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ALFONSO CAPECELATRO

STORIA DI SANTA CATERINA DA SIENA E DEL PAPATO DEL SUO TEMPO




INTRODUZIONE


Alla nascita di Caterina Benincasa (1347) la sede del papato si trovava in Avignone.
Questa situazione era stata provocata dal re di Francia Filippo il Bello il quale, dopo i noti contrasti con Bonifacio VIII, intervenne nell'elezione del successore di Benedetto XI, imponendo la scelta di Bertrand de Got che prese il nome di Clemente V e che trasferì la sede apostolica.
L'evento provocò dolore e sdegno in Italia, privò il Papato di molta autorità e portò al degrado e alla rovina la città di Roma.
I successivi pontefici in Avignone furono tutti francesi e non valsero le parole di uomini come Francesco Petrarca e Cola di Rienzo a convincerli della necessità di riportare in Roma il seggio papale.
In quel periodo la città di Roma fu tormentata dalle continue lotte fra le famiglie nobiliari come i Colonna e i Savelli ed i legati che i Pontefici mandavano da Avignone.
In generale in Italia si combatteva la lotta fra Guelfi e Ghibellini, lotta che spesso era solo un pretesto per sfogare vecchi odi personali o familiari. Inoltre in molti comuni fin dal secolo precedente la plebe aspirava al governo creando tensioni sociali che in molti casi avevano favorito il sopravvento di regimi tirannici.
Ma nonostante gli orrori di tante guerre e di tante stragi, l'Italia del XIV secolo fu anche teatro di grandiose realizzazioni artistiche come la Divina Commedia, le opere del Boccaccio e quelle del Petrarca, la pittura di Giotto, le sculture di Giovanni Pisano, Arnolfo, Nicola Pisano.


LIBRO PRIMO


Cenni sulla storia di Siena: saccheggiata da Pompeo e devastata da Silla, vi fu dedotta una colonia romana durante il consolato di Curio Dentato.
Nei primi anni del quarto secolo era già sede episcopale. Fu patria di santi (S. Bernardino, Beato Colombino, Ambrogio Sansedoni), filosofi (Piccolomini), di Claudio dei Tolomei e del pittore Guido da Siena.
A Siena, nel 1347, in una modesta casa di contrada dell'Oca, nacquero Caterina e Giovanna, figlie gemelle di Jacopo Benincasa e di Lapa.
Giovanna morì poco dopo la nascita. I Benincasa erano di condizioni modeste, forse tintori, e secondo le fonti contemporanee furono molto religiosi e molto prolifici, pare abbiano avuto venticinque figli.
Quando Caterina nacque cominciava a diffondersi l'epidemia di peste che l'anno seguente avrebbe decimato la popolazione italiana. Secondo alcune cronache nella sola Siena sarebbero morte ottantamila persone.
Caterina fu una bambina dolce e tanto allegra da ricevere il soprannome di Eufrosine (greco=allegria); dimostrando particolare trasporto verso gli insegnamenti cristiani della madre. A sei anni ebbe la prima visione di Cristo trionfante e benedicente.
A sette anni provò a ritirarsi in solitudine in una grotta fuori dalle porte di Siena, ma fu ispirata a scegliere altro tipo di vita. In quell'occasione rivolse voto di castità alla Madonna.
Spinta dal desiderio di aiutare il prossimo, raccolse intorno a se una congrega di coetanee dedite alla carità. Quando ebbe dodici anni la famiglia cominciò a premere perchè curasse la persona e si disponesse al matrimonio. Caterina respinse l'idea e quando le capitò di indossare qualche ornamento lo confessò a frate Raimondo come gravissimo peccato. Ma la madre prese a perseguitarla e a punirla per il suo rifiuto del matrimonio, in particolare quando Caterina tagliò i suoi lunghi capelli. Infine Caterina dichiarò apertamente la propria vocazione ed il padre, che aveva già notato la religiosità della figlia, le fornì tutto il suoi appoggio vietando ai familiari di ostacolarla.
Da allora Caterina si sottopose a dure penitenze e digiuni. La madre, dopo altri tentativi di farla sposare, si rassegnò a chiedere alle Suore Mantellate di Siena di accogliere Caterina, ma quelle risposero che accettavano solo vedove e donne mature. Tuttavia quando Caterina contrasse il vaiolo, Lapa tornò a pregare le religiose perché concedessero all'inferma di indossare il loro abito e questa volta le convinse.
Finalmente nel 1362 Caterina prese i voti dell'ordine Domenicano, trascorse volontariamente i tre anni successivi in clausura e in silenzio. Non le mancarono le tentazioni della libidine, che allontanava sottoponendosi a sanguinose penitenze.
In una visione di quel periodo Gesù le annunciò le Sue nozze con lei, episodio che fu rappresentato in molte opere d'arte (Frate Bartolomeo). Ancora in quel periodo morirono i genitori di Caterina che ne fu profondamente addolorata.
Caterina era analfabeta ma giunta a trent'anni fu improvvisamente in grado di leggere e scrivere, allora smise di dettare le sue lettere e prese a vergarle personalmente.
Quando si sentì chiamata a svolgere la sua missione al di fuori del convento, Caterina cominciò con l'aiutare a Siena i poveri e chiunque avesse bisogno di conforto.


