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NICCOLO' MACHIAVELLI
IL PRINCIPE
Dedica
L'autore dedica questo saggio a
Lorenzo de'Medici
precisando che non ha voluto ornarlo con un linguaggio sofisticato e parole difficili perché prevalga la sostanza del ragionamento sulle attrattive della forma. Perché non lo si accusi di superbia, inoltre, considera che questa opera che ha per oggetto l'arte di governare deve essere letta come una riflessione sulla politica dal punto di vista popolare.
Capitolo I
Tutti gli stati sono principati o repubbliche.
I principati sono ereditari o "nuovi", cioè il potere può essere trasmesso in linea dinastica o in altri modi, a volte per volontà dello stesso principe che associa altri al suo governo.
Capitolo II
I principati ereditari sono più facili da governare grazie alla consuetudine.
Se un principe ereditario non dimostra particolari vizi, difficilmente sarà spodestato e se lo sarà potrà essere reintegrato alla prima sventura di chi ha preso il suo posto.
Capitolo III
I principati "misti" e "nuovi" nascono in genere nelle difficoltà, cioè nel disordine provocato da quanti hanno voluto cambiare governanti nella speranza di migliorare, che spesso sono delusi e vorrebbero tornare indietro. E' ciò che avvenne a
Luigi XII re di Francia
che occupò
Milano
e poi dovette lasciarla perché la popolazione che prima gli aveva aperto le porte in odio a
Ludovico il Moro
gli si era presto ribellata.
I
Francesi
ripresero
Milano
ma poi la persero di nuovo trovandosi contro non il solo
Ludovico
ma una coalizione di nemici.
Machiavelli
passa ad esaminare le ragioni di questo evento. Chi conquista uno stato riesce a mantenerlo facilmente se parla la stessa lingua e se non tenta di cambiare i costumi o aumentare le imposta lasciando i sudditi vivere in pace con le loro abitudini.
Quando invece il conquistatore è uno straniero, governare è molto più difficile. Avrà maggiori possibilità di successo colui che si stabilisca nel paese conquistato rispetto a chi tenti di governarlo da lontano perché la sua presenza incuterà rispetto e timore e perché potrà intervenire più rapidamente in caso di problemi.
In alternativa sarà utile dedurre colonie in modo da penetrare nel paese recando danno solo ad una parte della popolazione mentre un totale controllo militare, oltre ad essere molto più costoso, recherà offesa all'intera popolazione sottomessa.
Il conquistatore dovrà inoltre procurarsi l'alleanza dei vicini meno potenti e con il loro aiuto tenere sotto controllo i più pericolosi.
I
Romani
osservarono sempre questi precetti: stabilirono colonie, intrattennero buoni rapporti con i potentati locali e rimasero in guardia contro le maggiori potenze vicine.
Ad esempio in
Grecia
i
Romani
furono alleati di
Achei
ed
Etoli
ma ridimensionarono i
Macedoni
cacciando
Antioco
e tenendo a distanza
Filippo
perché
all'inizio il male è difficile da conoscere ma facile da curare ma nel tempo diventa facile da conoscere e difficile da curare
.
Tornando a
Luigi XII
: egli conquistò la
Lombardia
con l'aiuto dei
Veneziani
, aiuto ovviamente interessato.
Una volta presa
Milano
,
Luigi XII
ricevette proposte di alleanza prima imprevedibili da
Firenze
, da
Ferrara
e da molte altre città.
Se avesse seguito i precetti di cui sopra ed avesse accettato l'amicizia di questi piccoli stati il re francese avrebbe facilmente acquisito il dominio di mezza
Italia
, ma preferì aiutare papa
Alessandro
a conquistare la
Romagna
. In questo modo perse molti potenziali alleati ed aiutò la Chiesa a diventare più potente.
Altro errore fu quello di accettare di dividere il regno di
Napoli
con la
Spagna
. Secondo
Machiavelli
se
Luigi
aveva la forza di conquistare
Napoli
da solo doveva farlo, altrimenti doveva abbandonare l'impresa.
Aveva dunque compiuto cinque errori: rifiutata l'alleanza degli stati minori, accresciuto il potere di un rivale (la Chiesa), introdotto in
Italia
uno straniero potentissimo (la
Spagna
), non era venuto a stabilirsi in
Italia
, non vi aveva fondato colonie.
