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Marco Tullio Cicerone
Dell'Oratore
LIBRO I
Cicerone
si rivolge al fratello
Quinto
rimpiangendo che negli anni trascorsi gli eventi politici e le personali disavventure gli abbiano lasciato poco tempo per dedicarsi agli amati studi. Ora intende riprenderli ed utilizzare tutto il suo tempo libero per scrivere. Si deve tener presente che il
De Oratore
fu composto nel
55 a.C.
quando
Cicerone
, superati i cinquant'anni, non svolgeva più attività politica mentre era ancora pienamente impegnato nell'attività forense.
L'eloquenza viene confrontata con altre discipline ed esaminata dal punto di vista storico. Nata in
Grecia
si diffuse largamente a
Roma
. Nei primi tempi gli oratori romani si affidavano solamente alle proprie capacità naturali ma poi, tramite lo studio dei modelli greci e l'assidua esercitazione, giunsero a primeggiare in quella che
Cicerone
definisce "sintesi di molti studi e discipline".
Tuttavia i veri oratori erano pochi a causa della vasta cultura necessaria per padroneggiare l'eloquenza. L'oratore deve inoltre possedere una profonda conoscenza dell'animo umano, grazia, arguzia, eleganza, preparazione nel diritto e nella storia, nonché l'abilità di un attore nel regolare la voce ed i gesti ed una memoria eccezionale.
L'opera che
Cicerone
sta introducendo tralascerà i precetti dei maestri greci, noti a qualsiasi studente, e sarà dedicata al pensiero di alcuni fra i più importanti oratori romani.
L'opera è strutturata come una serie di dialoghi fra due famosi oratori,
Lucio Licinio Crasso
e
Marco Antonio
, che
Cicerone
assume come modelli di eloquenza. I dialoghi sono ambientati nella villa di
Tusculum
di
Crasso
che si è ritirato in campagna in occasione dei ludi romani (dal 4 al 12 settembre) del
91 a.C.
, nel periodo in cui a
Roma
si svolgeva la lotta politica fra il
console
Lucio Marcio Filippo
ed il
tribuno
Marco Livio Druso
.
Crasso
ha invitato
Marco Antonio
,
Quinto Muzio Scevola
,
Gaio Aurelio Cotta
e
Publio Sulpicio Rufo
. Dopo aver discusso a lungo della difficile situazione politica del momento i convitati, per rendere il clima più gradevole, decidono di discorrere dell'arte oratoria.
Il primo a parlare è
Crasso
che descrive l'importanza dell'oratoria nella vita politica e sociale. Intesa come uso ottimale della parola, la facoltà che distingue l'uomo dalla bestia, l'oratoria è vista come fondamento del vivere civile e del diritto.
Crasso
esorta quindi i più giovani fra i suoi ospiti a continuare lo studio dell'eloquenza.
Risponde
Scevola
che, pur lodando il discorso di
Crasso
, contesta con una certa fermezza due sue affermazioni: quella secondo cui gli oratori avrebbero spesso salvato le società civili e quella secondo cui l'oratore dovrebbe avere competenza in ogni campo dello scibile umano.
Da
Romolo
in poi, sostiene
Scevola
, la civiltà romana è stata costruita da uomini ignari di eloquenza come tutti gli antichi re, come
Lucio Bruto
. Per contro celebri oratori hanno arrecato danni alla comunità come
Tiberio
e
Gaio Gracco
.
Quanto alla cultura degli oratori si ricordano gli esempi di
Servio Sulpicio Galba
,
Marco Emilio Lepido Porcina
,
Gaio Papirio Carbone
, tutti ignoranti di diritto ed incerti sulle istituzioni. Più in generale, sostiene
Scevola
con ironia,
Crasso
dovrebbe misurarsi con tutte le scuole filosofiche per rendersi conto di quanto esagerato sia attribuire all'oratore così ampie competenze.
