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PLUTARCO DI CHERONEA
VITE DI
TIMOLEONTE
E
PAOLO EMILIO
TIMOLEONTE
Dione
fu ucciso dopo aver cacciato
Dionisio
tiranno di
Siracusa
e i suoi sostenitori furono presto in contrasto tra loro.
Il resto dell'isola era nel caos a causa delle guerre, molte città erano state smantellate e altre erano nelle mani di soldati senza salario.
Dopo dieci anni dalla sua cacciata il figlio
Dionisio il Giovane
tornò a
Siracusa
e riprese il potere, i
Siracusani
suoi avversari si rivolsero a
Iceta tiranno di Leontini
e lo nominarono loro comandante considerandolo affidabile perché siracusano di origine e dotato di valide forze militari.
Nel frattempo arrivò in
Sicilia
una grande flotta cartaginese e i
Siciliani
mandarono legati in
Grecia
per chiedere aiuto a
Corinto
, città che solitamente rispondeva alle richieste di soccorso delle sue colonie.
Iceta
, che mirava a impadronirsi di
Siracusa
, aprì trattative segrete con i
Cartaginesi
e inviò suoi rappresentanti con la delegazione a
Corinto
per tentare di boicottare la missione.
I
Corinzi
risposero positivamente alla richiesta e nominarono
Timoleonte di Timodemo
comandante dei soccorsi per
Siracusa
.
Timoleonte
, figlio di Timodemo e Demarista, apparteneva a una famiglia agiata, era di indole tranquilla ma detestava i tiranni, mostrò sempre grande senno, forza e valore.
Aveva un fratello maggiore di nome
Timofane
che non gli somigliava: era bellicoso e sperava di farsi sovrano della città. Conquistò il favore dei concittadini che gli affidavano funzioni di comando militare nel cui svolgimento si mostrava feroce e impetuoso. In una battaglia contro gli
Argivi
nella quale aveva il comando della cavalleria fu disarcionato e, circondato dai nemici, fu salvato da
Timoleonte
che lo difese con il suo scudo e lo portò in salvo subendo molti colpi e ferite. In seguito i
Corinzi
assoldarono quattrocento mercenari e ne affidarono il comando a
Timofane
il quale ne approfittò per assoggettare la città e proclamarsi tiranno dopo aver fatto morire numerosi cittadini.
Timoleonte
tentò ogni mezzo per ridurre il fratello a più miti consigli ma fu sempre respinto e disprezzato e in una discussione in cui partecipavano amici di
Timoleonte
,
Timofane
fu ucciso (
Plutarco
precisa che
Timofane
non partecipò personalmente all'assassinio ma ne fu testimone).
Una parte dei concittadini apprezzò l'evento e lodò l'amore per la libertà dimostrato da
Timofane
, altri invece deprecarono il fraticidio ed accusarono
Timofane
di empietà, fra questi era la madre dei due fratelli che lo malediceva con orrende imprecazioni.
Timoleonte
fu colto dalla disperazione e tentò di lasciarsi morire di fame, gli amici lo dissuasero ma egli decise di continuare a vivere in solitudine, lontano dalla vita cittadina, e in questo stato trascorse quasi vent'anni.
Nel frattempo
Iceta
aveva scoperto il proprio gioco e scrisse a
Corinto
di non inviare aiuti ai
Siciliani
perché la situazione sarebbe stata presto risolta dai
Cartaginesi
e questi non avrebbero permesso alle navi greche di sbarcare in
Sicilia
. L'odioso voltafaccia di
Iceta
sciolse ogni esitazione dei
Corinzi
che si affrettarono ad allestire la flotta per
Timoleonte
e a provvedere quanto necessario per la spedizione, incoraggiate da un sogno propizio narrato dalle sacerdotesse di
Persefone
e da altri presagi.
Timoleonte
parì con dieci navi (sette di
Corinto
, due di
Corcira
, una di
Leucade
), giunto in
Italia
venne a sapere che
Iceta
aveva occupato
Siracusa
costringendo
Dionisio il Giovane
a rifugiarsi nell'isola di
Ortigia
. Seppe inoltre che
Iceta
si era accordato con i
Cartaginesi
perchè respingessero le navi provenienti da
Corinto
.
Ambasciatori di
Iceta
incontrarono
Timoleonte
a
Reggio
e gli proposero di unirsi a
Iceta
come consigliere e rimandare le sue navi a
Corinto
, avvertendo che i
Cartaginesi
avrebbero in ogni caso impedito alle navi greche di sbarcare in
Sicilia
. I
Corinzi
si infuriarono contro
Iceta
ma furono trattenuti dal timore per i
Cartaginesi
.
Timoleonte
finse di accettare la proposta a condizione che l'accordo tra lui e gli ambasciatori di
Iceta
fosse raggiunto al cospetto dei principali cittadini di
Reggio
che egli chiamava a testimoni. Nella realtà
Timoleonte
intendeva prendere tempo mentre cercava con l'aiuto dei Reggini il modo di superare il blocco e raggiungere la costa siciliana.
Gli abitanti di
Reggio
, che desideravano allontanare i
Cartaginesi
dalla loro città, convocarono l'assemblea generale dei cittadini e tennero una serie di lunghi interventi sugli stessi argomenti per trattenere gli ambasciatori finché le navi di
Timoleonte
non fossero riuscite a salpare. Da parte sua
Timoleonte
partecipava all'assemblea fingendo di voler intervenire, ma quando ebbe il segnale che solo la sua nave lo attendeva, riuscì a lasciare l'assemblea confondendosi tra la gente, raggiunse il porto e in breve tempo i
Corinzi
raggiunsero
Tauromenio
dove furono accolti da
Andromaco
, signore di quella città. Questi era padre dello storico
Timeo
, diversamente dagli altri tiranni governava con rettitudine e giustizia mostrandosi sempre nemico della tirannia.
Andromaco
offrì la sua città a
Timoleonte
per farne la base delle operazioni dei
Corinzi
in
Sicilia
e persuase i suoi sudditi ad aiutare i
Corinzi
per ripristinare la libertà nell'isola.
