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PUBLIO OVIDIO NASONE

HEROIDES



SINTESI PARZIALE

Penelope e Ulisse - Epistola Prima
Penelope scrive dopo la caduta di Troia a Ulisse che non è ancora tornato a Itaca.
Apre la lettera un lamento di nostalgia di Penelope per lo sposo lontano: se la nave di Paride fosse affondata non le sarebbe toccato tanto dolore, nè la terribile ansia che ogni notizia le provoca.
Penelope racconta di aver ascoltato molte vicende della guerra narrate da suo figlio che le aveva apprese dal vecchio Nestore e cita alcuni episodi come la fine di Ettore o la morte di Dolone e Reso uccisi dallo stesso Ulisse. Molte volte ha mandato persone a Sparta a chiedere notizie senza mai ottenere certezze e la donna si consuma nell'attesa e nelle sue paure, non mancandole il dubbio che lo sposo possa aver trovato un'altra donna.
Parla quindi della sgradita presenza dei Proci nella loro casa che le forze sue, del vecchio Laerte e del troppo giovane Telemaco non bastano a contrastare. La preghiera di tornare è per il bisogno che il figlio ha del padre, per il desiderio di Laerte di avere Ulisse vicino nel momento fatale e per la povera consorte la cui gioventù è ormai sfiorita.

Fillide e Demofonte - Epistola seconda
Demofonte, recatosi ad Atene dopo la morte di Menesteo per verificare la possibilità di salire al trono che era stato di suo padre Teseo, ha promesso partendo alla moglie Fillide di far ritorno entro un mese ma non ha mantenuto la parola.
Fillide gli scrive rimproverandolo dopo quattro mesi di attesa quando ormai ha perduto la speranza. Ricorda quante spiegazioni ha tentato di darsi per quell'assenza e quante volte è rimasta delusa. Ricorda i giuramenti di Demofonte sui suoi avi, sugli dei ... dei oltraggiati che certamente esigeranno vendetta.
Fillide non è pentita di aver accolto Demofonte naufrago e di averlo aiutato, ma si pente di averlo amato, di avergli offerto il suo cuore e la sua verginità. Con grande amarezza, la donna ricorda al marito le glorie del suo famoso padre Teseo, il mostro di Creta, i briganti uccisi, la sua discesa negli inferi. La gloria di Demofonte sarà invece l'aver tradita una donna innamorata. Di tutte le imprese paterne sembra che Demofonte ricordi solo il tradimento e l'abbandono di Arianna.
Il lamento di Fillide è voce di un grande rimpianto, di un profondo dolore, dell'ira e dell'offesa, ma si sente anche la nota di una debole, irrinunciabile speranza subito repressa (Misera me! Che dico?) perché non faccia ancora più male.
In conclusione Fillide annuncia la sua decisione di morire, sul suo sepolcro si leggerà che Fillide è morta di sua mano ma per colpa di Demofonte.

Ippodamia a Achille - Epistola terza
Ippodamia (meglio nota come Briseide) è contesa tra Achille che l'ha rapita a Lirnesso e Agamennone che la pretende come risarcimento per aver dovuto restituire la sua schiava Astinome (Criseide) per ordine dell'oracolo.
Mentre scrive, Ippodamia si trova presso Agamennone e Achille, per rappresaglia, ha smesso di battersi contro i Troiani. La donna dice di conoscere il motivo per il quale è stata consegnata a Agamennone e sa che Achille non ha in questo alcuna responsabilità, tuttavia si lamenta perché Achille l'ha affidata agli araldi del re senza opporre resistenza. Ippodamia è stata costretta così a separarsi da Achille senza un bacio, senza un addio. Non ha tentato di fuggire per timore di essere catturata dai Troiani. Si lamenta perché Achille non la richiede, perché la sua ira lo spinge a punire i Greci ma non a tentare di riprenderla. Anche quando Agamennone la ha rimandata a Achille insieme a ricchissimi doni l'eroe ha rifiutato di riconciliarsi con il re.
Achille ha avuto Ippodamia come preda dopo aver fatto morire suo padre, suo marito e i suoi fratelli ma lei ha accettato di avere il glorioso Achille come padre, patria, signore, fratello e sposo.
La preghiera di Ippodamia è che Achille non parta da Troia senza di lei e che la voglia, se non sposa, almeno schiava e lei sarà felice di lavorare e servire insieme alle altre schiave del suo signore. Ippodamia prega ancora Achille di riprendere le armi e sconfiggere i Troiani ma non prima di averla ripresa con se. La donna giura solennemente sulla memoria dei suoi fratelli e di tutti i suoi cari estinti che Agamennone di me non prese alcun piacer d'amore mentre è certa che Achille sia lieto tra le braccia di un'altra donna.
Ippodamia prega i Greci di mandare lei come ambasciatrice presso Achille perché lo convinca con il suo amore e con i suoi baci a riprendere le armi.
Un'altra figura tradizionale per l'amante abbandonata è l'invocare la morte, anzi chiedere all'amato di mettere fine con il suo pugnale a tanta sofferenza. Ma la lettera si conclude con la richiesta che pare più naturale: riservi ai nemici Achille la sua spada e prenda con se Ippodamia, sia che voglia restare per continuare la guerra, sia che voglia tornare alla sua casa.