Ma
Crasso
insiste: se tipica dell'oratore è l'eleganza nell'esprimere i concetti non sarà comunque possibile parlare con facondia di qualcosa che non si conosce. L'oratore dovrà dunque avere profonda conoscenza non solo del diritto e delle procedure giudiziarie, ma di tutte le discipline che riguardano la vita dell'uomo e la sua natura così da poter parlare con competenza, saper suscitare emozioni e provocare sdegno o ammirazione, indipendentemente dall'argomento trattato. Quando le circostanze lo porteranno a discutere di un tema che non conosce dovrà opportunamente documentarsi ed essere quindi in grado di parlarne meglio di chi glielo ha spiegato.
Crasso
paragona dunque l'oratore al poeta: entrambi hanno la massima libertà di esprimersi ma entrambi sono tenuti a conoscere l'argomento di cui trattano. Poeti come
Arato di Soli
, autore di un trattato sull'astronomia, o
Licandro di Colofone
che compose un'opera sull'agricoltura, hanno potuto parlare di discipline tanto lontane dalla loro arte documentandosi adeguatamente, così farà l'oratore in base alle esigenze del caso.
Scevola
obietta che nella realtà non esistono persone dotate di così ampia cultura e
Crasso
ammette che il suo discorso si riferisce ad un personaggio ideale.
Interviene
Marco Antonio
il quale ricorda una discussione alla quale aveva assistito in
Atene
. Vi avevano partecipato uomini dottissimi sostenendo che l'eloquenza è una virtù innata ma per essere efficace in pratica necessita del sostegno di ricche nozioni di filosofia.
A questo punto
Crasso
accetta controvoglia di essere interrogato sulla propria attività di oratore e di esporre più approfonditamente le proprie opinioni. Gli viene chiesto se esista un'arte dell'eloquenza.
Crasso
risponde che il maggior contributo all'eloquenza viene dalle doti naturali e dall'ingegno. Sono necessarie, oltre alla cultura ed alla facilità di parola, doti come la memoria, una bella voce, una certa resistenza fisica, eleganza nei movimenti, un aspetto gradevole.
Pur ammettendo che oratori privi di alcuni di questi pregi, come
Gaio Celio Caldo
o
Quinto Vario Ibrida
, raggiunsero il prestigio grazie ad una pur limitata capacità oratoria,
Crasso
afferma che la mancanza di queste doti non può essere compensata dall'insegnamento. Dunque un'arte dell'eloquenza intesa come profonda conoscenza applicata non esiste in se o, se esiste, è di poco conto essendo molto più importanti le citate caratteristiche naturali e l'esperienza.
Antonio
nota che mentre agli attori come
Quinto Roscio
si accorda molta indulgenza se compiono errori o non recitano al massimo delle loro qualità, gli oratori che sbagliano sono presto tacciati di incapacità.
Sollecitato dai suoi interlocutori, in particolare dai più giovani
Cotta
e
Sulpicio Rufo
,
Crasso
svela alcuni "segreti del mestiere" parlando dei fondamenti della retorica così come li ha appresi durante i suoi studi.
Si definisce una prima analisi del discorso distinguendo fra questioni di carattere generale e questioni specifiche che riguardino una precisa persona in particolari circostanze.
Tutto il lavoro dell'oratore consiste in cinque punti fondamentali: reperire gli argomenti, organizzarli secondo logica e importanza, ornarli con lo stile, fissarli nella memoria, pronunciare un discorso con dignità e grazia.
L'oratore deve inoltre spendere la propria abilità per guadagnare il favore degli ascoltatori, per esporre con chiarezza l'argomento, sostenere con prove le sue tesi e ribattere le argomentazioni degli avversari.
La retorica e le sue regole, precisa
Crasso
, sono note dall'osservazione del comportamento di quanti, grazie alla proprie doti naturali, sono diventati grandi oratori. Si deve dunque dire che la retorica nasce dall'eloquenza e non viceversa. Ciò premesso, l'esercizio della retorica può essere utile per sviluppare le capacità dell'oratore ed affinare la sua tecnica.