A
Reggio
i
Cartaginesi
furono derisi per l'inganno subito e mandarono un ambasciatore a
Tauromenio
che fu a sua volta schernito da
Andromaco
.
A
Siracusa
la situazione era grave: la città era in mano di
Iceta
, il porto era occupato dai
Cartaginesi
, la rocca in potere di
Dionisio
. Quanto ai soccorsi dalla
Grecia
, i
Siracusani
sapevano che
Timoleonte
si trovava nella piccola città di
Tauromenio
con scarsissime risorse e che molte città della
Sicilia
non si fidavano di lui a causa delle pessime esperienze fatte con altri Greci che, venuti a liberare l'isola, avevano istituito l'ennesima tirannide.
Discordie interne nella piccola città di
Adrano
spinsero parte dei cittadini a chiamare
Timoleonte
mentre gli altri chiamavano
Iceta
e i
Cartaginesi
. Entrambi risposero alla chiamata e giunsero quasi contemporaneamente ma
Iceta
aveva con se cinquemila soldati mentre
Timoleonte
ne aveva milleduecento compresi i rinforzi di
Tauromenio
.
Avvicinandosi ad
Adrano
Timoleonte
ordinò di attaccare subito i nemici che stavano allestendo il campo e, grazie alla sorpresa, riuscirono a riportare una modesta vittoria, gli
Adraniti
aprirono le porte a
Timoleonte
e lo accolsero in città con i suoi soldati. Dopo questo successo,
Timoleonte
fu contattato da varie città che si unirono a lui. Si alleò a
Timoleonte
Mamerco
tiranno di
Catania
e lo stesso
Dionisio
mandò legati per consegnare ai
Corinzi
se stesso e la rocca di
Siracusa
. I soldati di
Timoleonte
penetrarono pochi alla volta a
Siracusa
e presero la rocca senza combattere.
Dionisio
si recò al campo di
Timoleonte
e da qui a
Corinto
in abiti dimessi come un privato cittadino. A
Corinto
fu accolto con grande curiosità, molti gli erano ostili, altri lo compativano per il cambiamento della sua fortuna.
Favorevolmente colpiti dal successo di
Timoleonte
, i
Corinzi
gli mandarono ulteriori duemila fanti e duecento cavalieri, questi rinforzi sbarcarono a
Turi
e qui dovettero fermarsi perché il mare era sbarrato dai
Cartaginesi
. Durante il loro soggiorno custodirono le città che li ospitava mentre molti cittadini erano in guerra contro i
Bruzi
.
Intanto
Iceta
assediava la rocca di
Siracusa
e impediva ai
Corinzi
che vi si trovavano di ricevere rifornimenti.
Timoleonte
scampò a un attentato mentre offriva sacrifici in
Adrano
. Stava per essere colpito quando uno dei sicari fu ucciso da un altro che vendicava così la morte di suo padre, strano intrecciarsi di diversi destini che fu causa in quell'occasione della salvezza di
Timoleonte
.
Iceta
chiamò
Magone
comandante delle forze
Cartaginesi
che entrò nel porto di
Siracusa
con centocinquanta navi e fece sbarcare seimila fanti. Per la prima volta, a causa del tradimento di
Iceta
,
Siracusa
era nelle mani dei
Cartaginesi
.
Magone
e
Iceta
decisero di conquistare
Catania
, città dalla quale i
Corinzi
assediati nella rocca ricevevano segretamente rifornimenti.
I
Corinzi
della rocca, con una fortunata sortita, sconfissero gli assedianti e si impadronirono del quartiere che si chiama
Acradina
, la parte più forte di
Siracusa
, dove si trovavano abbondanti scorte, collegarono con una trincea
Acradina
e la Rocca e rimasero a controllare entrambe le posizioni.
Iceta
e
Magone
erano già prossimi a
Catania
quando furono informati della presa dell'
Acradina
. I
Corinzi
che si trovavano a
Turi
, per evitare le navi
Cartaginesi
e il mare in tempesta, raggiunsero
Reggio
via terra attraversando, non senza difficoltà, il paese dei
Bruzi
.
I
Cartaginesi
, credendo che i
Corinzi
si trovassero ancora a
Turi
, cercarono di stanarli con inganni e stratagemmi inutili. A
Reggio
i
Corinzi
trovarono pescatori disposti a traghettarli in
Sicilia
.
Timoleonte
li accolse sullo stretto e insieme occuparono rapidamente
Messina
, quindi si misero in marcia verso
Siracusa
.
Mentre i
Greci
che erano con
Iceta
fraternizzavano con i
Corinzi
di
Timoleonte
nei momenti di tregua,
Magone
fu preso dallo sconforto e dal timore di essere tradito e battuto e, sordo alle preghiere di
Iceta
fece vela per la
Libia
abbandonando la guerra in
Sicilia
.
Giunto a
Siracusa
,
Timoleonte
non trovò i
Cartaginesi
(ciò provocò molta ilarità tra i suoi soldati) ma
Iceta
si sforzò di mantenere il controllo sulla città con le sue forze. I
Greci
di
Timoleonte
si divisero in tre schiere e circondarono la città da ogni direzione. La notizia della loro vittoria si divulgò in
Sicilia
, in
Italia
e in
Grecia
. Gli abitanti di
Corinto
seppero della vittoria prima ancora di avere altre notizie dei loro soldati.
Invitati a farlo da
Timoleonte
, i
Siracusani
demolirono il castello e la trincea dei tiranni e le loro abitazioni. Sul sito del castello fu edificata la curia ma la città era quasi deserta a causa delle vittime delle guerre e delle fughe dalla tirannide. Ovunque regnava l'abbandono e cavalli e cervi pascolavano l'erba nelle strade e nelle piazze abbandonate.
Timoleonte
scrisse in patria chiedendo l'invio di coloni per ripopolare
Siracusa
e altre città.