Ma fu il sesto errore quello fatale: si mise contro i
Veneziani
riducendone la potenza ed alterando tutti gli equilibri.
Da tutto ciò si ricava una regola generale: chi procura la potenza altrui provoca la propria rovina perché lo fa
o con l'industria o con la forza, e l'una e l'altra di queste due è sospetta a chi è diventato potente
.
Capitolo IV
Un principe può delegare parte del potere a ministri di sua fiducia oppure può essere la nobiltà, per diritto di sangue, a condividere il potere con il principe.
I Turchi avevano un unico signore che governava tramite funzionari ed amministratori che erano comunque suoi servi.
In
Francia
, invece, il re condivide il potere con una serie di signori di antica nobiltà che godono di privilegi che il re non può togliere senza pericolo.
Nel caso dei Turchi un nemico avrebbe più difficoltà ad avere il sopravvento per la maggior coesione dei sudditi di un monarca assoluto ma, se riuscisse a vincerli, basterebbe sopprimere il principe per mantenere poi facilmente il potere conquistato.
E' più facile conquistare stati come la
Francia
dove è possibile procurarsi il supporto interno di una parte della nobiltà, ma in seguito non basterà eliminare il re perché ciascuno dei signori locali costituirà un potenziale pericolo.
Il regno di
Dario
era simile a quello turco e quando
Alessandro
riuscì a conquistarlo gli bastò eliminare il re per consolidare il potere.
Capitolo V
Il conquistatore ha dunque a disposizione tre metodi per assoggettare lo stato conquistato: distruggerlo, stabilirvisi, dedurre colonie.
Il metodo delle colonie è il meno sicuro: gli
Spartani
lo sperimentarono ad
Atene
e a
Tebe
e persero quelle città.
I
Romani
tentarono di tenere la
Grecia
senza esercitare la forza ma, alla lunga, furono costretti ad intervenire duramente contro molte città.
L'unica sicurezza proviene dal disperdere la popolazione originale evitando che possano formarsi focolai di rivolta basati sul ricordo della libertà e delle antiche leggi. E' più probabile che popoli abituati alla monarchia si sottomettano ad un conquistatore. Con le repubbliche
la più sicura via è spegnerle o abitarvi
.
Capitolo VI
Negli stati "tutti nuovi" la difficoltà nel mantenere il potere è inversamente proporzionale alle virtù del conquistatore.
Si conquista uno stato con la fortuna o con la virtù ma nel caso dei grandi fondatori di nazioni che la storia ricorda (si parla di
Mosè
,
Ciro
,
Romolo
,
Teseo
) la fortuna fornì soltanto occasioni, circostanze propizie, mentre tutto il resto fu realizzato solo grazie alla virtù, cioè al valore ed alle capacità.
I grandi innovatori sono sempre vivacemente contrastati da chi vuole conservare le precedenti condizioni e tiepidamente difesi dai sostenitori che sono in genere frenati da paure, dubbi e pregiudizi.
Se l'innovatore può contare solo sulle sue capacità di persuasione difficilmente le sue opere avranno vita lunga.
Mosè
,
Ciro
,
Romolo
e
Teseo
non avrebbero potuto far osservare a lungo le loro leggi senza difenderle con la forza.
Per lo stesso motivo
Savonarola
incontrò la rovina quando i suoi seguaci smisero di credere in lui.
Un altro esempio fu
Ierone di Siracusa
che, con grande fatica, da privato conquistò il potere ma poi, con una nuova milizia e con nuove alleanze, seppe lungamente mantenerlo.
Capitolo VII
Coloro che ottennero il potere rapidamente e senza fatica, come principi di città greche o asiatiche nominati da
Dario
o come certi imperatori proclamati dalle
legioni
, spesso non riuscirono a mantenerlo. Ciò perché non tutti sono capaci di comandare e non tutti possono contare su forze amiche e fedeli.
Un potere acquistato rapidamente è privo di radici e, se non intervengono grandi capacità da parte di chi lo ha ottenuto, crolla sempre rapidamente.
