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Riferimenti Genealogici

Genitori:
  • Amilcare Barca

  • Fratelli e sorelle:
  • Asdrubale Barca
  • Magone Barca
  • Annibale Barca



    Figlio del famoso generale Amilcare Barca, nacque a Cartagine nel 247 a.C.
    Si dice che il padre, quando era ancora bambino, gli fece giurare eterno odio per Roma e, all'età di dieci anni, lo portò con se nella sua campagna militare nella Penisola Iberica.
    Quando Amilcare morì nel 228 a.C., il comando in Spagna passò al genero Asdrubale che lo tenne per otto anni. Dedito alla politica più che alle cose militari, Asdrubale curò l'economia spagnola e consolidò il potere cartaginese nella penisola. Fondò una città che chiamo Nuova Cartagine ( Cartagena ) e ne fece la capitale.
    Nel 226 a.C. stipulò con i Romani il Trattato dell'Ebro con il quale si impegnava a non tentare di estendere la propria influenza ontre quel fiume che veniva a definire il confine fra i territori iberici sottoposti a Roma e quelli sotto il dominio cartaginese.
    Asdrubale venne assassinato nel 221 a.C. dallo schiavo di un principe ispanico che egli aveva fatto giustiziare. L'esercito scelse allora per acclamazione il giovane Annibale.
    Appena ottenuto il comando Annibale represse alcune rivolte quindi, in aperta violazione del trattato dell'Ebro, intraprese una campagna di conquista dei territori oltre il fiume. Attaccò le popolazioni degli Olcadi e dei Vaccei conquistando Cortala (oggi Orgaz), Hermantica e Arbocola (oggi Zamora).
    La città di Sagunto, alleata dei Romani, non era ancora stata attaccata da Annibale ma i Saguntini, presentendo il pericolo già nel 220 a.C. inviarono ambasciatori a Roma per chiedere protezione.
    Il senato romano inviò una delegazione per indagare sulla situazione politica nella regione e per chiedere il rispetto del trattato dell'Ebro, ma prima che la delegazione tornasse a Roma Annibale, agendo improvvisamente, aveva attaccato Sagunto.
    L'assedio di Sagunto fu difficile, durò otto mesi ed i Saguntini non furono soccorsi dai Romani impegnati in quel periodo sull'Adriatico contro i pirati illirici.
    Annibale trascorse l'inverno seguente a Cartagena dando la possibilità ai suoi soldati di rientrare in patria per rivedere la propria famiglia.
    Intanto una nuova ambasceria romana a Cartagine si era conclusa con una reciproca dichiarazione di guerra.
    I Romani affidarono ai consoli due potenti armate: Cornelio Scipione avrebbe operato in Spagna per fermare Annibale mentre Tiberio Sempronio Longo, partendo dalla Sicilia, doveva combattere in Africa. I Romani consideravano le coste italiane difese dai loro avamposti in Sardegna ed in Sicilia che avrebbero bloccato ogni tentativo di invasione dal mare, mentre le Alpi costituivano una difesa naturale ritenuta insormontabile. Invece Annibale, concependo un piano di incredibile audacia, decise di raggiungere l'Italia via terra per portare la guerra proprio dove il nemico non prevedeva di dover combattere.
    Si trattava di superare i Pirenei e le Alpi, viaggiando in territorio straniero lontani da ogni fonte di vettovagliamento e di sostegno, inoltre il viaggio doveva essere compiuto con estrema rapidità, prima che i Romani avessero il tempo di svolgere azioni significative in Spagna o in Africa.
    Annibale, che aveva avuto notizia della dichiarazione di guerra nel mese di luglio 218, all'inizio di agosto era già in marcia verso l'Italia con circa sessantamila uomini; aveva affidato il comando in Spagna al fratello Asdrubale.
    Il viaggio da Cartagena all'Italia durò in tutto cinque mesi. Annibale dovette affrontare di volta in volta l'ostilità delle popolazioni locali e le difficoltà di rifornimento, ma l'impresa più complessa e pericolosa fu il superamento delle Alpi.
    Livio racconta che per superare il valico (probabilmente il Monginevro) i Cartaginesi resere praticabile il sentiero provocando un incendio per sciogliere il ghiaccio, spaccando pietre e lavorando indefessamente fino ad ottenere una via transitabile per se stessi, per i cavalli e per gli elefanti. Li accompagnavano guide spontaneamente fornite dai Galli Boi, conoscitori dei luoghi, che erano andati incontro ad Annibale nei pressi del Rodano. Era stata proprio l'occasione di servirsi di queste guide - dice ancora Livio - che aveva tratto Annibale dall'incertezza se proseguire il viaggio o attaccare battaglia con l'esercito di Cornelio Scipione che in quel momento si trovava molto vicino alle posizioni cartaginesi.