Timoleonte
aspettava inoltre che i
Cartaginesi
tornassero in forze in
Sicilia
dopo il disonorevole abbandono di
Magone
, del quale si seppe che si era suicidato e che il suo cadavere era stato crocifisso.
I
Greci
pubblicarono bandi per invitare qualsiasi Siciliano fosse interessato a stabilirsi a
Siracusa
, i
Corinzi
si fecero carico di accogliere nella loro città e trasportare in
Sicilia
tutti i
Siracusani
esuli fuori dell'isola. Tra le persone così rintracciate in
Grecia
e i coloni volontari raccolti da diverse città greche,
Siracusa
fu ripopolata con sessantamila persone.
Timoleonte
portò l'esercito in altra città per destituirne i tiranni. Con
Iceta
fu concordato che, smantellate le sue rocche, si sarebbe ritirato come privato cittadino in
Leontini
.
Tornando a
Siracusa
per occuparsi delle leggi insieme a statisti arrivati da
Corinto
,
Timoleonte
affidò a Dinarco e Dinarete il comando dell'esercito per liberare le località della
Sicilia
ancora in possesso dei
Cartaginesi
, operazione che fu compiuta con successo ricavandone un ricco bottino.
I
Cartaginesi
sbarcarono a
Lilibeo
con l'obiettivo di conquistare completamente la
Sicilia
, avevano un'armata di settantamila uomini con duecento triremi e cento navi, macchine, quadrighe e scorte di viveri. I loro comandanti
Asdrubale
e
Amilcare
mossero subito contro i
Corinzi
. A
Siracusa
soltanto tremila uomini ebbero il coraggio di unirsi a
Timoleonte
per combattere contro questa grande armata, anche mille dei quattromila mercenari si ritirarono e
Timoleonte
si trovò ad affrontare settantamila nemici con cinquemila fanti e mille cavalieri.
Si portò lontano da
Siracusa
per otto giornate di marcia per evitare che gli eventuali fuggiaschi potessero tornare indietro.
Mentre si avvicinavano al
fiume Crimiso
,
Timoleonte
e i suoi incontrarono dei muli carichi d'appio, pianta con cui i
Greci
erano soliti decorare le sepolture. Per scacciare la superstizione,
Timoleonte
parlò ai soldati dell'uso di incoronare con l'appio gli atleti vincitori dei giochi istmici e di altri giochi, quindi incoronò se stesso con l'appio ed invitò quanti aveva vicino a fare altrettanto.
Timoleonte
attaccò i
Cartaginesi
mentre erano impegnati nel superare il fiume, mandò avanti Demetrio ad attaccare il nemico lateralmente con la cavalleria superando lo sbarramento dei carri e guidò personalmente l'attacco della fanteria.
Durante la battaglia scoppiò un violento temporale favorevole ai
Greci
perché pioggia e lampi cadevano verso i nemici che ne rimanevano abbagliati, lo strepito dei tuoni e il rumore della grandine sugli scudi impediva di udire gli ordini dei comandanti.
Gli abiti pesanti e le armature ostacolavano i
Cartaginesi
nel muoversi nel fango, i
Greci
li facevano cadere e per loro era molto difficile rialzarsi. Il
Crimiso
, cresciuto per la pioggia e per la grande quantità di gente che lo attraversava, straripò allagando la pianura e creando nuove difficoltà per chi doveva muoversi senza vedere i propri piedi. Perdurando la tempesta ed avendo i
Greci
abbattuta la prima schiera nemica, i
Cartaginesi
fuggirono ma durante la fuga molti furono uccisi, altri annegarono e molti vennero abbattuti mentre cercavano di risalire la collina.
I
Cartaginesi
persero diecimila uomini, tremila dei quali erano nobili della città e lasciarono sul campo ricchissime spoglie in argento e oro. Oltre il fiume i
Greci
si impadronirono del campo nemico e di ogni salmeria, furono catturati oltre cinquemila prigionieri e prese duecento quadrighe.
Il padiglione di
Timoleonte
risplendeva di armi e corazze lucenti, egli volle mandarne la parte più pregiata a
Corinto
dove vennero esposte per ricordare una vittoria riportata, una volta tanto, sui barbari e non su altri
Greci
.
Timoleonte
lasciò i suoi mercenari sul posto per completare la spoliazione del campo e tornò a
Siracusa
dove bandì dalla
Sicilia
quei mercenari che non avevano voluto seguirlo, passati in
Italia
, furono massacrati dai
Bruzi
, punizione divina per quel tradimento.
Mamerco di Catania
e
Iceta
, non fidandosi di
Timoleonte
, si allearono ai
Cartaginesi
. Questi mandarono in
Sicilia
Giscone
con altre settanta navi e assoldarono altri soldati, parte dei quali
Greci
. Riunirono le forze presso
Messina
e uccisero i quattrocento soldati mandati sul posto da
Timoleonte
. Si trattava di
Greci
che avevano a suo tempo militato per
Filomelo e Onomarco
saccheggiatori del tempio di
Delfi
e per questo disprezzati da tutti e guardati come sacrileghi. Giunti in
Sicilia
, avevano preso parte a diverse imprese fortunate di
Timoleonte
ma quando questi li aveva inviati a soccorrere altri luoghi furono uccisi ma non tutti insieme, avendo la giustizia divina distribuito il loro castigo in modo da non arrecare danno ai buoni, dimostrando ancora una volta la buona fortuna di
Timoleonte
.
Quando
Timoleonte
attaccò
Leontini
catturò
Iceta
, il figlio Eupolemo e Eutimo comandante della cavalleria. I primi due vennero subito giustiziati, Eutimo, uomo segnalatosi per il suo coraggio, avrebbe potuto salvare la vita ma venne giustiziato a sua volta per aver pronunciato frasi offensive a vilipendio dei
Corinzi
. Le donne della famiglia di
Iceta
furono processate e
Siracusa
e giustiziate. Forse
Timoleonte
non le protesse perché
Iceta
aveva a suo tempo fatto morire i familiari di quel
Dione
che aveva cacciato
Dionisio il Vecchio
.