Machiavelli
introduce due esempi:
Francesco Sforza
e
Cesare Borgia
. Il primo raggiunse il potere su salde basi e seppe facilmente conservarlo.
Il secondo divenne principe grazie alla fortuna del padre e fece quanto di più opportuno per consolidare i suoi domini, se non vi riuscì non fu per sua colpa ma per
una estraordinaria ed estrema malignità delle fortuna
.
Alessandro VI
aveva difficoltà nel trovare uno stato per il figlio non potendo toglierlo alla Chiesa ed essendo consapevole degli ostacoli che
Venezia
e
Milano
avrebbero creato. Dovette quindi turbare l'ordine degli stati italiani per fare spazio a
Cesare
e vi riuscì aiutando i
Francesi
a scendere in
Italia
.
Con l'appoggio di
Luigi XII
,
Cesare Borgia
conquistò la
Romagna
ma volendosi spingere oltre trovò due difficoltà: non si fidava degli
Orsini
(delle cui risorse militari si era in precedenza avvalso) e temeva che la
Francia
lo fermasse, forse togliendogli quanto aveva già ottenuto.
Quando alcuni episodi confermarono i suoi timori il
Valentino
decise di fare a meno dell'aiuto altrui. Indebolì
Orsini
e
Colonna
acquistando per denaro la fedeltà dei comandanti al loro servizio. Le due famiglie reagirono incontrandosi in una dieta a
Magione
nel
Perugino
, provocarono una rivolta ad
Urbino
ed altre insidie che il duca superò con l'aiuto dei
Francesi
.
A questo punto
Cesare Borgia
si fece più prudente e tramando una fitta rete di inganni riuscì ad eliminare i capi delle famiglie avversarie.
Per consolidare il suo potere in
Romagna
affidò il governo ad un uomo capace ma spietato,
Remirro de Orco
, ma quando questi ebbe stabilito l'ordine, per evitare che ottenesse eccessiva autorità, lo sostituì con un consiglio di rappresentanti delle città.
Per sedare i rancori nati dai metodi del governatore e scaricare su di lui ogni responsabilità fece uccidere il
de Orco
ed esporre il cadavere diviso in due parti sulla piazza di
Cesena
.
Quanto ai
Francesi
, dei quali diffidava, cercò di neutralizzare il pericolo avvicinandosi alla
Spagna
, ciò che gli sarebbe certamente riuscito se il padre non fosse morto.
Prevedendo ostilità da parte del successore di
Alessandro VI
,
Cesare Borgia
prese le sue misure prima della morte del padre: eliminare le famiglie che aveva privato del potere, procurarsi potenti amicizie in
Roma
, collocare nella curia il maggior numero possibile di suoi uomini, acquisire tanta potenza da poter fronteggiare eventuali attacchi.
Alla morte di
Alessandro VI
i primi tre progetti erano stati attuati con la violenza e con la corruzione, quanto ad espandere i propri domini il
Valentino
aveva preso
Perugia
e
Piombino
e posto
Pisa
sotto la sua protezione.
Tuttavia quando il padre morì solo sulla
Romagna
il potere di
Cesare
era stabile mentre le altre conquiste erano ancora in disordine e, soprattutto, il duca era gravemente malato.
Cesare Borgia
, dunque, fu un governatore esemplare le cui ambizioni furono ostacolate dalla morte di
Alessandro
e dalla sua malattia, non di meno l'Autore lo addita come modello di principe che, acquisito il potere grazie alla fortuna, riesce a mantenerlo ed aumentarlo tramite le sue virtù.
L'unico errore di
Cesare Borgia
, secondo
Machiavelli
, fu di consentire l'elezione di
Giulio II
, errore che gli fu fatale.
Capitolo VIII
Agatocle
era di origine umilissima e vita scellerata ma, arruolatosi nella milizia raggiunse il grado di pretore. In questa condizione convocò il Senato e fece uccidere a tradimento tutti i senatori e i maggiorenti, prendendo il potere.
Poco dopo riuscì a cacciare i
Cartaginesi
dalla
Sicilia
rimanendo padrone assoluto di
Siracusa
.
Per
Machiavelli
Agatocle
è l'esempio di chi acquista il potere senza intervento della fortuna ma tramite atti nefandi che non sarebbe giusto definire virtù.