    Annibale aveva preferito proseguire evitando lo scontro perché era convinto che la fase decisiva della guerra si dovesse combattere in territorio italiano, portando l'attacco il più vicino possibile al cuore del potere di Roma.
    Il primo scontro su suolo straniero avvenne presso il Ticino e qui la cavalleria numida di Annibale mise subito in evidenza la propria superiorità. I Romani subirono forti perdite e lo stesso Cornelio Scipione venne ferito. Avendo compreso di non essere in grado di affrontare il nemico in pianura, Scipione si allontanò verso Piacenza, nel farlo distrusse un ponte di zattere sul Po per ostacolare il transito dei Cartaginesi.
    Intanto il console Tiberio Sempronio Longo combatteva in Sicilia, conquistava Malta, attaccava le Lipari ma veniva richiamato con l'ordine di unire il proprio esercito a quello del collega contro Annibale nell'Italia settentrionale.
    Si era preoccupati non soltanto per l'esercito cartaginese ma anche per le milizie alleate che Annibale andava raccogliendo fra i Galli nella misura di migliaia di uomini ogni settimana. Malgrado ciò i Galli mantenevano un atteggiamento estremamente ambiguo, nella speranza di ottenere vantaggi da quella che sarebbe stata la parte vincitrice.
    Cartaginesi e Romani si scontrarono di nuovo presso il fiume Trebbia, qui Annibale, che aveva affidato al fratello Magone il compito di tendere un agguato al nemico quando si fosse ritirato, riportò un'importante vittoria.
    Dopo la battaglia della Trebbia Annibale si spostò in Etruria. Durante la primavera successiva, mentre il suo esercito si trovava in grande difficoltà per l'esondazione del fiume Arno, Annibale di ammalò di malaria a causa del clima malsano e perse un occhio.
    Nella primavera del 217 a.C., Annibale sistemò il proprio campo fra i colli di Ortona ed il Lago Trasimeno ed organizzò nella zona una serie di agguati. Da questa posizione, che Annibale aveva raggiunto superando gli Appennini con una manovra per eludere Gaio Flaminio accampato ad Arezzo, i Cartaginesi cominciarono a provocare il nemico.
    Flaminio non volle attendere l'arrivo dell'altro console, Cneo Servilio Gemino, ed attaccò senza esitare e senza rendersi conto che Annibale lo aveva attirato in una gola piena di insidie. Attaccati da ogni parte i Romani vennero massacrati, il console Gaio Flaminio fu ucciso e tutti i superstiti furono fatti prigionieri.
    Colpiti dalla serie di sconfitte così ravvicinate nel tempo e preoccupatissimi per la presenza del nemico nell'Italia Centrale, i Romani decisero di ricorrere ad un provvedimento d'eccezione che non veniva attuato da molto tempo: la nomina di un dittatore. Venne letto Quindo Fabio Massimo che ebbe come maestro di cavalleria Marco Minucio Rufo.
    Fabio Massimo iniziò la sua dittatura con solenni cerimoniali propiziatorii, quindi procedette a nuovi reclutamenti e riorganizzò l'esercito. Messosi in marcia prese a seguire Annibale da vicino ma senza mai attaccarlo e rifiutando sempre di combattere, secondo quella strategia che gli valse l'appellativo di Temporeggiatore.
    Anche i consoli che presero il comando dopo Fabio Massimo, Gaio Servilio Gemino e Marco Atilio Regolo, si attennero scrupolosamente alla strategia del dittatore limitandosi a bloccare i rifornimenti dei Cartaginesi ed esasperando Annibale che all'inizio dell'inverno si trovava a corto di viveri.
    Nella primavera del 216 a.C., erano consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, Annibale era accampato presso Canne, lungo il fiume Ofanto ed i Romani concentrarono le loro legioni nelle vicinanze.
    In un primo momento Emilio Paolo ignorò le provocazioni di Annibale come gli era stato consigliato da Fabio Massimo, ma il giorno successivo il console Varrone schierò l'esercito in pieno assetto da combattimento.
    Annibale questa volta non godeva di particolari vantaggi forniti dalla sorpresa o dalla conformazione del terreno, eppure prevalse grazie alle sue capacità di stratega. Dispose ad arco le varie truppe che componevano il suo esercito in modo che i Romani avanzanbdo si trovassero accerchiati ed attaccati alle spalle dalla cavalleria. I Romani subirono a Canne una delle più gravi sconfitte della loro storia, perì anche il console Emilio Paolo mentre Varrone fuggiva a Canosa con un piccolo gruppo di uomini e qui, nei giorni successivi, prendeva a radunare i dispersi della sconfitta.
