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GIOVANNI BOCCACCIO

DECAMERON


Deca (dieci) e Emera (giorni) sono le parole greche dalle quali è tratto il titolo del libro chiamato Decameron e cognominato Principe Galeotto.
Le dieci giornate sono quelle in cui dieci giovani narrano cento novelle, il principe Galeotto è l'amico di Lancillotto che lo aiuta a conquistare il cuore di Ginevra, con allusione al sostegno alle pene d'amore che il lettore ricaverà dall'opera.


PROEMIO

Fin dalla gioventù l'Autore ha conosciuto le pene di un amore che lo faceva soffrire, non per crudeltà della donna amata ma per l'eccessiva intensità dei sentimenti.
Il tempo, tuttavia, mitigò la passione ed ora che la pena è cessata rimane la dilettevole compagnia dei ricordi.
E fra i ricordi è caro quello dell'aiuto ricevuto dagli amici che lo consolarono ed aiutarono e che costituisce per Boccaccio un debito morale che intende riscattare con questa narrazione che potrà essere utile a chi si trovi nelle sue condizioni giovanili.
In particolare si rivolge alle donne che tacciono pudicamente i loro sentimenti ma quanto e più degli uomini soffrono di malinconia. A loro non è concesso distrarsi con la caccia, la pesca, le cavalcate e tutte quelle attività che aiutano gli uomini a superare i momenti difficili, ma devono affrontare la tristezza nel chiuso e nella monotonia delle loro dimore.
Per rimediare in parte a quest'ingiustizia, "in soccorso e rifugio di quelle che amano", Boccaccio si accinge a raccontare cento novelle dai cui argomenti le lettrici potranno trarre diletto e consiglio. Se ciò avverrà le lettrici ne ringrazino Amore che, liberando l'Autore dai suoi legami, gli ha concesso di rallegrarle.
PRIMA GIORNATA - Introduzione

L'inizio è triste per necessità e l'Autore lo avrebbe volentieri evitato ma deve spiegare in quali ciscostanze si svolsero gli eventi di seguito narrati.
Nel 1348 la peste, scoppiata in Asia due anni prima e giunta in Italia con le navi mercantili, raggiunse Firenze e, malgrado tutte le misure e precauzioni prese, nel corso della primavera divampà orribilmente.
Nella zona inguinale e sotto le ascelle dei malati comparivano grandi enfiagioni, mentre il corpo e gli arti si coprivano di macchie scure. I medici erano impotenti ed entro tre giorni dalla comparsa di questi sintomi in genere l'appestato moriva.
Il contagio si diffondeva sempre più rapidamente e colpiva non solo gli uomini ma anche gli animali.
Gruppi di persone cercavano di isolarsi per evitare l'infezione e perché ritenevano che la sobrietà aiutasse, chiusi in case dove non si trovavano malati, evitavano ogni eccesso e stravizio e cercavano consolazione nel racconto di favole e novelle.
Altri combattevano la disperazione con il vino e si formavano brigate che vagavano senza sosta fra casa e taverna bevendo senza misura.
Non esistevano più leggi nè chi le facesse rispettare, ognuno poteva comportarsi come preferiva.
Molti portavano sempre con se fiori, erbe e spezie credendo di poter allontanare l'epidemia allontanando il fetore dei cadaveri.
Molti abbandonavano tutto e fuggivano dalla città illudendosi che la peste non potesse raggiungerli.
Crescendo il numero delle vittime le cerimonie funebri, in precedenza celebrate con grande partecipazione, divennero sempre più brevi e approssimative fino a scomparire del tutto. Allora fu lasciato ai becchini prezzolati il lugibre compito di liberare case e strade dai cadaveri, spesso disponendoli in fosse comuni.
La paura del contagio rendeva i rapporti sociali e familiari sempre più rarefatti, molti vivevano dedicandosi soltanto a consumare quanto avevano nell'attesa di una morte imminente ed orribile.
In questa atmosfera allucinata, un mattino, si incontrarono in una chiesa sette giovani donne di bell'aspetto e di buona famiglia, di età compresa fra i diciotto e i ventotto anni, legate fra loro da relazioni di amicizia e parentela.
L'autore avverte che per rispetto di queste donne non userà i loro veri nomi ma altri di fantasia: Pampinea (la rigogliosa), Fiammetta (la donna amata dal Boccaccio), Filomena (amante del canto), Emilia (la lusinghiera), Lauretta (allusione alla donna del Petrarca), Neifile (il nuovo amore), Elissa (altro nome di Didone che rappresenta l'amore tragico).
Pampinea, la più anziana, parlò alle compagne sottolineando quanto fosse disperata la situazione e quanto inutile e penoso fosse per loro rimanere in città esponendosi ai pericoli del contagio e della violenza delle tante persone che avevano ormai perduto ogni controllo.
Propose quindi ri ritirarsi in campagna per trovare pace e rifugio in un ambiente più salubre e sicuro. Del resto i loro familiari erano tutti morti o fuggiti, abbandonandole al loro destino.
La proposta venne immediatamente accettata, ma Filomena ed Elissa obiettarono che alla compagnia mancavano componenti maschili e l'andare sole sarebbe stato pericoloso.
Proprio in quel momento entrarono nella chiesa tre ragazzi: Panfilo, Filostrato e Dioneo che erano innamorati di tre delle sette donne (ma Boccaccio non specifica quali). Su proposta di Pampinea, che rapidamente convinse anche la vergognosa Erifile, i tre giovani vennero invitati ad unirsi alla comitiva e, ovviamente, accettarono con grande entusiasmo.
Il mattino seguente i dieci personaggi, accompagnati da alcuni domestici, raggiunsero una villa in un ameno luogo in collina, non lontano dalla città.
Una volta sistemati nella nuova dimora, i giovani organizzarono la permanenza e Pampinea propose di assegnare ogni giorno ad uno di loro il comando degli altri.
Per la prima giornata venne eletta la stessa Pampinea. La prima decisione delle nuova "regina" rigurdò i compiti dei domestici: tenere in ordine la villa e preparare i pasti.
Si svolse il primo banchetto seguito da danze e canti, infine tutti si ritirarono per la notte. L'indomani fu ancora Pampinea a prendere l'iniziativa proponendo che si trascorressero le ore più calde della giornata al fresco di un prato ben ombreggiato raccontando delle storie.
In primo a narrare fu Panfilo.

PRIMA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

Il mercante Musciatto Franzesi, che si era stabilito in Francia, ebbe l'incarico di accompagnare Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, che era stato convocato in Italia dal papa Bonifacio VIII.
In procinto di partire avevva affidato i suoi affari a vari conoscenti ma lo preoccupava la riscossione dei suoi crediti presso i Borgognoni che erano considerati litigiosi e sleali.
Pensò allora ad un certo Cepparello da Prato, detto Ciappelletto, che frequentava la sua casa.
Notaio falsificatore, spergiuro, miscredente ed iracondo; frequentatore di taverne e di bordelli, Ciappelletto aveva i migliori requisiti per l'incarico, e lo accettò volentieri vedendosi offrire una lauta ricompensa.
Partito Musciatto, Ciappelletto si recò in Borgogna per esercitare il suo incarico di esattore ma, sistematosi in casa di due fratelli fiorentini che praticavano l'usura, si ammalò.
Quando fu accertato che la malattia di Ciappelletto era incurabile, i due usurai furono molto preoccupati dalla prospettiva che un simile uomo morisse nella loro casa: nessun sacerdote lo avrebbe assolto dei suoi peccati e lo avrebbero gettato nei fossati fuori città (trattamento riservato ai cadaveri dei traditori, degli eretici e degli usurai) attirando l'odio popolare anche sui suoi ospiti.
Ciappelletto comprese la loro preoccupazione e li incaricò di chiamare un confessore promettendo di risolvere la situazione. Venne convocato un frate di un vicino convento per confessare il moribondo e Ciappelletto, stimando che un peccato in più non avrebbe cambiato la sua situazione presso il Padre Eterno, volle far credere di essere stato un uomo pio e timorato di Dio.
Il racconto della confessione si svolge secondo uno schema preciso: il frate indaga prima sui peccati di incontinenza, quindi si passa a quelli nati dalla malizia.
Interrogato sulla lussuria Ciappelletto dichiara di essere ancora vergine, a proposito della gola congessa di aver desiderato acqua fresca ed insalata nei giorni di digiuno.
Al frate che cli chiede se ha peccato d'avarizia, egli racconta di aver diviso con i poveri la fortuna ereditata dal padre e quanto ha guadagnato durante la vita, precisando che si era recato presso gli usurai che lo ospitavano con l'intento di redimerli. Confessa anche d'aver peccato d'ira indifnandosi contro coloro che non rispettano i comandamenti, ma senza che la collera lo abbia mai indotto a nuocere ad alcuno.
Nega di aver mai testimoniato il falso o di aver commesso frode, con una piccola eccezione del tutto irrilevante.
Ammette infine di aver ordinato una volta ad un domestico di pulire la casa di domenica, senza santificare la festa e di aver una volta sputato in chiesa.
Quando il frate stava per pronunciare l'assoluzione, Ciappelletto iniziò a piangere parlan do di un gravissimo paccato che non ha mai avuto il coraggio di raccontare. Il frate lo esortò più volte ed infine il moribondo, aprendo il cuore con grandissimo rimorso, ammise di aver una volta offeso sua madre durante l'infanzia.
Non dubitando delle parole di Ciappelletto, il frate si commesse e, dopo averlo assolto dai piccolissimi peccati che aveva confessato, gli offrì di essere sepolto nel cimitero del convento.
In un locale attiguo gli usurai ascoltavano e ridevano, stupefatti dalla finzione del loro ospite.
Ciappelletto morì quella stessa sera ed il frate predicò durante le sue esequie additandolo ai fedeli come esempio di santità, con parole talmente infervorate che i presenti vollero toccare e baciare la salma e prendere lembi dei suoi abiti come reliquie.
La fama di Ciappelletto crebbe, tutti lo condiderarono santo e molti parlarono per lungo tempo dei miracoli di San Ciappelletto.

PRIMA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Concluso il racconto di Panfilo, la regina ordina che sia Neifile a narrare una storia e Neifile parla di Giannotto da Civignì, rinomato ed onesto mercante che viveva a Parigi ed era amico di un ricchissimo ebreo di nome Abraam, anche egli mercante corretto e leale.
Giannotto ed Abraam discutevano spesso di religione e l'uno insiteva perché l'altro si convertisse al Cristianesimo.
Dopo molti discorsi Abraam annunciò all'amico che sarebbe andato a Roma per vedere il papa ed i cardinali e comprendere la loro comportamento se la fede di Giannotto era veramente migliore della sua.
Giannotto, conoscendo la corruzione della curia romana, fece di tutto per dissuaderlo, ma fu inutile e Abraam partì. Ospitato dagli Ebrei romani, Abraam prese ad osservare discretamente gli alti prelati e notò come fossero dediti alla lussuria ed alla crapula, avari, cupidi e simoniaci.
Il mercante ebreo tornò a Parigi disgustato e fu lieto di ritrovare l'amico Giannotto.
A questi che gli chiedeva quale impressione avesse ricevuto dal suo viaggio, l'Ebreo rispose in modo sorprendente: una religione che riesce a resistere e a diffondersi nonostante "la fudina di diaboliche operazioni" che presiede alla sua chiesa, deve essere necessariamente sostenuta dallo Spirito Santo.
In base a questa considerazione, Abraam si fece accompagnare dall'amico a Notre Dame per essere battezzato e visse da buon cristiano per il resto dei suoi giorni.

PRIMA GIORNATA - TERZA NOVELLA

E' il turno di Filomena che promette di dimostrare come l'ingegno ed il buon senso possano a volte salvaguardare da un pericolo.
Il famoso Saladino, avendo bisogno di molto denaro per finanziare una sua impresa, pensò al ricco ebreo Melchisedec, usuraio in Alessandria.
Ritenendo che l'Ebreo non lo avrebbe accontentato senza esservi costretto, Saladino decise di prendergli il denaro con la forza ma legittimando in qualche modo l'azione.
Convocato l'usuraio gli pose un quesito: quale fosse la più veritiera fra le tre leggi: la giudaica, la saracena e la cristiana.
L'astuto ebreo rispose raccontando una storia: un uomo molto ricco che aveva tre figli stabilì che la sua intera eredità sarebbe andata a quello a cui avrebbe donato un certo anello.
Questa particolare forma di testamento divenne tradizione della famiglia che l'adottò per molte generazioni, ma quando fu la volta di un padre che, come l'antenato, aveva tre figli, questi non riuscì a decidere amandoli tutti in egual misura.
Fatte fare due copie identiche dell'anello, lasciò credere a ciascuno dei suoi figli di essere il solo erede, ma quando l'uomo morì nessuno seppe riconoscere il vero anello e l'assegnazione dell'eredità rimase in sospeso.
Altrettanto avviene per la religione: i tre popoli l'anno ricevuta in eredità ma nessuno potrà mai dire quale sia la più vera.
Saladino ammirò la saggezza dell'uomo, gli chiese un prestito senza usare alcuna violenza, l'ottenne e più tardi lo rimborsò aggiungendo ricchi doni.

PRIMA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Prende la parola Dioneo e racconta di un giovane monaco che un mattino trovò nei pressi del convento una bella ragazza intenta a raccogliere erbe.
Il monaco la circuì e la fece entrare di nascosto nella sua cella dove i due si divertirono a lungo.
Attratto dai rumori che provenivano dalla cella del monaco, l'abate si mise ad origliare alla porta finché non fu certo di quanto avveniva ma per il momento non intervenne volendo riflettere sul da farsi.
Il monaco, che si era accorto di essere spiato, lasciò la ragazza nascosta nel suo letto e se ne andò a raccogliere legna.
L'abate decise di interrogare la ragazza prima di prendere una decisione ma, vedendola così giovane e bella, fu preso a sua volta dalla libidine e non faticò molto per ottenere quanto desiderava. Essendo grasso e pesante si distese sul letto facendo salire la giovane sul suo corpo.
Più tardi decise di tenere solo per se la ragazza e convocò il monaco deciso a farlo arrestare e punire in modo esemplare, ma il giovane chiee di essere perdonato dichiarando di non conoscere ancora a fondo le regole dell'ordine e promettendo di far sempre in futuro come aveva visto fare l'abate.
Comprendendo di essere stato scoperto, l'abate perdonò il giovane monaco, insieme fecero uscire la ragazza dal convento ed in seguito ve la fecero spesso ritornare.

PRIMA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Terminata la sua novella, Dioneo viene bonariamente rimproverato da Pampinea per aver raccontato una storia troppo spinta mentre le altre damigelle arrossiscono trattenendo a fatica un sorriso.
Fiammetta passa quindi a raccontare la quinta novella. Il marchese di Monferrato (Corrado Aleramici), uomo di grande valore, aveva una moglie bellissima. Il re Filippo Augusto di Francia, desideroso di incontrare la donna di cui conosceva la fama, fece partire il marchese per la terza crociata e si recò nel Monferrato.
Avvisata dell'intenzione del re di farle visita, l'avveduta marchesa preparò una splendida accoglienza e fece allestire un banchetto a base di galline.
Stupito ed incuriosito dalla strana scelta culinaria, il re chiese se in quel paese nascessero solo galline senza gallo.
La marchesa rispose di no ma osservò che una gallina, per quanto si possano variare condimenti e preparazioni, sempre una gallina è, così come una donna per quanto elegante e famosa possa essere, rimane una donna come tutte le altre.
Il re comprese di essere stato invitato, con una cortese metafora, a cercare altrove di che soddisfare i propri desidere e, terminato il desinare, se ne andò ringraziando per l'onorevole accoglienza ricevuta.

PRIMA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Il sesto racconto è affidato a Emilia.
Viveva a Firenze un frate inquisitore avaro e corrotto che non esitava a sfruttare la propria posizione per trarne profitto personale. Venuto a sapere che un buon uomo molto benestante si era vantato con gli amici di produrre un vino tanto buono che anche Cristo ne avrebbe bevuto, l'inquisitore lo fece arrestare e minacciò di mandarlo al rogo per blasfemia.
Il poveretto evità la condanna a prezzo di grosse somme versate al frate tramite intermediari e la pena fu ridotta all'obbligo di portare una croce di stoffa cucita sugli abiti (segno di ignominia) e di ascoltare ogni mattino la messa in Santa Croce per po presentarsi ai frati.
Un mattino l'uomo, ricevuto in refettorio, disse di aver ascoltato durante la messa, una frase che l'aveva mosso a compassione nei confronti dei frati. Il Vangelo promette "riceverete per ognuno cento", quindi i frati, che ogni giorno somministrano caldaie di broda ai poveri, ne riceveranno tanta da dovervi affogare.
A queste parole tutti risero ma l'inquisitoire, sentendosi punto sul vivo, mandò via l'uomo liberandolo dall'obbligo di frequentare il convento.

PRIMA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Filostrato loda il modo in cui il buon uomo della novella precedente criticò l'ipocrita carità dei frati e passa a dire come fu castigata un'insolita avarizia di Cane della Scala (Cangrande della Scala, signore di Verona).
Cangrande aveva ingaggiato per una festa il novelliere Bergamino ma tardava nel ricompensarlo e Bergamino si trovava in difficoltà per le spese sostenute.
Un giorno vedendolo triste e pensieroso, il signore ne chiese la ragione al novelliere che gli narrò la storia di Primasso (un verseggiatore molto noto nel medioevo) e dell'abate di Cluny.
Primasso si era recato in visita dall'abate per ammirarne la famosa magnificenza ma non era stato ricevuto. Aveva atteso pazientemente nutrendosi con del pane che aveva con se finché l'abate, rendendosi conto di aver peccato di avarizia contro una persona che voleva soltanto rendegli omaggio, decise di fare ammenda accogliendo Primasso e facendogli ricchi doni.
Compresa l'allusione Cangrande riconobbe di aver commesso un atto di avarizia per lui insolito, pagò all'oste i conti di Primasso e, come l'abate del racconto, donò all'ospite denaro, vesti ed un cavallo.

PRIMA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Senza attendere l'ordine della regina, Lauretta passa a narrare la sua novella.
Messer Ermino Grimaldi era l'uomo più ricco di Genova ma talmente avaro da essere soprannominato Ermino Avarizia.
Giunse in quel periodo a Genova Guglielmo Borsiere, "valente uomo di corte e costumato e ben parlante" (qui la narratrice divaga con un'invettiva contro i cortigiani dei suoi tempi).
Incuriosito dalla fama dell'avarizia di Messer Ermino, Guglielmo volle fargli visita.
Il Grimaldi lo accolse amichevolmente e, mostrandogli la sua casa, gli chiese di consigliarlo su qualcosa di inusitato da farvi dipingere. Guglielmo gli propose di far dipingere una cosa che non aveva mai visto: la cortesia.
Messer Ermino fu così colpito dalla battuta che da allora mutò i propri costumi e divenne l'uomo più liberale della città.