LIBRO SECONDO


Fin dai tempi dei Romani i Senesi si erano dimostrati insofferenti ad ogni dominio straniero. Durante le invasioni barbariche Siena era stata colpita e saccheggiata come tutta l'Italia, quindi la Toscana era diventata un ducato con capitale Chiusi, ma già sotto Carlo Magno Siena aveva cominciato a godere di franchige e privilegi.
In età comunale fu ghibellina per odio e rivalità verso la guelfa Firenze e, come molti altri comuni, fu coinvolta in una serie di guerre.
Quando scoppiò la guerra con Firenze era a Siena Farinata degli Uberti, esule fiorentino di parte ghibellina. Aiutati da Manfredi di Sicilia i Senesi vinsero a Montaperti. La battaglia è ricordata anche da Dante quando condanna il traditore Bocca degli Abati.
Anche dopo la vittoria la vita di Siena non fu tranquilla e negli anni successivi le fazioni si succedettero al potere, prima con un governo di nobili, poi di classi miste e nel 1279 si giunse al governo dei Quindici che escludeva gli ottimati.
Dal 1286 primeggiò la borghesia con il Governo dei Nove che durò fino al 1355 quando fu rovesciato da una rivolta provocata dalla nobiltà con l'approvazione dell'imperatore Carlo IV.
Seguì un nuovo governo misto detto dei Dodici. Dopo un breve intervallo in cui l'imperatore pose la città sotto il controllo del patriarca di Aquileia, fu stabilito che il potere centrale toccasse al capitano del popolo e che questi dovesse essere un popolano senese.
Quando Caterina cominciò ad agire fuori dal convento, Siena si trovava in questa confusa situazione e il popolo si era rivolto. per chiedergli di fungere da arbitro, all'imperatore che aveva inviato il suo legato Unghero Malatesta. Ma i disordini continuavano tanto che anche Carlo IV intervenendo personalmente rischiò la vita.
Caterina scrisse molte lettere ai governanti di Siena: in tutte parlava di pace, giustizia e concordia. A poco a poco prese a scrivere anche ai reggenti di altre città per esortarli alla pace.
Ma l'attività di Caterina era fatta anche di contatti diretti fra la gente, come quando confortò un certo Nicola Tuldo condannato a morte per sedizione che, grazie alle parole della Santa, seppe affrontare il patibolo con serenità superando il furore che lo aveva colto alla notizia della condanna.
Caterina divenne famosa per le sue doti di pacificatrice e spesso venne chiamata in altre città per dissipare vecchi odii ed inimicizie.
A Siena risolse gli antichi rancori fra i Tolomei ed i Rinaldini da un lato e i Macconi dall'altro. Stefano Macconi, colpito dalla Santa, adottò un tale stile di vita che in seguito venne beatificato.
La straordinaria capacità di Caterina di rasserenare gli animi ed indurre le persone ad abbandonare i loro vizi ed i loro rancori, spinse papa Gregorio XI a chiederle di predicare nel Senese accompagnata da tre frati che potevano assolvere i peccatori da lei convertiti.
Nel 1374 scoppiarono tumulti a causa di un certo Andrea Salimbeni che aveva trucidato una giovane nipote per carpirle l'eredità e che fu giustiziato dal popolo in maniera sommaria. La situazione si calmò grazie alla mediazione dei Fiorentini ed all'incessante opera di pacificazione di Caterina.
Nello stesso anno Siena fu colpita da una grave carestia e dalla peste che dilagava in Italia ed in Francia.
In questi contingenti la Santa si prodigò per aiutare e confortare i malati. Caterina visitava spesso il monastero di Montepulciano ove era vissuta Sant'Agnese e dove accompagnò due sue nipoti che intendevano prendere il velo.
Visitava spesso anche il monastero di Santa Bonda presso un castello dei Salimbeni, ciò fece nascere nei governanti di Siena il sospetto che Caterina prendesse accordi con i Salimbeni contro la Repubblica.



LIBRO TERZO


Urbano V stava decidendo di riportare la sede papale a Roma. L'operazione era complicata dall'avverso parere di quasi tutti i cardinali e del re di Francia Carlo IV, mentre spronavano il pontefice a trasferirsi il Petrarca (Capecelatro riporta qui parte di una sua lettera) ed il frate Pietro d'Aragona.
Infine il papa decise e nel maggio 1367 partì per Roma dove giunse il 16 ottobre dopo una sosta a Viterbo.
A Roma fu accolto dalla popolazione in festa ed accompagnato da molti nobili italiani appositamente unitisi al corte come Nicola d'Este da Ferrara, Ridolfo signore di Camerino, Amedeo VI conte di Savoia, Ungaro Malatesta di Rimini.
Urbano V rimase a Roma tre anni durante i quali recuperò gran parte dei domini pontifici perduti. Infine però decise di tornare ad Avignone, forse per le insistenze dei Cardinali, forse per scongiurare una guerra fra Francia e Inghilterra.
Morì due mesi dopo il suo rientro in Francia e venne eletto Gregorio XI.
Nipote di Clemente VI, era diventato cardinale prima di compiere diciotto anni e veniva eletto papa a soli trentasei anni. Era teologo e giurista coltissimo, era stato allievo del famoso Baldo degli Ubaldi.
Casto, virtuoso e religiosissimo, il nuovo pontefice era di corporatura gracile e di salute cagionevole.
Caterina entrò in corrispondenza con Gregorio XI del quale presto divenne consigliera.
Fra le prime iniziative del nuovo papa fu quella di indire una crociata contro i Turchi. Scrisse al re d'Inghilterra, a Andrea Contarini doge di Venezia, a Ludovico conte di Fiandra; affidò il comando del presidio di Smirne a Raimondo Berengario; contattò e sollecitò tutti i capi dei governi cristiani. Intanto Caterina gli scriveva ripetutamente incoraggiandolo nei suoi propositi.
Ma una guerra scoppiata fra Venezia e Genova creò enormi difficoltà al progetto. Nondimeno nel 1373 il papa promulgò la crociata.
Mentre Gregorio prometteva il perdono dei peccatiu e ricorreva ad ogni strumento disponibile per propagandare la crociata, Caterina scriveva al cardinale Pietro d'Estaing (allora vicario del papa a Bologna, 1372) pregandolo di mantenere la pace nei territori a lui soggetti e di spingere gli abitanti a partire per combattere in Terra Santa.
Nell'aprile 1375 Caterina si recò a Pisa, accolta con molti onori da nobili e prelati.
Qui incontrò l'ambasciatore della regina di Cipro Eleonora, reggente per il figlio, che era pericolosamente minacciata dai Turchi. L'ambasciatore, infatti, era in viaggio per recarsi ad Avignone e chiedere aiuto al papa.
Caterina non mancò di rivolgersi a Giovanna regina di Napoli la quale aveva i mezzi per intervenire nella crociata e poteva convincere i regnanti francesi a fare altrettanto. Quando era stata spodestata da Luigi d'Ungheria (che la sospettava d'aver fatto morire suo figlio Andrea, primo marito di Giovanna) era stata reinsediata sul trono grazie alla mediazione di Clemente VI. Caterina fece leva su questo debito nei confronti della Chiesa per ottenere l'aiuto desiderato.
La Benincasa tentò di coinvolgere anche i Capitani di Ventura scrivendo a molti di loro, fra cui il celebre Giovanni Acuto che, colpito dalle parole della Santa, giurò che avrebbe partecipato alla crociata.
Ancora scrivendo ed esortando ottenne l'adesione di Guglielmo re d'Inghilterra e dei Genovesi.
Ma nonostante tutto l'impegno di Caterina, Gregorio XI dovette rimandare le crociate a causa della guerra che scoppiò fra Firenze e la Chiesa.
Durante un suo soggiorno a Pisa, mentre pregava nella chiesa di Santa Caterina, la Benicasa avrebbe ricevuto le stimmate (1 aprile 1375).
Verdo la fine dello stesso anno Caterina tornò alla sua casa di Siena, aveva ormai definito la propria missione: pacificare l'Italia e riportare il Papato a Roma.