Crasso
parla infatti dell'
exercitatio
, cioè degli esercizi ai quali oratori ed aspiranti tali si sottoponevano nella consuetudine romana, spesso simulando una causa, oppore provandosi a parlare pro e contro lo stesso argomento. L'oratore ricorda di aver in gioventù dedicato molto tempo alla lettura di autori latini e greci fondamentali per arricchire il lessico. Importantissima è anche la scrittura perché è scrivendo che si consolida la padronanza del linguaggio, infine si deve sperimentare in pubblico quanto si è imparato nell'intimità dei propri studi per verificare se la tecnica acquisita regge al confronto con la realtà .
Fondamentale la conoscenza del diritto per evitare grossolani errori professionali, vengono ricordati gli esempi di
Crasso Muciano Dives
, oratore dottissimo in diritto, e di
Marco Porcio Catone il Censore
.
Crasso
ricorda famosi eventi giudiziari come la causa nella quale prestò la sua assistenza ad un certo
Gaio Sergio Orata
che aveva acquistato una casa da
Marco Mario Gratidiano
(la casa era gravata da una servitù che il venditore non aveva dichiarato, e
Crasso
vinse la causa grazie, appunto, alla proprie conoscenze di diritto) e come il processo per stabilire se
Gaio Ostilio Mancino
che era stato consegnato al nemico dai
feziali
una volta rientrato a
Roma
godesse ancora dei propri diritti civili e politici.
Contrariamente all'opinione comune,
Crasso
sostiene che lo studio del diritto civile oltre ad essere utile è doveroso per l'oratore, è facile e piacevole. Molti lo ritengono difficile a causa dell'antica tendenza dei potenti a tenere la popolazione all'oscuro delle norme o a causa della mancante padronanza di una logica che consenta di ridurre a sistema l'intera materia giuridica.
Prende la parola
Antonio
premettendo che il suo metodo si basa sull'esperienza e sostiene che all'inizio di ogni discorso è importante definire chiaramente il soggetto del quale si intende parlare. Per
Antonio
l'oratore è colui che sa servirsi di parole gradevoli e di argomenti adatti a convincere nelle cause forensi. Una definizione dunque molto restrittiva rispetto a quella fornita da
Crasso
.
Antonio
vuole mantenere ben distinte l'attività politica da quella forense anche se sono numerosi i personaggi illustri che le hanno esercitate o le esercitano entrambe.
In particolare
Antonio
nega che l'oratore debba far ricorso alla filosofia: egli opera sollecitando quelle emozioni che molti filosofi negano o condannano. La vita reale, sostiene
Antonio
, è ben diversa dai mondi ideali ipotizzati dai filosofi ed è nella vita reale che l'oratore romano agisce.
Si ricorda come esempio il processo a
Publio Rutilio Rufo
che volle essere difeso da oratori che non facessero leva sulle emozioni dei giudici limitandosi ad una sobria esposizione della verità secondo il costume degli stoici: il processo si concluse con la condanna all'esilio dell'imputato.
Anche sulla necessità di conoscere a fondo il diritto,
Antonio
dissente ed afferma che basterà una conoscenza generica all'oratore che di volta in volta potrà consultare esperti e testi per i ragguagli del caso.
I giovani che intendono dedicarsi all'oratoria dovranno quindi accontentarsi di una buona cultura generale e dedicarsi molto all'esercizio per sviluppare la voce, migliorare lo stile e l'atteggiamento.
Dal canto suo
Crasso
precisa di essersi riferito ad un oratore di livello più alto del mero avvocato tratteggiato dall'interlocutore. Su questa battuta i convitati si salutano rinviando la discussione all'indomani e si conclude il libro primo.
LIBRO II
Cicerone
, in apertura del libro, riprende la parola rivolgendosi al fratello per precisare che
Crasso
ed
Antonio
, entrambi conosciuti personalmente in gioventù, erano in effetti dotati di grande cultura anche se non amavano manifestarla o vantarsene. E' per tramandare il loro ricordo che
Cicerone
ha voluto mettere per iscritto le conversazioni che costituiscono questa opera.