Ai tempi di
Machiavelli
avvenne un caso analogo. Il fermano
Oliverotto
crebbe povero ed orfano affidato a un tutore, quindi militò nelle truppe di
Paolo
e
Vitellozzo Vitelli
.
Organizzata una propria forza militare offrì un banchetto a
Fermo
al termine del quale fece uccidere i cittadini più in vista, compreso il tutore, quindi formò un governo proclamandosi principe.
Rapidamente consolidò il potere così conquistato ed avrebbe forse espanso i suoi domini se
Cesare Borgia
non lo avesse fatto strangolare.
In base a questi esempi
Machiavelli
distingue fra crudeltà bene usate e crudeltà male usate. Le prime sono giustificate da un fine e non si ripetono una volta conseguito l'obiettivo, le seconde aumentano nel tempo invece di cessare.
Le prime possono essere perdonate mentre chi commette le seconde non potrà resistere a lungo.
In conclusione l'occupatore di uno stato dovrà commettere subito e rapidamente gli atti di violenza e crudeltà necessari perché nel tempo se ne spenga il ricordo, mentre i benefici dovranno essere concessi a poco a poco
acciò si assaporino meglio
.
Capitolo IX
In altri casi si può ascendere al potere grazie al favore del popolo o a quello dei potenti (principati civili).
Dal contrasto fra il desiderio del popolo di non essere comandato e quello dei potenti di comandare, nasce uno di questi tre effetti: principato, libertà, licenza.
I "grandi" conferiscono il potere a qualcuno quando non riescono ad affermare il proprio. Il popolo lo fa per avere chi lo difenda.
Chi è eletto dai grandi ha in genere molti più avversari di chi è scelto dal popolo. Il popolo può abbandonare chi ha eletto, i grandi possono tradirlo. Chi viene scelto dal popolo deve mantenerselo amico, chi viene eletto dai grandi deve guadagnare la fiducia del popolo.
In sintesi un principe che non abbia il favore del popolo non potrà mai trovare rimedio nelle avversità.
Capitolo X
Si passa ad esaminare un altro aspetto: se un principe abbia o meno bisogno di aiuto per mantenere il potere, cioè se abbia sufficienti risorse militari per difendersi.
Un principe che disponga di buone difese e dell'appoggio del suo popolo sarà più difficilmente attaccato.
Capitolo XI
Un caso particolare è costituito dai principati ecclesiastici.
Machiavelli
tralascia l'aspetto spirituale che considera presuntuoso discutere, ma vuole indagare sull'origine del potere temporale della Chiesa.
Prima della discesa in
Italia
di
Carlo re di Francia
, la penisola era divisa fra la Chiesa, i
Veneziani
, il re di
Napoli
, il duca di
Milano
e
Firenze
. Questi potentati si preoccupavano di evitare invasioni straniere e di mantenere l'equilibrio.
Il potere temporale del papa era ostacolato dalle continue lotte fra
Orsini
e
Colonna
, le famiglie dominanti a
Roma
. Queste contingenze e la brevità della vita (
Machiavelli
considera di dieci anni la durata media di un pontificato) limitavano la potenza papale, finché
Alessandro VI
con il denaro, le milizie e l'aiuto del
Valentino
, non capovolse la situazione.
Il
Borgia
agiva in favore del figlio ma dopo la sua morte fu la Chiesa a trarre vantaggio dalle sue azioni.
Giulio II
ereditò una chiesa che aveva conquistato la
Romagna
e debellato i baroni romani e seppe farla crescere con nuove conquiste e con la sua energica politica.
Capitolo XII
I principali fondamenti di uno stato sono le sue leggi e le sue armi, di queste ultime l'Autore intende parlare.
Le armi mercenarie sono infide ed inaffidabili. Il mercenario facilmente tradisce o abbandona il suo dovere nei momenti cruciali. Se il capitano dei mercenari è valoroso non ci si può fidare di lui perché aspirerà alla propria grandezza più che a quella di chi lo stipendia, se non lo è non da affidamento per ovvi motivi.
Solo uno stato che disponga di forti armi proprie, possibilmente comandate dallo stesso principe, sarà quindi libero e sicuro, come fu per
Sparta
e per
Roma
.
