4/vgF0McT6WBi1RPOKg40mK96lk1bJq1dTncfbVzjMYsVgdkLfU3L2ZoQ

Sunelweb
    
Guida rapida
A B C D E F G H I J K L M
N O P Q R S T U V W Y Z  

PLATONE

ALCIBIADE ovvero della natura dell'uomo

Il dialogo si svolge tra Socrate, che intende insegnare al suo discepolo cosa sia la giustizia, e Alcibiade in procinto di intraprendere la carriera politica.
Socrate chiede ad Alcibiade se non sia stupito che mentre i suoi amatori da tempo non lo corteggiano più, solo lui gli sia ancora vicino. Se prima non gli aveva mai parlato fu per un divieto del demone del quale anche Alcibiade conoscerà la potenza. Pur lontano Socrate ha notato come Alcibiade si comportava con i suoi amatori, umiliandoli con il suo orgoglio e facendoli fuggire.
Tu credi, dice Socrate rivolto ad Alcibiade, di non aver bisogno di nulla perché disponi di grandi cose del corpo e dell'anima. Prima di tutto credi di essere un bel giovane e questo è vero e si vede a occhio, poi di famiglia illustre, vivi in Atene la più ragguardevole città greca. Sai che se ne avessi bisogno sarebbero a disposizione molti nobili amici, tuoi parenti per parte di padre (la famiglia di Alcibiade risaliva tradizionalmente a Eurisace figlio di Aiace, e molti altri per parte di madre (la madre era un'Alcmeonide, nipote di Clistene) ma soprattutto puoi ottenere potenza da Pericle che tuo padre lasciò tutore tuo e di tuo fratello. Inoltre sei uno dei ricchi ma vedo che non te ne vanti. Ecco perché hai potuto tiranneggiare i tuoi amatori e perché ti meravigli che io sia ancora qui con te.
Ma ben altri disegni ha Alcibiade nella mente e Socrate glieli mostrerà e da questo capirà se gli ha mai tolto gli occhi di dosso.
Socrate è certo che se un dio chiedesse ad Alcibiade se voglia vivere con quanto ora possiede egli preferirebbe morire.
Presto si presenterà al popolo ateniese e sarà onorato più di Pericle e di chiunque altro al mondo e acquisterà grande potere in città, poi ancora di più tra gli Elleni ed anche tra tutti i barbari che vivono nel continente. E non si accontenterà di regnare in Europa, e dirà che esclusi Ciro e Serse nessuno sia degno di fama.
Ma ti chiederai - dice Socrate - cosa ha a che fare tutto questo con la sua domanda "perché non ti discosti da me". Perché quello che vuoi è impossibile senza di me. Il dio non mi ha lasciato parlare finché tu eri troppo giovane perchè sarebbe stato tempo sprecato, ma ora sì che mi starai a sentire.
Con il consueto metodo di portare progressivamente l'interlocutore alle conclusioni volute tramite appropriate domande, Socrate arriva a stabilire che:
- utile e giusto si equivalgono
- il giusto è bello
- il bello è buono
- il buono giova, dunque il giusto giova ed è utile

Chi nega questo non sarà un buon politico.

Socrate ha affermato che Alcibiade avrà bisogno di lui per fare politica perché il giovane non si rende conto di quanto la sua preparazione e i suoi averi siano poca cosa rispetto alle grandi generazioni dei re spartani e dei re persiani. Esposta in sintesi la prosapia di quei re fino a giungere ad antenati divini, Socrate dimostra la loro superiorità dal punto di vista genealogico. Più evidente è la preminenza delle loro ricchezze, quella dei loro possedimenti e così fino ad affermare "egli (Alcibiade) non può confidare che nello studio suo, nella sapienza sua: che solo queste doti sono presso gli Elleni degne di onore" e conclude questa parte del suo discorso con un'esortazione che si leggeva scolpita sul tempio di Apollo a Delfi: "conosciti".