Timoleonte
quindi mosse contro
Mamerco
e lo sconfisse uccidendo più di duemila soldati, molti dei quali
Cartaginesi
.
I
Cartaginesi
proposero la pace e venne stabilito che in futuro avrebbero conservato il
Sicilia
solo quanto avevano conquistato oltre il fiume Lico, che avrebbero lasciato andare i
Siciliani
che volevano uscire dai loro domini e che mai più avrebbero fatto lega con il tiranni.
Mamerco
si portò in
Italia
per assoldare un esercito di Lucani, ma intanto i suoi uomini consegnarono
Catania
a
Timoleonte
.
Mamerco
si rifugiò a
Messina
presso il tiranno
Ippone
ma questi fu catturato e flagellato pubblicamente per mostrare a tutti, anche ai bambini, quale doveva essere il destino dei tiranni.
Mamerco
si arrese e, mentre veniva processato, tentò di rompersi il capo contro i gradini del teatro, non vi riuscì e venne crocifisso.
In questo modo
Timoleonte
liberò la
Sicilia
dai
Cartaginesi
e da tutte le tirannidi, l'isola tornò ad essere un luogo ameno in cui molti vollero immigrare. Le città di
Agrigento
e
Gela
che erano state devastate dai
Cartaginesi
, vennero ripopolate con gente venuta da
Elea
e da
Ceo
.
Timoleonte
raggiunse grande popolarità tanto che nessuna importante decisione si prendeva e nessuna impresa si portava a termine senza la sua approvazione.
I
Siracusani
donarono a
Timoleonte
una casa che egli consacrò alla dea fortuna della quale si considerava debitore, ed un podere dove passò molto tempo con i suoi familiari che lo avevano raggiunto dalla
Grecia
.
Due oratori, Lafistio e Demeneto, tentarono di muovergli varie accuse e
Timoleonte
si compiaceva che avessero la libertà di parlare e di ricorrere alle leggi quando lo volevano.
Timoleonte
non tornò mai in
Grecia
ed invecchiò nel suo podere. In vecchiaia perse la vista come era capitato ai suoi antenati.
Visse gli ultimi anni circondato dall'affetto dei
Siracusani
che fino alla fine lo vollero giudice nelle questioni più importanti. Morì infine quando una malattia non terribile si sommò alla sua vecchiaia. Migliaia di donne e di uomini con vesti candide presero parte alle esequie mostrando il più sincero affetto. Decretarono l'istituzione di gare e di giochi in sua memoria e costruirono intorno al suo monumento un grande edificio con portico e palestra che fu chiamato Scuola Timoleontea.
PAOLO EMILIO
Plutarco
apre questa biografia con un brano sulla sua soddisfazione per l'attività di biografo che egli esercita con l'obiettivo di trarre insegnamento dalle virtù dei personaggi di cui si occupa. Sceglie quindi per questo capitolo delle
Vite
Timoleonte
da
Corinto
e
Polo Emilio
, personaggi che ebbero in comune i buoni propositi e la fortuna nelle imprese.
La famiglia patrizia degli
Emili
, tra le più antiche di
Roma
, si faceva risalire a
Mamerco
figlio di
Pitagora
, che fu chiamato
Emilio
per la sua piacevolezza nel parlare. Molti suoi discendenti furono favoriti dalla fortuna.
Lucio Paolo
era contrario al console collega che intendeva combattere a
Canne
, tuttavia quando iniziò il combattimento egli volle partecipare al pericolo e tenersi fermo di fronte al nemico finchè non fu ucciso.
Sua figlia
Emilia
sposò il grande
Scipione
, suo figlio è il
Paolo Emilio
protagonista di questa
Vita
.
Nato nel periodo in cui vissero numerosi grandi uomini, seppe conquistare la sua gloria senza emularli negli studi e nelle prime imprese.
Non volle occuparsi di processi o di politica, la sua prima carica fu l'edilità, quindi fu nominato
augure
, carica che svolse con grandissimo scrupolo nel celebrare in ogni dettagli il culto e curando i riti con la massima attenzione.
Quando ebbe cariche di comando militare, curò la disciplina mostrandosi severissimo verso i soldati che non la rispettavano.
Roma
era in guerra contro
Antioco il Grande
e gravi disordini si verificavano in
Iberia
.
Paolo Emilio
fu inviato a risolvere la situazione come pretore ma volle avere dodici littori invece di sei, conferendo in questo modo alla carica dignità consolare.
Per due volte vinse i barbari in battaglia campale uccidendone trentamila, assoggettò duecentocinquanta città che lo accolsero volontariamente. Lasciò quella provincia dopo avervi stabilito la pace e tornò a
Roma
senza aver conseguito in quella missione alcun guadagno personale.
Era solito non preoccuparsi del guadagno ed era liberale con le sue non grandi sostanze. Aveva sposato
Papiria
figlia di Masone uomo consolare che gli partorì molti figli tra i quali
Scipione
e
Fabio Massimo
, tuttavia dopo molto tempo la ripudiò ma non se ne conosce la ragione.
In seguito si risposò ed ebbe altri due figli che allevò nella sua casa mentre quelli avuti da
Papiria
furono allevati in nobilissime case. Il figlio maggiore fu adottato dal figlio di quel
Fabio Massimo
che fu console cinque volte, il minore dal figlio di
Scipione Africano
che gli era cugino. Una sua figlia sposò il figlio di
Catone
, un altra
Elio Tuberone
. Costui, benchè due volte console e per due volte celebrò il trionfo, era molto povero e condivideva una piccola abitazione con i suoi numerosi fratelli. La figlia di
Paolo Emilio
che lo aveva sposato fu sempre lodata per la pazienza e la dignità con cui sopportava la situazione.
Creato console,
Emilio
mosse contro i
Liguri
che praticavano la pirateria nel
Mediterraneo
. Nonostante il rapporto di cinque a uno tra i
Liguri
e i soldati di
Emilio
, questi sconfissero i
Liguri
spingendoli dentro le loro mura.