PRIMA GIORNATA - NONA NOVELLA

Una donna della Guascogna in pellegrinaggio in Terra Santa venne violentata, racconta Elisa.
Desiderando di essere vendicata pensò di rivolgersi al re di Cipro (Guido da Lusignano) ma fu avvertita che il re era troppo indolente e pusillanime per agire.
La donna si recò comunque dal re ma non gli cnhiese di vendicarla ma di insegnarle a subire le offese con indulgenza. Il re, colto da vergogn per la propria ignavia, fece punire gli stupratori e da quel giorno punì molto severamente ogni colpa commessa nel suo regno.

PRIMA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Conclude la giornata la regina Pampinea che, dopo aver gentilmente ammonito le compagne a guardarsi dalla frivolezza, racconta la storia dell'anziano medico Alberto da Bologna, innamorato della bella vedova Margherita dei Ghisolieri.
Il medico prese l'abitudine di passare tutti i giorni davanti alla casa dell'amata, quasta se ne accorse ed un giorno di festa lo invitò a fermarsi con lei e le sue amiche con l'intenzione di deridere il suo senile innamoramento.
Il vecchio riconobbe senza difficoltà i propri sentimenti ma notò che spesso si mangiano le fronde dei porri, tralasciandone il capo che è la parte più buona e matura.
Vergognandosi alquanto per la sua insolenza Margherita se ne scusò e pregò l'anziano innamorato di non privarla in futuro della sua compagnia.

PRIMA GIORNATA - CONCLUSIONE

Terminato l'ultimo racconto la regina Pampinea cede la corona di alloro a Filomena la quale dispone che si trascorra la serata cenando e danzando per riprendere le narrazioni l'indomani. Per dar agio a ciascuno di riflettere su quanto raccontare, la regin a anticipa un tema: "chi da diverse cose infestato sia oltre la speranza riuscito a lieto fine".
Dioneo ottiene il privilegio di poter scegliere le sue novelle indipendentemente dall'argomento stabilito e di essere sempre l'ultimo a parlare in modo da concludere la giornata in allegria con racconti divertenti.
Dopo cena Emilia canta la ballata Io son si vaga della mia bellezza che allude alla bellezza di un'anima pura, capace di contemplare in se stessa l'impronta della divinità.

SECONDA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

La prima novella è narrata da Neifile.
Viveva a Treviso un sant'uomo di nome Arrigo (Beato Arrigo da Treviso) che lavorava come facchino.
Quando morì tutte le campane della città si misero a suonare senza che nessuno le muovesse e la gente, ritenendolo santo, portò storpi e malati presso la sua salma.
Arrivarono in città tre avventurieri fiorentini che si facevano chiamare Stecchi, Martellino e Marchese e incuriositi decisero di andare a vedere le spoglie del defunto.
Per evitare ostacoli Martellino finse di essere uno storpio che gli altri accompagnavano sperando in una miracolosa guarigione. La folla li lasciò passare e molti aiutarono Martellino ad avvicinarsi. Il burlone, per prendersi gioco dei presenti, finse che le sue membra si distendessero gradualmente rendendogli la facoltà di muoversi e tutti gridarono al miracolo.
Un fiorentino che per caso si trovava fra la gente riconobbe Martellino e lo smascherò. Subito la folla inferocita tentò di linciare il disgraziato. Per salvarlo Stecchi e Marchese gridarono di essere stati da lui derubati e lo fecero arrestare.
Portato davanti al giudice Martellino fu di nuovo percosso e, minacciato di impiccagione tentò di difendersi come poteva.
Infine i suoi amici rintracciarono un illustre esule fiorentino che godeva di grande prestigio a Treviso e che riuscì a far rilasciare Martellino, così i tre amici tornarono a casa sani e salvi.
SECONDA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Filostrato è il narratore della seconda novella.
Il mercante Rinaldo d'Asti tornando da un viaggio d'affari a Bologna si unì ad un gruppo di viaggiatori che in realtà erano dei briganti ed alla prima occasione lo derubarono abbandonandolo seminudo e senza cavallo.
L'uomo trovò un precario rifugio sotto il portico di una casa, ma qui viveva una bella vedova, amante trascurata di Azzo signore di Ferrara, che lo accolse e lo rifocillò.
La donna si invaghì dell'inatteso ospite e i due trascorsero la notte insieme. Al mattino Rinaldo ripartì vestito di abiti donatigli dalla vedova, ritrovò il suo domestico che era sfuggito all'agguato e poco dopo, saputo che i rapinatori erano stati catturati durante la notte, recuperò i suoi averi.

SECONDA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Tocca a Pampinea raccontare. Lamberto, Tedaldo e Adolante erano fratelli, figli di un ricco cavaliere che lasciò loro una consistente fortuna.
Giovani e sregolati, i tre fratelli dilapidarono l'eredità e presto si trovarono sulla soglia della miseria.
Vendettero il poco che era rimasto e con il ricavato, trasferitisi a Londra, intrapresero l'usura riguadagnando in breve grandi ricchezze.
A poco a poco ricomprarono le proprietà che avevano venduto, quindi affidarono i loro affari in Inghilterra ad un giovane nipote di nome Alessandro e tornarono a Firenze dove, nonostante avessero ormai famiglia, ripresero a vivere lussuosamente grazie alle rendite che il nipote rimetteva loro da Londra.
Inaspettatamente scoppiò un conflitto fra il re di Inghilterra (Enrico II) ed il figlio, ne conseguirono sequestri ai danni di molti notabili debitori nei confronti di Alessandro e l'impresa entrò in crisi.
La situazione di protrasse per anni, i tre fratelli persero di nuovo tutti i loro beni ed infine furono imprigionati per debiti, le loro famiglie si dispersero nelle campagne.
Alessandro, persa ogni speranza, decise di tornare in Italia e durante il viaggio incontrò un corteo di monaci, nobili e cavalieri.
Venne a sapere che il vorteo scortava un giovane nobile che essendo stato eletto abate prima dell'età minima si recava a Roma per chiedere una dispensa al Papa.
Unitosi al corteo, Alessandro entrò in confidenza con l'abate che gli chiese di accompagnarlo. Giunti in una città povera di alberghi, Alessandro che era pratico dei luoghi si adoperò per sistemare come meglio poteva l'abate e il suo seguito e giunta la notte si coricò su un giaciglio improvvisato presso la stanza dell'abate.
Fu svegliato dalla voce dell'abate che lo pregava di coricarsi nel suo letto. Con grande stupore il giovane ricevette maliziose carezze dal prelato che presto gli svelò di essere una donna che viaggiava in incognito e di essersi innamorata di lui.
La donna gli chiese una promessa di matrimonio ed Alessandro, considerata la sua avvenenza e la sua evidente ricchezza, accettò. Dopo una notte di passione ripresero il viaggio ed infine giunsero a Roma.
Ricevuta dal Papa la donna rivelò di essere la figlia del re di Inghilterra, fuggita per evitare un matrimonio sgradito, presentò Alessandro al pontefice e lo pregò di celebrare il loro matrimonio.
Il Papa fu molto sorpreso ma alla fine concesse quanto richiesto. Durante il viaggio verso l'Inghilterra gli sposi sostarono a Firenze dove la principessa fece liberare gli zii del marito pagando i loro debiti.
Giunta in patria si riconcigliò con il padre che benedisse la coppia e nominò Alessandro conte di Cornovaglia.

SECONDA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Lauretta racconta che nella cittadina di Ravello, presso Amalfi, viveva un tempo il ricco Landolfo Rufolo che mercanteggiando a Cipro cadde in rovina e di dedicò alla pirateria. Razziando soprattutto navi turche in un solo anno guadagnò il doppio di quanto aveva perduto e decise di non tentare oltre la sorte e tornarsene a casa.
Durante il viaggio riparò su un'isoletta per il mal tempo ma qui fu derubato e rapito da pirati genovesi. La nave dei pirati, a sua volta, fece naufragio e Landolfo rimase a lungo in acqua aggrappato ad una cassa finché il mare non lo spinse sulla spiaggia dell'isola di Gurfo.
Qui venne soccorso da una buona donna che si prese cura di lui per molti giorni.
Quando il naufrago si fu rimesso la donna gli consegnò la cassa alla quale lo aveva trovato aggrappato e Landolfo scoprì che conteneva molte pietre preziose. Si rimise in viaggio e, con l'aiuto di concittadini incontrati a Trani, tornò finalmente a Ravello.
Vendute le pietre inviò una forte ricompensa alla donna di Gurfo e ai benefattori di Trani. Con quanto rimaneva visse di rendita per il resto dei suoi giorni.

SECONDA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

La parola passa a Fiammetta.
Il giovane Andreuccio di Pietro, sensale di cavalli in Perugia, presi con se cinquecento fiorini d'oro andò a Napoli a fare acquisti.
Inesperto ed ingenuo, Andreuccio lasciò che occhi estranei notassero la sua ben fornita borsa mentre trattava al mercato.
La sera stessa una giovane siciliana molto bella ma di facili costumi, dopo aver raccolto su di lui inviò una fantesca a chiamarlo.
La donna aveva notato che Andreuccio aveva incontrato una vecchia domestica della sua famiglia e, rintracciata questa, le era stato facile conoscere a fondo l'ambiente del giovane sensale.
Mostrandosi emozionata ed affettuosa, la siciliana raccontò ad Andreuccio di essere sua sorella, nata da una donna che il loro comune padre aveva amato durante un soggiorno a Palermo. Raccontò inoltre di essere moglie di un nobiluomo di parte guelfa lefato alla corte angioina e convinse Andreuccio a cenare e pernottare presso di lei.
L'ingenuo Andreuccio credette a tutto e trascorse la sera con la donna. Prima di coricarsi si spogliò e si recò nella latrina ma qui, a causa del tavolato disconnesso, precipitò seminudo nella sottostante fossa nera.
Illeso ma coperto di lordura, riuscì a passare dalla fogna alla strada e prese a bussare alla porta di quella che credeva sua sorella svegliando il vicinato, ma una fantesca ala finestra lo trattò da ubriaco cacciandolo via, intanto l'adescatrice si era impadronita degli abiti e della borsa con i fiorini del povero Andreuccio.
Vagando disperato nella notte, Andreuccio incontrò due malviventi che lo coinvolsero in una losca impresa: si trattava di spogliare il cadavere di un vescovo morto in quel giorno che era stato adornato di vesti e gioielli preziosi.
Quando furono nella chiesa i due banditi costrinsero Andreuccio ad entrare nel sarcofago del vescovo ma, una volta compiuto il furto, richiusero il sarcofago lasciandovi imprigionato il Perugino.
Visti vani i tentativi di sollevare il coperchio dell'arca dall'interno, Andreuccio fu preso dalla disperazione ma durante la notte un'altra banda di ladri scoperchiò la tomba.
Andreuccio ne uscì con grande terrore dei ladri e potè tornarsene a Perugia indisturbato. Con il valore di un anello del vescovo che aveva tenuto per se, inoltre, aveva recuperato quanto sottrattogli dalla finta sorella.

SECONDA GIORNATA - SESTA NOVELLA

La parola passa a Emilia.
Presso Manfredi re di Sicilia ebbe grande prestigio il gentiluomo Arrighetto Capece che aveva sposato la dama napoletana Beritola Caracciolo.
Dopo la morte di Manfredi, Arrighetto venne imprigionato e i suoi beni confiscati. Gravida e povera, Beritola decise di tornare a Napoli presso la sua famiglia ma il mal tempo spinse la sua imbarcazione sull'isola di Ponza.
Qui i pirati rapirono i figli di Beritola, fra cui quello partorito durante il viaggio, e tutte le persone che erano con lei. Rimasta sola la donna si ridusse a vivere di erbe. Trovò due caprioli neonati e prese ad allattarli.
Dopo alcuni mesi giunse una nave sulla quale viaggiava il nobile pisano Corrado dei Conti Malaspina che trovò Beritola ridotta ad uno stato animalesco.
Corrado, che ben conosceva Arrighetto Capece, quando venne a conoscere l'identità della donna si offrì di darle ogni possibile aiuto. Poiché Beritola rifiutava di andare in un luogo ove fosse conosciuta, Corrado e la moglie la convinsero a trasferirsi con loro in Lunigiana, portendo con se i suoi caprioli.
Intanto i figli di Beritola rapiti dai corsari e condotti a Genova erano finiti insieme alla balia nella casa di un certo Messer Guasparrin Doria. La balia, ritenendo pericoloso svelare l'origine dei bambini, faceva credere che fossero figli suoi ed aveva cambiato i loro nomi.
Il maggiore, che si chiamava Giuffredi ma la balia aveva ribattezzato Giannotto, giunto all'età di sedici anni lasciò Genova imbarcandosi per Alessandria e dopo aver vagato per alcuni anni per il mondo giunse in Lunigiana dove per caso divenne domestico di Corrado. Madre e figlio di ritrovarono così sotto lo stesso tetto ma non si riconobbero.
Qualche tempo dopo Giannotto e Spina, figlia di Corrado, si innamorarono e, scoperti ad amoreggiare in un bosco, furono incarcerati in due diversi luoghi per volontà del padre di lei.
Intanto in Sicilia si verificavano i Vespri Siciliani, le imprese di Giovanni da Procida, l'intervento di Pietro d'Aragona e l'isola usciva dal dominio angioino.
Sapute queste notiia, Giannotto si lamentò di non poter tornare in Sicilia e si confidò con una guardia della prigione rivelandogli di essere figlio di Arrighetto Capece.
La guardia riferì a Corrado che controllò con Beritola e quindi decise di liberare Giannotto-Giuffredi e fargli sposare la figlia.
Durante i festeggiamenti nuziali Corrado fece in modo che Giuffredi e Beritola si riconoscessero, con grande commozione di tutti. Più tardi, su richiesta di Giuffredi, Corrado ritrovò Scacciato, il figlio minore di Beritola, e la balia che erano ancora a Genova a casa di Gasparino Doria.
Scacciato sposò la figlia di Gasparino che volle cosìfar ammenda per la condizione servile in cui aveva tenuto i due giovani.
Dalla Sicilia giunse notizia che Arrighetto era ancora vivo e che, liberato dal popolo, aveva partecipato alla rivolta contro Carlo d'Angiò. Infine era stato onorato da Pietro d'Aragona e reintegrato in una posizione prestigiosa.
Beritola, i suoi figli, le sue nuore e la balia tornarono in Sicilia dove riabbracciarono Arrighetto e vissero in pace per molti anni.

SECONDA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Panfilo.
Il sultano Beminadeb fece sposare la bellissima figlia Alatiel al re del Garbo che lo aveva aiutato in una guerra.
Viaggiando per raggiungere il paese dello sposo, la nave su cui si era imbarcata Alatiel fece naufragiio, l'equipaggio tentò di mettersi in salvo su una scialuppa, ma la scialuppa affondò e tutti perirono.
Alatiel finì con la nave priva di governo ad arenarsi sulla costa dell'isola di Maiolica. Giacque incosciente durante la notte ed il mattino si ridestò insieme alle poche compagne superstiti.
Qualche ora dopo furono soccorse da un gentiluomo di nome Pericone da Visalgo che, nonostante le difficoltà della lingua, comprese la loro situazione e le condusse nel suo castello. Colpito dalla bellezza di Alatriel, Pericone se ne innamorò e prese a corteggiarla ma la giovane respingeva decisamente le sue proposte.
Sempre più desideroso, un giorno Pericone decise di tentare con il vino, che aveva notato la donna beveva volentieri, ed organizzato un banchetto la fece servire più volte.
Inebriata, Alatiel prese a danzare alla maniera del suo paese. Al termine della cena la donna cedette facilmente agli approcci di Pericone e da quella notte divenne la sua amante, con grande piacere di entrambi.
Il venticinquenne Marato, bello e prestante, si invaghì a sua volta della donna, la rapì e si imbarcò con lei su una nave diretta in Romania.
Alatiel si disperò ma marato seppe consolarla e presto dimenticò Pericone, ma anche questo idillio durò poco perché i due proprietari della nave, desiderando a loro volta le grazie della giovane, colsero di sorpresa Marato e lo gettarono in mare. I due tuttavia litigarono nel decidere chi si sarebbe unito per primo alla bella Alatriel, ne nacque una rissa, uno dei due rimase ucciso e l'altro gravemente ferito.
Con quest'ultimo la donna sbarcò a Chiarenza in Romania ma la fama della bellezza della straniera giuse al principe del luogo il quale nel vederla se ne innamorò. Il principe riuscì a prendere Alatiel con se e, sebbene non capisse la sua lingua, comprese che si trattava di persona d'altro lignaggio e la trattò di conseguenza.
La donna, ritenendo di aver scampato un pericolo, ne fu lieta e prese a rifiorire, diventando sempre più bella.
Ma le disavventure di Alatiel non erano finite: quando il principe ricevette la visita del cugino il duca di Atene, questi perse la testa per lei e la rapì dopo aver ucciso il principe.
Per nascondere la sua preda alla moglie, il duca la portò in un suo luogo segreto e bellissimo nei pressi di Atene, disponendo che fosse servita con ogni attenzione.
Intanto a Chiarenza venne casualmente scoperto il cadavere del principe e, considerando la sparizione improvvisa del duca e della donna, non fu difficile risalire all'assassino.
Il fratello del principe radunò un esercito e dichiarò guerra al duca di Atene che, dal canto suo, preparò adeguate difese chiedendo aiuto al suocero l'imperatore di Costantinopoli.
La duchessa, che aveva scoperto la cresta del marito, chiese soddisfazione ai fratelli. I fratelli della duchessa vollero vedere la donna ed uno di loro, Costanzio, se ne innamorì. Facendo credere alla sorella che agiva per riparare al disonore familiare, organizzò l'ennesimo rapimento e portò Alatiel nell'isola di Chios dove, ancora una volta, la giovane si lasciò consolare della proprie disgrazie.
Osbech re dei Turchi, venuto a sapere che Costanzio aveva catturato una donna della sua gente, attaccò Chios per liberarla e quando vide Alatiel decise di sposarla.
Contro Osbech andò Basano re di Cappadocia che lo uccise in battagia, intanto un domestico di Osbech di nome Antioco, al quale era stata affidata Alatiel, approfittando della conoscenza della lingua di lei, riuscì a farla sua amica e presto sua amante.
Quando seppe della morte di Osbech, Antioco prese con se molte ricchezze del defunto e fuggì a Rodi con la sua compagna ma poco dopo si ammalò gravemente e prima di morire affidò Alatiel al suo migliore amico, un mercante di Cipro.
Chiaramente Alatiel divenne l'amante del mercante.
A Cipro Alatiel incontrò un vecchio di nome Antigono di Famagosta, suo compatriota. Lo riconobbe, si fece riconoscere e gli raccontò le sue avventure. Alla giovane, che temeva che i suoi trascorsi non riuscissero graditi al sultano suo padre, il vecchio promise una soluzione.
Chiedendo aiuto al re di Famagosta, Antigono riuscì a riportare in patria Alatiel che, creduta morta da molto tempo, fu accolta con grandissima festa.
Alatiel, istruita da Antigono, raccontò di essere stata soccorsa da alcuni gentiluonibi che l'avevano affidata ad un convento di suore.
Temendo che rivelarsi musulmana non fosse opportuno, Alatiel aveva raccontato alle suore di essere figlia del re di Cipro e a Cipro era stata accompagnata da un gruppo di francesi in pellegrinaggio verso la Terra Santa. Giunta sull'isola aveva incontrato Antigono che l'aveva riaccompagnata a casa.
Il sultano, al quale Antigono assicurò che aveva la figlia più bella ed onesta che mai un signore avesse avuto, fu felice di aver ritrovato Alatiel e, come era stato dall'inizio sua intenzione, le fece sposare il re del Garbo.