Si uniscono alla riunione due nuovi personaggi:
Quinto Lutazio Catulo
e
Gaio Giulio Cesare Strabone Vopisco
che la sera prima sono stati informati da
Scevola
delle dissertazioni in corso.
Riprende a parlare
Antonio
che ritorna suoi suoi principi: inclinazione naturale ed esperienza contano più della teoria.
Compito dell'oratore è esprimere con autorevolezza il proprio pensiero. Egli può portare alla rovina i colpevoli e salvare gli innocenti esercitando la propria capacità nell'arte dell'eloquenza che indipendente da ogni altra.
Riprendendo le parole di
Crasso
,
Antonio
parla dei tre generi retorici individuati da
Aristotele
: indefinito, specifico ed encomiastico (oppure deliberativo, giudiziario ed epidittico) ma esclude l'ultimo dalla sua trattazione in quanto non presenta regole particolari.
A proposito del rapporto fra storiografia ed oratoria
Antonio
nota come gli storici più antichi usassero uno stile scarno e succinto mentre via via prevalse l'uso di abbellire la narrazione con gli strumenti stilistici forniti dalla retorica. In questo contesto vengono citati numerosi storici latini (
Catone
,
Pittore
,
Pisone
,
Antipatro
) e greci (
Ferecide
,
Ellanico
,
Acusilao
,
Erodoto
,
Tucidide
,
Filisto
,
Teopompo
,
Isocrate
,
Senofonte
,
Callistene
,
Timeo
).
Antonio
sostiene che il compito principale e più difficile dell'oratore sia in ambito giudiziario. Qui la contesa con l'antagonista e la necessità di far prevalere le proprie posizioni rendono indispensabili grandi capacità. Chi riesce in questo campo non avrà difficoltà nelle altre applicazioni dell'eloquenza. Molto più pragmatico di
Crasso
,
Antonio
afferma che la teoria oratoria è del tutto inutile senza la pratica, così come teoria e pratica non porteranno all'eccellenza dove manchino le doti naturali.
Sono importantissime anche l'osservazione e l'imitazione di un modello. In un passo molto interessante,
Antonio
nota che i diversi stili delle varie generazioni di oratori greci devono essere nati proprio dal fatto che ciascuna generazione doveva aver scelto un proprio modello da emulare.
Antonio
passa a descrivere il proprio metodo di lavoro al momento di accettare una causa: prima ne discute a fondo con il cliente, quindi rappresenta in solitudine tre ruoli: il proprio, quello dell'antagonista e quello del giudice. Lo scopo è quello di affrontare la causa con la dovuta preparazione avendo separato il momento della riflessione da quello dell'esecuzione dell'orazione.
Vengono distinti tre "generi" di controversie: "cosa venga fatto, sia stato fatto o stia per essere fatto", "di che natura sia", "in quale modo vada designato".
L'oratore dispone di tre mezzi di persuasione:
probare
(dimostrare la veridicità delle proprie tesi),
conciliare
(guadagnare le simpatie di chi lo ascolta) e
movere
(suscitare le emozioni più vantaggiose per la propria causa).
Antonio
utilizza come esempio il processo contro
Lucio Opimio
per spiegare l'applicazione del suo metodo e per dimostrare come le questioni di carattere specifico vadano riportate a questioni generali.
Lucio Opimio
,
console
nel
121 a.C.
, aveva ricevuto pieni potere dal
Senatus Consultum Ultimum
, aveva perseguitato
Caio Gracco
ed i suoi sostenitori ed era finito sotto processo per aver condannato sommariamente dei cittadini romani. Nella causa non si metteva in discussione che
Lucio Opimio
avesse compiuto o meno le azioni di cui veniva accusato ma si doveva stabilire se queste azioni, nelle circostanze in cui erano state svolte, costituissero o meno un reato.
Riportare le "questioni finite" a "questioni infinite" permette di riunire tutti i casi del diritto in pochi generi perché se infinite sono le persone che possono essere coinvolte in un processo, in numero limitato sono gli argomenti generali ai quali fare riferimento.