Roma
non aveva intenzione di eliminare radicalmente i
Liguri
che costituivano una protezione contro i
Galli
, perciò
Emilio
offrì dignitose proposte di pace. Distrusse le mura delle città dei
Liguri
, sequestrò le loro navi e liberò i loro prigionieri.
Dopo questo consolato
Emilio
tentò di essere rieletto, non riuscendovi si dedicò alle cose della religione e all'educazione dei figli.
In quel periodo i
Romani
combattevano contro
Perseo
il quale, pur disponendo di pochi uomini, riusciva a procurare seri problemi.
Plutarco
vuole riepilogare le fasi della storia greca antecedenti
Perseo
partendo da
Antigono
fino a
Filippo V
padre di
Perseo
che fu sconfitto da
Tito Flaminio
.
Dopo la sconfitta
Filippo V
continuò a regnare sulla
Macedonia
per concessione dei
Romani
. Con il tempo questa condizione di sudditanza gli divenne insopportabile, cominciò a pensare alla guerra e raccolse un potente esercito all'interno del paese sottoponendo in segreto i soldati ad intensi allenamenti. Riempì i magazzini della città di armi, scorte di alimentari. Non riuscì tuttavia a dare inizio alla guerra perché morì oppresso dal dolore e dal rimorso per avere ingiustamente fatto morire il figlio Demetrio per le calunnie dell'altro figlio
Perseo
.
Fu
Perseo
, dunque, a succedere a
Filippo
nel regno e nell'odio verso i
Romani
. Di lui si diceva che non fosse veramente figlio di
Filippo
ma che fosse stato preso dalla regina ad una donna argiva ed allevato suppositivamente e che per questo nutriva odio e gelosia nei confronti di
Demetrio
figlio legittimo di
Filippo
.
Benchè d'animo abietto e ignobile, fu coinvolto nella guerra contro i
Romani
e conseguì due importanti vittorie facendo molti prigionieri.
Fece fuggire
Publio Licinio
che per primo era entrato in
Macedonia
, uccise duemilacinquecento soldati e ne catturò seicento. Aggredendo la flotta romana che sostava presso
Oreo
, prese venti navi con il loro carico e altre ne affondò, catturò inoltre quattro navi a cinque ordini di remi.
Sconfisse il console
Ostilio
che tentava di entrare in
Macedonia
. Fece quindi una spedizione contro i
Dardani
e ne uccise mille ritornando con molte prede. Insidiò anche i
Bastarni
che vivevano intorno all'
Istro
, esortava gli
Illiri
e il loro re
Gentio
ad allearsi con lui e si diceva che gli
Illiri
, persuasi da
Perseo
con il denaro, stessero per entrare in
Italia
passando dalla
Gallia Inferiore
.
Quando i
Romani
ebbero notizia delle attività di
Perseo
decisero di affidare l'armata a un condottiero esperto. Scelsero
Paolo Emilio
che era ancora robusto e aitante nonostante avesse circa sessant'anni. In un primo momento
Paolo Emilio
non volle accettare il consolato ma alla fine si lasciò persuadere dagli amici, dai figli e dalla gente che ogni giorno bussava alla sua porta. Si racconta che quando sua figlia ancora bambina piangeva per la morte di un cagnolino di nome
Perseo
,
Paolo Emilio
accolse le parole della piccola come augurio di buona fortuna che egli accettò volentieri.
Tenne un primo discorso al popolo dicendosi disponibile a cedere il comando a chi fosse ritenuto più adatto di lui, ma se il suo comando veniva confermato non voleva alcuna ingerenza.
Il discorso di
Paolo Emilio
piacque a quanti lo ascoltarono che si rallegrarono per la scelta di un condottiero che parlava con libertà e franchezza e che aveva sentimenti grandiosi.
Partito per la guerra ebbe prospera navigazione e con facilità raggiunse il campo senza incontrare pericoli.
Su richiesta di
Perseo
i
Bastarni
gli inviarono diecimila cavalieri ed altrettanti fanti, tutti mercenari, ma quando si vide presentare la richiesta di mille monete d'oro per ogni comandante pur di risparmiare mandò via i
Bastarni
. Riuscì a recuperare anche il compenso di trecento talenti che aveva già pagato a
Gentio
re degli
Illiri
quando questi, convinto dagli inviati di
Perseo
, fecero prigionieri gli ambasciatori dei
Romani
procurandosi così la necessità di combattere per i suoi problemi e non per denaro. Poco più avanti
Gentio
fu deposto dall'esercito del pretore
Lucio Anicio
.
Perseo
portò il suo esercito in un luogo sicuro alle falde dell'
Olimpo
e aveva munite di steccati le poche vie di accesso, confidando che
Emilio
aspettasse inutilmente l'occasione di battersi.
Perseo
quindi considerava
Emilio
abbattuto ed inattivo, ma
Emilio
non era in ozio, stava riflettendo su ogni possibile ripiego, tuttavia notò che il suo esercito stava diventando insofferente e che molti parlavano vanamente degli ordini che il comandante avrebbe dovuto dare, di azioni che avrebbe potuto intraprendere. Si trattava delle ingerenze che
Emilio
aveva rifiutato
a priori
nelle condizioni del suo accordo e non tardò a reagire. Ingiunse ai soldati di non prendersi la briga di decisioni che spettavano al comandante e di tenersi pronti per muoversi al momento opportuno.
Ordinò inoltre che le sentinelle notturne vegliassero senza armi in modo di scorgere con maggiore attenzione eventuali movimenti dei nemici e non lasciarli avvicinare.
Poichè l'esercito soffriva per mancanza d'acqua,
Emilio
fece scavare solchi alla base dell'
Olimpo
finché non furono trovate sorgive sufficienti a dissetare i soldati.
Emilio
decise infine di attaccare l'unico passaggio che i nemici non potevano presidiare per la posizione scoscesa. Chiesero di comandare la spedizione a
Scipione Nasica
genero dell'
Africano
e
Fabio Massimo
, il figlio maggiore di
Emilio
.