SECONDA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Elisa.
A Gualtieri conte di Anguerse fu affidato il governo dal re di Francia che stava partendo per la guerra insieme al figlio.
Gualtieri era un bell'uomo e ottimo cavaliere, di recente rimasto vedovo. La nuora del re si innamorò di lui e, convocatolo nelle sue stanze gli offrì il suo amore. Leale verso il figlio del re, il conte rifiutò e la donna offesa si strappò le vesti e prese a chiedere aiuto gridando che Gualtieri la voleva violentare. Al povero conte non rimase che fuggire e, presi con se i figli, lasciò la città.
Ricercato in tutto il paese, Gualtieri passò in Inghilterra. Ai suoi figli (Luigi di nove anni e Violante di sette) il conte raccomandò di non svelare mai la propria identità e, giunti a Londra, i tre presero a mendicare. Per sicurezza Gualtieri cambiò i nomi dei figli in Perotto e Giannetta.
Una nobildonna notò la bellezza e l'eleganza della bambina e convinse Gualtieri a lasciarla con lei promettendo di prendersene cura nel migliore dei modi.
Gualtieri e Perotto passarono in Galles dove il bambino piacque ad un maniscalco del re che volle adottarlo. Rimasto solo Gualtieri passò in Irlanda dove divenne servitore di un cavaliere.
Passarono gli anni e Giannetta arrivò all'età da marito. Di lei si innamorò Giachetto figlio della signora che l'aveva adottata ma, credendola di bassa condizione, teneva nascosti i suoi sentimenti e turbato la proprio segreto si ammalò gravemente.
Un medico, notando che i battiti del cuore di Giachetto aumentavano quando Giannetta si avvicinava, intuì le ragioni della malattia e le scelò ai genitori di lui. La nobildonna, sollevata, esortò il figlio a confidarsi con lei ed il giovane confessò alla madre i propri sentimenti.
La donna tentò di convincere Giannetta a diventare l'amante del figlio ma poiché la ragazza rifiutava di rinunciare all'onestà i genitori di Giachetto acconsentirono al matrimonio.
Intanto Dio si ricordava anche di Perotto che, dopo una pestilenza che aveva spopolato il Galles, sposò una damigella ereditiera che gli portò una ricca dote e ricevette la carica di maniscalco che era stata del suo benefattore morto nell'epidemia.
Dopo diciotto anni trascorsi in Irlanda, Gualtieri volle conoscere il destino dei figli. Tornò nel Galles e rintracciò Perotto senza farsi riconoscere.
Si recò quindi a Londra dove, ottenute notizie della figlia, si mise a mendicare presso la sua casa. Giachetto ne ebbe pietà e lo accolse assumendolo come stalliere; i figli di Giannetta e Giachetto si affezionarono al conte e desideravano trattenersi in sua compagnia.
Il re di Francia morì ed il figlio, salito sul trono, fece guerra ai Tedeschi. Gualtieri, Giachetto e Perotto furono fra gli uomini che il re di Inghilterra mandò in aiuto al suo alleato francese.
La regina di Francia, ammalatasi gravemente, confessò il proprio comportamento ai danni di Gualtieri e fece avere al marito la preghiera di riparare al suo torto, quindi morì.
Il re fece cercare ovunque Gualtieri il quale, udito l'appello, si fece riconoscere da Perotto.
Giachetto presentò Gualtieri al re che, riconosciutolo, lo accolse con grande commozione ed ordinò che fosse rivestito in maniera confacente al suo rango e reintegrato di tutti i suoi averi.
Giannetta si riunì al padre e al fratello a Parigi ... e vissero tutti felici e contenti.

SECONDA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Filomena, regina della giornata.
Una sera in un albergo di Parigi, alcuni mercanti italiani chiacchierando dopo cena parlavano della fedeltà delle mogli.
Il genovese Bernabò Lomellin affermò con sicurezza di avere la moglie più bella, assennata e fedele che si potesse trovare e venne deriso da un altro mercante di nome Ambrogiuolo da Piacenza.
Ambrogiuolo argomentò che è della debolezza umana cedere alle tentazioni e poiché tutti lo snno si disse convinto che Bernabò non credesse realmente a quel che diceva. Discutendo i due si accalorarono ed infine Ambrogiuolo scommise che avrebbe sedotto la moglie di Bernabò.
Ambrogiuolo si recò a Genova ma si rese presto conto che l'impresa era impossibile ed escogitò un trucco per ingannare Bernabò. Corrompendo una domestica riuscì ad introdursi nella camera della donna chiuso in una cassa e durante la notte scoprì la donna addormentata ammirandone il corpo nudo, quindi si impossessò di alcuni oggetti e tornò a Parigi.
Mostrando gli oggetti, descrivendo la camera ed un neo che la bella donna aveva sotto il seno, Ambrogiuolo dimostrò di aver vinto la scommessa ed incassò quanto pattuito.
Bernabò tornò a Genova, si fermò in una sua casa fuori città e mandò un domestico a chiamare la moglie, con l'ordine di ucciderla durante il viaggio.
Quando l'uomo tentò di colpirla la moglie di Bernabò riuscì a muoverlo a compassione, gli consegnò i suoi panni perché egli potesse fingere di averla uccisa e promise di non farsi mai più vedere.
Infatti si travestì da uomo e trovò lavoro presso l'armatore di una nave. Dopo qualche tempo fu assunta da un sultano al quale la nave aveva effettuato una consegna.
La donna, che si chiamava Ginevra ma si faceva chiamare Sicurano da Finale, conquistò rapidamente la fiducia del sultano che gli affidò il comando delle guardie che garantivano la sicurezza dei mercanti alla fiera di San Giovanni d'Acri.
Alla fiera Sicurano incontrò Ambrogiuolo e lo riconobbe grazie a certi ornamenti che erano stati suoi. Inducendolo a parlare, Sicurano comprese finalmente l'inganno di cui era stata vittima e la ragione dell'ira del marito.
Ginevra decise di vendicarsi e tenne nascosta la propria identità finché non si procurò l'amicizia di Ambrogiuolo e non riuscì a far comparire i due mercanti davanti al sultano.
Qui svelò di essere Ginevra, moglie vituperata di Bernabò e dimostrò di non essere mai stata infedele. Stupito per la rivelazione, il sultano lodò le virtù di Ginevra, perdonò Bernabò su preghiera di lei e condannò a morte Ambrogiuolo.
Ginevra e Bernabò tornarono a Genova arricchiti dai doni del sultano e dai beni di Ambrogiuolo che furono loro assegnati come indennizzo. Vennero accolti con grandi onori mentre Ambrogiuolo, legato a un palo e cosparso di miele, moriva divorato dagli insetti.

SECONDA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo.
Messer Riccardo di Chinzica, giudice di Pisa, essendo molto ricco volle avere una moglie giovane e bella e sposò Bartolomea Gualandi, una delle ragazze più attraenti della città.
Non essendo in grado di soddisfare una moglie così giovane, il giudice stabilì una serie di astinenze per motivi religiosi rendendo molto rari gli incontri carnali, con grande delusione della sposa.
Un'estate messer Riccardo volle fare un'escursione in barca ma i gitanti incapparono nell'agguato dei pirati del famoso corsaro Paganin da Mare che, notando la bellezza di Bartolomea, la rapì lasciando il marito disperato e folle di gelosia.
Paganino "consolò" Bartolomea e la portò a vivere con lui a Monaco. Qualche tempo dopo Riccardo venne a sapere dove si trovava la moglie e si recò a Monaco per riscattarla.
Quando Riccardo incontrò Paganino questi era già stato avvertito da Bartolomeo che aveva scorto il marito casualmente. Paganino si mostrò gentile e disponibile e promise che se la donna lo avesse riconosciuto come suo marito, Riccardo avrebbe potuto prenderla con se.
Bartolomea, che certamente preferiva il pirata al giudice, dichiarò di non riconoscere Riccardo, anzi di non averlo mai visto prima.
Riccardo chiese a Paganino di lasciarlo solo con la donna ma fu allora che Bartolomea gli rinfacciò apertamente le molte astinenze e rifiutò di tornare a Pisa con lui.
Umiliato e sconfortato, Riccardo ritornò a casa dove cominciò a soffrire di disordine mentale e presto morì mentre Paganino sposò Bartolomea e a lungo vissero felici, senza mai rispettare feste e vigilie.

SECONDA GIORNATA - CONCLUSIONE

Terminato il racconto delle dieci novelle la regina Filomena cede l'alloro a Neifile. Questa decreta che per i due giorni seguenti (venerdì e sabato) si rispetti l'usanza del digiuno e della preghiera per riprendere la domenica con i racconti.
Avverte che ha deciso di trasferire la brigata in altro luogo per evitare di richiamare l'attenzione di altre persone ed anticipa il tema della prossima giornata nella quale si tratterà di chi con fatica ed ingegno riesce a conquistare qualcosa che ha molto desiderato o a recuperare qualcosa che ha perduto.
La serata trascorre lietamente, si cena, si danza e Pampinea canta una canzone d'amore prima che tutti vadano a riposare.


TERZA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

La comitiva si è trasferita, per iniziativa della regina Neifile, in un bellissimo palazzo circondato da un parco ricco di fiori e di animali mansueti.
Iniziano qui i racconti della terza giornata. Il primo a parlare è Filostrato.
Nuto da Lamporecchio (un borgo del Pistoiese), dopo aver lavorato per qualche tempo come ortolano in un convento di suore presso Firenze, tornò al suo paese insoddispatto per la paga e stanco per le eccessive pretese delle giovani monache.
Nuto raccontò la propria esperienza al giovane Masetto che sentendo parlare delle giovani religione fu colto dal desiderio di conoscerle.
Poiché temeva di non essere accettato per la sua giovanile prestanza, Masetto decise di fingersi un mendicante sordomuto e come tale si presentò al castaldo del monastero chiedendo a gesti da mangiare ed offrendosi per tagliare la legna.
Il castaldo lo accolse e lo mise a lavorare, soddisfatto per l'energia e la buona volontà del giovane, e lo trattenne con se diversi giorni.
Infine Masetto fu incaricato di curare l'orto delle suore, lavoro che egli prese a svolgere con grande diligenza fingendo di non sentire i motteggi licenziosi che le religiose gli rivolgevano.
Un giorno, mentre Masetto riposava e fingeva di dormire, udì due suore parlare di lui. Intendevano conoscere l'uomo e un sordomuto, che non avrebbe potuto svelare la cosa a nessuno, sembrava l'occasione ideale.
Preso per mano Masetto lo condussero in un capanno dove il giovane le soddisfece entrambe.
Le due suore tornarono spesso al capanno ma un giorno vennero scoperte dalle compagne che, invece di denunciarle alla badessa, vollero condividere i loro piaceri.
Affaticato dalle nottate, spesso Masetto riposava di giornao sotto gli alberi del convento. così lo trovò un giorna la badessa e, condottolo nella sua cella, ebbe da lui quello che biasimava per le altre.
Alla fine Masette comprese di non poter più sopportare i ritmi che le nove suore gli imponevano e una notte, mentre si trovava con la badessa, finse di aver improvvisamente ritrovato la parola e pregò che lo si lasciasse andare.
L'astuta badessa trovò una soluzione: sparse la voce che Masetto era guarito grazie alle preghiere delle monache e lo nominò castaldo al posto del precedente che intanto era morto.
Le religiose organizzarono dei turni accettabili e dopo molti anni Masetto, ormai vecchio, ricco e padre di molti figli, fece ritorno al suo paese.


TERZA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Racconta Pampinea.
Agilulfo re dei Longobardi aveva sposato Teodolinda vedova di Autari. Un palafreniere di Agilulfo, uomo di umile condizione ma bello ed aitante nella persona, si innamorò di Teodolinda e, consapevole di non poterle proporre il suo amore, decise di morire ma non prima di aver tentato di giacere con la regina travestendosi per sembrare il re.
Il palafreniere, dopo aver spiato per qualche tempo il re, si procurò un mantello simile a quello di Agilulfo con il quale riuscì ad entrare nella camera di Teodolinda ed esaudire il suo desiderio con il favore dell'oscurità.
Quando l'uomo si fu allontanato, tuttavia, Agilulfo decise di far visita alla moglie e davanti allo stupore di Teodolinda comprese di essere stato vittima di un inganno. Decise di tacere per non creare scandali e si allontanò.
Il re si recò negli alloggi della servitù ed al buio tastò il torace dei domestici addormentati per trovarne uno che presentasse ancora segni di affanno ed eccitazione. In questo modo identificò il palafreniere ma non potendolo vedere gli tagliò i capelli con una forbice per poterlo riconoscere al mattino.
Il palafreniere, che aveva finto di dormire, comprese le intenzioni del re e, trovata una forbice, tonsurò in silenzio tutti gli altri domestici.
"Chi lo fece nol faccia mai più, e andatevi con Dio" si accontentò di dire Agilulfo quando radunata la servitù e visto che tutti avevano i capelli tagliati si rese conto dell'astuzia del fedigrafo.
Solo uno dei presenti comprese il senso di quella frase e, per il resto della sua vita, evitò di tentare ancora la fortuna.


TERZA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Filomena.
Viveva a Firenze una bella donna di alto lignaggio che aveva dovuto sposare un ricco ed ignorante lanaiolo.
La donna, che disprezzava il marito, si innamorò di un bell'uomo al quale però non osava rivelare i propri sentimenti.
Avendo notato che l'uomo amato era amico di un frate, la donna andò da questi a confessarsi, quindi raccontò al eligioso che l'uomo l'assediava nonostante lei fosse felicemente sposata e fedele e lo pregò di intervenire presso l'amico per evitare uno scandalo.
L'ingenuo frate, credendo nelle parole della donna, rimproverò l'amico il quale comprese la situazione e cominciò a passare veramente ogni giorno davanti alla casa di lei.
La donna ne fu molto contante ma desiderando di più tornò dal frate per lamentardi che l'uomo aveva osato farle avere in regalo una borsa ed una cintura e che continuava ad infastidirla senza alcun riguardo. Consegnò quindi borsa e cintura al frate pregandolo di restituirle all'impertinente corteggiatore e, elargita una ricca offerta per le messe in suffragio dei suoi cari estinti, tornò alla sua casa.
Più tardi il frate rimproverò duramente l'amico, ma pochi giorni dopo la donna otnrò da lui protestando che il corteggiatore aveva tentato di entrare nella sua camera attraverso una finestra, approfittando dell'assenza del marito di lei.
Tramite una nuova rampogna del frate che non si rendeva conto di fungere da messaggero, l'uomo venne così informato sull'assenza del marito e sul modo di introdursi nella camera della donna. Ne approfittò quella stessa sera e dopo esserci a lungo divertiti i due amanti risero dell'ingenuità del frate.


TERZA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Panfilo.
A Firenze, nelle vicinanze del Monastero di San Pacrazio, viveva un agiato cittadino di nome Puccio di Rinieri che si era fatto terziario francescano e si faceva chiamare Frate Puccio. Tutto dedito alla preghiera ed alle penitenze, trascurava la moglie Isabetta che era ancora giovane e bella.
Divenne consigliere spirituale di Frate Puccio il giovane monaco Don Felice che presto notò la bella Isabetta e ne comprese la situazione. Il monaco, il cui desiderio era ricambiato, escogitò il modo di godere della compagnia della donna nonostante l'immancabile presenza del marito.
Don Felice consiglò a Frate Puccio di abbreviare la via per la salvezza tramite una penitenza di quaranta giorni durante i quali avrebbe dovuto osservare il digiuno e trascorrere la notte in un luogo da cui fosse possibile contemplare il cielo pregando sdraiato e con le braccia aperte come se fosse in croce.
Frate Puccio iniziò la sua penitenza ed il monaco e la moglie presero l'abitudine di cenare e trascorrere la notte insieme. Una notte Frate Puccio sentì dei rumori provenire dalla camera della moglie ma lei gli spiegò che avendo digiunato per solidarietà con lui trascorreva notti agitate.
Così Frate Puccio, cercando il paradiso terrestre, lo fece trovare a Isabetta e al suo amante.


TERZA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Elissa.
Il pistoiese Francesco Vercellesi era molto ricco e molto avaro. Dovendo recarsi a Milano cercava un buon palafreno da acquistare e si rivolse al giovane Ricciardo detto Zima (azzimato). Francesco sapeva che Zima era innamorato della moglie e chiedendo proprio a lui di vendergli un cavallo sperava di concludere un buon affare.
Zima rispose a Francesco che gli avrebbe fatto dono di un magnifico palafreno se egli avesse acconsentito a lasciarlo parlare un poco con la moglie in sua presenza. Spinto dall'avarizia l'uomo acconsentì ed ordinò alla moglie di ascoltare il suo ammiratore ma proibendole di rispondere.
Il colloquio avvenne in una grande sala, Francesco osservava i due da lontano. Zima pronunciò un'appassionata dichiarazione d'amore raggiungendo il cuore della donna che non rispose ma con lo sguardo fece capire al giovane di apprezzare i suoi sentimenti. Comprendendo che la donna non poteva parlare Zima pronunciò una risposta per suo conto, fissando un appuntamento dopo la partenza del marito.
Quando Francesco Vergellesi partì, la moglie si disse che non le conveniva dedicare al marito la propria giovinezza e, con un segnale convenuto, fece sapere a Zima che lo attendeva sola in casa.


