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Lucio Anneo Seneca

Consolazione a Marcia


Seneca si rivolge a Marcia, figlia di Cremuzio Cordo, assicurandole di conoscere le virtù morali e la forza d'animo di lei.
Cremuzio Cordo, un intellettuale autore di opere storiche, era stato perseguitato sotto Tiberio per aver lodato i cesaricidi nella sua opera e nel 25 d.C. si era lasciato morire di fame.
Le sue opere furono distrutte ma qualcuno (forse la stessa Marcia, sembra intendere Seneca) ne conservò una copia e con l'avvento al potere di Caligola furono di nuovo divulgate.
Dichiarando di non voler usare blandizie ma un metodo forte, degno delle qualità di Marcia, per "attaccare" il dolore di lei, Seneca le ricorda proprio il cordoglio per il padre e le sofferenze di allora esortandola a dismettere il lutto che continua a portare per un figlio perduto tre anni prima.
Due esempi di donne colpite dalla perdita di un figlio che reagirono al proprio dolore in modo diverso: Ottavia e Livia, rispettivamente sorella e moglie di Augusto, entrambre madri di un potenziale erede dell'impero.
Ottavia perse il figlio Marcello, giovane virtuoso e forte che forse era già stato prescelto dallo zio come suo successore. La donna non seppe reagire e trascorse il resto della vita nella solitudine e nel rimpianto.
Livia perse Druso, morto durante una campagna militare, ma seppe contenere il proprio dolore e, rimanendo al fianco di Augusto, ricordò sempre a tutti con letizia le doti del figlio perduto.
Seneca invita dunque Marcia a scegliere quali di questi esempi seguire e a decidere se vorrà trascorrere il resto della propria vita in mesta solitudine come Ottavia o se, come Livia, vorrà continuare a vivere come certamente anche suo figlio avrebbe voluto.
Livia fu confortata soprattutto dalla parole del filosofo Ario Didimo, consigliere spirituale di Augusto. Questi le aveva ricordato le responsabilità e la dignità della sua posizione e le aveva raccomandato di non rammentare soltanto il momento atroce del dolore ma di rivolgere la mente anche a tutti i ricordi cari e lieti che serbava del figlio. L'aveva anche pregata di condividere quei ricordi con gli amici per perpetuare col loro la memoria del defunto.
Il protrarsi del dolore, una sofferenza che non diminuisce con il tempo, non sono del resto conformi ad una legge di natura, come sembrano dimostrare gli animali che, se perdono la prole, mostrano solo per breve tempo i segni della disperazione e poi tornano al loro consueto modo di vivere.
Perché dunque, si chiede l'autore, "tanto accanimento nel disperarci, se non è legge di natura?" e trova la risposta nell'uso comune di non considerare mai in anticipo la possibilità che la sorte ci colpisca improvvisamente, di dimentricare che "può accadere a chiunque quel che può accadere a qualcuno" e che, in definitiva, si è tutti sottoposti al regno imprevedibile e capriccioso della fortuna nel quale ciò che abbiamo ci è dato in prestito ma non per sempre, anzi per un tempo che potrebbe in ogni istante concludersi.
Dopo aver riflettuto sulla debolezza umana e su come non debba stupire, infondo, che esseri così imperfetti debbano prima o poi perire, Seneca invita Marcia a considerare quanto ha avuto dal suo ottimo figlio un bene prezioso e, dunque, la sua miglio fortuna di quella toccata a chi non ha avuto figli o ne ha avuti di degeneri.
Pur riconoscendo che non sarà "facendole sfilare davanti l'immenso numero dei dolenti" che si potrà consolare Marcia, Seneca vuole fornire ancora esempi di personaggi celebri e delle loro reazioni davanti ad una simile sventura.
Silla perse un figlio ma ciò non lo rese meno crudele o meno fortunato, anzi fu proprio dopo questa disgrazia che assunse il soprannome di Felix.
Marco Orazio Pulvillo, pontefice ai tempi della prima repubblica, venne informato della morte di un figlio mentre stava offrendo sacrifici ma, facendosi forza, non interruppe la cerimonia.
Lucio Emilio Paolo, trionfatore sul re macedone Perseo, perse due figli proprio nei giorni del suo trionfo ma ritenne che così gli dei avessero assolto il suo voto di pagare di persona, e non a spese dello Stato, la grande vittoria che aveva sperato di ottenere.
Calpurnio Bibulo (nel 59 a.C.) perse due figli ma non tralasciò i propri doveri di generale. Anche Giulio Cesare perse la figlia Giulia, moglie di Pompeo, ma "vinse il dolore con la stessa celerità con cui vinceva tutto".
Ed ancora Augusto e Tiberio subirono numerosi lutti familiari senza lasciarsi andare alla disperazione.
E' dunque vero che la sventura non risparmia nessuno e che "a nessuno è toccato nascere gratis".
Anche le donne sanno essere forti, come Lucrezia e Clelia o come Cornelia, la madre dei Gracchi, o come l'altra Cornelia, madre di Marco Livio Druso che dei Gracchi fu seguace e condivise la sorte.
Mettere al mondo i figli significa anche sapere che dovranno prima o poi morire, con la metafora di un viaggiatore che prima di partire per Siracusa soppesi le bellezze ed i pericoli del viaggio per infine decidere di andare, Seneca (ed è un momento di alta letteratura) rappresenta la scelta degli esseri umani che, conoscendo a priori le meraviglie e gli orrori della vita, scelgono di procreare i propri figli.
La morte non è un bene o un male, è liberazione da ogni dolore. Una morte tempestiva evita mali peggiori, come dimostrarono Pompeo e Cicerone che se fossero vissuti per qualche tempo in meno avrebbero lasciato questo mondo quando erano all'apice della gloria evitando le grandi sofferenze ed umiliazioni che il destino riservava loro.
h ed orrori ultramondani sono invenzioni poetiche, per Seneca oltre la vita ci aspettano soltanto la pace e la libertà di cui potevamo godere prima di nascere.
Anche il figlio di Marcia, sostiene l'autore, ha vissuto come tutti esattamente il tempo stabilito dal destino e lei deve rallegrarsi che il morire da giovane gli abbia risparmiato errori e patimenti che forse la maturità e la vecchiaia gli avrebbero arrecato.
Dopo una toccante rievocazione delle ultime ore di Cremuzio Cordo che, con grande dignità, si era lasciato morire di fame nel segreto della sua stanza sottraendosi all'iniquità del processo ed all'acrimonia dei suoi rivali, Seneca esorta Marcia ad immaginare il padre ed il figlio riuniti e sereni, ora felici ed eterni, finalmente lontani da un mondo di bassezze e miserie dove ogni cosa, da sempre, è destinata alla distruzione.