Continuando nell'esposizione del suo metodo e del suo pensiero
Antonio
sottolinea come per provocare le emozioni volute nei giudici l'oratore debba sempre personalmente provare le medesime emozioni, dovrà cioè "acquisire la capacità di adirarsi, addolorarsi e piangere nel corso dell'orazione".
Queste manifestazioni non saranno frutto di simulazione perché nel preparare l'orazione e nel cercare gli argomenti opportuni il vero oratore si sarà realmente lasciato coinvolgere a livello personale dagli eventi e dalle passioni.
Altri accorgimenti per coinvolgere emotivamente i giudici: tentare di provocare simpatia facendo in modo che chi ascolta si immedesimi con la persona difesa, evitare esagerazioni nelle lodi per non provocare invidia o gelosia, dosare opportunamente accenti veementi e pacati.
Quando
Antonio
giunge a parlare dell'umorismo lascia momentaneamente la parola a
Cesare
, considerato particolarmente esperto in questa componente dell'oratoria.
Cesare
distingue due tipi di ridicolo, il primo insito nei fatti, il secondo in un detto. Esempi del primo genere sono aneddoti (non necessariamente veritieri) e caricature. Al secondo tipo appartengono motti di spirito, giochi di parole e doppi sensi. In ogni caso l'oratore dovrà usare le facezie con attenzione, evitando di offendere chi lo ascolta e di cadere nella volgarità.
Non esiste una teoria dell'umorismo e non è possibile insegnarlo,
Cesare
si limita quindi a menzionare i vari generi di battute di spirito e a raccontare alcuni esempi fra i quali la battuta di
Gaio Fabrizio Luscino
a
Publio Cornelio Rufino
(considerato uomo avido ma capace) che lo ringraziava per aver sostenuto la sua candidatura.
Fabrizio Luscino
aveva risposto di preferire essere derubato (dal
console
) che venduto come schiavo (al nemico).
Al termine della sua esposizione
Cesare
rende la parola ad
Antonio
il quale dichiara di aver ormai esposto il proprio pensiero, si limiterà quindi a riassumerne i punti principali.
Il metodo di
Antonio
consiste nel preparare bene la causa, distinguere fra gli elementi favorevoli da enfatizzare e quelli sfavorevoli da minimizzare.
Più che giovare alla causa è importante non arrecare danno, cosa che capita agli oratori inesperti per imprudenza o per superficialità.
Finalmente
Antonio
, accogliendo una richiesta di
Catulo
, passa a parlare della
dispositio
, cioè delle parti dell'orazione e della loro disposizione (esordio, narrazione, discussione delle prove, conclusione e perorazione).
L'esordio deve essere preparato dopo aver studiato a fondo la causa perchè dovrà essere composto da argomenti importanti e dovrà coerentemente anticipare il contenuto dell'orazione. L'oratore dovrà tener conto dell'importanza del primo impatto sui suoi ascoltatori.
La narrazione dovrà essere priva di frasi superflue ma interessante e svolta con linguaggio chiaro e gradevole. Potrà essere omessa quando i fatti sono già noti. Si dovrà quindi stabilire l'oggetto della controversia, addurre le prove di quanto si sostiene e confutare quelle dell'avversario.
Si giunge infine alla conclusione dell'orazione nella quale, come si è ampiamente descritto in precedenza, si dovranno usare tutti gli elementi atti ad influenzare l'animo dei giudici.
L'ultima parte del discorso di
Antonio
è dedicata alla memoria, capacità innata che è possibile sviluppare con l'esercizio. Dopo aver parlato di mnemotecniche, l'oratore consiglia di associare sempre concetti e notizie a immagini visive, più facili da organizzare e ricordare.
LIBRO III
Prima di continuare la narrazione dei discorsi,
Cicerone
si rivolge nuovamente al fratello
Quinto
per ricordare la sorte successivamente toccata ai suoi protagonisti.