TERZA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Racconta Fiammetta.
Questa novella è ambientata a Napoli dove viveva il giovane e ricco Ricciardo Minutolo che si innamorò di Catella, bella e onesta moglie di Filippello Sighinolfi.
L'amore di Ricciardo non era corrisposto, ma egli venne a sapere che Catella era estremamente gelosa del marito. Ricciardo fece credere di essersi innamorato di un'altra donna per potersi più facilmente avvicinare a Catella. Infatti, durante una serata estiva mentre molti cenavano sulla spiaggia, Ricciardo fu invitato ad unirsi alla comitiva di Catella e conversando si lasciò sfuggire insinuazioni su una presunta relazione extraconiugale di Filippello.
Mossa dalla gelosia, Catella pregò Ricciardo di essere più chiearo e quello, dopo averle fatto giurare di non rivelare la fonte dell'informazione, le rivelò che Filippello insidiava sua moglie, forse per vendicarsi della corte che in passato lui aveva fatto a Catella.
Per cogliere il rivale sul fatto, Ricciardo aveva convinto la sua donna ad organizzare un falso appuntamento ed ora suggeriva a Catella di presentarsi al convegno e, dopo essersi intrattenuta al buio con Filippello, svelare l'inganno e vendicare l'offesa. Catella aderì immediatamente alla proposta.
Ricciardo e Catella si incontrarono al buio in casa di una conosccente e solo dopo aver fatto l'amore Catella si rivelò convinta di svergognare il marito. La donna insultò a lungo l'uomo che continuava ad accarezzarla e baciarlam na quando lei minacciò di rivelare pubblicamente il presunto tradimento di Filippello, Ricciardo decise di farsi riconoscere.
Catella fu sconvolta dalla scoperta ma Ricciardo, impedendole di fuggire e di gridare, la convinse a poco a poco che sarebbe stato disonorevole e pericoloso rivelare l'accaduto. Catella pianse molto e molto Ricciardo la consolò, finché i due divennero amanti.


TERZA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Emilia.
Il giovane fiorentino Tedaldo degli Elisei aveva avuto una relazione con Ermellina moglie di Aldobrandino Palerminim relazione interrotta dalla donna che non voleva più avere a che fare con l'ex amante.
Addolorato, Tedaldo lasciò Firenze, prese il nome di Filippo di San Lodeccio e si imbarcò per Cipro da Ancona, al servizio di un mercante. Divenne amico del mercante e rimase a Cipro per sette anni ma un giorno, ascoltando una vecchia canzone, fu preso da tale nostalgia di Ermellina che tornò improvvisamente a Firenze.
Senza farsi riconoscere, Tedaldo prese a spiare la casa della donna, ma la trovava sempre chiusa e silenziosa ed un giorno scorse i propri fratelli vestiti a lutto.
Un calzolaio lo informò che quel lutto era per Tedaldo degli Elisei, tornato recentemente dopo una lunga assenza ed uccispo per gelosia da Aldobrandino Palermini. Durante la notte a Tedaldo capitò di poter ascoltare senza essere visto i discorsi di tre uomini con una giovane donna e venne a sapere che quei tre avevano ucciso un uomo credendolo Tedaldo e che avevano agito in modo da far accusare Aldobrandino.
L'indomani Tedaldo si recò da Ermellina, la trovò piangente e fingendosi un pellegrino da Costantinopoli, le promise consolazione. Dimostrò di conoscere le vicende di Ermellina e questa, attonita e convinta di parlare con un profeta, gli confessò la sua relazione con la vittima dell'omicidio, un amore che non aveva mai dimenticato. La donne raccontò che aveva interrotto la relazione perché spaventata dalle parole di un confessore che le prometteva l'inferno se avesse persistito nel peccato.
Nella risposta di Tedaldo, Boccaccio inserisce una lunga invettiva contro i frati suoi contemporanei, disonesti e corrotti, che pretendono che i fedeli evitino quei peccati che loro commettono spudoratamente. In ogni caso, aggiunge il finto pellegrino, il peccato dell'adulterio è poca cosa rispetto alle colpe di Ermellina verso il suo innocente amante, abbandonato e costretto ad andare ramingo per il mondo.
Infine il pellegrino promise ad Ermellina di aliutarla a condizione che le si impegnasse a restituire a Tedaldo, che le assicurò essere vivo, l'amore che gli tolse.
A questo punto Tedaldo si rivelò ad Ermellina e le promise di salvare la vita di Aldobrandino. Infatti andò a trovare questi in prigione e gli fece promettere di non vendicarsi dei suoi fratelli che lo avevano fatto arrestare, quindi si recò alla Signoria e testimoniò sugli sconosciuti sicari che aveva udito parlare.
I sicari furono rintracciati e confessarono di aver ucciso un uomo che non conoscevano per vendicare la violenza fatta ad una giovane donna loro mandante.
Conclusa la sua missione, Tedaldo tornò da Ermellina per raccontarle le buone notizie e, finalmente, fare di nuovo l'amore con lei. Aldobrandino fu liberato e i sicari giustiziati, quindi Tedaldo organizzò un banchetto per riconciliare Aldobrandino con i suoi fratelli.
Durante il banchetto Tedaldo rivelò a tutti la propria identità e, superato lo stupore, tutti corsero ad abbracciarlo tranne Ermellina che disse di non voler dare alle malelingue argomento per calunniarla, ma il marito la schernì e la spinse a trinutare al redivivo la dovuta accoglienza.
In seguito vissero tutti felici e i due amanti ripresero a coltivare con discrezione il loro rapporto.
Se ai fratelli di Tedaldo era rimasto qualche dubbio, questo fu risolto quando vennero casualmente a sapere di un certo Faziuolo da Pontremoli, scomparso qualche tempo prima, che dicevano essere un sosia di Tedaldo.


TERZA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Lauretta.
L'abate di un'abbazia toscana era uomo virtuoso salvo che per la sua libidine. Entrò in confidenza con un ricco agricoltore della zona di nome Ferondo la cui bellissima moglie subito suscitò il desiderio dell'abate.
In confessione la donna si lamentò con l'abate per la stoltezza della gelosia del marito chiedendogli consigli in merito. Il furbo monaco concepì un piano per trarre vantaggio dalla situazione, la donna gli si affidò con fiducia e dopo qualche esitazione si lasciò convincere a diventare la sua amante in cambio dell'aiuto portatole.
L'abate fece bere a Ferondo un potente sonnifero sciolto nel vino e, poiché tutti lo credettero morto, si celebrarono le esequie e l'agricoltore fu calato in una tomba.
Durante la notte l'abate, con l'aiuto di un monaco bolognese, trasportò Ferondo ancora addormentato in una cella di punizione del convento e cambiò i suoi panni con una tonaca da frate. Dalla notte successiva l'anate cominciò a recarsi dalla donna vestendo i panni di Ferondo e chi lo incontrava credeva si trattasse dell'anima del defunto che vagava in penitenza.
Intento il monaco bolognese faceva credere a Ferondo di trovarsi in Purgatorio, gli somministrava buone dosi di percosse e lo nutriva con quello che diceva essere il cibo offerto dalla vedova alla chiesa con le messe di suffragio.
Fu spiegato a Ferondo che si trovava in penitenza per essere stato geloso della sua donna e che se mai Dio avesse deciso di rimandarlo nel mondo dei vivi avrebbe dovuto fare ammenda di questo peccato comportandosi in tutt'altro modo.
Trescorsi dieci mesi la moglie di Ferondo si accorse di essere incinta e i due amanti decisero che per l'agricoltore era giunto il momento di resuscitare. Il monaco bolognese avvertì Ferondo che era stata decretata la sua resurrezione e che sua moglie gli avrebbe dato un figlio di nome Benedetto, quindi l'agricoltore fu di nuovo drogato e rimesso nella tomba.
Il mattino seguente, risvegliatosi, uscì facilmente dal sacello che era stato lasciato mal chiuso, mettendo in fuga i monaci terrorizzati. L'abate accolse Ferondo benedicendolo ed esortandolo a trarre buon frutto dagli insegnamenti del Purgatorio.
Quando la gente si fu abituata a vedere il redivivo, Ferondo comincià a dare a tutti notizie delle anime del Purgatorio, notizie che inventava con grande fantasia.
Tornò a casa e credette di ingravidare la moglie che a suo tempo partorì Benedetto. La resurrezione di Ferondo accrebbe la fama di santità dell'abate che, si credeva, l'aveva ottenuta con le sue preghiere.
Ferondo mise da parte la gelosia e la moglie visse onestamente con lui ma, quando poteva farlo senza pericolo, continuò a cercare la compagnia dell'abate.


TERZA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Neifile, regina della giornata.
Il nobile Isnardo conte di Rossiglione, essendo cagionevole di salute, teneva sempre con se il medico Gerardo di Narbona.
Aveva un solo figlio di nome Beltramo del quale era innamorata la giovane Giletta di Narbona figlia di Gerardo. Morto il padre, Gerardo si trasferì a Parigi e da allora Giletta, piena di nostalgia, rifiutò di sposarsi.
Quando Giletta seppe che il re di Francia soffriva per una fistola nel petto si recò a Parigi per tentare di guarirlo con un certo rimedio appreso dal padre e, ovviamente, per rivedere Beltramo.
Il re era perplesso per le cure offerte dalla giovane che prometteva di guarirlo in otto giorni. Giletta propose al sovrano di mandarla al rogo se avesse fallito e di darle il marito che desiderava in caso contrario ed il re accettò.
La cura ebbe successo ed il re mantenne la promessa: Beltramo non voleva sposare Giletta perché di nascita troppo umile ma dovette cedere al volere del re, tuttavia il giorno delle nozze partì per la Toscana senza aver consumato il matrimonio. A Firenze divenne capitano e combattè contro i Senesi.
Intanto in Francia Giletta prendeva in mano gli affari dei possedimenti del marito a lungo abbandonati e li riorganizzava abilmente, facendosi apprezzare ed amare dalla gente del luogo.
Un giorno mandò a dire a Beltramo di essere disposta a lasciare Rossiglione per evitare che lui ne rimanesse lontano a causa della sua presenza. Beltramo rispose che sarebbe tornato quando lei avesse avuto al dito un anello dal quale lui mai si separava ed avesse partorito un bambino nato dalla loro unione.
Ricevuta questa dura risposta Giletta prese commiato dalla gente di Rossiglione ed in compagnia di un cugino e di una cameriera partì per Firenze.
Qui giunta scoprì dove alloggiava Beltramo e venne a sapere che si era innamorato di una giovane del popolo che viveva con la madre, donna povera ma di onesti e severi costumi.
Giletta rintracciò la donna e la persuase ad aiutarla promettendole di provvedere alla dote della figlia. Il conte ricevette un messaggio: la giovane amata sarebbe stata sua se egli le avesse fatto dono dell'anello dal quale non si separava mai. Beltramo accettò, donò l'anello e una sera si introdusse nella casa delle due donne dove in una stanza buia lo attendeva non la ragazza dei suoi desideri ma la moglie Giletta.
Gli incontri si ripeterono finché Giletta, certa di attendere un figlio, giudicò giunto il momento di prendere commiato dalla sua buona alleata. La contessa donò alla donna una ricca dote per la figlia e quelle, per evitare il ripetersi delle visite del conte, lasciarono Firenze.
Quando Beltramo seppe che la sua donna si era dileguata tornò in Francia alle sue terre. Giletta rimase a Firenze e, venuto il tempo, partorì due gemelli somigliantissimi al padre.
Quando i bambini furono un poco cresciuti Giletta tornò in Francia e raggiunse Rossiglione quando il conte stava per offrire una grande festa. Davanti agli ospiti Giletta si presentò al marito con i bambini e con l'anello e lo pregò di riprenderla come moglie.
Raccontò a Beltramo dei loro segreti incontri ed il conte, colpito dal senno e dalla perseveranza della donna l'abbracciò e la prese con se con grande gioia di tutta la sua gente.


TERZA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo.
Viveva in Tunisia un uomo ricchissimo che aveva una bella figlia di nome Alibech che un giorno, più per curiosità che per vocazione, se ne andò nel deserto per vedere come gli eremiti servissero Dio.
Vagando nel deserto incontrò alcuni eremiti ma nessuno la voleva tenere con se per evitare tentazioni, finché non trovò un giovane di nome Rustico che la accolse e le preparò un giaciglio nella sua cella.
Rustico fu presto sopraffatto dalla tentazione e cominciò a cercare il modo di prendere Abilech facendole credere che fosse cosa grata al Signore. L'eremita spiefò alla ragazza che il modo migliore per servire Dio consiste nel rimettere il diavolo nell'inferno e, spogliatosi, le mostrò il diavolo e le spiegò che, avendo lei l'inferno, dovevano rendere insieme questo devoto servizio.
Rustico e Abilech presero l'abitudine di rimettere il diavolo nell'inferno più volte al giorno. A lungo andare però Rustico che viveva di erbe e di radici si stancò di esercizi tanto frequenti e spiegò ad Abilech che il suo diavolo era ormai castigato e sarebbe bastato rimetterlo nell'inferno soltanto occasionalmente; Abilech non fu entusiasta di questa novità perché - spiegò - il suo inferno continuava ad ardere.
Intanto il padre ed i fratelli di Abilech erano tutti periti in un incendio lasciando la giovane erede di grandi ricchezze. Un giovane di nome Neerbale che aveva dilapidato i proprio beni, prima che il governo confiscasse l'eredità rintracciò Abilech e la sposò.
Quando Abilech raccontò del proprio eremitaggio alle donne della casa e spiegò come si serve Dio nel deserto, quelle ne risero da morire e l'espressione "rimettere il diavolo nell'inferno" divenne da allora proverbiale.


TERZA GIORNATA - CONCLUSIONE

La regina Neifile cede la corona a Filostrato il quale stabilisce l'argomento per i racconti del giorno successivo: gli amori conclusi in modo infelice.
La giornata si conclude con la cena e con la canzone "Niuna sconsolata da dolersi ha quant'io" cantata da Lauretta.


QUARTA GIORNATA - INTRODUZIONE

Le novelle della quarta giornata son o precedute da un'introduzione in cui Boccaccio, rivolgendosi alle lettrici, difende la propria opera contro le critiche alle novelle già divulgate in corso d'opera.
Accusato di essere frivolo e volgare e di occuparti di argomenti non adatti ad un intellettuale della sua età, Boccaccio risponde con un breve racconto. Il fiorentino Filippo Balducci perse la moglie amatissima e rimase solo con un figlio di due anni. Disperato decise di ritirarsi dal mondo, donò quanto possedeva e andò a vivere in una piccola cella sul Monte Senario dove crebbe il bambino insegnandogli a pregare, senza mai farlo uscire.
Filippo si recava di tanto in tanto a mendicare a Firenze ma quando il figlio ebbe diciotto anni lo pregò di portarlo con se in modo che in futuro potesse provvedere lasciando riposare il padre ormai vecchio. In città il giovane, stupito ed incuriosito, domandava al padre cosa fossero i palazzi, le chiese ed ogni cosa che vedeva, ma quando i suoi occhi incontrarono un gruppo di ragazze, Filippo gli disse che erano papere per stornare eventuali istintivi desideri. Da allora il giovane tormen tò il padre per avere una di quelle papere da imboccare.
Boccaccio lascia incompiuto il racconto, quanto ha scritto basta a dimostrare che nulla può impedire ad un uomo di innamorarsi e questa è la sua risposta a chi lo rimprovera di apprezzare troppo le donne e di sforzarsi troppo per piacere loro.
Quanto alla sua età, l'autore afferma che fino alla fine amerà ciò che fu caro per tutta la vita a Guido Cavalcanti, a Dante Alighieri, a Cino da Pistoia.


QUARTA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

Racconta Fiammetta.
Tancredi principe di Salerno (il personaggio è immaginario) fu un signore umano e giusto ma in vecchiaia commise un crimine.
Aveva una figlia amatisima di nome Ghismunda che era rimasta precocemente vedova e viveva alla sua corte. Non preoccupardosi il padre di darle un altro marito la giovane scelse un amante di nome Guiscardo.
Gli amanti si incontravano grazie ad un passaggio dimenticato da tutti che da una grotta adiacente il palazzo portava nella camera di lei.
Un giorno però il principe scoprì casualmente la tresca, fece imprigionare Guiscardo e rimproverò amaramente Ghismunda ma la giovane, piena di orgoglio, riconobbe il proprio amore e difese l'amante dal padre che lo denigrava per le sue umili origini dicendosi non disposta ad implorare perdono. Ghismunda promise che ciò che il padre avrebbe fatto a Guiscardo lei avrebbe fatto a se stessa, ma il padre non le credette.
Tancredi fece strangolare Guiscardo e mandò il suo cuore a Ghismunda in una coppa d'oro. La giovane, che lo aveva previsto, aveva già preparato un forte veleno e dopo aver a lungo pianto sul cuore dell'amante versò la pozione nella coppa e la bevve senza esitazioni. Quando giunse Tancredi avvertito dalle ancelle, Ghismunda era ormai in agonia ed ebbe soltanto il tempo di chiedere al padre di seppellire il suo corpo con quello di Guiscardo.


QUARTA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Racconta Pampinea.
Viveva a Imola un certo Berto della Messa, ipocrita e mentitore, ma poiché i suoi concittadini non si fidavano più di lui si trasferì a Venezia dove, fingendosi molto religioso, si fece frate predicatore e seppe recitare così bene da adescare i Veneziani che lo volevano depositario di eredità, confessore e consigliere.
Una donna giovane e sciocca di nome Lisetta dei Querini, moglie di un mercante assente per lavoro andò con altre donne dal frate, che si faceva chiamare Alberto da Imola, per confessarsi.
Quando le fu chiesto se aveva un amante la donna si indifnò ma non mancò di vantare la propria bellezza. Alberto considerò l'aspetto e la stupidità della donna e subito concepì un piano. La liquidò dopo averla rimproverata per la sua vanità e dopo qualche giorno si presentò da lei per raccontarle di aver avuto una visione dell'angelo Gabriele che lo minacciava per averla offesa, dicendosi follemente innamorato di lei. Se Lisetta non lo avesse perdonato l'angelo lo avrebbe duramente punito.
Lisetta, molto orgogliosa per queste notizie, lo perdonò ed il frate aggiunse un'ambasciata: Gabriele voleva assumere forma umana per trascorrere una notte con lei e voleva che Lisetta scegliesse di quale uomo doveva prendere l'aspetto.
Lisetta disse che non aveva preferenze purché non la spaventasse e Alberto la pregò di scegliere il suo corpo in modo che, nel frattempo, lui avrebbe potuto visitare il Paradiso.
Quella notte, e molte altre notti, Lisetta accolse nel suo letto l'arcangelo Gabriele con grande soddisfazione di entrambi. La donna non seppe fare a meno di vantarsi di questa sua angelica relazione con un'amica e questa sparse la voce che rapidamente arrivò ai cognati di Lisetta i quali si appostarono per sorprendere il sedicente Gabriele.
Una notte, mentre era con Lisetta, Alberto sentì arrivare i suoi persecutori, si mise in salvo tuffandosi dalla finestra nel canale e, rifugiatosi nella casa di un uomo, lo pregò di aiutarlo inventando sul momento una storia per spiegare l'irruzione.
L'uomo l'accolse ma l'indomani seppe dalla gente in strada che i cognati di Lisetta cercavano l'amante di lei che era fuggito tuffandosi nel canale e subito mise a profitto la scoperta ricattando l'ospite, quindi propose ad Alberto di farlo fuggire mascherandolo per una festa che doveva svolgersi in Piazza San Marco.
Frate Alberto, travestito da "uomo selvatico" con miele e piume, fu condotto in piazza e, con il pretesto dello spettacolo, si lasciò incatenare ma a questo punto il suo ospite lo smascherò presentandolo alla folla come l'angelo Gabriele.
A lungo insultato in pubblico, Alberto fu infine recuperato da alcuni frati del suo convento che lo portarono in una prigione dove morì dopo una vita di miseria.