LIBRO QUARTO


La situazione in Italia vedeva gli Angioini a Napoli e varie signorie come quelle degli Estensi in Romagna, dei Savoia in Piemonte e dei Visconti in Lombardia.
Bernabò Visconti era sempre stato in armi contro Urbano.
Nel 1371 gli Estensi mandarono il mercenario Lucio Lando contro Feltrino Gonzaga signore di Reggio Emilia. Lando conquistò Reggio ma invece di consegnarla ai suoi committenti la vendette a Bernabò Visconti.
Dopo questo acquisto Bernabò minacciò Modena mentre il fratello Galeazzo attaccava il Monferrato. Gregorio XI scomunicò Bernabò e nel 1372 gli dichiarò guerra. Nello stesso periodo scoppiò la guerra fra la Chiesa e Firenze.
Correva voce che Gregorio intendesse attaccare la Toscana ed il comportamento dei suoi legati corroborava la credibilità della diceria.
Fra le case che scatenarono la guerra fu il rifiuto del legato papale di Bologna, Giuseppe Noelletti, di vendere grano ai Fiorentini in tempo di carestia.
Intanto si era stabilita una tregua con Visconti e Noelletti aveva licenziato Giovanni Acuto il quale minacciò Firenze e tentò di prendere Prato.
I Fiorentini, convinti che il mercenario operasse per ordine del Noelletti, lo liquidarono con il denaro e dichiararono guerra alla Chiesa.
Il papa scrisse molte lettere per smentire le accuse dei Fiorentini ma non venne creduto.
A Firenze primeggiavano i Ricci e gli Albizi. Poichè i primi dimostravano tendenze ghibelline, quando si trattò di eleggere otto magistrati per condurre la guerra, fu naturale che la scelta cadesse su cittadini della loro cerchia.
Furono eletti Alessandro dei Bardi, Giovanni Dini, Giovanni Magalotti, Andrea Salviati, Tommaso Strozzi, Guggio Gucci, Matteo Soldi e Giovanni di Mone.
Scoppiata la guerra i Fiorentini presero a danneggiare il clero cittadino con multe e privazioni della libertà e a sobillare rivolte nelle città appartenenti alla Chiesa.
Nel 1375 si sollevarono Città di Castello, Viterbo, Montefiascone, Narni, Perugia, Spoleto, Gubbio, Camerino, Radicofani, Todi, Urbino ed altre città.
Dal canto suo Caterina si prodigò per tranquillizzare gli animi in Lucca, Pisa e Siena ma soprattutto si rivolse al Papa perché non reagisse militarmente e lavorasse per la pace. Scrisse varie lettere al Pontefice e gli mandò un suo discepolo perché gli esponesse il suo pensiero.
All'inizio del 1376 il Papa aveva assoldato la compagnia dei Bretoni ma volle dare ascolto a Caterina e tentare ancora di trovare una soluzione pacifica.
Inviò quindi due ambasciatori a Firenze: Nicolò Spinello di Giovinazzo e Bartolomeo Giacoppi di Genova, ma gli Otto non accettarono e mandarono il conte Antonio di Bruscoli a sollevare Bologna.
Indignato, Gregorio XI convocò i governanti di Firenze entro marzo, pena l'anatema.
Gli Otto mandarono Alessandro dell'Antella, Domenico di Salvestro e Donato Barbadori a dire le loro ragioni ad Avignone.
Barbadori tenne un'infocata orazione contro i vizi e gli abusi dei legati pontifici cercando di presentare il comportamento di Firenze come una giusta ribellione alla tirannide.
Intorno a Gregorio i cardinali italiani erano favorevoli alla pace, quelli francesi alla guerra. Prevalse l'opinione che un comportamento pacifista sarebbe stato segno di debolezza ed il Pontefice scomunicò i Fiorentini.
Caterina godeva di tanta fama che i Fiorentini le chiesero di rappresentarli presso il pontefice e di cercare una via per la pace. La Santa si recò dunque a Firenze nel maggio 1376, fu accolta con onore da governati e notabili ed ospitata in casa di Nicolò Soderini che le presentò gli Otto.
All'epoca l'apparato governativo fiorentino era molto complicato. Deteneva il potere esecutivo il Consiglio degli Otto Priori delle Arti, presieduto da un Gonfaloniere di Giustizia che veniva eletto ogni due mesi. Esistevano inoltre un Consiglio dei Sedici Gonfalonieri di Compagnia ed uno dei Dodici Buoniuomini che dovevano confermare le decisioni più importanti, mentre per riformare le leggi era necessario convocare il Consiglio del Popolo (duecentocinquanta membri) ed il Consiglio del Comune (duecento membri). Le cause civili erano giudicate dal Podestà, i reati contro lo Stato dal Capitano del Popolo. Un altro magistrato, detto "esecutore", tutelava i diritti dei popolani contro la nobiltà.
I Capitani di Parte vigilavano contro i ghibellini espulsi da Firenze, i Consoli o Sindachi delle Arti erano "supervisori delle ventuno Corporazioni".
A tutti questi magistrati si erano aggiunti gli Otto che il popolo aveva battezzato Otto Santi.
Caterina incontrò parecchi ostacoli in questa situazione politica e burocratica ma, come sempre, non si perse d'animo e si dedicò a diffondere il suo messaggio di pace. Mandò a Gregorio il suo consigliere ed amico Frate Raimondo da Capua con una sua lettera nella quale indicava al Papa tre azioni da compiere per ottenere una pace duratura: sostituire i legati corrotti, trasferirsi a Roma ed indire la crociata.
Tuttavia il 27 maggio giunse in Italia Roberto di Ginevra con la compagnia dei Bretoni portando saccheggi e devastazioni.
Alla fine di maggio Caterina partì da Firenze per Avignone dove giunse il 18 giugno con ventidue discepoli.
Il Papa la fece alloggiare in un bel palazzo di Avignone ordinando che venisse trattata con ogni reverenza e dopo due giorni la ricevette in seduta solenne.
Colpito dal carisma di Caterina, Gregorio XI le concesse di organizzare a suo giudizio le trattative di pace, ma proprio allora giunse ad Avignone notizia della confisca dei beni del clero da parte dei Fiorentini. Caterina scrisse a Firenze una dura lettera di rimprovero per quell'azione così inopportuna nel momento in cui la pace era finalmente vicina.
Giunse ad Avignone una nuova ambasciata composta da Pazzino Strozzi, Alessandro dell'Antella e Michele Castellani, ma gli inviati fiorentini rifiutarono di trattare la pace con Caterina che era stata delegata dal Papa.
Procedendo nelle trattative e nei suoi rapporti con il Papa e con i cardinali, Caterina insisteva per il ritorno del Papato a Roma, per la riforma del clero e perché le energie che venivano spese nella guerra in Italia fossero dirottate contro gli infedeli.
La Santa si rivolse a Luigi duca d'Angiò che si trovava in Avignone considerandolo adatto ad assumere il comando di un'eventuale crociata. Durante i colloqui che ebbe con Caterina, Luigi d'Angiò l'apprezzò al punto di chiederle di fare da mediatrice fra suo fratello Carlo V re di Francia ed Edoardo re d'Inghilterra che da tempo si facevano guerra. Caterina, che non intendeva lasciare Avignone, inviò al re una lettera infuocata nella quale condannava la guerra contro gli Inglesi e pregava Carlo V di aderire alla crociata.