Fedra a Ippolito - Epistola quarta
Fedra moglie di Teseo nutre un amore intenso ma illecito per il figliastro Ippolito, figlio di Teseo e dell'amazzone Ippolita, e non riuscendo a manifestare i suoi sentimenti all'amato, ha deciso di farlo scrivendogli questa lettera.
Si offre quindi al giovane Ippolito lei matura, che si dice innamorata al punto di poter compiere i riti osceni delle Baccanti per dare sfogo alla sua passione.
Fedra richiama alcuni miti che parlano di amore passionale: Europa sedotta da Giove in forma di toro, Pasifae (sua madre) che si invaghì di un toro vero, passione mostruosa dalla quale nacque il Minotauro, Arianna (sua sorella) che si innamorò di Teseo e lo aiutò ad uscire dal labirinto per poi essere crudelmente abbandonata. Entrambe figlie del gran re di Creta, Arianna amò Teseo e Fedra ne adora il figlio. L'Aurora amò Cefalo abbandonando il vecchio Titone, Venere sedette in grembo al bell'Adone, Meleagro amò Atalanta e offrì per lei le spoglie del feroce cinghiale.
Fedra vorrebbe imitare gli amanti citati nella sua rassegna e vorrebbe vivere con Ippolito seguendolo fedelmente ovunque.
Suo marito Teseo è lontano da molto tempo e per molto tempo ancora lo terrò lontano il suo amico Piritoo. Egli ha ucciso suo fratello (il Minotauro) ed ha abbandonato sua sorella Aianna, egli ha ucciso la madre di Ippolita e ha generato altri figli con la stessa Fedra.
La donna esorta il suo amato a non avere scrupoli nell'unirsi alla propria matrigna, perché non c'è colpa nel cedere all'amore e comunque non sarà difficile mantenere il segreto sulla loro unione che sembrerà a tutti puro affetto tra due congiunti.
Nell'ultima parte della lettera, la preghiera di Fedra si fa più drammatica e più urgente, la donna implora di essere amata con parole umili e supplicanti, accantonata ormai l'alterigia della principessa reale.

Enone a Paride - Epistola quinta
Enone è la ninfa che Paride ha sposato prima di essere chiamato a scegliere la più bella delle dee, quando era soltanto un pastore e come tale viveva nei boschi del Monte Ida.
Enone, abbandonata quando Paride è partito per rapire Elena, scrive al marito ricordandogli la loro unione e i bei giorni trascorsi insieme nella bellezza della natura.
La ninfa ricorda il giorno del distacco quando Paride esitò a lungo prima di lasciarla e pianse nel dirle addio. Ricorda il giorno in cui vide la nave di Paride rientrare nel porto e vide Paride abbracciare Elena. Ora Paride ha preso il suo posto di principe ed è da tutti onorato e desiderato dalle donne più belle ma quando era un povero pastore soltanto Enone sua sposa lo amava.
Enone non desidera le ricchezze di Priamo, anche se non ne sarebbe indegna, ed augura alla rivale di dover soffrire quanto lei sta soffrendo.
Elena porta con se una triste dote: le navi nemiche si stanno già avvicinando con un eservito di forti guerrieri per riprenderla e riportarla in patria. Quali sciagure accadranno lo prevedono il padre e i fratelli di Paride, lo ha predetto Cassandra.
All'animo incostante e inverecondo di Elena,Enone paragona i propri sentimenti, la lealtà con cui non si è più concessa ad altri dopo l'abbandono, lei desiderata da molti, lei che perfino Apollo ha potuto avere soltanto con la violenza. Apollo le ha donato la conoscenza di tutte le erbe e la capacità di usarle per medicare e risanare, ma Enone non può servirsene per aiutare se stessae soltanto Paride, se vorrà, potrà renderla di nuovo felice.
Isifile a Giasone - Epistola sesta
Isifile, la principessa di Lemno amata da Giasone e da questi abbandonata gravida per compiere l'impresa del Vello d'Oro, ha saputo che Giasone è tornato in Tessaglia con il Vello ma è addolorata perché la notizia non gli è stata comunicata direttamente da Giasone e perché lui non havoluto deviare durante il ritorno per rivederla e tornare da lei.
Isifile ha saputo che Giasone ha portato con se una "barbara maga" e l'ha presa per consorte. Un pellegrino della Tessaglia è giunto a casa di Isifile e ha assicurato che Giasone è salvo, le ha quindi raccontato le sue gesta, le ha parlato dei guerrieri nati dai denti della belva e dell'uccisione del drago ma anche del rapimento della figlia del re dei Colchi.
La donna ricorda di aver accolto Giasone e di averlo amato, ricorda i due anni vissuti insieme e quella terza estate quando Giasone, sollecitato dai compagni, aveva deciso di partire. Ricorda in particolare l'ultimo addio, la nave che si allontana mentre lei, salita sulla torre più alta, la osservava con occhi pieni di pianto.
Nel suo dolore e nella sua rabbia, Isifile non può non maledire Medea. Aveva a lungo temuto che Giasone sposasse una greca ma non credevadi venir abbandonata per una barbara maga. E' certa che Medea ha conquistato Giasone non con la sua bellezza o le sue virtù ma con le sue erbe e le sue formule. Qui Isifile immagina le pratiche magiche di Medea, la vede discinta e scalza, di notte raccogliere erbe e preparare incantesimi che possanu uccidere un uomo da lontano o renderlo suo schiavo. Così ha certamente agito con Giasone e inoltre con i suoi interventi ha offuscato la gloria delle imprese di lui.
Giasone avrebbe dovuto tener fede alla sua promessa perché Isifile è nobile e ricca quanto e più di Medea ed inoltre ha partorito due figli di lui, belli quanto il padre ma incapaci per l'età di ingannare altrui. Li avrebbe mandati volentieri al padre se non avesse temuto la crudeltà di Medea, di una donna capace di fare a pezzi il proprio fratello.
La lettera si conclude con una maledizione rivolta a Medea, perché provi il suo stesso dolore, rimanga povera e sola e si uccida per la disperazione.