QUARTA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Lauretta.
Il mercante marsigliese Arnaldo Civada aveva tre figlie, due gemelle di quindici anni (Ninetta e Magdalena) ed una terza di quattordici di nome Bertella.
Ninetta aveva un giovane amante molto povero che si chiamava Restagnone, i due ricchi ereditieri Folco ed Ughetto si invaghirono di Magdalena e di Bertella.
Su proposta di Restagnone i sei giovani decisero di fuggire. Vendendo i beni ereditati da Folco e Ughetto e depredando il forziere di Arnaldo si munirono di abbondanti fondi, partirono di notte e dopo otto giorni di viaggio furono a Creta dove comprarono delle case e presero a vivere nel lusso.
Con l'andar del tempo, tuttavia, Restagnone si stancò di Ninetta e prese a corteggiare una giovane del luogo. La gelosia spinse all'odio Ninetta che avvelenò Restagnone.
La donna che aveva fornito il veleno venne arrestata e confessò, il duca di Creta fece catturare Ninetta e la condannò al rogo.
Per salvare la sorella Magdalena si concesse al duca ma quando Folco lo scoprì la uccise e fuggì con Ninetta senza che si sapesse più nulla del loro destino.
Ughetto e Bertella furono arrestati ma corrompendo le guardie riuscirono ad evadere e trascorsero il resto della loro vita in povertà nell'isola di Rodi.


QUARTA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Elissa.
Guglielmo re di Sicilia (Guglielmo II il Buono) aveva due figli: Ruggeri e Costanza (in realtà non ne ebbe, Ruggeri e Costanza erano suoi zii), allevò inoltre Garbino figlio di Rucceri.
Garbino era un giovane prode e bellissimo la cui fama giunse alla figlia del re di Tunisi che senza averlo mai visto se ne innamorò. Anche la fama della principessa giunse a Garbino che sentendo parlare del fascino di lei si innamorò a sua volta. Tramite suoi amici viaggiatori Garbino informò la giovane del sua amore e la principessa gli mandò un gioiello come pegno dei suoi sentimenti.
Il re di Tunisi intendeva dare la figlia in moglie ad re di Granata ma avendo sentito parlare dell'amore della giovane per Garbino scrisse a Guglielmo chiedendogli se il matrimonio da lui progettato fosse di suo gradimento. Guglielmo, che era all'oscuro di tutto, confermò ed il re di Tunisi iniziò i preparativi per le nozze.
La principessa mandò un servo a Palermo per avvertire Garbino e questi, allestite due galee, si portò in Sardegna per aggredire la nave di lei e rapire la sua amata. La battaglia fu dura e quanto i Tunisini si videro sopraffatti gettarono in mare la principessa e a Garbino, dopo aver sfogato la propria ira facendo strage dei nemici, non rimase che recuperare il corpo della giovane per seppellirlo in Sicilia.
Il re di Tunisi mandò ambasciatori a protestare presso Guglielmo e questi, per dimostrare la sua buona fede, fece tagliare la testa a Garbino.


QUARTA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Filomena.
Vivevano a Messina tre fratelli mercanti che avevano una bella sorella di nome Elisabetta. Presso di loro lavorava un givoane pisano di nome Lorenzo che divenne amante di Elisabetta. Una notte i fratelli di Elisabetta scoprirono la relazione ma per non dare scandalo attesero il momento opportuno quindi portarono Lorenzo in campagna, lo uccisero e seppellirono il suo corpo.
Non vedendo tornare il suo amante Elisabetta soffrì molto, domandava sue notizie ai fratelli ma non ne otteneva. Una notte Lorenzo le apparve in sogno e le rivelò la sua fine ed il luogo della sepoltura. Il mattino seguente la giovane si recl nel luogo indicato e trovò il cadavere, staccò la testa dal corpo con un coltello e la portò con se.
Giunta a casa Elisabetta pose la testa in un grande vaso, la coprì di terra e vi piantò il basilico. Per molti giorni non fece altro che piangere vicino al vaso innaffiando il basilico con le sue lacrime e con acqua profumata. I vicini la notarono e ne parlarono ai fratelli che insospettiti sequestrarono il vaso ed Elisabetta si ammalò per il dolore.
Quando i fratelli scoprirono il segreto celato nel vaso temettero di essere condannati per l'omicidio e lasciarono Messina mentre Elisabetta continuò a piangere il suo amante finché non morì.


QUARTA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Racconta Panfilo.
Andreuola, figlia di messer Negro da Ponte Carraro di Brescia, si innamorò del suo vicino Gabriotto e ne divenne l'amante. Una notta Andreuola sognò di essere in un giardine ed amoreggiare con Gabriotto quando dal corpo di lui usciva una misteriosa "cosa nera" che lo ghermiva e lo trascinava sotto terra.
Spaventata, la ragazza non volle incontrare l'amante la sera successiva e quando lo ricevette gli raccontò il suo sogno. Gabriotto ne rise e raccontò a sua volta di aver sognato di possedere una capriola molto graziosa che teneva con un guinzaglio quando sopraggiungeva una cagna nerissima e feroce che lo aggrediva e gli strappava il cuore. I due ripresero ad amoreggiare ma improvvisamente Gabriotto ebbe un grave malore e poco opo spirò.
Andreuola pianse amaramente il suo amato mentre un'ancella cercava di consolarla. La giovane pensava al suicidio ma prima voleva procurare a Gabriotto una degna sepoltura. Con l'aiuto dell'ancella lo avvolse in un drappo di seta e lo trasportò davanti all'uscio della sua casa ma durante il tragitto furono sorprese dalle guardie.
Adreuola chiese di essere portata davanti al podestà il quale fece esaminare il cadavere dai medici che appurarono essersi trattato di un attacco di cuore. Andreuola dunque risultava innocente ma il podestà, prima di lasciarla andare, tentò di approfittare di lei. La giovane si difese fieramente ed il podestà ne fu tanto colpito che quando giunse messer Negro a chiedere la sua liberazione l'uomo si offrì di sposarla.
Andreuola chiese perdono al padre per la sua relazione segreta, il padre si commosse, la perdonò e dispose che si tenesse per Gabriotto una solenne cerimonia funebre. Alcuni giorni dopo Andreuola respinse fermamente la proposta matrimoniale del podestò e, insieme all'ancella, si fece monaca e si ritirò in monastero.


QUARTA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Emilia.
La giovane fiorentina Simona si guadagnava da vivere filando la lana. Si innamorò di Pasquino, un ragazzo che le portava la lana da filare, il ragazzo ricambiò e presto divennero amanti.
Una domenica Pasquino organizzò una gita con Simona, l'amica Lagina ed il suo amico Puccino detto lo Stramba. Le due coppie si appartarono in un prato. Dopo l'amore Pasquino, discorrendo di una merenda che intendeva consumare, si nettò i denti con una foglia di salvia ma preso "perse la vista e la parola" e morì.
Accusata dallo Stramba di aver avvelenato Pasquino, Simona fu arrestata e condotta dal podestà. Un giudice volle fare un sopralluogo e si recò con Simona ed i suoi accusatori sul prato dove ancora giaceva il corpo di Pasquino.
Per dimostrare l'accaduto Simona fece quello che aveva fatto l'amante con una foglia di salvia ed anche lei rapidamente morì.
Il giudice ordinò che la pianta venisse estirpata e bruciata e così si scoprì l'origine del veleno: sotto la pianta era un rospo di inusitata grandezza.


QUARTA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Neifile.
Girolamo, figlio del defunto mercante fiorentino Leonardo Siglieri, amava Salvestra, figlia di un sarto. La madre, non gradendo l'umile condizione della giovane, costrinse Girolamo a trasferirsi per un anni a Parigi nella speranza di fargli dimenticare Salvestra.
La lontananza durò invece due anni e quando Girolamo tornò a Firenze trovò che Salvestra lo aveva dimenticato e si era sposata. Una notte Girolamo si introdusse in casa di Salvestra e mentre il marito dormiva le parlò del suo amore ma lei gli ordinò di andare via. Pregandola di lasciarlo distendere un poco accanto a lei, Girolamo mosse la giovane a compassione ma poco dopo essersi disteso morì di dolore.
Salvestra fu costretta a svegliare il marito e raccontarle l'accaduto, il brav'uomo comprese e si occupò personalmente di trasportare il cadavere di Girolamo davanti alla sua casa dove al mattino fu trovato con grande dolore di quanti lo conoscevano.
la salma fu esposta in una chiesa ma quando Salvestra si recò a vederla il dolore la invase e gettatasi gridando sul cadavere morì a sua volta.


QUARTA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Filostrato.
Guglielmo Rossiglione e Guglielmo Guardastagno erano due nobili cavalieri di Provenza, spesso partecipavano insieme a giostre e tornei. Il secondo divenne amante della moglie del primo. Il Rossiglione scoprì la tresca, decise di uccidere il rivale, ma finse di non sapere nulla aspettando il momento opportuno per agire, finchè fu indetto un torneo ed il Rossiglione invità a casa il Guardastagno per organizzare la loro partecipazione.
Andando al castello dell'altro il Guardastagno cadde nell'imboscata, il Rossiglione lo uccise e preso il suo cuore ordinò al cuoco di cucinarlo e servirlo alla moglie.
Dopo che la donna ebbe mangiato il marito le svelò di aver ucciso il suo amante e lei, non sopportando il dolore, si suicidò gettandosi da un'alta finestra del castello.
Il Rossiglione, turbato dal suicidio della moglie e preso dal rimorso andò via ed i resti dei due amanti furono sepolti insieme.


QUARTA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo.
Viveva a Salerno il maestro Mazzeo della Montagna (Matteo Selvaticus detto Montanus), era un famoso chirurgo, ormai molto vecchio aveva preso una moglie giovane alla quale non faceva mancare abiti lussuosi e gioielli ma che per altri versi viveva profondamente insoddisfatta.
La giovane moglie decise di scegliersi un amante e quando notò un coetaneo che le piaceva quello non tardò a ricambiare le sue attenzioni.
Si trattava di Ruggieri di Aieroli (Ruggero Mele di Agerola), giovane dalle nobili origini ma dalla vita scellerata, colpevole di molte azioni di brigantaggio. Una volta stabilita la relazione la giovane cercò di redimerlo e per allontanarlo dal furto prese a finanziarlo generosamente.
Un giorno il vecchio medico fu chiamato d'urgenza ad Amalfi per curare i numerosi feriti di una rissa e dovette rimandare l'operazione che aveva previsto per un suo paziente con una gamba in cancrena.
Nel partire lasciò incustodita la caraffa in cui aveva preparato un potente anestetico per il paziente. La vide Ruggieri che, approfittando dell'assenza del medico, si era introdotto nella casa per trascorrere la notte con l'amante e ne bevve tutto il contenuto mentre lei si preparava.
Trovandolo addormentato la donna cercò di svegliarlo ma vedendo inutile ogni tentativo lo credette morto.
Pur piangendo amaramente l'uomo che amava, la giovane volle evitare lo scandalo e si consigliò con un'ancella la quale propose di nascondere il cadavere in un'arca che si trovava presso la bottega di un vicino falegname dopo avergli inferto alcune coltellate. Dati i trascorsi del brigante nessuno avrebbe dubitato della vendetta come movente dell'omicidio.
La donna accettò ma non ebbe cuore di pugnalare il cadavere che fu chiuso illeso nell'arca.
L'arca aveva un certo valore e durante la notte due usurai la presero e la nascosero senza aprirla nella loro casa in attesa di rivenderla. All'alba Ruggieri si svegliò e trovandosi nell'arca, ancora molto stordito per il sonnifero, immaginò che l'amante lo avesse nascosto per un improvviso ritorno del marito, perciò rimase quieto e silenzioso.
Dopo aver atteso a lungo ebbe bisogno di cambiare posizione e muovendosi fece cadere l'arca con un gran rumore che svegliò le donne degli usurai le quali, per la paura, rimasero in silenzio, ma quando Ruggieri uscì dalla cassa e prese a vagare intontito per la casa le due gridarono chiedendo aiuto.
In breve Ruggieri fu catturato e portato davvanti a un giudice, sotto tortura confessò di essere entrato in quella cassa per rubare ed il giudice decise di farlo impiccare.
La notizia si diffuse rapidamente ma la giovane comprese la verità solo quando tornò il marito e prese a cercare il sonnifero che aveva preparato. Inoltre la fante la informò sul furto dell'arca, notizia appresa girando per il quartiere. Così la giovane amante ideò il modo di salvare Ruggieri: mandò la fante a confessare a suo marito di aver ricevuto Ruggieri in casa e di avvergli fatto bere l'anestetico credendo fosse acqua. Pensando che fosse morto lo aveva nascosto nell'arca, ecc.
Il vecchio medico bonariamente la perdonò e la fante andò a raccontare la stessa storia al magistrato che dopo aver controllato prove e testimonianze liberò Ruggieri e condannò ad una multa i due usurai.


QUARTA GIORNATA - CONCLUSIONE

Il racconto di Dioneo ha rallegrato gli spettatori dopo la tristezza dei racconti precedenti. Il re Filostrato cede la corona a Fiammetta, della quale qui Boccaccio descrive la grazia e la bellezza, scusandosi per aver scelto un argomento tanto deprimente. Del resto il parlare di amori dalla conclusione infelice era in armonia con il suo stato d'animo come dimostra cantando, in conclusione della giornata, una triste canzone che parla di tradimento ed abbandono.
Una delle ragazze (non viene detto quale) arrossisce comprendendo che Filostrato allude a lei, ma le ombre della sera celano il suo imbarazzo.


QUINTA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

Racconta Panfilo. Viveva a Cipro il nobile Aristippo che aveva un figlio forte e bello di nome Galeso detto Cimone (bestione) per la sua stupidità.
Dolendosi per l'inettitudine del figlio, Aristippo lo mandò a vivere in campagna. Qui Cimone un giorno incontrò casualmente una bellissima giovane addormentata in compagnia di due ancelle e di un servitore.
Estasiato dall'incontro, Cimone rimase a contemplare la ragazza fino a che questa si svegliò. Ifigenia (questo era il nome della giovane) riconobbe Cimone che per la sua rozzezza ed i suoi nobili natali era noto a tutti in paese, ma il modo insistente in cui lui continuava a fissarlo la intimorì e volle andare via ma non riuscì ad evitare che Cimone la scortasse fino a casa.
La "saetta d'amore" che gli era entrata in cuore ebbe il potere di trasformare Cimone che in breve tempo, dedicandosi agli studi che aveva sempre trascurato, divenne colto e raffinato. Il suo linguaggio si fece più fine, imparò a cantare ed in soli quattro anni "egli riuscì il più leggiadro e il meglio costumato giovane di Cipro".
La spiegazione che il narratore propone per questo singolare cambiamento richiama temi cari al Dolce Stil Novo; le virtù di cui il Cielo aveva dotato Cimone erano serrate nel profondo della sua anima da una fortuna avversa e maligna, ma la potenza di Amore ha rotto ogni vincolo permettendo loro di manifestarsi.
Cimone e suo padre proposero un matrimonio a Cipseo padre di Ifigenia ma pooiché la giovane era stata promessa, Cimone decise di rapirla ed armò una nave per intercettare quella che doveva portare Ifigenia a Rodi, patria del fidanzato.
Debellati rapidamente i marinai che la scortavano, Cimone si fece consegnare la donna amata e con lei fece rotta verso Creta ma durante la notte la nave incontrò una terribile tempesta che la spinse sulla costa di Rodi.
Cimone e i suoi compagni furono catturati e condannati alla prigionia a vita mentre Ifigenia veniva resa a Pasimunda, suo fidanzato.
Pasimunda aveva un fratello minore di nome Ormisda che era rivale in amore di lIsimaco, sommo magistrato di Rodi, in quanto entrambi amavano la bella Cassandrea. Pasimunda e Ormisda decisero di sposare nello stesso giorno Ifigenia e Cassandrea. Disperato Lisimaco pensò a sua volta al rapimento e decise di prendere Cimone come compagno nell'impresa. Cimone aderì alla proposta con entusiasmo e Lisimaco lo lasciò in prigione fino al giorno del matrimonio quando i due spasimanti, con l'aiuto dei loro uomini, rapirono la sposa.
Durante la fuga Cimone uccise Pasimunda ed Ormisda e, insieme a Lisimaco, ferì e respinse i loro compagni.
Riuscirono così a raggiungere la nave con la quale arrivarono a Creta dove entrambi avevano parenti ed amici. Qui sposarono le donne con una grane festa.
Dopo un periodo di esilio, quando le acque si furono calmate, Cimone tornò a Cipro con Ifigenia e Lisimaco a Rodi con Cassandrea.