Capitani come
Francesco Sforza
e suo padre
Muzio Attendolo
si volsero contro chi li aveva assoldati.
Quando i
Veneziani
videro raffredddarsi i loro rapporti con il
Carmagnola
furono costretti ad ucciderlo perché se lo avessero licenziato avrebbero perso quanto aveva conquistato per loro, ma tenendolo non avrebbe più combattuto lealmente.
La nascita di nuovi piccoli stati (favorita dall'indebolimento del potere imperiale) e la crescita del potere temporale della Chiesa portarono ad una grande diffusione della milizia mercenaria.
Fra i primi capitani di ventura furono il romagnolo
Alberigo da Cunio
, lo
Sforza
e
Braccio da Montone
cui seguirono molti altri creando una situazione che espose l'
Italia
alle invasioni dei
Francesi
,
Spagnoli
e
Svizzeri
.
Capitolo XIII
Le armi ausiliarie sono quelle fornite da alleati chiamati in aiuto. Anche queste sono pericolose perché in caso di vittoria possono sottomettere chi le ha chiamate.
Questo tipo di errore fu commesso da
Giulio II
che chiamò gli
Spagnoli
, da
Firenze
che chiamò i
Francesi
contro
Pisa
, e dall'imperatore di
Costantinopoli
che indusse i Turchi ad invadere la
Grecia
.
Cesare Borgia
sfruttò prima l'alleanza francese, poi le armi mercenarie di
Orsini
e
Vitelli
, ma realizzò le sue più importanti imprese solo quando passò a mettere in campo forze proprie.
Anche la rovina dell'impero romano ebbe inizio con l'avvento dei mercenari goti.
In conclusione sarà sicuro solo quel principe che potrà contare su milizie composte dai suoi sudditi.
Capitolo XIV
E' l'arte della guerra che permette a chi è nato principe di mantenere il potere e ad un privato di conquistarlo.
Francesco Sforza
prese il principato con le armi, i figli lo persero per non aver curato le cose militari.
Anche all'interno dello stato un principe inesperto di armi non sarà stimato dai suoi soldati e non potrà fidarsi di loro. In tempo di pace il principe dovrà curare l'addestramento dell'esercito e studiare il suo territorio per meglio approntarne le difese.
Per esercitare la mente il principe deve studiare le gesta dei grandi uomini del passato, esaminarne le azioni, comprendere le cause di vittorie e sconfitte.
Capitolo XV
Per quanto riguarda il governo dello stato, il principe non può limitarsi ad avere buone qualità ma deve "imparare a essere non buono, e usarlo e non l'usare secondo la necessità".
A volte la virtù può portare alla rovina e il vizio può salvare lo stato, il principe quindi non dovrà curarsi del valore morale delle proprie azioni se queste sono rivolte al bene dello stato.
Capitolo XVI
Un eccesso di liberalità costringerà il principe a procurarsi sempre nuove risorse gravando sui sudditi e ciò lo renderà odioso. Se invece sarà parsimonioso e si farà bastare le entrate di cui dispone sarà apprezzato per questo.
Nel caso di
Cesare Borgia
la liberalità fu uno strumento per raggiungere il potere ma se fosse vissuto avrebbe dovuto ridimensionare le spese.
Capitolo XVII
Il principe deve essere pietoso ma deve saper bene usare la sua pietà.
Cesare Borgia
era considerato crudele ma tramite la crudeltà aveva riunito la
Romagna
e l'aveva condotta a vivere in pace. Il principe che con pochi atti di crudeltà eviti disordini sarà stato pietoso verso la maggioranza dei suoi sudditi.
Dovrà comportarsi con moderazione per essere temuto ma non odiato. E' meglio essere temuti che amati perché gli uomini, per loro natura, temono le pene più di quanto rispettino i valori morali.
Soprattutto verso l'esercito il principe deve suscitare timore perché non si è mai controllato un esercito senza crudeltà.
Scipione
fu rimproverato in senato da
Fabio Massimo
per l'eccessiva umanità verso i soldati e per la clemenza verso i nemici.
Capitolo XVIII
Vi sono due modi di combattere: con le leggi, che è proprio dell'uomo, e con la forza, che è tipico delle bestie; ma quando il primo modo non basta bisogna saper ricorrere al secondo.