Nasica
con circa ottomila uomini aggirò il campo di
Perseo
e sostò per la notte. Un soldato cretese sfuggì dalle genti di
Nasica
e andò da
Perseo
, lo avvertì del giro fatto dai
Romani
.
Perseo
si affrettò a assegnare diecimila uomini a Milone ordinandogli di portarsi ad occupare la probabile posizione di attacco dei
Romani
. Si svolse un aspro combattimento tra le alture e le vette del luogo. Milone fu visto fuggire senza armi e con la semplice toga e
Nasica
inseguì i fuggitivi e fece scendere i suoi dalla pianura.
Perseo
, timorosissimo, levò la tende e si ritirò ma giunto pressi di
Pidna
dovette decidere se sostenere lo scontro con i
Romani
o sciogliere il suo esercito in gruppi di soldati che si sarebbero distribuiti nella regione portando ovunque la guerra.
Gli amici lo convinsero a combattere e
Perseo
ordinò di allestire la battaglia distribuendo le schiere e i comandanti.
Emilio
, raggiunto
Nasica
, procedeva in ordinanza per attaccare i nemici ma quando arrivò a vedere lo schieramento nemico, si fermò per riflettere. I suoi capitani lo pregarono di non indulgiare oltre ma
Emilio
non si mosse. Ordinò ai soldati che erano più avanzati di distribuirsi in coorti e far credere di voler combattere e a quelli che erano in coda di formare un accampamento.
Quando giunse la notte cominciò ad oscurarsi la luna che rapidamente si eclissò, secondo la tradizione i
Romani
presero a battere su vasi di rame e a sollevare verso il cielo una grande quantità di fiaccole e tizzoni ardenti. Era il loro modo di richiamare l'astro scomparso ma i
Macedoni
che non conoscevano questi rituali furono presi dall'orrore e dalla meraviglia e credettero che il fenomeno preannunciasse la fine del loro re.
Emilio
conosceva la ragione per cui la luna diventava invisibile me, per scrupolo, dopo l'eclissi offrì sacrifici di vitelli e di buoi. Dai sacrifici si dedusse che i
Romani
avrebbero vinto se non fossero stati i primi ad attaccare.
Emilio
ordinò di disporre l'esercito in assetto di battaglia ed aspettò il tramonto per non avere il sole in faccia. Una banda di
Traci
cercò di attaccare il bestiame romano che tornava dal foraggiare, dal campo romano uscirono settecento
Liguri
e anche i
Macedoni
intervennero. In breve accadde l'incidente adatto per mettere fine alle esitazioni,
Emilio
passò tra le schiere dei suoi per far loro coraggio,
Nasica
si avvicinò a cavallo alla mischia e vide che tutti i nemici erano pronti a combattere. I
Macedoni
si avventarono contro il nemico con tale impeto che i primi a cadere moti rimasero a pochi passi dal campo romano. Un certo Sapio, comandante dei
Peligni
, tirò la loro insegna tra i nemici in modo che la schiera dei
Peligni
si avventò furiosamente contro i
Macedoni
. Quando
Paolo Emilio
constatò che nella falange macedone cominciavano ad aprirsi dei vuoti, ordinò ai suoi soldati di avanzare in piccoli gruppi cercando di penetrare nelle aperture della falange avversaria facendo così non solo un assalto contro la gente nemica, ma molti, da varie parti nello stesso tempo.
L'idea di
Paolo Emilio
ebbe successo e i soldati romani penetrando nello schieramento nemico riuscirono a colpire i
Macedoni
ai fianchi o alla schiena e riuscirono infine a scompaginare la falange che presto perse ogni potere ed ogni efficacia.
Marco
figlio di
Catone
e genero di
Emilio
perse la spada nel combattimento e subito pensò che gli convenisse morire piuttosto che affrontare la vergogna, si diede quindi a correre pregando i compagni di seguirlo e così formò un gruppo compatto che guidò contro il nemico riuscendo a penetrare tra le schiere macedoni portandovi lo scompiglio e la morte, conclusa questa impresa
Marco
e i suoi si diedero a cercare la spada e, sorprendentemente, la ritrovarono. Alla fine tremila
Macedoni
furono passati a fil di spada, degli altri che tentarono la fuga fu fatto un tale macello che presto la pianura fu piena di cadaveri.
Al termine della battaglia erano stati uccisi oltre venticinquemila
Macedoni
mentre i
Romani
avevano perso solo un centinaio di soldati.
A sera l'accampamento romano era in festa, molte luci erano ancora accese, le tende erano state decorate con ghirlande d'erica e d'alloro, ma
Paolo Emilio
era molto triste perché non aveva visto tornare dalla battaglia due suoi figli. Quando i soldati lo notarono molti corsero fuori dal campo per cercare i due giovani o, almeno, i loro corpi. A tarda sera tornò al campo uno dei figli di
Paolo Emilio
,
Scipione
, che si era allontanato per seguire i nemici in fuga. Si tratta dello
Scipione
che sarà vincitore a
Numanzia
contro i
Cartaginesi
.
Perseo
era fuggito con tutta la cavalleria ma quando incontrò i suoi soldati a piedi quelli litigarono con i cavalieri accusandoli di vigliaccheria. Ne nacque una rissa e
Perseo
, temendo di essere coinvolto, si portò con il cavallo fuori strada e si tolse la porpora e il diadema per non essere riconosciuto, scese dal cavallo e, tenendo in mano le redini, riprese a camminare. Quelli che erano con lui si allontanarono o rimasero indietro con vari pretesti. Molti disertarono, meno per la paura dei nemici quanto per evitare la collera di
Perseo
che cercava di scaricare la colpa della sconfitta su quanti lo accompagnavano.