QUINTA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Racconta Emilia. Viveva a Lipari la giovane Gostanza, di nobile famiglia, della quale si innamorò Martuccio Gomito che la chiese in sposa ma il padre di lei rifiutò perché Martuccio era povero.
Martuccio partì da Lipari in cerca di fortuna e si dedicò alla pirateria, in breve divenne molto ricco ma fu rapito dai Saraceni ed imprigionato a Tunisi. Giunse a Lipari la notizia che Martuccio era stato ucciso dai pirati insieme a tutti i suoi compagni e Gostanza, disperata, decise di morire ma mancandole la forza di uccidersi una notte rubò una barca e giunta in mare aperto si distese sul fondo, sicura che il mare e il vento avrebbero portato l'imbarcazione alla rovina, ma il destino volle diversamente e dopo due giorni la giovane approdò incolume a Susa, sulla costa tunisina.
Una ragazza siciliana di nome Carapresa che viveva in quei luoghi trovò Gostanza addormentata nella barca e la portò nella sua povera abitazione dove la nutrì e confortò. Carapresa presentò Gostanza ad una signora presso la quale prestava spesso servizio e quella accolse la giovane offrendole di lavorare con alre compagne.
Il re di Tunisi entrò in guerra con un signore di Granata e Martuccio chiese di potergli parlare per offrirgli un consiglio sulla battaglia. Fu ricevuto e suggerì di dotare gli archi dei suoi soldati con corde molto sottili facendo le cocche delle frecce adatte solo a quelle corde. In questo modo quando il nemico, finite le proprie frecce, avesse cercato di raccogliere ed utilizzare quelle scagliate dai Tunisini non avrebbe potuto servirsene e sarebbe rimasto disarmato.
Il re ascoltò il consiglio, vinse la guerra e ricompensò Martuccio con la libertà e grandi ricchezze. Queste notizie si diffusero e Gostanza, subito presa dal desiderio di rivedere Martuccio che aveva creduto morto, ne parlò con la signora per la quale lavorava che volle accompagnarla a TUnisi insieme a Carapresa.
Anche Martuccio aveva ricevuto la notizia che Gostanza era scomparsa, quindi l'incontro fra i due giovani fu particolarmente lieto e commovente.
Martuccio si presentò al re, gli raccontò le recenti vicende e gli chiese licenza di sposare Gostanza. Il re accordò il permesso e fece ricchi doni agli sposi.
Preso commiato con molte lacrime dalla buona signora che l'aveva aiutata, Gostanza ripartì per Lipari con Martuccio e Carapresa, fu celebrato il matrimonio e vissero nella loro isola per il resto della vita.

QUINTA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Elissa. Pietro Boccamazza, di nobile famiglia romana, si innamorò di Agnolella figlia del plebeo Gigliuozzo Saullo, ma quando dichiarò di volerla sposare i suoi parenti si opposero e minacciarono Gigliuozzo.
I due innamorati fuggirono ad Anagni, ma svagliando strada finirono nei pressi di un castello dove furono aggrediti da un gruppo di uomini. Agnolella riuscì a fuggire ma Pietro fu catturato ed interrogato. Gli aggressori decisero di impiccarlo perché la sua famiglia era alleata degli Orsini, loro nemici.
Pietro fu salvato dall'ultimo momento da un manipoli di nemici dei suoi assalitori e subito corse alla ricerca di Agnolella, ma non riuscì a ritrovarla.
Intanto Agnolella, disperata, aveva lasciato il suo cavallo vagare dove voleva e a sera giunse alla casetta di una coppia di anziani, dove fu ospitata per la notte.
Al mattino giunse una banda di briganti alla casetta e si impadronì del cavallo di Agnolella ma la giovane riuscì a nascondersi e scampò al pericolo di venire catturata. I due vecchietti accompagnarono Agnolella al castello di Liello di Campo di Fiore, uno degli Orsini, dove la ragazza fu riconosciuta ed accolta dalla moglie del signore.
Intanto Pietro, che durante la notte avevva perso il cavallo sbranato dai lupi, era stato soccorso da un gruppo di pastori che, dopo averlo rifocillato, gli avevano indicato il castello di Liello.
Con grande gioia i due giovani si ritrovarono. La donna redarguì Pietro per il suo gesto ma poi, rendendosi conto che i due giovani si amavano sinceramente, fece celebrare il matrimonio nel castello e più tardi li accompagnò a Roma e li riconciliò con i loro familiari.

QUINTA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Filostrato. Viveva in Romagna il cavaliere Lizio di Valbona chem ormai anziano, ebbe una figlia dalla moglie Giacomina.
La bimba fu chiamata Caterina e crescendo divenne una ragazza molto bella della quale si innamorò, ricambiato, il giovane Ricciardo Mainardi da Bertinoro che frequentava spesso la casa di Lizio.
Dichiaratosi reciprocamente il loro amore, Ricciardo e Caterina decisero di incontrarsi di notte sul verone della casa di lei. Lamentando un gran caldo Caterina chiese ai genitori, e ottenne dopo qualche insistenza, che le si facesse un letto sul verone in modo da potersi addormentare al canto dell'usignolo.
Durante la notte Ricciardo si arrampicò sul verone e i due si amarono lungamente finché si addormentarono avendo la Caterina col destro braccio abbracciato sotto il collo Ricciardo e con la sinistra mano presolo per quella cosa che voi tra gli uomini più vi vergognate di nominare..
Al mattino Lizio trovò sul verone i due giovani ancora addormentati nella posizione descritta, chiamò la moglie ed organizzò le cose in modo da mutare lo scandalo in un beneficio. Infatti Lizio svegliò gli innamorati e spiegò al terrorizzato Ricciardo che per salvarsi la vita avrebbe dovuto sposare Caterina. Non fu necessario insistere perché Ricciardo amava veramente Caterina ed accettà volentieri, così si celebrarono le nozze e tutti vissero in pace.

QUINTA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Neifile. Vivevano a Fano due Lombardi: Guidotto da Cremona e Giacomino da Pavia, due uomini d'armi ormai anziani. Morendo Guidotto affidò a Giacomino una sua figlia di dieci anni.
Giacomino lasciò Fano e si trasferì a Faenza insieme alla bambina che trattava come una figlia. Crescendo la fanciulla fece innamorare due giovani: Giannole di Severino e Minghino di Mingale che per gelosia divennero rivali, ma ad entrambi i parenti proibivano di sposare la bella dei loro sogni.
Giannole si procurò l'amicizia di un servitore di Giacomino di nome Crivello e lo convinse a lasciarlo avvicinare alla giovane. Dal canto suo Minghino aveva avuto la stessa idea ed era riuscito a farsi aiutare da un'attempata fantesca della casa.
Andò a finire che i due domestici organizzarono, l'uno all'insaputa dell'altra, un incontro per la stessa sera durante un'assenza di Giacomino.
Il primo ad entrare in casa fu Giannole che con un gruppo di amici tentò di rapire la ragazza ma subito intervenne Minghino con i suoi compagni e scoppiò una rissa. Minghino ed i suoi riuscirono a liberare la ragazza e a metterla al sicuro in casa, ma intervennero i gendarmi ed arrestarono tutti i contendenti.
Il mattino seguente i parenti degli arrestati si presentarono a Giacomino, che intanto era rientrato, per comporre la vicenda e Giacomino si mostrò tranquillo ma interessato a far sposare la figlia adottiva per evitare in futuro simili incidenti. Raccontò che la giovane, ancora bambina molto piccola, era stata salvata da Guidotto da Cremona durante l'assedio di Faenza e che gli era stata affidata in punto di morte dallo stesso Guidotto.
Ascoltate queste parole si fece avantu un certo Bernabuccio che affermò di aver perso una bambina durante l'assedio e di averla creduta morta. Una piccola cicatrice su un orecchio servì a confermare che la giovane contesa era proprio la figlia di Bernabuccio il quale la accompagnò nella sua casa con una grande festa.
Il capitano della città liberò gli arrestati. Giannole, che era figlio di Bernabuccio, si rassegnò e fece pace con Minghino e questi sposò la giovane, che si chiamava Agnesa, e visse con lei molti anni "in pace e in bene".

QUINTA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Racconta Pampinea. Restituta era figlia di un gentiluomo dell'isola d'Ischia di nome Marin Bolgaro ed amava il giovane Gianni della vicina isola di Procida che spesso attraversava anche a nuoto il braccio di mare fra le due isole per poter vedere, se non Restituta, almeno le mura della sua casa.
Un giorno Restituta venne rapita da certi marinai siciliani di passaggio, ma non riuscendo ad accordarsi su chi la avrebbe tenuta per se, i rapitori decisero di donarla a Federico II d'Aragona re di Sicilia. Il re l'accettò volentieri ma essendo malato ordinò che in attesa della sua guarigione la giovane fosse custodita in un edificio detto "la Cuba".
Gianni si mise sulle tracce dei rapitori e giunto a Scalea in Calabria venne a sapere che erano partiti per Palermo. Rintracciata Restituta, Gianni riuscì una notte ad introdursi nella Cuba e si unì a lei ma dopo l'amose i due si addormentarono e così furono trovati dal re.
Furibondo, il re ordinò che i due amanti fossero esposti nudi al pubblico per alcune ore, quindi arsi vivi. Mentre i condannati soffrivano legati ad un palo ad attendere il supplizion, giunse fra la folla l'ammiragio Ruggero de Lauria che riconobbe Gianni da Procida. Controllata l'identità del giovane interrogandolo, l'ammiraglio si presentò al re per informarlo che stava per ardere sul rogo il nipote del famoso Giovanni da Procida, l'eroe dei Vespri Siciliani, e la figlia di Marin Bolgaro, signore di Ischia fedele alla corona aragonese.
Pentito della sua decisione il re fece liberare i due amanti, li fece sposare e li rimandò ad Ischia carichi di doni.

QUINTA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Lauretta. Ai tempi del re Guglielmo il Buono viveva in Sicilia messer Amerigo Abate che aveva comperato degli schiavi fra i quali un giovane di bell'aspetto di nome Teodoro. Amerigo si affezionò a Teodoro che aveva modi raffinati, lo affrancò e, credendolo turco, lo fece battezzare cambiandogli il nome in Pietro.
Pietro e Violante, una figlia di Amerigo, si innamorarono ma per molto tempo non osarono confessare i loro sentimenti. Durante una gita della famiglia in campagna Pietro e Violante, sorpresi da un temporale, ripararono in una chiesetta abbandonata dove finalmente si confidadrono ed inevitabilmente finirono per fare l'amore. Successivamente organizzarono altri incontri finchè la giovane rimase gravida.
Pietro voleva fuggire ma Violante gli promise di non coinvolgerlo ed infatti quando confessò alla madre di essere incinta inventò una storia. La donna le credette ma non Amerigo e Violante, minacciata di morte, fece il nome di Pietro che a sua volta fu costretto con la tortura a confessare.
Pietro fu condannato alla forca e Violante al suicidio. Amerigo ordinò ad un servitore di uccidere il neonato e darlo in pasto ai cani.
Mentre veniva frustata e condotto al patibolo, Pietro fu notato da certi ambasciatori armeni. Uno di loro, di nome Fineo, riconobbe grazie ad una macchia rossa sulla pelle del torace il proprio figlio Teodoro che era stato rapito dai pirati diversi anni prima.
Compiuto il riconosciumento Fineo interruppe l'esecuzione ed in breve ottenne la grazia per i condannati.
Amerigo e Fineo concordarono di far sposare i figli i quali furono felici di accettare. Si fecero le nozze con una bella e festosa cerimonia, più tardi, dopo aver compiuto la sua missione, Fineo tornò in patria portando con se Teodoro, Violante ed il loro bambino.

QUINTA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Lauretta. Il gentiluomo ravennate Nastagio degli Onesti che aveva ereditato grandi ricchezze si innamorò della figlia di messer Paolo Traversaro la quale, molto bella e più nobile di lui, mostrava di disprezzarlo ed ignorava le grandi spese che Nastagio faceva per conquistarla.
Alla lunga Nastagio si lasciò convincere da amici e parenti a tentare di dimenticare l'amata allontanandosi da Ravenna, ma in realtà si accampò a poche miglia dalla città e riprese ad offrire feste e banchetti.
Un giorno, passeggiando nella pineta, Nastagio si imbattè in una fanciulla nuda inseguita da due cani feroci e da un cavaliere che mostrava di volerla uccidere. Nastagio tentò di difendere la giovane ma scoprì che si trattava di spettri: il cavaliere era Giudo degli Anastasi morto suicida e la donna era colei per cui si uccise, dannata per la sua crudeltà. La scena richiama chiaramente la fuga delle anime degli scialacquatori inseguiti dalle cagne nel tredicesimo canto dell'Inferno.
Nastagio si ritrasse spaventato e vide la giovane colpita dallo stocco del cavaliere che gettò il suo cuore in pasto ai cani. Poco dopo la donna si rialzò e riprese a fuggire di nuovo inseguita: era la loro eterna condanna, come lo spettro aveva spiegato.
Poiché Guido degli Anastasi aveeva detto che la scena si sarebbe ripetuta nello stesso luogo ogni venerdì, Nastagio convocò i parenti e promise di rinunciare al suo amore a condizione che la giovane Traversari partecipasse ad un banchetto con la sua famiglia.
I suoi parenti convinsero i Traversari ed il venerdì successivo Nastagio fece preparare un ricco banchetto nella pineta, curando che la giovane sedesse di fronte al luogo dove doveva svolgersi la macabra scena. Al termine del banchetto, infatti, giunsero i dannati e quando molti convitati si fecero avanti per difendere la donna lo spettro parlò come aveva fatto con Nastagio.
La storia spaventò tutti e la giovane Taversaro fu indotta dal terrore a mutare i propri sentimenti e si offrì a Nastagio ma questi volle sposarla.
Il mattino seguente le nozze furono celebrate e da allora molte donne di Ravenna, memori della punizione a cui avevano assistito, divennero più arrendevoli.

QUINTA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Fiammetta, regina della giornata. Il fiorentino Coppo di Borghese Domenichi amava raccontare vicende accadute ai tempi della sua gioventù. Una volta parlò di messer Federigo degli Alberighi che consumava la sua fortuna in giostre e feste per conquistare la bella Giovanna che tuttavia non gli prestava attenzione.
Quando non gli rimase che un piccolo podere a Campi Bisenzio, Federigo vi si ritirò e si ridusse a vivere in povertà. Intanto il marito di Giovanna morì lasciando grandi ricchezze ad un suo figlio e a Giovanna. Un'estate la donna ed il ragazzo andarono a soggiornare in un possedimento presso il podere di Federigo ed il giovane prese dimestichezza con il vicino, lo accompagnava a caccia ed ammirava il suo spendido falcone.
Quando il figlio si ammalò gravemente, Giovanna si offrì di procurargli qualsiasi cosa che potesse fargli piacere ed il ragazzo chiese il falcone di Federigo. La donna esitò a lungo essendo al corrente del valore dell'uccello e della miseria del vicino, inoltre ricordava di aver rifiutato l'amore di Federigo con molta freddezza ed ora non trovava il coraggio di chiedergli aiuto. Infine l'amore materno prevalse e Giovanna si recò a far visita a Federigo con una sua amica.
Federigo accolse con gioia le due ospiti, lusingato che Giovanna volesse desinare con lui, ma rendendosi conto che non aveva alcuna vivanda che potesse onorare la sua tavola uccise il falcone e lo fece servire arrostito.
Dopo il pranzo Giovanna, parlando del figlio malato, chiese all'ospite di donarle il falcone ma l'uomo, mortificato, fu costretto a negarglielo e a spiegarle la ragione.
Il ragazzo morì, con sommo dolore della madre, e dopo qualche tempo i fratelli di lei vollero che si sposasse di nuovo. Ricordando la vicenda del falcone e la generosità del suo innamorato, Giovanna annunciò che non avrebbe sposato altri che Federigo degli Alberighi ed i fratelli, ascoltate le sue ragioni, acconsentirono.
Giovanna era molto ricca e i due coniugi vissero felicemente in grande agiatezza.

QUINTA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo. Il ricco Pietro di Vinciolo di Perugia, che aveva fama di essere omosessuale, per tacitare i pettegolezzi prese una moglie giovane e robusta "la quale due mariti più tosto che uno avrebbe voluti".
Ben presto la donna si stancò della situazione, decise di procurarsi un amante e ne parlò con una vecchia da molti ritenuti in oore di santità che si mostrò invece spregiudicata e pronta ad aiutarla. Quando una sera Pietro andò a cena fuori con un amico di nome Ercolano, la giovane ricevette la visita di un bel ragazzo mandato dalla vecchia, ma mentre i due si accingevano a cenare Pietro tornò e bussò alla porta. Rapidamente la donna nascose il suo convitato sotto una cesta da polli.
Entrato in casa Pietro raccontò che la cena era stata annullata perché Ercolano aveva scoperto un uomo nascosto in casa sua. Ercolano aveva tentato di uccidere l'amante della moglie e Pietro lo aveva trattenuto, nel trambusto chiaramente la cena non era stata consumata.
La moglie di Pietro finse di biasimare l'adultera poi prese ad insistere per convincere il marito a coricarsi per poter far uscire l'amante dal suo nascondiglio.
Capitò che un asino si liberò nella stalla ed entrò in casa per cercare acqua da bere. Avvicinandosi alla cesta schiacciò una mano del giovane che era sotto il quale non riuscì a trattenere un grido di dolore.
Scoperto l'uomo nascosto nella sua casa Pietro non reagì con ira ma si limitò a rimproverare la moglie che poco prima aveva tanto biasimato la consorte di Ercolano. La donna si difece facendo presenti i suoi desideri femminili che lui non si curava di soddisfare e Pietro, bonariamente, le chiese di preparare la cena per lui e per il giovane ospite.
Dioneo sorvola sui particolari del finale limitandosi a dire che la mattina seguente il giovane confuso non avrebbe saputo dire se era stato "accompagnato" durante la notte più dalla bella donna o da suo marito.

QUINTA GIORNATA - CONCLUSIONE

Terminata la novella di Dioneo, la regina cede la corona d'alloro ad Elissa che subito annuncia l'argomento che si dovrà trattare il giorno successivo: chi evitò un pericolo o un danno grazie ad una risposta avveduta.
La brigata viene congedata e si riunisce più tardi per la cena e per le danze. A Dioneo viene chiesto di cantare una canzone, il giovane scherza con la regina proponendo ritornelli volgari ma vedendo Elissa turbarsi canta Amor, la vaga luce ..., una canzone sulla teoria tradizionale dell'amore che penetra dagli occhi per raggiungere il cuore.
Conclusi i divertimenti serali la regina dichiara giunta l'ora di andare a riposare.

SESTA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

Racconta Filomena.
Durante una passeggiata in campagna, un cavaliere propose a Madonna Oretta di narrarle una novella così piacevole che le sarebbe sembrato di ancare a cavallo anziché a piedi.
Oretta accettò volentieri ma il cavaliere raccontava con tante ripetizioni, errori ed incertezze che la donna gli disse che preferiva camminare perché il cavallo aveva un trotto troppo duro.

SESTA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Racconta Pampinea.
Quando Messer Geri Spina passava davanti alla bottega del fornaio Cisti, questi lo invitava sempre a bere un bicchiere di un ottimo vino.
Una volta, offrendo un banchetto, Geri mandò un suo servitore da Cisti a chiedere un fiasco di vino per i suoi ospiti ma l'uomo vi andò con un fiasco molto grande per impossessarsi di parte del vino.
Cisti rispose che con quel fiasco il padrone certamente non lo aveva inviato da lui ma dall'Arno e solo quando il servitore tornò con un fiasco di dimensioni normali il fornaio esaudì la richiesta di Geri.
L'indomani, per dimostrare che non aveva agito per avarizia ma soltanto per non lasciarsi ingannare, Cisti donò a Geri un'intera botte di vino.