LIBRO QUINTO


L'autore qui traccia un parallelo fra i tre personaggi che a suo avviso più lottarono per il ritorno del papa a Roma: Dante, Petrarca e Caterina.
Guelfo, Dante divenne ghibellino in esilio e scagliò le sue terribili invettive contro i suoi compagni di partito e contro tre pontefici: Bonifacio VIII, Clemente V e Giovanni XXII.
Petrarca polemizzò sulla corte papale di Avignone che conosceva bene e si prodigò per il ritorno del Papato a Roma, città per la quale nutriva un incredibile amore. Purtroppo Petrarca morì poco prima che Gregorio XI rientrasse a Roma appagando il suo desiderio.
Come questi due grandi poeti Caterina, semplice ed incolta, lavorò per restituire a Roma la sede papale ed il suo dei tre fu il contributo più efficace perché basato su argomenti cristiani, ai quali il papa era più sensibile, mentre per i poeti contavano anche idee politiche (Dante infatti ne scrisse nel De Monarchia) e la memoria della passata grandezza di Roma.
Cardinali e cortigiani, vedendo che Caterina stava ormai superando le ultime remore di Gregorio e non riuscendo a contrastarla efficacemente, si dedicarono a promuovere la crociata sperando così di indurre il papa a rimanere ad Avignone dove avrebbe avuto più rapidi contatti con i re di Francia e di Inghilterra e, comunque, di far passare in secondo piano il progetto di partenza per Roma.
Caterina non si lasciò ingannare da questo atteggiamento e nelle sue lettere al Papa ne denunciùò l'ipocrisia.
I maggiori ostacoli alla partenza del Papa venivano dalla monarchia francese: Carlo non intendeva perdere i vantaggi ed il prestigio che derivavano dall'ospitare la sede pontificia nei suoi territori ed in particolare apprezzava il fatto che in Avignone era più probabile che venissero eletti papi francesi.
Secondo i cronisti del tempo, durante il conclave Gregorio XI aveva fatto voto di trasferire la sede a Roma se fosse stato eletto ma non ne aveva parlato con nessuno. Quando Caterina gli dimostrò di essere prodigiosamente a conoscenza di quel voto segreto Gregorio decise definitivamente di lasciare Avignone.
apecelatro inserisce qui una digressione su Avignone che da misero borgo qual'era, era divenuta con i Papi in breve tempo una splendida città. Giovanni XXII aveva iniziato la costruzione del sontuoso palazzo papale, Benedetto XII lo aveva completato e fortificato e tutti i loro successori lo avevano adornato ed arricchito.
Clemente V aveva chiamato Giotto a dipingere nel palazzo, a Giotto seguirono Taddeo Gaddi, Simone Memmi e molti altri.
I mezzi della Chiesa e le ricchezze private dei Cardinali abbellirono la città con palazzi e monumenti, la frequentazione di intellettuali come Petrarca la rese attraente e vivace.
Tutto questo rendeva Avignone un luogo di beatitudine per il Pontefice e lasciarla per la turbolenta Italia era un duro sacrificio.
Nonostante ciò Gregorio XI fece allestire una galea sul Rodano ed il 13 settembre 1376 partì da Avignone. Un ultimo disperato tentativo da parte del padre di Gregorio che tentò di ostacolargli il passo sulla porta del palazzo non valse a fermarlo.
Durante il viaggio sostò a Marsiglia e da qui salpò il 2 ottobre 1376, il viaggio fu tormentato dalle pessime condizioni del mare. Il 18 ottobre sostò a Genova dove ritrovò Caterina che aveva viaggiato via terra.
Gregorio ripartì da Genova il 29 ottobre, fece una sosta a Livorno e finalmente arrivò il 6 dicembre a Corneto nei territori della Chiesa.
Il 17 gennaio 1377 il Papa, risalendo il Tevere, giunse a San Paolo e di qui entrò in Roma con un solenne corteo.
Tutta la cittadinanza accolse il pontefice con grande giubilo, ma Caterina non era presente: una volta raggiunto il suo scopo era tornata nella sua umile cella di Siena.