Il principe deve anche saper essere bestia, riconoscere i pericoli come la volpe e difendersi dai lupi come il leone.
Il signore prudente non deve seguire gli insegnamenti della fede se questo comporta pericolo per lo stato:
se gli uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono
.
E' quindi necessario sapersi difendere dagli inganni con l'inganno e saper dissimulare, arte in cui fu maestro
Alessandro VI
.
Poiché
ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se'
, il principe deve apparire pietoso, leale, umano e religioso ma deve saper rinunciare a queste virtù quando la ragione di stato lo richiede perché nell'esercizio del potere è il fine che conta e se il fine sarà raggiunto con successo tutti i mezzi utilizzati saranno giustificati e considerati onorevoli.
Capitolo XIX
Il principe deve evitare di rendersi odioso ai sudditi. Per questo deve astenersi dall'usurpare le loro ricchezze e dall'insidiare le loro donne.
Dovrà inoltre sforzarsi di apparire grande e forte, le sue decisioni devono essere insindacabili, le sue sentenze definitive. Ciò lo renderà stimato e diminuirà il pericolo di cospirazioni, perché queste nascono dalla convinzione dei congiurati di soddisfare il popolo uccidendo un governante odiato.
Quando
Annibale Bentivoglio
, signore di
Bologna
benvoluto dai sudditi, venne ucciso, i congiurati furono trucidati dal popolo. Questo esempio serve a dimostrare che la benevolenza popolare è il miglior rimedio contro il pericolo di congiure.
La sicurezza del principe all'interno dei suo stato dipende quindi dalla sua capacità di mantenere il popolo soddisfatto e contento.
In
Francia
questa stabilità era garantita dall'autorità del parlamento che fungeva da mediatore fra gli interessi del popolo e quelli del re e della nobiltà.
Esaminando la storia romana da
Marco Aurelio
a
Massimino
si direbbe che anche grandi e amati imperatori perirono a causa di congiure, ma si deve tener presente che gli imperatori romani dovevano fare i conti anche con gli umori dell'esercito.
Il popolo amava il principe per la pace che sapeva garantire, i soldati lo amavano per le sue virtù militari e solo pochi riuscirono a conciliare questi opposti desideri.
Marco Aurelio
, principe ereditario, vi riuscì ma
Pertinace
che tentò di applicare i suoi buoni principii a soldati che
Commodo
aveva abituato alla licenziosità, trovò la rovina.
Sotto
Alessandro Severo
non furono mai eseguite condanne a morte ma i soldati lo ritenevano debole ed effemminato e lo assassinarono.
Commodo
,
Caracalla
e
Massimino
, tutti crudeli e rapaci, per soddifare i soldati gravarono troppo sul popolo e finirono miseramente.
Solo
Settimio Severo
seppe regnare felicemente sfruttando con abilità le qualità della volpe e del leone. Con il pretesto di vendicare
Pertinace
,
Severo
mosse rapidamente verso
Roma
dove prese il potere senza che il senato trovasse il coraggio di opporsi. Si trovò a dover affrontare due rivali:
Pescennio Nigro
ad oriente e
Clodio Albino
ad occidente.
Eliminò il primo con la forza ed il secondo con l'inganno; gli fece credere di volerlo associare all'impero ma poi lo accusò di tradimento e lo uccise.
Severo
dunque si comportò come la volpe e come il leone, riuscì a prendere il potere da privato e a conservarlo.
Suo figlio
Caracalla
si fece amare dai soldati ma fu talmente crudele da essere odiato da tutti e infine venne ucciso.
Commodo
vantava diritti ereditari essendo figlio di
Marco Aurelio
ma tali erano i suoi vizi che fu odiato dal popolo e disprezzato dai soldati, così anche lui trovò la morte per mano di congiurati.
Massimino
era bellicosissimo e fu eletto dai suoi soldati ma le sue vili origini e la sua ostentata crudeltà gli procurarono troppi nemici, perse il consenso dell'esercito e i soldati, stanchi della sua ferocia, lo eliminarono.
Ai tempi dell'Autore la situazione era cambiata ed i signori degli stati, ad eccezione dei Turchi, dovevano curarsi più del consenso del popolo che di quello dell'esercito.