SESTA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Lauretta.
Antonio d'Orso era vescovo di Firenze quando giunse in città il nobile catalano Dego della Ratta, famoso donnaiolo.
Invaghitosi di una nipote del vescovo, lo spagnolo convinse l'avido marito di lei a cedergliela per una notte in cambio di cinquecento fiorini d'oro ma pagò con moneta falsa. La cosa si venne a sapere e tutti derisero l'uomo mentre il vescovo fingeva di non sapere nulla.
Qualche tempo dopo Dego e Antonio incontrarono la giovane Nonna de' Pulci (Madonna Lapa dei Pulci) ed il vescovo, indicandole l'amico le rivolse un motto allusivo chiedendole se sarebbe stata in grado di "vincerlo".
Prontamente la donna rispose che per provare a "vincere" il catalano avrebbe voluto buona moneta. Il vescovo incassò la battuta e lasciò in pace la donna.

SESTA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Neifile.
Corrado Gianfigliazzi era un liberale e magnifico signore fiorentino. Un giorno tornando dalla caccia con il falcone consegnò una gru al suo cuoco veneziano Chichibio perché la cucinasse.
La gru era quasi cotta quando una giovane di nome Brunetta della quela Chichibio era innamorato, attratta dal profumo, entrò in cucina e chiese al cuoco di darle una coscia. Chichibio cercò di resistere ma in breve Brunetta lo convinse ad accontentarla.
Quando la gru fu servita in tavola Corrado si adirò con Chichibio per la coscia mancante e prese a minacciarlo. Non sapendo come giustificarsi il cuoco affermò che le gru hanno una sola zampa e promise di dimostrarlo con gli animali vivi.
Corrado lo prese in parlola ed il mattino seguente costrinse lo spaventatissimo Chichibio a seguirlo fino ad una palude dove trovarono dodici gru che dormivano su un solo piede.
Chichibio lo indicò a Corrado sperando di cavarsela ma a quello bastò un grido perché gli uccelli spaventati abbassassero la zampa ritratta per fuggire. A questo punto Chichibio ammise di aver visto due zampe per ogni uccello ma notà che il signore la sera prima non aveva gridato. Se lo avesse fatto anche quella gru avrebbe certamente mostrato la seconda coscia.
La risposta divertì tanto Corrado che la sua ira si convertì in riso e perdonò il cuoco.

SESTA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Panfilo che intende dimostrare come a volte l'aspetto sparuto delle persone nasconda tesori di virtù.
Fu il caso del noto giureconsulto Forese da Rabatta e del grande Giotto.
Il primo era uomo di grandissima erudizione, quanto al secondo univa allo straordinario talento artistico una grande umiltà, infatti non accettò mai di essere chiamato maestro.
Forese e Giotto, che avevano entrambi proprietà nel Mugello, una volta si incontrarono in quella regione, erano male in arnese e dotati di misere cavalcature, furono colti da un improvviso temporale estivo e ripararono in casa di un lavoratore loro amico.
La pioggia persisteva e i due, fattisi prestare due rozzi mantelli e due cappellacci, ripresero il cammino.
Percorso un tratto di strada Forese, notando l'aspetto del compagno mal vestito ed infangato, gli schiese scherzando chi mai vedendolo avrebbe creduto di guardare il miglior pittore del mondo.
Prontamente Giotto rispose che nessuno avrebbe mai sospettato dal suo aspetto che messer Forese conoscesse l'alfabeto.
Forese riconobbe di essere stato ripagato con la sua stessa moneta.

SESTA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Racconta Fiammetta. Il giovane fiorentino Michele Scalza era un divertente motteggiatore e la sua compagnia era sempre molto gradita.
Una volta era in una brigata che discuteva quale fosse la più nobile famiglia fiorentina. Stupendo tutti affermò che i più nobili erano i Baronci, dei borghesi di Firenza noti a tutti per la loro bruttezza.
Michele scommise una cena che lo avrebbe dimostrato, Neri Vannini accettò la scommessa e Piero di Fiorentino fu chiamato a fare da giudice. Lo Scalza vinse la scommessa perché quando tutti convennero che la famiglia più nobile doveva essere anche la più antica sostenne che i Baronci erano stati creati prima che Dio imparasse a dipingere bene le fattezze umane.

SESTA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Filostrato. Rinaldo Pugliesi di Prato sorprese la moglie Filippa a letto con l'amante e, trattenendo l'impulso di ucciderla, la cità in tribunale.
Una legge in vigore a Prato prevedeva il rogo per le adultere. Interrogata dal giudice Madonna Filippa riconobbe la veridicità delle accuse ma fece ammettere al marito di non avergli mai negato le sue grazie.
A questo punto la donna chiese se, soddisfatto il consorte non fosse giusto dedicare "quel che gli avanza" ad un uomo che l'amava.
Questa osservazione divertì molto il pubblico ed il giudice, Filippa venne assolta e la legge abrogata.

SESTA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Emilia.
Fresco da Celatico aveva una nipote bella ma molto vanitosa e superba. Una volta, supendosi di vederla in casa in un giorno di festa, Fresco gliene chiese la ragione e la ragazza rispose che non sopportava la vista sgradevole dei passanti.
Fresco le consigliò: "Figliola, se così ti dispiaccion gli spiacevoli, come tu dì, se tu vuoi viver lieta non ti specchiar giammai".

SESTA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Elissa, regina della giornata.
Un tempo a Firenze i giovani benestanti usavano riunirsi offrendo a turno dei banchetti, cavalcando insieme, giostrando e divertendosi.
Faceva parte di una di queste brigate messer Betto Brunelleschi il quale desiderava far aderire alla compagnia messer Guido Cavalcanti, esimio filosofo ma noto anche per la acuta conversazione, la ricchezza e la generosità, ma Betto non riusciva a convincere Guido che forse era troppo preso dalle sue speculazioni filosofiche.
Una volta Guido camminava in corso degli Adimari dove si trovavano delle antiche arche, sepolture tradizionalmente ritenute dei primi abitanti della città, quando fu importunato da Brunetto e dai suoi amici che insistevano perché si unisse a loro.
Guido rispose "Signori, voi mi potete dire in casa vostra ciò che vi piace". Solo Betto comprese che Guido, alludendo alle arche, li aveva paragonati a dei morti per la loro grossolana stupidità.

SESTA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo.
Un certo frate Cipolla si recò a Certaldo per raccogliere elemosine e promise di mostrare ai fedeli al termine della messa una straordinaria reliquia: una piuma dell'angelo Gabriele perduta in casa di Maria.
Fra quanti ascoltarono la promessa erano due astuti giovani: Giovanni da Bragoniera e Biagio Pizzini che subito decisero di prendersi gioco del frate.
Frate Cipolla aveva un fante di nome Guccio detto porcellana o Imbratta, individuo stravagante che si riteneva dotato di fascino, il quale notata una fantesca brutta, grassa e sporca, aveva preso a corteggiarla trascurando di sorvegliare i bagagli che gli erano stati affidati.
Ne approfittarono Giovanni e Biagio che penetrarono non visti nella camera d'albergo dove alloggiava Frate Cipolla, frugarono nelle sue bisacce e trovarono una cassettina contenente una colorata piuma di pappagallo che certamente era la "reliquia" che il frate aveva promesso di mostrare. I giovani portarono via la piuma e la sostituirono con alcuni pezzi di carbone.
All'ora convenuta il frate si preparò a stupire i fedeli con la piuma dell'angelo ma quando trovò i carboni non si perse d'animo e pronunciò un lungo discorso narrando le sue mirabolanti avventure giovanili e concludendo che fra le reliquie da lui portate dall'oriente c'era anche una parte dei carboni sui quali era stato arso San Lorenzo. Certamente il Signore, poiché la festa di San Lorenzo si stava avvicinando aveva voluto che il frate scambiasse le cassette delle reliquie per rinnovare la devozione dei fedeli per quel martire.
Curiosi ed ansiosi di ammirare i carboni, i paesani elargirono tutti generose elemosine e quando la gente si fu allontanata gli autori dello scherzo smascellandosi dalle risate restituirono la piuma con la quale il frate, l'anno successivo, realizzò nuovi ricchi incassi.

SESTA GIORNATA - CONCLUSIONE

Terminato l'ultimo racconto della giornata, la regina cede la corona a Dioneo al quale tocca stabilire l'argomento delle novelle della giornata successiva.
Dioneo sceglie che si narrino le beffe commesse dalle mogli ai danni dei mariti, con intenzione o senza, per amore o per mettersi in salvo.
Congedata la riunione le donne si recano in un luogo ameno detto Valle delle Donne dove tutte prendono un bagno in un delizioso laghetto. Tornate a casa narrano la loro esperienza agli uomini che, a loro volta, vanno a bagnarsi nel lago. Il re dispone che in quella valle si svolga le prossima riunione.
A conclusione della giornata, come sempre, si cena, si canta e si danza.

SETTIMA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

I giovani trascorrono la mattinata e parte del pomeriggio della settima giornata riuniti in allegria nella Valle delle Donne e dopo un "sonnellino" riprendono i racconti.
La prima novella della giornata è narrata da Emilia.
Viveva in Firenze un lanaiolo di nome Gianni Lotteringhi che era uomo pio e benvoluto, ricopriva a volte incarichi per la Compagnia delle Laudi di Santa Maria Novella ed era in ottimi rapporti con quei frati.
La sua bella moglie Tessa si era presa per amante il giovane Federigo di Neri Pegolotti. Dopo un primo convegno notturno organizzato tramite un'ancella, i due amanti convennero un segnale. Nella vigna di Tessa era appeso ad un palo un teschio d'asino (un antico scongiuro), trovarlo rivolto verso Firenza significava via libera, se invece guardava verso Fiesole Gianni era in casa. Con questo espediente si incontrarono più volte indisturbati.
Una sera mentre Tessa aspettava Federigo, Gianni rientrò in casa inaspettatamente. Tessa fece preparare ad un'ancella la cena da consumare con Federigo in un suo giardino ma dimenticò di farlo avvertire della presenza di Gianni.
Quando Federigo prese a bussare alla porta i coniugi si erano già coricati ma Tessa, con prontezza di spirito, convinse il marito che a bussare era una "fantasima", animale misterioso e terribile delle credenze medievali.
> Per far comprendere la situazione all'ignaro Federigo, Tessa prese a recitare una "santa e buona orazione" insegnatale - disse - da una romita ed adatta ad allontanare la fantasima. I versi comici di questa sorta di esorcismo contenevano chiare indicazioni alla cena già pronta in giardino e l'avvertimento che il marito era in casa.
Federigo, che ascoltava attraverso la porta, prese il cibo e se ne andò, in seguito rise molte volte con Tessa dell'ingenuità di Gianni.


SETTIMA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Racconta Filostrato.
Un muratore di Napoli aveva una giovane e bela moglie di nome Peronella. I due erano di condizione molto modesta e a stento ricavavano di che vivere dal lavoro di lui e dall'opera di filatrice di lei.
Un giorno il giovane Giannello Scrignario si innamorò di Peronella e riuscì a convincerla a concedersi e per molto tempo si intromise nella casa dei coniugi quando l'uomo andava a lavorare.
Un mattino il marito tornò a casa prima del solito e Peronella, sentendolo bussare, fece nascondere Giannello in una botte vuota che si trovava in casa.
Peronella accolse il marito con una lunga serie di improperi accusandolo di essere un fanullone mentre lei era onesta e lavorava giorno e notte. L'uomo spiegò che quel giorno non si lavorava perché ricorreva la festa di "San Galeone" ma che aveva trovato un compratore per la botte che da tempo ingombrava la loro casa. In effetti era rientrato insieme al compratore ma quando Peronella dichiarò di aver trovato qualcuno disposto a pagare un prezzo più alto lo congedò.
Prontamente Giannello uscì dalla botte fingendosi interessato all'acquisto ma obiettando che all'interno aveva trovato molta sporcizia. Subito l'uomo si calò nella botte per pulirla mentre Peronella si affacciava all'imboccatura per indicargli i punti ancora sporchi. Vedendo la donna in questa posizione, Giannello le si accostò e "a effetto recò il giovinil desiderio".
A conclusione del singolare incontro Giannello approvò la pulizia della botte e, pagato il prezzo convenuto, se la fece portare a casa.


SETTIMA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Elissa.
Viveva a Siena un giovane di buona famiglia di nome Rinaldo. Era innamorato di una vicina e per aver modo di corteggiarla, essendo la donna incinta, tiuscì a familiarizzare con il marito e farsi scegliere come padrino di battesimo del nascituro.
Potendo così avvicinare con migliori pretesti donna Agnesa, le dichiarò il suo amore ma non riuscì a conquistarla.
Qualche tempo dopo, per un'ignota ragione, Rinaldo si fece frate ma questo non lo rese casto o penitente (Boccaccio inserisce qui una lunga invettiva contro il malcostume del clero) e presto riprese a corteggiare Madonna Agnese.
Infine la convinse con un discorso di una logica inconfutabile. Poiché la donna temeva che unirsi al padrino di suo figlio fosse peccato, Rinaldo le fece notare che in quel caso sarebbe stato molto più grave giacere con il padre del bambino come le aveva fatto tante volte. Davanti a questo argomento Agnesa non ebbe più nulla da eccepire e i due presero a incontrarsi regolarmente.
Un giorno Rinaldo era con Agensa mentre un suo compagno se la spassava con un'ancella in soffitta quando inaspettatamente il marito di Agnesa bussò alla porta.
Senza esitare la donna accolse il consorte inventando una storia credibile: i due frati avevano salvato il bambino dai vermi che lo infestavano con le proprie orazioni.
Il pover uomo credette alla moglie, ringraziò ed onorò i due frati offrendo loro una buona cena e l'indomani, come prescritto da Frate Rinaldo, offrì un ex voto in cera a Sant'Ambrogio.


SETTIMA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Lauretta.
Tofano di Arezzo era molto geloso della sua bella moglie Ghita. Poiché la gelosia era ingiustificata e lo stesso Tofano non sapeva spiegare i suoi comportamenti, Ghita decise di punirlo ed accettò la corte di un giovane innamorato di lei.
Per poter liberamente incontrare il suo amante, Ghita prese l'abitudine di assecondare il vizio di bere di Tofano in modo da poter approfittare del pesantissimo sonno in cui puntualmente l'uomo cadeva.
A lungo andare, tuttavia, Tofano si insospettì ed un giorno rincasò fingendosi tanto ubriaco che la moglie tralasciò di farlo bere ancora. Come Tofano finse di addormentarsi, Ghita corse dal sua amante ma quando tornò a casa trovò la porta sbarrata e Tofano che gridava minacciosamente dalla finestra.
Dopo aver tentato di convincere con la dolcezza il marito, Ghita cambiò strategia e minacciò di gettarsi nel pozzo.
Allontanatasi nell'oscurità la donna gettò una pesante pietra nel pozzo, il rumore spaventò il marito che si precipitò fuori mentre l'astuta Ghita entrava di soppiatto nella casa sbarrando l'uscio a sua volta.
A quel punto fu Tofano a pregare ma Ghita prese a gridare per svegliare tutto il vicinato, lamentandosi del comportamento di quel marito che rientrava sempre ubriaco a notte fonda. Tutti i vicini si schierarono con la moglie, la notizia si diffure rapidamente e raggiunse i parenti di Ghita che malmenarono Tofano e riportarono la donna a casa.
Il povero Tofano, che era sinceramente innamorato di Ghita, con molta fatica riuscì infine ad appianare la situazione e a far tornare la moglie, promettendo di non essere più geloso e concedendole di fare il suo comodo, purché con discrezione.


SETTIMA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Fiammetta.
Un mercante di Rimini, geloissimo, teneva la moglie sotto strettasorveglianza. La donna non aveva alcuna colpa ma era talmente stanca ell'ossessione del marito che decise di dare una ragione a tanta gelosia. Nell'appartamento confinante con la casa del geloso, viveva Filippo, un giovane di bell'aspetto. La donna attirò l'attenzione di Filippo e parlò con lui attraverso una fessura della parete ma i due non avevano modo di incontrarsi liberamente.
Avvicinandosi il natale, la donna disse al marito di volersi confessare, desiderio che non mancò di insospettire il marito il quale si accordò con il prete per prendere il suo posto e ascoltare la confessione.
Per non farsi scoprire, l'uomo indossò un cappuccio e si mise in bocca delle pietruzze, non riuscì tuttavia a ingannare la moglie. La donna confessò al falso sacerdote di amare un prete che le faceva visita ogni notte. Costui aveva la misteriosa capacità di aprire qualsiasi serratura e di far addormentare il marito in modo profondissimo.
Nascondendo la propria ira alla moglie, quella sera l'uomo finse di uscire e si nascose dietro la porta, pronto a sospendere il misterioso amante. Ovviamente non venne nessuno perché la donna si era accordata con Filippo il quale si recò da lei passando sui tetti e nel suo letto trascorse la nottata. Al mattino l'uomo, infreddolito e digiuno, finse di tornare da fuori.
Rimase in agguato alla porta per molte notti mentre il giovane continuava a far visita alla moglie. Infine, esasperato, ordinò alla donna di ammettere la sua colpa ma lei ridendo gli spiegò di averlo riconosciuto e di aver voluto punire la sua eccessiva gelosia. In seguito il mercante smise di ossessionare la moglie la quale, non più sorvegliata come una prigioniera, ebbe modo di organizzare molti altri incontri con il giovane vicino.


SETTIMA GIORNATA - SESTA NOVELLA

Racconta Pampinea.
Una donna molto ricca e bella di nome Isabella era moglie di un valoroso cavaliere ma si innammorò, ricambiata, anche del giovane Leonetto. Di lei si invaghì un altro cavaliere chiamato Messer Lambertuccio che non era gradito a Isabella.
Isabella e il marito trascorrevano l'estate nella loro villa in campagna. Un giorno il marito si assentò e Isabella mandò a chiamare Leonetto ma Lambertuccio, avendo saputo dell'assenza del cavaliere, si presentò a sua volta alla villa.
Isabella fece nascondere Leonetto e cedette a Lambertuccio del quale aveva grande soggezione. Mentre Isabella si trovava in camera da letto con Lambertuccio la fantesca corse ad avvisarla dell'arrivo del marito. Senza perdersi d'animo la donna pregò di mostrarsi al marito con un coltello in mano in preda al furore e di fingere di cercare qualcuno. Infatti il marito di lei vide l'uomo in grande agitazione montare a cavallo e andarsene gridando e imprecano. Allora la moglie gli spiegò che un ragazzo era attivato trafelato alla loro casa pregandola di nasconderlo perché era inseguito da un uomo che aveva forse perso la ragione.
La trovata della donna ebbe successo e quando Leonetto, che aveva sentito tutto dal suo nascondiglio, venne fuori il marito di Isabella lo confortò e si offrì di accompagnarlo alla sua casa in sicurezza.