LIBRO SESTO


Roma era governata da tredici magistrati (uno per rione) detti Banderesi sottoposti ad un senatore la cui unica funzione in realtà era l'amministrazione della giustizia.
Durante il suo periodo romano Urbano V si era inutilmente opposto all'autorità dei Banderesi ma, all'arrivo di Gregorio, i tredici ne riconobbero la supremazia.
I Banderesi erano di estrazione popolare ed i nobili si rivolsero al Papa perché abolisse la loro magistratura. In sostanza la situazione era confusa e tutt'altro che tranquilla.
Da parte sua Caterina scriveva al Papa indicandogli come priorità, ora che il seggio era tornato a Roma, la pace con Firenze e la riforma della Chiesa.
Nelle sue lettere Caterina non evitava duri rimproveri e toni forti, ma Gregorio, forse troppo preoccupato per la guerra, indugiava in merito alla riforma.
Sollecitato dalla Santa il Papa scrisse ai Fiorentini di mandare a Roma i loro ambasciatori (Strozzi, dell'Antella, Castellani) ma l'ambasceria non conseguiva risultati.
Intanto in Italia continuavano i combattimenti, il Papa proponeva la pace ma non desisteva dall'organizzare le risorse militari, chiamò quindi il cardinale Roberto di Ginevra al comando della Compagnia dei Bretoni.
A Cesena queste truppe, occupando la città, vessavano la popolazione con continue violenze e ruberie. Un giorno una rissa dilagò rapidamente ed i Bretoni fecero strage dei Cesenati.
Intanto il nipote di Gregorio veniva fatto prigioniero dal prefetto di Viterbo e Giovanni Acuto passava ai Fiorentini.
Il papa chiese a Caterina di recarsi a Firenze per predicare la pace e volle che andasse sola, sicuro che il rispetto di cui godeva l'avrebbe tenuta al riparo da ogni pericolo.
La Benincasa andò e fu accolta con grande onore da icolò Soderini e da altri notabili ma presto notò quanta miseria aveva colpito la città da quando la guerra e l'interdetto avevano paralizzato i suoi commerci. Parlò innanzitutto della violazione dell'interdetto (il clero era stato costretto a riaprire le chiese).
La missione non era facile: due erano i principali detentori del potere a Firenze in quel momento, il Consiglio degli Otto e quello dei Capitani di Parte Guelfa. Il primo era favorevole alla guerra (che era la sua ragion d'essere) e respinse le richieste di Caterina; il secondo si mostrò più disponibile ma poi tentò di strumentalizzare le parole della Santa per questioni politiche o private.
Nonostante tutte queste difficoltà l'opera di Caterina ebbe effetto e fu decisa la convocazione di un congresso di pace a Sarzana.
Parteciparono anche rappresentanti della Francia, di Napoli, di Genova e di Venezia. Bernabò Visconti doveva fungere da arbitro fra la Chiesa e Firenze ma poco dopo l'inizio dei lavori giunse la notizia della morte di Gregorio XI, era il 27 marzo 1378.
Il congresso fu sciolto e si verificarono gravi disordini a Firenze. Nel mese di marzo fu eletto gonfaloniere Salvestro dei Medici che riuscì a frenare abusi ed intrighi dei Capitani di Parte Guelfa, ma non a porre fine alle ostilità interne di Firenze. La plebe si rivoltò contro i Capitani costringendoli alla fuga, saccheggiò e distrusse le loro case.
Infine il popolo si rivolse contro Caterina ed i suoi seguaci, una folla infuriata la raggiunse in un orto dove si era ritirata in preghiera ma al cospetto della Santa che affrontava il martirio con serenità nessuno osò colpirla.
A Firenze Caterina si occupò anche della contesa con la setta dei "Fraticelli", un gruppo di frati francescani che molti anni prima si erano ribellati ai superiori e predicavano la povertà assoluta.
Sembra che negli ultimi giorni di vita Gregorio XI abbia previsto lo scisma che sarebbe seguito alla sua morte ed abbia lasciato disposizioni per accelerare e semplificare le procedure per l'elezione dei suo successore.


LIBRO SETTIMO


Nel 1378 Caterina scrisse un libro considerato trattato di mistica teologica, che in seguito ebbe il titolo di Dialogo della serafica vergine Caterina, lasciò inoltre alcune centinaia di lettere, un Trattato della consumata perfezione, Brevi ammaestramenti di perfezione, un Sermone e ventisei Orazioni.
L'autore si sofferma sulla differenza fra teologia mistica, basata sulla fede, e teologia scolastica basata sulla ragione: la prima guarda a Dio come "appetibile", la seconda lo guarda come conoscibile.
Il XIV secolo fu importante per la mistica, soprattutto grazie a Brigida di Svezia e a Caterina da Siena.
Caterina dettò il Dialogo nel suo volgare. L'opera era composta di quattro trattai: Della Discrezione, Dell'Orazione, Della Divina Provvidenza, Dell'Obbedienza. La forma è, appunto, quella di un dialogo fra Dio e l'Autrice.
Le azioni e gli scritti della Santa attrassero intorno a lei un gran numero di discepoli i primi dei quali furono i suoi consiglieri spirituali: Raimondo da Capua, Tommaso della Fonte, Bartolomeo di Domenico.
Divenne maestra dei frati di un convento di Romitani di S. Agostino presso Siena dove furono suoi discepoli frate Guglielmo d'Inghilterra, Antonio da Nizza, Giovanni Tantucci, Felice da Massa, Frate Girolamo.
Da altri monasteri vennero a lei l'abate Giovanni di Gano da Orvieto, il beato Giovanni delle Celle, Bartolomeo Serafini priore della certosa dell'isola di Gorgona, il beato Giovanni Oppizzenchi e molti altri.
Non soltanto religiosi ascoltarono i discorsi di Caterina ma anche molti intellettuali e notabili toscani: Gano Guidini, Matteo di Cenni, Andrea Vanni, Francesco Landi, Matteo Forestani, ecc.
Fra quanti più strettamente si attennero agli insegnamenti della Benincasa, Capecelatro ricorda tre laici: Barduccio di Piero Caniziani, Stefano di Corrado Maconi, Neri di Landoccio Pagliaresi.
Originari di Firenze, i Canigiani erano andati esuli a Siena dopo Montaperti, Barduccio fu compagno di Caterina in molti suoi viaggi.
Maconi dopo la morte della Santa si fece certosino e continuò ad insegnare la dottrina di lei. Pagliaresi concluse la sua vita in eremitaggio.
In particolare le donne, che non avevano accesso all'Università, si rivolgevano a Caterina per apprendere la teologia come dimostrano molte lettere della Santa a badesse e nobildonne. Fra queste si ricordano Giovanni Pazzi, Giovanna di Capo e Alessia Saracini di Siena.
Nell'età di Caterina fiorì anche il cui massimo esponente fu il beato Giovanni Angelico da Fiesole.
Il periodo di contemplazione nel quale Caterina dettò le sue opere fu di breve durata perché gli eventi che seguirono la morte di Gregorio XI la costrinsero a tornare sulla scena.