Perseo
uccise con un pugnale due del suo seguito che avevano osato farglisi incontro e parlargli con troppa libertà e non restò con lui che due o tre funzionari. Di tutta la sua milizia lo seguirono solo i
Cretesi
che miravano alle ricchezze che
Perseo
portava con se. Più avanti
Perseo
prese a lamentarsi perché gli erano stati sottratti alcuni arredi d'oro che erano stati di
Alessandro
e pregava piangendo che tutti gli fossero restituiti offrendo il loro valore in denaro, ma quando riebbe indietro gli arredi si rifiutò di pagare.
Perseo
navigò fino a
Samotracia
dove si ricoverò nel tempio di
Castore e Polluce
. I
Macedoni
intanto si arresero a
Emilio
che in breve si trovò ad essere signore della
Macedonia
. Mentre sacrificava in
Anfipoli
discese un fulmine sull'altare, incendiò e santificò il sacrificio.
Gneo Ottavio
collega di
Emilio
approdò a
Samotracia
, non cercò di catturare
Perseo
nel tempio per rispetto dei Numi, ma gli impediva di riprendere la fuga. Accordandosi segretamente con un cretese di nome Oroande progettò una fuga notturna con la famiglia, ma mentre i fuggitivi con molta difficoltà si calavano dal muro per un'angusta finestra, Oroande prese il largo lasciandoli in potere dei
Romani
. Questi catturarono i figli di
Perseo
e li consegnarono a Ione, un tempo favorito di
Perseo
ed ora traditore e a questo punto
Perseo
decise di consegnarsi a
Gneo Ottavio
. Supplicò di essere mandato da
Emilio
e lo ottenne ma davanti a
Emilio
si gettò a terra supplicante e cercò di abbracciargli le ginocchia perdendo ogni dignità.
Emilio
, disgustato, lo sollevò e lo consegnò a
Tuberone
. Prima di mandare la sua milizia a riposare,
Emilio
tenne un discorso sulla volubilità della fortuna invitando i giovani a mettere da parte l'orgoglio per la presente vittoria.
Paolo Emilio
visitò la
Grecia
distribuendo donativi tratti dal tesoro di
Perseo
. A
Delfi
chiese di sostituire con una sua statua la statua di
Perseo
. In
Olimpia
ammirò il simulacro di
Giove
scolpito da
Fidia
.
Concedette ai
Macedoni
di abitare nelle loro terre, liberò le loro città e permise che si governassero con le loro leggi. Li impegnò quindi a pagare annualmente ai
Romani
cento Talenti, tributo molto inferiore di quello che in passato avevano versato a
Perseo
.
Indisse spettacoli e giochi, sacrifici solenni e banchetti, curò di onorare i
Macedoni
secondo il loro grado e anche nel gestire i festeggiamenti si mostrò tanto scrupoloso e preciso da stupire gli stessi
Macedoni
.
Emilio
non volle neppure vedere la grande quantità di oro e d'argento del re, ma l'affidò ai questori perchè la versassero al pubblico erario. Permise ai suoi figli di prendere i libri del re e donò a
Elio Tuberone
suo genero una preziosa caraffa d'argento.
Prese congedo dai
Macedoni
raccomandando loro di rispettare buone leggi e mosse verso l'
Epiro
con l'ordine del senato di affidare ai soldati per il saccheggio le città che avevano aiutato
Perseo
.
Emilio
fece chiamare i principali personaggi di quella città e ordinò loro di consegnare entro un giorno stabilito determinate quantità di oro ed argento, ed assegnò loro una scorta di soldati. Ma i soldati si diedero a scorrere e depredare quelle città facendo schiave centocinquantamila persone e devastando settanta città, eppure da tanto sterminio i soldati non ricavarono che undici dracme ciascuno.
Emilio
scese a
Orico
e da lì passò con le sue forze in
Italia
e navigò nel
Tevere
con la nave regia ornata di porpora e di armi prese in guerra. La gente uscì dalla città per andare festosamente incontro alla nave. Ma i soldati che non si ritennero adeguatamente ricompensati ardevano segretamente di sdegno e cominciarono ad accusare
Emilio
di essere troppo rigido e imperioso e si mostravano non pronti a favorire le sue aspettative sul trionfo.
Servio Galba
, nemico di
Emilio
, sparse tra i soldati molte calunnie contro di lui, parlamentò con i tribuni della plebe perdendo tempo per rendere impossibile un trionfo in quella stessa giornata. Durante la notte i soldati, cospirando con
Galba
, occuparono il
Campidoglio
.
Fattosi giorno si indissero le votazioni e la prima tribù rifiutò il trionfo. La notizia giunse anche al senato , la moltitudine ebbe sommo rincrescimento nel vedere
Emilio
tanto vilipeso, i senatori più ragguardevoli si preoccuparono di frenare l'impeto dei soldati se questi reagissero violentemente ai voti contrari al trionfo di
Paolo Emilio
. I senatori salirono al
Campidoglio
e dissero ai tribuni di sospendere le votazioni. Parlò
Marco Servilio
, prestigioso uomo consolare e descrisse rapidamente i meriti di
Paolo Emilio
e deprecando che la popolazione, dopo aver esultato per la prima incerta notizia di vittoria, ora che il vincitore era salvo e presente volesse negargli il trionfo.
Servilio
mostrò le sue cicatrici quindi scese fra la gente per conoscere quali fossero quelli che ostacolavano il trionfo di
Paolo Emilio
. La soldatesca, umiliata, cambiò atteggiamento e, procedendo a nuove votazioni, fu finalmente decretato il trionfo.
Furono montati palchi nei circhi e nelle piazze per poter ammirare il passaggio del corteo trionfale, tutti i templi erano aperti e ornati di ghirlande, gli addetti tenevano libere le vie allontanando quelli che camminavano nel mezzo.
La pompa fu distribuita in tre giorni. Il primo giorno sfilarono duecentocinquanta bighe con i simulacri, le pitture e colossi presi in guerra. Nel secondo, sopra molti carri furono mostrate le più belle e sontuose delle armi prese ai
Macedoni
. Nel terzo giorno sfilarono centoventi buoi ben nutriti con le corna dorate, adorni di corone e di bende, i giovanetti che li conducevano al sacrificio erano fregiati di eleganti cinture, venivano appresso bambini con vasi d'oro e d'argento per le libagioni.
