notturno dei Germani fu improvviso e portò il panico nel campo romano. Ceriale si espose coraggiosamente per trattenere i soldati che volevano fuggire e riprese il controllo della situazione. Superato il momento di smarrimento i Romani combatterono valorosamente e conquistarono la vittoria, quindi accorsero in aiuto degli Agrippinesi minacciati dalle forze di Giulio Civile.
Muciano fece uccidere il figlio di Vitellio per evitare che in futuro creasse problemi, Antonio Primo si presentò a Vespasiano ma non fu accolto come aveva previsto a causa delle calunnie di Muciano.
Vespasiano trascorse l'estate in Alessandria attendendo i venti favorevoli. Durante il soggiorno consultò oracoli e visitò templi fra cui quello di Serapide. Su questo dio Tacito introduce una digressione riferendo la tradizione che lo voleva originario della città di Sinope ed altre che lo identificavano con Osiride o con Giove.
Domiziano tentò di convincere Ceriale a cedergli il comando e la gloria della vittoria ma vedendosi trattato come un ragazzo dagli anziani finse di disinteressarsi alle vicende politiche e di dedicarsi agli studi.



LIBRO QUINTO

Sul principio del nuovo anno (70 d.C.) Tito, che era stato incaricato dal padre di sottomettere la Giudea, organizzò il suo esercito con tre legioni di Vespasiano, due della Siria e venti coorti di ausiliari ed entrò nel paese accampandosi presso Gerusalemme.
Tacito parla dell'origine dei Giudei che, si credeva, provenivano da Creta e prendevano il nome dal monte Ida (Idei - Giudei). Altre tradizioni li dicevano emigrati dall'Egitto, dall'Etiopia o dall'Assiria in tempi antichissimi. Ma la versione più diffusa diceva che furono cacciati dall'Egitto perché l'oracolo di Ammone li aveva indicati come responsabili di un'epidemia di lebbra. Vagarono a lungo nel deserto seguendo il loro capo Mosè il quale, notando un gregge d'asini selvatici, scoprì una sorgente salvandoli dalla morte per sete. Dopo sei giorni di cammino raggiunsero il paese che chiamarono Giudea e vi si insediarono cacciandone gli abitatori.
Tacito descrive rapidamente anche i costumi e i riti dei Giudei notando che sacrificavano animali sacri ad altre religioni, santificavano il sabato ed erano ostili a tutti gli stranieri mentre erano fra loro molto solidali.
Adorano un unico dio che non rappresentano mai visivamente. Il loro paese confina con l'Arabia a est, l'Egitto a sud, la Fenicia e il mare a ovest e la Siria a nord.
Dal monte Libano nasce il fiume Giordano che termina il suo corso in un grande lago salato e ricco di bitume. La capitale è Gerusalemme con tre cerchie di mura e il Tempio dalle infinite ricchezze. I Giudei furono sotto il dominio di Antioco il quale tentò senza risultato di far loro cambiare costumi e religione. Il primo romano a vincere i Giudei fu Pompeo che distrusse Gerusalemme ma risparmiò il Tempio. Più tardi la Giudea fu conquistata da Pacoro re dei Parti che venne ucciso da Publio Ventidio.
Caio Sosio soggiogò i Giudei e Antonio nominò loro re Erode. Quieti sotto Tiberio si ribellarono a Caligola che voleva imporre il suo culto. Sotto Claudio il paese, governato da procuratori romani, rimase relativamente tranquillo fino alla ribellione contro Gessio Floro e contro il legato in Siria Cestio Gallo. Nerone inviò Vespasiano che conquistò la Giudea eccetto Gerusalemme e nel terzo anno di guerra affidò la situazione a Tito per occuparsi della guerra civile in Italia.
Tito assediava Gerusalemme e i difensori avevano tre comandanti: Simone, Giovanni Bargiora e Eleazaro, ma nacquero discordie e Giovanni fece uccidere Eleazaro.
Intanto Civile, dopo la rotta a Treviri, aveva riorganizzato il suo esercito a Castra Vetera dove il Reno forniva difese naturali e un ambiente più adatto ai Batavi che ai Romani.
Quando si cominciò a combattere, infatti, molti romani appesantiti dalle armi annegarono nelle acque del fiume. Dal canto loro i Germani non osarono superare il fiume e la battaglia finì senza significativi risultati. La giornata successiva fu invece favorevole ai Romani, anche se non decisiva.
Ceriale prese segretamente contatto con Civile per convincerlo a deporre le armi promettendogli il perdono e la pace per i Batavi, del resto la durata della guerra e le prospettive di sconfitta stavano alienando a Civile il sostegno del suo popolo. Anticipando le mosse dei suoi avversari Civile chiese a Ceriale un incontro per concludere la pace.
Il racconto originale di Tacito si interrompe a questo punto, il resto è stato variamente ricostruito in base a frammenti ed altre testimonianze.
I Lingoni aderirono alla pace conclusa dai Batavi, i Sarmati continuarono a combattere finché non furono sconfitti da Rubrio Gallo inviato da Vespasiano.
In primavera Tito agì per concludere l'assedio di Gerusalemme e dopo quattro giorni di durissimi combattimenti si impadronì della Torre Antonia. Tuttavia i Giudei non si arresero e nonostante la preponderanza dei Romani, il terrore che incuteva la vista delle legioni schierate, la fame e la sete, continuarono a combattere con ogni mezzo.
Il terzo giorno i Romani spianarono la Torre Antonia e Tito propose la resa agli assediati promettendo di preservare il Tempio. La proposta fu respinta e i Romani tentarono senza successo un primo assalto notturno al Tempio.
Nel tentativo di salvare il Tempio, Tito ordinò che se incendiassero le sole porte, ma nei combattimenti che seguirono tutto l'edificio fu devastato dal fuoco. Finalmente vincitore, Tito venne salutato imperatore dai soldati e, lasciando a Lucilio Basso il compito di perfezionare la conquista della Giudea partì per Cesarea.
Vespasiano e Tito si ritrovarono a Roma dove celebrarono il trionfo. Furono chiuse le porte del tempio di Giano e Vespasiano consacrò un nuovo tempio della Pace, quindi padre e figlio si dedicarono a riformare i costumi dei Romani.