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Lucio Anneo Seneca
Consolazione a Polibio
Dal 41 al 49 d.C.,
Lucio Anneo Seneca
fu esiliato perché sospettato di aver preso parte ad una congiura nella quale era coinvolta anche
Agrippina Minore
.
Nel 44 d.C. morì il fratello di
Gaio Giulio Polibio
,
liberto
e ministro
a studiis
dell'imperatore
Claudio
. Il ministro
a studiis
aveva fra i suoi compiti quello di esaminare le suppliche e le richieste di grazia che venivano rivolte all'imperatore;
Seneca
rivolse a
Polibio
una
Consolazione
che, con i suoi toni a volte adulatori, costituisce una informale richiesta di grazia, nell'evidente speranza di poter tornare a Roma.
Seneca
, tuttavia, non potrà tornare a Roma che dopo la morte di
Messalina
che del suo esilio era stata la principale artefice.
Il testo si apre con un tema frequente in
Seneca
: tutto ciò che esiste è destinato alla fine, così le grandi opere umane, così le città, così l'universo intero. A questa legge fatale non sfugge l'uomo e dunque la perdita del fratello subita da
Polibio
è "parte della catastrofe che incombe sul Cosmo".
Se ciò potesse giovere a
Polibio
o al fratello perduto,
Seneca
si dice pronto ad unirsi al cordoglio e qui inserisce un'invettiva contro la fortuna che è anche un'adulazione rivolta al dedicatario.
Come poteva la fortuna colpire
Polibio
che non ha a cuore denaro e potere, che non teme sofferenza e morte, che è troppo onesto e saggio per non essere amato, se non privandolo dell'affetto insostituibile di un fratello?
Ma, rammenta
Seneca
, "Possiamo continuare a incolpare i fati, non cambiarli" e dunque è bene allontanare da se "l'amara voluttà del dolore". Del resto anche il fratello morto non vorrebbe certo veder soffrire
Polibio
. La sofferenza di
Polibio
, nota
Seneca
in un passaggio tipico della sua logica, è una "prestazione che, se il suo destinatario non sente più nulla, è inutile, se sente è sgradita".
Fra gli argomenti del consolatore non manca un richiamo al dovere: ad una persona importante come
Polibio
non è concesso rifiugiarsi nel privato trascurando le proprie responsabilità: "magna sertitus est magna fortuna".
Certo, dice
Seneca
, se il lavoro e gli impegni serviranno a proteggere
Polibio
dalla sofferenza durante la giornata, il dolore non tarderà ad insidiarlo la sera, una volta tornato a casa e qui la difesa dovrà essere lo studio di quelle opere tanto amate che sempre ha accompagnato
Polibio
e che ora più che mai egli dovrà curare.
Tornano poi alcuni temi della "Consolazione a Marcia": la morte non è infelicità ma il raggiungimento di una ineffabile serenità, è irrazionale affliggersi per quanto si è perduto e non rallegrarsi di ciò che si è avuto, la vita stessa è un "prestito" che la natura ci fa e revoca secondo le proprie leggi.
Ribadendo l'esortazione a
Polibio
di cercare conforto nella vicinanza dell'imperatore (
Claudio
),
Seneca
introduce una vera e propria supplica allo stesso (evidentemente augurandosi che
Polibio
la inoltri). In sostanza l'autore si rimette alla giustizia ed alla clemenza di
Claudio
, certo che dall'una o dall'altra non tarderà a raggiungerlo l'agognata liberazione dal confino.
Questa supplica è, in pratica, un breve inciso e subito il discorso torna ai temi consolatori: lo stesso
Claudio
potrebbe indicare al suo ministro quanto la fortuna non abbia ritegno a colpire gli uomini più illustri e la stessa famiglia imperiale contava fin troppi eventi luttuosi.
Seneca
conclude l'epistola affermando di averla scritta come meglio ha potuto, intorpidito ed inebetito com'è dalla lunga inerzia e si scusa se l'ingegno ed il linguaggio del mittente non sono stati all'altezza di quelli del destinatario, è difficile del resto esprimersi in latino per un uomo "circondato dal vocio inarticolato dei barbari".