Crasso
morì di pleurite pochi giorni dopo gli eventi narrati. La malattia si era manifestata durante la sua ultima orazione contro il
console
Filippo
che voleva riformare il
Senato
espellendo i suoi avversari.
Catulo
e
Antonio
morirono durante le persecuzioni succedute al ritorno di
Mario
a
Roma
.
In circostanza analoghe morirono
Quinto Muzio Scevola
,
Gaio Giulio Cesare
e suo fratello
Lucio Giulio Cesare
,
Publio Licinio Crasso
e
Gaio Papirio Carbone Arvina
.
Riprende a parlare
Crasso
il quale precisa come l'eloquenza sia una, anche se molto diversi fra loro possono essere gli stili degli oratori.
Requisito fondamentale dell'oratore è il linguaggio, un buon latino, ornato ma comprensibile ed adatto all'argomento trattato.
Assolutamente da evitare sono atteggiamenti affettati, modi di parlare non naturali che spesso derivano da inopportune imitazioni ed ogni comportamento che renda l'espressione forzata e sgradevole.
Crasso
promette di indicare agli interlocutori i loro difetti in questo senso.
Riprendendo il tema del rapporto fra eloquenza e filosofia,
Crasso
sostiene che le due discipline si separarono quando
Socrate
affermò che l'uomo saggio non dovrebbe occuparsi di politica.
Ma la filosofia e l'eloquenza sono nate insieme e si giunge alla definizione del perfetto oratore, capace di parlare pro o contro qualsiasi argomento e di sostenere in ogni causa due tesi antitetiche.
Una cultura vasta ma non specialistica dovrà essere accompagnata da una grande eleganza. Il discorso e lo stile con cui sarà pronunciato dovranno essere gradevoli ma non "indurre a sazietà", cioè il tono dovrà essere vario ed i preziosismi limitati per non stancare gli ascoltatori.
Ogni argomento si discute nello stesso modo, tramite l'indagine che comprende tre procedimenti: congettura, definizione e conseguenza.
Dopo un'ampia digressione sull'eloquenza degli antichi Greci e Latini (
nota 1
), sollecitato dagli interlocutori
Crasso
torna a parlare dello stile. L'abbellimento dello stile dipende dalla scelta delle parole e dalla loro disposizione. Relativamente alle singole parole l'oratore più conferire eleganza al suo stile in tre modi: usando parole inusitate, neologismi e metafore.
Le parole inusitate sono in genere termini arcaici o poetici. I neologismi sono parole create dall'oratore stesso in genere tramite combinazioni artificiali di parole esistenti.
La metafora, che
Crasso
considera il più ricco ed efficace degli ornamenti stilistici, consiste nel sostituire un termine con un altro affine rappresentando con eleganza quanto si vuole esprimere.
Si passa quindi alla strutturazione del periodo che va curato in modo da evitare suoni aspri e iati troppo pronunciati, ricercando un discorso gradevole e dotato di ritmo.
La percezione dell'armonia e del ritmo del discorso è una facoltà innata e non dipende dalla cultura di chi ascolta. Anche un pubblico incolto è in grado di comprendere se un orazione sia o meno ben strutturata dal punto di vista stilistico.
Infine
Crasso
parla di quello che considera lo strumento più efficace dell'oratore: l'
actio
, l'azione drammatica nella quale l'oratore, come un attore consumato, sottolinea tutti i suoi argomenti con la modulazione della voce, con l'atteggiamento del corpo, con i gesti e con lo sguardo.
Nelle ultime battute
Crasso
loda le prime prove di
Quinto Ortensio Ortalo
, giovanissimo ai tempi del convito, che sarebbe diventato negli anni successivi uno dei più famosi oratori romani.
Nota 1
: Esempi di eloquenza - Greci:
Talete di Mileto
,
Pericle
,
Crizia
,
Alcibiade
,
Dione di Siracusa
,
Timoteo
,
Filolao
,
Archita di Taranto
Latini:
Publio Licinio Crasso Dives
,
Tiberio Coruncanio
,
Publio Cornelio Scipione Nasica Corculo
,
Catone il Censore
.