LIBRO OTTAVO


Il collegio era composto di soli ventitre cardinali, quasi tutti uomini mediocri ed inadatti al loro ufficio. Diciannove erano francesi, quattro italiani. Alla morte di Gregorio solo sedici cardinali si trovavano in Roma.
Ovviamente i Francesi avrebbero voluto eleggere un loro connazionale che riportasse il seggio ad Avignone, ma il popolo di Roma domandava a gran voce un italiano mentre i cardinali non potevano ignorare il pensiero di Caterina e di molti intellettuali ed uomini politici che volevano che il Papato rimanesse a Roma.
Fu scelto Bartolomeo Prignano arcivescovo di Bari che era napoletano e come tale suddito di Giovanna, quindi della casa reale francese.
Appena il conclave si riunì un fulmine esplose con grande frastuono, fatto che fu interpretato come presagio ed incoraggio il popolo che mandò dai Cardinali dei rappresentanti per ribadire le richieste.
Infine il conclave confermò Prignano che prese il nome di Urbano VI
Corsero false voci. Il popolo credette prima che fosse stato eletto un francese e si sollevò, poi si disse che il nuovo papa era l'anziano cardinal Tebaldeschi, romano, che fu subito circondato dall'euforia della folla. Quando l'equivoco fu chiarito scoppiarono nuovi disordini ed i Cardinali fuggirono in Castel Sant'Angelo, ma l'indomani le acque si calmarono e Prignano accettò la nomina.
Nei giorni seguenti il papa venne consacrato e l'elezione notificata ai Cardinali rimasti in Francia ed a tutti i governanti europei.
I Fiorentini, dal momento che il congresso di Sarzana era stato sciolto senza conclusioni, seguirono il consiglio di Caterina ed inviarono al nuovo papa una delegazione formata da Donato Barbadori, Alessandro dell'Antella, Minardo Cavalcanti, Pazzino Strozzi, Bindo dei Bardi, Vari dei Medici, Matteo Arrighi e Stoldo Altoviti.
La pace fu conclusa con la condizione che tutto tornasse come era prima della guerra ed un'ammenda di centocinquantamila fiorini a carico dei Fiorentini.
Caterina esultò, come dimostrano le sue lettere ai discepoli, tornò a Siena e riprese ad occuparsi delle sue opere caritatevoli.
Prignano era molto religioso, casto e virtuoso ed era un fiero avversario della simonia e di tutti i ivizi del clero, ma era un uomo impulsivo ed iracondo ed il suo rigore, professato con modi bruschi e diretti, gli procurò fin dai primi tempi del suo pontificato il rancore dei cardinali.
Quando Urbano passò alle vie di fatto con provvedimenti che vietavano la simonia ed ogni forma di lusso, i cardinali francesi, con il pretesto del caldo estivo, si ritirarono ad Anagni e presero ad ordire macchinazioni per detronizzare il pontefice alleandosi con il conte di Fondi Onorato Gaetani e con Pietro di Rostagno, comandante della guardia della Mole Adriana.
Nonostante gli sforzi di Caterina, dei cardinali italiani e di Ottone di Brunswich per portare la pace in Vaticano, la situazione precipitava velocemente. Infine i cardinali dichiararono nulla l'elezione di Urbano perché condizionata da pressioni esterne e gli intimarono di deporre le insegne pontificali. Riunitisi a Fondi, sedici cardinali elessero un antipapa: Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII.
Intanto Urbano nominava ventiquattro nuovi cardinali per garantirsi una maggioranza di sostenitori come gli aveva consigliato Caterina ma il provvedimento era ormai tardivo. Fra i nuovi eletti molti erano di tendenze ghibelline perché Urbano, consapevole di non avere l'appoggio dei Francesi, cercava quello dell'imperatore. Per sua sfortuna, o perché procedette troppo frettolosamente nella scelta, una parte dei nominati non gli fu fedele e presto si schierò con Clemente VII.
Caterina, inorridita dallo scisma, oltre ad assicurare conforto ed appoggio ad Urbano, decise di tentare di alienare agli scismatici il supporto dei potenti europei.
Urbano infatti aveva perso il favore della regina Giovanna di Napoli, che pure gli si era inizialmente mostrata devota, forse perché le aveva negato il consenso ad un matrimonio fra parenti nella famiglia regale di Napoli. Inoltre consiglieri di Giovanna favorevoli all'antipapa calunniavano Urbano presso Giovanna sostenendo che il pontefice intendeva deporla a vantaggio di Carlo di Durazzo.
Caterina scrisse a Giovanna una lunga lettera in cui con squisita diplomazia fingeva di ignorare la posizione assunta dalla regina e la esortava a difendere il legittimo pontefice.
Urbano IV invitò Caterina a Roma ma la Santa non volle muoversi prima di aver ricevuto un ordine scritto per evitare che i suoi frequenti viaggi causassero scandali e maldicenze.
Una volta giunta a Roma con i suoi più fedeli seguaci Caterina convocò con le sue lettere molti autorevoli religiosi perché prestassero consiglio ed aiuto al pontefice.
Si formò così intorno a lei una comunità che viveva di elemosina, rifiutando ogni altro mezzo di sussistenza, ed adottava costumi simili a quelli dei più antichi cristiani.
Senza alcun timore la Benincasa parlò nelle riunioni convocate dal papa, augurando una soluzione pacifica dello scisma basata sulla fede e non sulla violenza.
Scrisse quindi una durissima lettera a tre cardinali italiani che pur avendo partecipato all'elezione di Clemente VII se ne erano allontanati ma, avendo pudore e timore di riavvicinarsi a Urbano, si erano ritirati in una residenza di Tagliacozzo. In questa lettera Caterina contestava ai prelati la falsità di chi sosteneva che Urbano fosse stato eletto sotto coercizione, ciò che era il principale argomento usato dai sostenitori dell'antipapa per legittimarne la nomina.
Visto inutile qualsiasi tentativo di comporre lo scisma con la diplomazia, Urbano VI emanò una bolla con la quale scomunicava Clemente VII ed i suoi elettori.
Roberto di Ginevra rispose con altre scomuniche e fu la guerra aperta.
Silvestro di Budes, capitano dei mercenati brettoni al soldo di Clemente VII, entrò in Roma con le sue truppe, occupò il Campidoglio e fece strage di cittadini disarmati.
Nei giorni successivi la plebe romana uccise per rappresaglia molti stranieri innocenti residenti a Roma.