Il mio tutore è più buono e più savio del tuo, dice Socrate, il tuo è Pericle, il mio è quel Dio che fino ad oggi non mi ha lasciato parlare con te.
Ricomincia il dialogo serrato tra i due. Diventare buoni può significare divenirlo rispetto a un'attività (buoni marinai, buoni maniscalchi, ecc.) ma i buoni di questo tipo sono cattivi rispetto ad ogni attività diversa dalla loro.
Ad essere buoni senza essere anche cattivi sono i governanti delle città e più precisamente i governanti di uomini che si giovano di altri uomini, in sostanza "coloro che governano quelli che vivono in civile comunanza e hanno faccende tra loro come avviene in città".
Per ben governare questa città è necessario che ci sia amicizia tra i cittadini e vengano rimossi odio e ribellione. L'amicizia è il consentimento, come quello dei genitori con i figli e dei fratelli con i fratelli. Ma se in una coppia ciascuno fa da solo quello che gli compete, nella loro attività non c'è consentimento e quindi non può esserci amicizia. Questa contraddizione confonde Alcibiade che ammette di essersi smarrito e Socrate, come sempre, lo prega di seguirlo e di rispondere alle sue domande.
La ginnastica fa bene ai piedi, l'arte del calzolaio fa bene a ciò che è dei piedi;
la ginnastica delle mani fa bene alle mani e l'arte dell'anellaio fa bene agli anelli, quindi a ciò che è delle mani;
non è la stessa arte quella con cui un uomo cura e stesso e quella con cui cura le cose sue.
Non si può essere buon calzolaio senza conoscere i calzari;
non si può essere buon anellaio senza conoscere gli anelli;
non possiamo migliorare noi stessi ignorando cosa sia noi medesimi.
A questo punto Socrate chiede se sia cosa semplice conoscere se stessi. Alcibiade è incerto, a volte gli sembra semplice, altre volte malagevole.
Socrate risponde che solo trovando il MEDESIMO in noi troveremo quello che siamo noi medesimi.
Ancora un rapido scambio di domande e risposte per stabilire che chi usa qualcosa è diverso dalla cosa usata, quindi l'uomo è diverso dal suo corpo, chi usa il corpo è l'anima.
Tra uomo e corpo chi comanda? certamente non il corpo, quindi non possono comandare tutti e due, rimane l'anima, quindi l'uomo è proprio la sua anima.
Non si può dire che l'anima sia la parte principale dell'uomo perché essa è l'uomo MEDESIMO. Socrate che conversa con Alcibiade è anima che conversa con anima.
Conoscere noi medesimi significa conoscere l'anima che ci comanda.
Medici e maestri di palestra non conoscono se stessi ma solo l'essere medico o maestro di palestra.
I lavoratori della terra e gli altri operai conoscono cose ancora più remote perché conoscono solo le cose del corpo, cioè quelle che al corpo dan nutrimento.
Se sapienza è conoscere se stessi, nessuno è sapiente perché conosce la sua arte. Chi ha cura del corpo e delle sue cose non ha cura di se medesimo, chi ha cura della ricchezza ha cura di cose ancora più remote ed estranee.
Chi si innamora di Alcibiade ama il suo corpo, non la sua anima e si allontana quando il corpo non è più in fiore mentre chi ama l'anima rimane finché questa non pervenga al suo meglio.
Per questo Socrate è rimasto vicino ad Alcibiade quando il suo corpo è sfiorito mentre gli altri si sono allontanati.
"Procura dunque che tu divenga, quanto puoi, bellissimo nell'anima".
Se un'anima vuole conoscere se medesima deve guardarsi in un'anima somigliante, nella parte dove si trova la sapienza. Questa parte dell'anima somiglia alla divina natura e se qualcuno riguardasse in quella, conoscendo tutto ciò che è divino, conoscerebbe perfettamente se medesimo.
Conoscere se stessi è sapienza.
Chi non conosce Alcibiade non può conoscere neanche le sue cose. Se non conosciamo noi stessi non possiamo conoscere nemmeno le nostre cose. Tanto meno possiamo conoscere le cose delle nostre cose.
Chi ignora le cose sue non può conoscere le altrui, in particolare quelle della città. Non sarà quindi uomo politico, commetterà errori ed errando farà male le cose sue e quelle del comune, e sarà miserabile. E miserabili saranno anche quelli a cui farà male. Dunque nessuno può essere felice se non è savio e buono. Gli uomini cattivi sono miserabili.
Senza virtù le città non possono essere felici, quindi chi le governa deve comunicare la virtù ai cittadini e nessuno può dare ciò che non ha, perché chi vuole governare deve prima procurare la virtù a se stesso.
Non devi procurare a te stesso e alla città potenza e libertà di fare ciò che si voglia, ma giustizia e sapienza. Così tu e la tua città sarete cari a Dio. Riflettendovi in ciò che è divino e splendente, dall'alto vedrete e conoscerete ciò che è vostro bene.
Operando così sarete felici, al contrario operando ingiustamente e guardando dove è tenebra userete cose empie e tenebrose ignorando voi stessi.
A quello che abbia potestà di fare ciò che vuole e sia dissennato toccherà la rovina come al malato che non ascolti il medico e come alle navi pilotate da un timoniere incompetente.
Dunque non si procuri la tirannia ma la virtù per essere felici e se la virtù manca è meglio essere governati da colui che è più buono.
Il meglio è bello, il bello è convenevole, la cattiveria è da servi, la virtù da uomini liberi.
Infine Alcibiade ha appreso quanto Socrate gli ha spiegato e afferma che comincerà subito a prendere cura della virtù.
Socrate chiude con una previsione pessimistica: ha paura che la loro città alla fine soggiogherà entrambi.