Dopo questi carri passarono tremila uomini con le monete d'argento in 750 vasi, ognuno dei quali pesava tre talenti ed era portato da quattro uomini. Seguivano settantasette vasi da tre talenti colmi di monete d'oro.
Seguirono coloro che sostenevano la sacra fiala d'oro adornata di pietre preziose offerte da
Emilio
. Veniva poi su un cocchio
Perseo
medesimo con le sue armi e il diadema. Dopo un breve intervallo venivano condotti i figli di
Perseo
con i loro precettori che piangevano e indirizzavano al pubblico gesti di supplica. Erano due maschi e tre femmine troppo piccoli per capire il cambiamento del loro stato, la gente li guardava con compassione, qualcuno pianse.
Perseo
procedeva tra le persone che erano state al suo servizio, vestito in modo dimesso. Lo seguivano amici e familiari. Segui
Emilio
sopra un cocchio pomposamente adornato, con una porpora sparsa d'oro e un ramo di lauro nella destra. Il suo esercito lo seguiva in manipoli e centurie cantando inni solenni e canzoni satiriche.
La felicità di
Emilio
era amareggiata dalla morte per malattia dei suoi figli minori.
Emilio
seppe comportarsi in modo che le cose buone coprissero le cattive, i vantaggi pubblici i danni privati senza offendere la dignità della vittoria.
Due giorni dopo il trionfo convocò l'assemblea e descrisse rapidamente al popolo i punti salienti della sua impresa sottolineando come la fortuna volle compensare la sua vittoria con una tragedia personale, senza rivalersi sul pubblico bene. Constatò amaramente di essere rimasto senza successori (gli altri due figli erano stati adottati da altre famiglie) e che mentre lo sconfitto
Perseo
aveva ancora i suoi figli, il vincitore non ne aveva più.
Provando pietà per
Perseo
,
Emilio
lo fece trasferire dal carcere in un luogo più degno dove poter vivere più dignitosamente ma
Perseo
da allora si astenne dal mangiare morendo presto di inedia. Morirono anche la figlia di
Perseo
ed uno dei suoi figli, l'altro fu allevato nelle lettere e nella lingua dei
Romani
e fu poi impiegato come scrivano dai magistrati.
Emilio
aveva portato tanto denaro all'erario che non fu più necessario ai
Romani
pagare le tasse fino ai tempi della prima guerra tra
Antonio
e
Ottaviano
. Onorato e favorito dal popolo,
Emilio
si mantenne fedele all'aristocrazia.
Paolo Emilio
fu nominato censore, carica la più ragguardevole che dava la possibilità di indagare sui costumi altrui. Durante la sua censura furono contati trecentotrentasettemilaquattrocentocinquantadue uomini. Nominò
Marco Emilio Lepido
principe del senato e ne scacciò tre senatori, fu moderato nell'inquisire sui cavalieri.
Dopo questo incarico fu colpito da una malattia inizialmente molto pericolosa che in progresso di tempo divenne meno grave ma rimase comunque molesta e difficile da guarire.
Consigliato dai medici si ritirò in
Elea d'aItalia
(
Velia
nella
Magna Grecia
) e vi si trattenne per molto tempo mentre a
Roma
la gente si dimostrava ansiosa di rivederlo. Alla ricorrenza di un certo sacrificio al quale era previsto che partecipasse,
Emilio
si fece forza e tornò a
Roma
dove offrì il sacrificio insieme agli altri sacerdoti tra il popolo giubilante.
Il giorno dopo offrì un altro sacrificio di ringraziamento per la sua guarigione ma quando rientrò in casa e si mise a letto diventò frenetico e uscì di senno. Il terzo giorno morì.
Le sue esequie furono meravigliose per l'oro e l'avorio degli apparati ma soprattutto per l'onore, l'affetto, i sentimenti favorevoli che si mostravano verso di lui anche dai nemici.
Iberi
,
Liguri
,
Macedoni
che si trovavano casualmente presenti collaborarono a portare la bara, i più anziani chiamavano chiaramente
Emilio
con il nome di benefattore e salvatore della patria. Dicono che lasciò ai figli una modesta eredità ma
Scipione
, che viveva con una doviziosa famiglia, lasciò la sua parte al fratello.
Paragone di
Timoleonte
e
Paolo Emilio
Dal confronto tra
Timoleonte
e
Paolo Emilio
non risultano grandi differenze. Entrambi combatterono contro avversari illustri e famosi, i
Cartaginesi
l'uno e i
Macedoni
l'altro e riportarono entrambi celebri vittorie.
Volendo si potrebbe riconoscere che
Paolo Emilio
militò con un esercito regolare addestrato e orgranizzato,
Timoleonte
superò molti tiranni e i
Cartaginesi
con una milizia fortuitamente raccolta di mercenari che non osservano alcuna regola.
Furono giusti e si conservarono tali nel maneggio delle faccende, ma sembra che
Emilio
ebbe dalla sua l'educazione ricevuta a
Roma
mentre
Timoleonte
si indusse da solo ad essere giusto e onesto e si prefisse come scopo della sua impresa la distruzione dei tiranni.
Stupisce veramente che
Paolo Emilio
, soggiogato uno stato così grande, non prendesse per se neanche una dracma e non volesse vedere o toccare i tesori conquistati.
Non è da biasimare
Timoleonte
per aver accettato una casa e un podere, che furono una lecita ricompensa, tuttavia si dimostra più virtuoso chi non accetta premi ai quali avrebbe pieno diritto.
Emilio
si mostrò perfetto nell'avversa fortuna e nelle calamità toccate alla sua famiglia, mentre
Timoleonte
, afflitto per l'uccisione del fratello per venti anni non ebbe il coraggio di comparire nei tribunali e nel foro.
L'evitare qualunque biasimo che si possa incontrare denota un'indole semplice e mansueta, non un animo grande e generoso.