LIBRO NONO


La scelta di Roberto di Ginevra come antipapa non era stata casuale. Egli era imparentato con molti potenti di Europa ed aveva tutte le caratteristiche necessarie per opporsi a Urbano VI.
Quando venne eletto aveva solo trentasei anni ma aveva già accumulato una lunga esperienza di politica cortigiana. La strage di Cesena gli aveva procurato fama di sanguinario presso alcuni ambienti ma anche grande stima da parte dei militari.
Alto, di bell'aspetto, carismatico e prodigo sapega guadagnare consensi. Dall'inizio del 1379 aveva occupato militarmente Roma e teneva Castel Sant'Angelo grazie al tradimento del capitano Rostagno.
Come si è visto l'antipapa aveva dalla sua parte la Francia e la regina di Napoli.
Caterina aveva intenzione di recarsi personalmente da Giovanna di Napoli per convincerla a sostenere Urbano VI. Il papa approvò il progetto e propose che fosse accompagnata da una suora di nome Caterina, figlia di Santa Brigida di Svezia ma questa, per pudicizia o per paura, rifiutò di partire. infine Urbano, considerando i pericoli ai quali avrebbe esposto le due religiose, annullò il viaggio.
Caterina ubbidì e rinunciò a far visita alla regina ma continuò a scriverle rimproverandola apertamente e presagendo l'infelice destino di Giovanna che soltanto tre anni dopo sarebbe stata deposta ed uccisa.
Onorato Gaetani conte di Fondi godeva della signoria di Anagni e dei territori della Chiesa in Campanio per un accordo concluso con papa Gregorio al quale aveva prestato ingenti somme di denaro.
Urbano VI revocò questi benefici passandoli a Tommaso Santa Severina conte di Marsico, noto avversario del Gaetani.
Sdegnato, Onorato Gaetani aveva ospitato i cardinali ostili a Urbano VI ed aveva collaborato allo scisma. Di questi fatti non tardò a rimproverarlo Caterina con una delle sue lettere, come sempre focosissima.
Mentre Caterina si sforzava di recuperare all'obbedienza al papa Giovanna, Onorato e quanti se ne erano allontanati, Clemente continuava ad organizzare le sue milizie ed anche Urbano VI ritenne opportuno dotarsi di adeguate risorse militari. Lo fece arruolando Alberico da Barbiano conte di Cuneo e la sua compagnia di San Giorgio.
I soldati di Clemente erano accampati a Marino e di qui compivano frequenti incursioni a Roma. Intanto il Rostagno difendeva Castel Sant'Angelo assediato dai Romani.
Alberico attaccò improvvisamente il campo di Marino e con una durissima battaglia mise in fuga l'esercito nemico.
La sera stessa entrò in Roma trionfante ed il Rostagno consegnò senza più combattere la fortezza (30 aprile 1379).
Su consiglio di Caterina la vittoria fu celebrata con una solenne processione che accompagnò Urbano VI da Santa Maria in Trastevere (dove aveva dovuto trasferirsi a causa dei nemici che occupavano Castel Sant'Angelo) alla sua sede istituzionale in Vaticano ormai liberata da ogni pericolo.
Dopo la sconfitta di Marino Clemente II fuggì a Spelonca e di qui a Napoli dove fu ricavuto da Giovanna con grandi onori. Baciarono il piede a Clemente Giovanna e suo marito Ottone, Roberto d'Artois e la moglie Agnese duchessa di Durazzo e sua sorella Margherita moglie di Carlo di Durazzo.
Come previsto da Caterina il fatto che la regina favorisse l'antipapa straniero provocò malumori nel popolo napoletano e bastò un piccolo incidente per far scoppiare una rivolta.
Clemente, pochi giorni dopo l'arrivo a Napoli, fuggì dalla città e, salpando da Gaeta, partì per Avignone.
Dal canto suo re Carlo di Francia affontava la situazione con molta prudenza e ordinò all'Università di Parigi di eseguire un accurato esame degli eventi.
Urbano VI, pur non sperando di poter convincere Carlo a sostenerlo, decise di inviare in ambasciata presso di lui frate Raimondo da Capua, il confessore di Caterina, il quale prima di partire volle consultare la Santa.
Dopo un lungo colloquio, incoraggiato dalle esortazioni di Caterina e pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà, frate Raimondo si imbarcò, sostò a Pisa e riuscì a stento a salvarsi dai clementisti a Genova. I sostenitori dell'antipapa, infatti, usavano ogni mezzo per impedire che il re di Francia fosse tenuto al corrente delle vicende dello scisma.
Raimondo non riuscì tuttavia a superare Ventimiglia a causa delle insidie dei clementisti, ne informò il papa e ricevette l'ordine di fermarsi a Genova e predicare una crociata contro gli scismatici.
Vedendo che la missione di Gregorio non sarebbe andata a buon fine, Caterina decise di compiere personalmente l'ambasciata presso Carlo ma per ragioni che non ci sono note il progetto non ebbe seguito. Non produsse alcun effetto neanche la lettera che la Santa indirizzò al re di Francia, probabilmente perché fu intercettata dagli scismatici che avevvano un'efficace presenza negli affari di corte.
Comunque Carlo delegò la decisione all'Università di Parigi (anche se pare che nel farlo esercitasse pressioni in favore di Clemente) e l'Università confermò la validità dell'elezione di Roberto da Ginevra, suggerendo tuttavia di convocare un concilio al quale affidare l'ultima decisione.
Altre università europee si pronunciarono in un modo o nell'altro sulla questione crando grande confusione. Intanto Urbano, forse per i difetti del suo carattere troppo austero e impulsivo, andava perdendo il favore popolare. Forse si verificarono tentativi di avvelenarlo, certamente il popolo in rivolta arrivò a penetrare nei saloni vaticani anche se poi di fermò impressionato dalla fermezza con cui Prignano affrontava il pericolo.
Caterina si adoperò con le sue prediche per consolidare la pace fra il popolo e il pontefice, intanto continuava con le sue lettere a sollecitare Urbano VI perché procedesse alla riforma della Chiesa, non senza tentare di mitigare e contenere l'irruente carattere del papa.
In Inghilterra Wicliff aveva cominciato a predicare la povertà e l'umiltà stigmatizzando vizi e corruttele del clero.
Secondo Capecelatro (non si deve dimenticare che era un prete) Wicliff approfittò dello scisma per "spargere semenza d'eresia".
Wicliff contestò l'autorità delle Chiesa nell'interpretazione delle Scritture, negò l'incarnazione di Cristo e sostenne che tutti gli uomini sono parte della divinità.