Capitolo XX
Quando un principe nuovo acquista uno stato deve armare i suoi sudditi per costruire la propria difesa, ma se lo stato viene conquistato per estendere un regno già esistente i suoi cittadini dovranno essere disarmati.
Discordie fra la cittadinanza possono essere utili a chi governa in tempo di pace ma sono pericolose durante le guerre.
Il principe saggio non disprezzerà di avere alcuni nemici che lo spingano a compiere azioni illustri ed un avversario redento può essere più fedele di chi ha sempre servito.
Il principe che ha più paura del popolo che dei nemici deve costruire fortezze, deve evitarlo invece chi teme più i nemici dei sudditi. La miglior fortezza è il favore del popolo.
Capitolo XXI
Ferdinando d'Aragona re di Spagna
(vivente ai tempi di
Machiavelli
) ha ingrandito il suo regno conquistando
Granada
, imponendosi ai baroni di
Castiglia
e compiendo varie imprese esemplari che gli hanno procurato onore e fama. La successione delle sue gesta è stata tale da non dare mai ai suoi avversari occasione per attaccarlo.
In caso di guerra fra i suoi vicini il buon principe non deve rimanere neutrale perché facendolo otterrebbe il disprezzo di chi vince e l'astio di chi perde.
Tuttavia il principe dovrà evitare, se possibile, di allearsi con chi è più potente per non rischiare di rimanere assoggettato.
Capitolo XXII
Importantissima per il principe è la scelta dei suoi ministri, anzi proprio da questa si può misurare la sua avvedutezza .
Se il ministro antepone il proprio interesse a quello dello stato non è un buon ministro; d'altra parte il principe dovrà gratificare i suoi uomini di fiducia con onori e ricchezze ma sempre evitando che la loro posizione li porti ad aspirare al potere.
Capitolo XXIII
Molto pericolosi sono gli adulatori, dei quali le corti abbondano.
Per evitarli il principe deve circondarsi di uomini saggi e sinceri con i quali discutere liberamente e con reciproco rispetto.
I consiglieri dovranno esprimersi soltanto quando il principe li consulta, ma da parte sua il principe dovrà interrogarli spesso e su molti argomenti.
In ogni caso un principe saprà trarre profitto dai buoni consigli solo se sarà saggio e avveduto.
Capitolo XXIV
Le azioni di un principe nuovo vengono sempre valutate con maggior attenzione di quelle di un principe ereditario e, se saprà fare in modo che i sudditi siano soddisfatti, il nuovo principe ne ricaverà gloria e ricchezza.
Coloro che hanno perduto un regno come il re di
Napoli
o il duca di
Milano
, hanno subito le conseguenze della debolezza militare e del non aver saputo ottenere l'appoggio del popolo e della nobiltà, del non essere stati prudenti e previdenti.
Capitolo XXV
Anche se gli imprevedibili casi della sorte fanno a volte pensare che l'uomo non sia padrone del proprio destino, l'autore ritiene che si possa in buona parte correggere la fortuna con le decisioni e con le azioni.
Sarà perciò sempre insicuro il principe che si affidi troppo alla fortuna e felice quello che saprà adeguare le proprie azioni al variare dei tempi.
Si può aver successo essendo impetuosi o riflessivi ma di dovrà comunque essere capaci di cambiare atteggiamento quando le circostanze lo richiedano.
Giulio II
fu sempre impetuoso e seppe cogliere con destrezza le sue occasioni meglio di quanto altri avrebbero fatto ma se, vivendo più a lungo, non fosse divenuto prudente all'occorrenza anche lui sarebbe stato sconfitto.
Capitolo XXVI
L'autore giudica che nella sua epoca l'
Italia
è schiava, asservita e dispersa ed attende soltanto di essere riunita sotto un'unica bandiera purché si trovi chi la impugni.
Questo principe nuovo capace di combattere e vincere la più giusta delle guerre può provenire soltanto dalla casa dei
Medici
, la gloriosa casa di
Lorenzo
al quale
Machiavelli
ha dedicato il trattato e al quale si rivolge perché dia alle genti italiane un nuovo principe, capace di unirle, governarle con sagge leggi e difenderle con un esercito forte e fedele.