SETTIMA GIORNATA - SETTIMA NOVELLA

Racconta Filomena.
Un gentiluomo fiorentino che viveva a Parigi, era diventato ricchissimo facendo il mercante ma, in memoria della sua origine nobiliare, volle che suo figlio Lodovico non si occupasse di commercio e lo fece entrare al servizio del re di Francia.
Quando sentì parlare della straordinaria bellezza di una dama di Bologna, Lodovico ebbe tanto desiderio di conoscerla che, fingendo di voler visitare il santo sepolcro, partì. A Bologna prese il nome di Anichino e con l'aiuto di un oste riuscì ad essere assunto da Egano de'Galluzzi, marito della bellissima Beatrice.
Con i suoi modi raffinati e la sua diligenza, Anichino si fece ben volere da Egano che gli affidò la cura dei suoi molti affari. Durante un'assenza di Egano, Anichino colse l'occasione di trovarsi solo con Beatrice (giocando a scacchi) e le confidò il suo amore, la donna ricambiò le sue parole con un bacio e con l'invito di recarsi da lei durante la notte. Nel buio, Anichino si avvicinò alla donna che prese e trattenne la sua mano mentre svegliava il marito. Beatrice avvertì Egano che il suo più caro servitore le aveva proposto un incontro galante e gli consigliò di andarlo ad attendere in giardino. Indossando un mantello e un velo della moglie, Egano andò a porsi di guardia nel luogo dell'appuntamento mentre i due amanti, rimasti soli, godevano del loro amore.
Più tardi, istruito dalla donna, Anichino scese in giardino e fingendo di credere al travestimento di Egano, deprecò l'infedeltà di lei e prese a colpire Egano fino a farlo fuggire. L'uomo, quindi, credette alla fedeltà della moglie (che non era andata all'appuntamento) e quella di Anichino che aveva voluto mettere alla prova la fedeltà della padrona.


SETTIMA GIORNATA - OTTAVA NOVELLA

Racconta Neifile.
Il mercante Arriguccio Berlinghieri sperando di migliorare la sua condizione sociale sposò una donna dell'aristocrazia di nome Sismonda. Spesso lasciata sola dal marito, Sismonda si innamorò del giovane Roberto che da tempo la desiderava. Arriguccio ebbe sentore dell'adulterio e, trascurando i suoi commerci, smise di allontanarsi per coricarsi ogni sera con Sismonda.
Per poter incontrare l'amante, Sismonda ebbe l'idea di calare dalla finestra sulla strada un sottile spago la cui estremità era legata al suo alluce. A notte fonda Roberto raggiungeva la casa di lei, tirava la cordicella e se il mercante dormiva profondamente la donna scendeva ad aprire la porta.
Una notte Sismonda si addormentò e Arriguccio scoprì lo spago. Comprese che si trattava di un inganno della moglie ed attese in silenzio finché Roberto non venne a tirare lo spago. Scese ad aprire e subito Roberto fuggì, dopo un lungo inseguimento i due cominciarono a duellare.
Svegliatasi e resasi conto della situazione, Sismonda chiamò la fantesca e la pregò di prendere il suo posto promettendole lauta ricompensa. Tornato a casa Arriguccio aggredì al buio la donna che era nel suo letto credendo che fosse sua moglie e la picchiò furiosamente, la insultò ad alta voce e infine le tagliò i capelli.
Promettendo alla donna di informare i suoi fratelli, Arriguccio andò via chiudendo a chiave la camera da letto. Monna Sismonda liberò la domestica, cercò di consolarla, la fece medicare e la ricompensò generosamente con il denaro di Arriguccio. Riportata la fantesca nella sua camera, Sismonda tornò subito al suo letto e lo rimise in ordine come se quella notte nessuno lo avesse usato, quindi si rivestì e sedette all'inizio della scala mettendosi a cucire.
Intanto Arriguccio, giunto a casa della famiglia Sismondi, svegliò tutti, raccontò infuriato del tradimento e come prova mostrò i capelli che aveva tagliato alla fantesca. I tre fratelli di Sismonda lo seguirono a casa per punire l'adultera mentre la loro madre, piangendo, li pregava di non far del male alla sorella.
A casa di Arriguccio Sismonda li accolse con grande stupore, ascoltò le loro accuse e ovviamente negò tutto, comprese le percosse e il taglio dei capelli che aveva ancora lunghi. La donna affermò che il marito tornava spesso ubriaco a tarda ora e certamente quella sera era entrato nel letto di una prostitutae nei fumi del vino aveva sognato tutta quella storia. Il povero Arriguccio fu pesantemente insultato dalla suocera e dai cognati e alla fine non sapeva decidere se gli eventi di quella notte fossero stati o meno un soigno.
Così Sismonda evitò la punizione e da quella sera fece ogni suo piacere, senza più temere il marito.


SETTIMA GIORNATA - NONA NOVELLA

Racconta Panfilo.
Nell'antichissima città di Argo viveva un uomo ricco e nobile di nome Nicostrato che già avanti negli anni aveva sposato la giovane e avvenente Lidia. Nicostrato aveva numerosi servitori, quello di cui si fidava di più era il giovane Pirro, bello di aspetto e abile lavoratore.
Lidia si era innamorata di Pirro ma lui non se ne accorgeva o fingeva di non aver capito. La donna incaricò una cameriera di nome Lusca di parlare a Pirro del suo amore e convincerlo a ricambiare. Pirro accolse le parole di Lusca con grande stupore, dubitò della sincerità della domestica e affermò che comunque per nessun motivo avrebbe tradito la fiducia del suo padrone.
Lidia non si arrese e dopo qualche giorno ordinò a Lusca di ritentare. Questa volta Pirro si mostrò più flessibile ma chiese la dimostrazione dell'amore e della sincerità di Lidia tramitre tre prove: Lidia doveva uccidere in presenza di Nicostrato il suo migliore sparviero, doveva fargli avere un ciuffo della barba di Nicostrato e un dente dello stesso.
Nonostante la difficoltà delle prove Lidia accettò e attese che il marito invitasse gli amici a banchetto. Quando furono tutti riuniti la donna entrò nella sala da pranzo, prese lo sparviero dal suo trespolo e lo uccise battendolo contro il muro. Il marito gridò esterefatto ma Lidia spiegò agli invitati che suo marito, per andare a caccia con quello sparviero, ogni mattina la lasciava sola nel letto trascurando i doveri coniugali. Tutti risero e anche Nicostrato fu costretto a far buon viso alla situazione.
Lidia strappò un ciuffetto di peli dalla barba del marito mentre giaceva allegramente con lui e, facendogli credere che fosse guasto, riuscì a cavargli un dente. Ricevuti peli e dente, Pirro ebbe la dimostrazione dell'amore di lei, ma Lidia si era ripromessa di fare di più: voleva amioreggiare con Pirro di fronte al marito senza che questi potesse protestare. Trovandosi tutti e tre in giardino Lidia chiese a Pirro di salire su un pero e raccogliere dei frutti per lei. Pirro, dall'alto dell'albero, si mostrò scandalizzato dagli atti osceni che i coniugi stavano compiendo al suo cospetto. Nicostrato, che non aveva fatto nulla del genere, non riusciva a capire e montò a sua volta sul pero.
Subito prese a gridare contro la moglie che osava tradirlo con un paggio e proprio sotto i suoi occhi, ma presto si riprese dallo stupore quando comprese che quanto credeva di aver visto dipendeva da un misterioso sortilegio legato a quell'albero.
Per sicurezza Lidia fece abbattere il pero e da allora vissero tutti sereni.


SETTIMA GIORNATA - DECIMA NOVELLA

Racconta Dioneo, re di questa giornata
Vivevano in Siena due amici, Tingoccio Mini e Meuccio di Tura. I due si promisero reciprocamente che quello che fosse morto per primo sarebbe tornato a raccontare all'altro cosa avviene nell'altro mondo.
Tingoccio divenne compare di Ambrogio Anselmini ed ebbe un figlio da Monna Mita. Costei era così bella e affascinante che i due amici se ne innamorarono entrambi, ma fu Tingoccio a conquistare il cuore e il letto di lei. L'assidua frequentazione con Monna Mita mise a dura prova Tingoccio che infine ne morì.
Alcuni giorni dopo Tingoccio, rispettando la promessa, apparve in sogno all'amico. Gli disse che non era all'inferno ma che stava comunque scontando una pena per i suoi peccati e gli chiese di dedicare alla sua memoria messe, orazioni ed elemosine per alleviare la sua punizione.
Tingoccio descrisse all'amico le varie pene che i peccatori devono scontare ma Meuccio volle sapere quale fosse la punizione per essersi unito alla comare: "di là non si tiene ragione alcuna elle comari" fu la risposta. Meuccio fece tesoro di questa informazione e in seguito, senza preoccupazioni, approfittò di ogni occasione.


SETTIMA GIORNATA - CONCLUSIONE

Dioneo porse la corona a Lauretta, regina della giornata successiva.
Lauretta impartì alcune istruzioni al siniscalco quindi espose l'argomento dell'ottava giornata: ognuno dovrà raccontare una beffa di donna a uomo, o di uomo a donna o di uomo a un altro uomo.
Come ogni sera tutti riposarono godendo dell'amenità del luogo, cenarono e trascorsero il resto della serata cantando e danzando. In conclusione Filomena cantò in versila sua nostalgia per un amore lontano. Prima di ritirarsi la regina ordinò che i due giorni seguenti (venerdì e sabato) fossero dedicati alla preghiera rimandando alla domenica il racconto di altre novelle.

OTTAVA GIORNATA - INTRODUZIONE

Al mattino della domenica la compagnia si recò ad ascoltare la messa in una vicina chiesetta. Tornati a casa pranzarono e come di consueto trascorsero del tempo cantando e danzando, quindi dopo un breve riposto si riunirono presso la fontana per riprendere i racconti.


OTTAVA GIORNATA - PRIMA NOVELLA

Racconta Neifile.
C'era a Milano un mercenario tedesco di nome Gulfardo noto per la sua lealtà. Conoscendo la sua correttezza molti mercanti erano disposti a prestargli denaro.
Gulfardo era innamorato di madonna Ambruogia, moglie del ricco mercante Gasparruolo Cagastraccio, e un giorno le inviò un messaggio invitandola a contraccambiare i suoi sentimenti. Ambruogia rispose che lo avrebbe amato a condizione che mantenesse il segreto e le donasse duecento fiorini d'oro. Sdegnato per la venalità della donna Gulfardo decise di beffarla, le fece sapere che era disposto a darle il denaro e Ambruogia gli promise che lo avrebbe ricevuto durante una prossima assenza del marito.
Quando lo chiamò, infatti, Gulfardo andò da lei con duecento fiorini che si era fatto prestare da Gasparruolo. Si fece accompagnare da un amico i fronte al quale consegnò il denaro alla donna dicendole di darlo al marito. Ambruogia, contato il denaro, aprì la sua camera a Gulfardo, quella e molte altre sere mentre il marito era a Genova. Al ritorno del mercante, Gulfardo gli disse di aver consegnato il denaro alla moglie e questa, essendo presente il testimone, non riuscì a negare di aver ricevuto i duecento fiorini e così il sagace amante senza costi godè della sua avara donna.


OTTAVA GIORNATA - SECONDA NOVELLA

Narra Panfilo.
Era a Verlugo (presso Firenze) un valente e gagliardo prete che spesso faceva piccoli doni alle parrocchiane portando loro la sua benedizione fino a casa. Gli piaceva particolarmente monna Belcolore alla quale prestava molta attenzione vedendola il chiesa la domenica mattina senza che il marito Bentivegna del Mazzo si accorgesse di nulla.
Un giorno il prete incontrò Bentivegna diretto da un notaio in città per una citazione che aveva ricevuto. Il prete ne approfittò per recarsi subito da Belcolore alla quale fece senza esitare le sue advances. La donna si disse disposta ad accontentarlo in cambio di denaro e poiché il prete non ne aveva con se le offrì il proprio mantello in garanzia.
Dopo aver fatto l'amore con la bella contadin, il prete si pentì di averle promesso il denaro e cominciò a pensare come recuperare il mantello senza pagare. Il giorno dopo mandò un ragazzino a chiedere un mortaio in prestito a Belcolore e a ora di pranzo rimandò il ragazzo con il mortaio e con la richiesta di restituirgli il mantello lasciato in garanzia. Belcolore stava pranzando con il marito il quale fu indignato per la sfiducia dimostrata al prete e le ordinò di restituire subito il mantello.
Belcolore litigò con il prete e gli tolse il saluto ma in seguito i due si riconciliarono e si incontrarono più volte.


OTTAVA GIORNATA - TERZA NOVELLA

Racconta Elissa.
Il pittore Calandrino (Giovannozzo di Perino) era un uomo semplice, spesso si accompagnava con due amici: Bruno (Bruno di Giovanni d'Olivieri) e Buffalmacco (Buonamico di Martino) i quali, più astuti di lui, se ne prendevano spesso gioco.
Anche il giovane e abile Maso del Saggio volle fare uno scherzo a Calandrino e insieme a un amico lo incuriosì parlandogli di pietre rare e preziose dotate di eccezionali virtù. Le pietre, asserì Maso, erano reperibili soltanto nella contrada di Bengodi nel paese dei Baschi, terra di favolosa abbondanza. La pietra più preziosa era l'elitropia che rendeva invisibile chi la portava. Maso aggiunse che se ne trovavano anche nel Mugnone, un ruscello affluente dell'Arno.
Calandrino decise di procurarsi la magica pietra ma non senza far partecipi del segreto i suoi amici Bruno e Buffalmacco. Sentendolo parlare della pietra misteriosa i due compresero che Calandrino era vittima di uno scherzo e subito decisero di proseguire il gioco.
Fu così organizzata la domenica seguente una gita al Mugnone per cercare l'elitropia e quando Calandrino ebbe raccolto tutte le pietre che era riuscito a trovare i suoi amici finsero di non riuscire più a vederlo.
Calandrino tornò rapidamente a casa seguito da Bruno e Buffalmacco cge, continuando nella finzione, gli tiravano sassi nella schiena. Giunsero in città senza incontrare nessuno e Calandrino entrò in casa sua. Vedendolo la moglie lo redarguì per essere tornato in ritardo e Calandrino, deluso e arrabbiato, prese a batterla furiosamente.
Giunseo Bruno e Buffalmacco ai quali l'uomo raccontò che la moglie aveva privato le pietre dei loro magici poteri perché "le donne fanno perdere le virtù alle cose".
L'intervento dei due amici risparmiò alla donna ulteriori percosse e iul povero Calandrino rimase avvilito e con la casa piena di pietre.


OTTAVA GIORNATA - QUARTA NOVELLA

Racconta Emilia.
Il prevosto di Fiesole amava una gentildonna e pretendeva a tutti i costi di essere ricambiato. Monna Piccarda viveva a Fiesole con due fratelli, era vedova ma ancora giovane e bella mentre il prevosto era avanti con gli anni. Alle sue proposte la donna rispose sempre ricordandogli che era un prete e rifiutò categoricamente di accontentarlo.
Il prete non si rassegnò e continuò a infastidire monna Piccarda finché questa, d'accordo con i fratelli, decise di liberarsene. Un mattino in chiesa, Piccarda finse di cedere all'insistenza del prevosto e concordò un appuntamento per quella stessa sera nella sua casa ma con la condizione che l'incontro si svolgesse al buio e in assoluto silenzio per non essere scoperti dai fratelli.
Monna Piccarda aveva una fantesca di nome Ciuta, detta Ciutazza, bruttissima, sciancata e guercia. Piccarda le promise una camicia nuova come ricompensa per giacere con il prete al suo posto (ovviamente al buio e in silenzio).
Il prete arrivò all'ora stabilita e fu introdotto al buio nella stanza di Piccarda, questa si allontanò non vista mentre il prete cominciava a amoreggiare con Ciutazza.
Intanto i fratelli di Piccarda, mettendo in pratica quanto concordato, andarono a invitare il vescovo a bere nel loro giardino con un gruppo di amici. Dopo aver bevuto i due giovani chiesero al vescovo il permesso di mostrargli una "cosetta". Accompagnarono quindi il prelato nella camera da letto dove il prevosto, dopo ripetute fatiche, stava riposando con Ciutazza tra le braccia.
Non servì al prete tentare di nascondersi sotto le coperte, dovette subire la rampogna del vesvovo oltre allo scorno di essere stato con Ciutazza invece che con Piccarda. Il prete pagò la sua lussuria con quaranta giorni di penitenza e con la pubblica derisione, così Piccarda si liberò dell'impudente corteggiatore e Ciutazza guadagnò la camicia promessa.


OTTAVA GIORNATA - QUINTA NOVELLA

Racconta Filostrato.
Messere Niccola da San Lepido era un giudice venuto a Firenze al seguito di un podestà marchigiano, era misero e trasandato. Un mattino Maso del Saggio, trovandosi per caso al palazzo del podestà, vide messer Niccola al banco per amministrare la giustizia e notò quanto i suoi indumenti fossero sudici e rovinati, in particolare le brache che, troppo strette, rimanevano aperte sul davanti.
Maso andò in cerca di due amici, Ribi e Matteuzzo, e li portò a vedere il malconcio giudice. I tre notarono che era possibile andare sotto la panca dove il giudice sedeva e decisero di togliergli le brache, impresa che affrontarono il mattino seguente. Matteuzzo si portò sotto il banco senza farsi notare mentre gli altri due si avvicinavano al giudice e iniziavano a accusarsi reciprocamente di furto e a litigare vivacemente chiedendo a Messer Niccola di fare giustizia. Cogliendo il momento opportuno, Matteuzzo afferrò e tirò le brache del giudice che vennero via senza difficoltà.
Mentre il pover'uomo cercava di coprirsi i due litiganti lo trattenevano cercando di tirarlo ciascuno dalla sua parte e impedendogli di sedere, continuarono finché tutte le persone presenti nella corte ebbero notato l'imbarazzante situazione.
Quando decisero di poter concludere lo scherzo i due falsi litiganti si defilarono lasciando il giudice confuso e vergognoso ad imprecare mente si tirava su le brache.
Il podestà, udite le esclamazioni del giudice, si arrabbiò moltissimo ma un amico gli spiegò che i Fiorentini avevano caito che si serviva di falsi giudici per risparmiare e, per quella volta, le cose non andarono oltre.