LIBRO DECIMO


All'inizio del 1380 Giovanna di Napoli mostrò di aver cambiato posizione e di voler riconoscere Urbano VI, ma quando il marito Ottone riuscì a domare i Napoletani rivoltosi Giovanna richiamò immediatamente gli ambasciatori che aveva mandato a Roma presso Urbano e riconfermò la propria fedeltà a Clemente VII.
Caterina scrisse un'ultima lettera a Giovanna per convincerla a tornare sulle sue decisioni ma non ottenne risultati.
Urbano VI decise di ricorrere alla forza e si accordò con Ludovico re d'Ungheria perché fornisse le necessarie risorse militari. In ricompensa il principe avrebbe investito del regno di Napoli Carlo di Durazzo, cugino di Federico.
Carlo, che si trovava in Italia impegnato contro Venezia, accogliendo la proposta del papa si preparò a combattere. Dal canto suo Giovanna organizzava le difese ed eleggeva come suo successore Luigi d'Angiò.
In questo frangente Caterina, nonostante aborrisse ogni spargimento di sangue, giudicò necessaria la guerra e scrisse lettere per sollecitare l'azione armata di Carlo di Durazzo.
In tutta Italia era vivissima la preoccupazione per lo scoppio di una nuova guerra. La Benincasa comprese che gli stati italiani, soprattutto i più piccoli, dovevano rimanese uniti nella causa di Urbano per poter affrontare in relativa sicurezza i nuovi pericoli. A questo proposito scrisse molte lettere ai governanti di diverse città, in particolare Siena, Firenze e Perugia.
Il governo di Firenze, rappresentato da Coluccio Salutati, si era già apertamente opposto a Clemente VII e quando i due rivali Luigi d'Angiò e Carlo di Durazzo scesero in Italia, Firenze si mantenne neutrale.
In sintesi Capecelatro attribuisce alla Santa il merito di un'indefessa opera tesa a mantenere la coesione degli stati italiani, soggetti o meno alla Chiesa, intorno a Urbano VI.
Nei primi giorni del 1380 Caterina si ammalò gravemente, il 30 gennaio scrisse la sua ultima lettera a Urbano VI ed il 15 febbraio l'ultima a frate Raimondo.
Queste ultime lettere costituiscono una sorta di testamento spirituale della Santa che richiama qui i grandi temi della sua opera: lo scisma, l'auspicata riforma della Chiesa, la pace, la comunità dei suoi seguaci.
Infine Caterina, confortata dalla presenza della madre e di tutta la sua "famiglia spirituale" morì il 29 aprile 1380. Aveva trentatre anni.
Il cordoglio fu generale e prima della sepoltura i fedeli venerarono per tre giorni la salma della Santa.
Giovanna di Napoli in quei giorni mandò a Roma Rinaldo degli Orsini con il compito di cacciare Urbano VI e possibilmente di ucciderno. Il popolo di Roma respinse l'aggressione e si disse che alcuni popolani romani fatti prigionieri fossero liberati dal miracoloso intervento di Caterina.
A Caterina furono dedicate numerosissime chiese e quasi tutti gli artisti dell'epoca vollero lasciare testimonianza di lei nelle loro opere.
Il comune di Siena nel 1464 fece un luogo di culto della casa natale della Santa che fu decorata dai più celebri pittori senesi, fra questi Antonio da Vercelli, detto il Sodoma.
Il corpo di Caterina fu sepolto nel cimitero annesso alla chiesa romana di Santa Maria Sopra Minerva e cinque anni dopo, a cura di frate Raimondo, fu traslato nella chiesa stessa. Un braccio venne esposto ai feedeli, la testa fu mandata a Siena dove fu accolta con grande devozione alla presenza di Lapa, madre di Caterina.
Antonio Pierozzi, priore della Minerva e successivamente vescovo di Firenze, nel 1430 volle collocare le reliquie in un'urna di marmo.
In tutta Italia i frati rpedicatori istituirono riti di commemorazione. Già nel 1402 fu avviato il processo di canonizzazione ripreso più volte nel 1411 e 1417 ma le vicende dello scisma comportarono continue sospensioni finché nel 1461, a scisma concluso, Caterina dichiarata santa con una bolla di Pio II (Enea Silvio Piccolomini).
Ad Urbano VI successero Bonifacio IX e Innocenzo VII, all'antipapa Clemente VII successe Benedetto XIII.
Innocenzo VII morì nel 1404 e fu eletto Gregorio XII (Angelo Corario). Quest'ultimo non rispettò gli accordi presi con il onclave che prevedevano dovesse agire per risolvere lo scisma e quindi dimettersi per consentire la nomina di un papa gradito a tutte le fazioni.
I cardinali si riunirono in concilio a Pisa, deposero Gregorio e Benedetto ed elessero Alessandro V. Poiché questi morì poco dopo il seggio papale passò a Baldassarre Cossa che prese il nome di Giovanni XXII.
Parte delle nazioni europee, tuttavia, riconoscevano ancora Benedetto XIII, altre Gregorio XII e quindi la Chiesa si trovava ad avere contemporaneamente tre pontefici.
La situazione fu risolta dal Concilio di Costanza che annullando tutte le nomine precedenti elesse Martino V.
Lo stesso concilio abrogò definitivamente (e con il consenso dei partecipanti francesi) il seggio di Avignone ed avviò la riforma della Chiesa.