    Livio racconta che gli ufficiali di Annibale gli consigliarono, dopo Canne, di sfruttare il momento favorevole per attaccare direttamente Roma, ma Annibale esitò e prese tempo per riflettere, indugio del quale, secondo lo storico, dipesero la salvezza ed il futuro di Roma.
    Nelle settimane che seguirono la battaglia di Canne molte città dell'Italia Meridionale abbandonarono l'alleanza romana e passarono dalla parte di Annibale. La più importante fu Capua i cui abitanti erano convinti che una volta che Roma fosse stata definitivamente sconfitta e che l'esercito cartaginese avesse lasciato l'Italia, sarebbero rimasti di fatto padroni incontrastati della penisola. Questa speranza fu incoraggiata dal discorso che Annibale tenne davanti al senato una volta entrato pacificamente in città.
    Tuttavia, se Annibale aveva progettato di impadronirsi dell'intera Campania per farne il punto di partenza di un'azione contro il Lazio, aveva sbagliato i suoi calcoli sottovalutando le risorse dei Romani e dei loro alleati. Importanti città come Napoli e Nola, che il cartaginese tentò ripetutamente di conquistare, risultarono imprendibili.
    Quando Annibale, falliti questi tentativi di conquista, portò l'esercito a svernare a Capua commise, secondo Livio, un grosso errore.
    I suoi soldati infatti, abituati alla vita militare, persero gran parte del loro mordente fra i piaceri e le comodità della città campana e nella successiva campagna estiva il generale non riuscì a ripristinare la disciplina.
    Nell'estate del 215 a.C. il re di Macedonia Filippo V si alleò con i Cartaginesi. Il patto stipulato a Capua dagli ambasciatori di Filippo con Annibale prevedeva aiuti militari macedoni in cambio della collaborazione di Anniabale nella conquista della Grecia una volta conclusa la guerra in Italia.
    Nel 212 a.C., con l'aiuto del locale partito filoromano, Marco Claudio Marcello espugnò Siracusa.
    Nello stesso anno Annibale, protraendosi le vicende per la presa di Capua, decise di attaccare direttamente Roma e portò il suo esercito lungo la Via Latina fin sull'Aniene a sole tre miglia dalla città. Il console Fulvio Flacco, da Capua, guidò un esercito a sbarrargli il passo fra la Porta Collina e la Porta Esquilina e quando Annibale si avvicinò con la sua cavalleria per osservare la città fu respinto dalla cavalleria romana.
    Gli eserciti si schierarono in battaglia per due giorni consecutivi ma furono sempre dispersi da violente grandinate, fatto che - stando a Livio - Annibale considerò prodigioso.
    Scoraggiato da questo presagio e dal fatto che i Romani avevano inviato truppe in Spagna dimostrando di non temere particolarmente la sua presenza, Annibale decise di lasciare Roma e, ignorando Capua, si ritirò nel Bruzio.
    Poco dopo Capua si arrendeva ai Romani che, per punire in modo esemplare la defezione, confiscarono tutti i suoi beni pubblici e la privarono di leggi, senato e magistrature.
    Nel 210 a.C. Publio Cornelio Scipione, appena ventiquattrenne, ebbe il comando di tutte le forze in Spagna e nell'autunno di quell'anno si imbarcò per Tarragona.
    Nello stesso anno la cavalleria di Annibale subì forti perdite durante l'assedio di Salapia da parte del console Marcello.
    Marcello si portò in Lucania per affrontare Annibale nei pressi di Numistrone (Muro Lucano) in una battaglia dall'esito incerto, Annibale si ritirò inseguito per qualche tempo da Marcello.
    Nel 209 a.C. Annibale, accampato a Canosa, evitò ancora la battaglia campale con Marcello ma, costretto a combattere, sconfisse duramente i Romani; il giorno seguente, tuttavia, fu Marcello a sconfiggere i Cartaginesi.
    Mentre Annibale ripiegava sul Bruzio, Fabio Massimo conquistava Taranto e diverse città che erano in mano ai Carteginesi si arrendevano ai Romani.
    Nel 208 a.C. furono consoli Marcello e Tito Quinzio Crispino, il primo raggiunse Venezia, il secondo si portò in Lucania, quindi i due eserciti si ricongiunsero presso Venezia, non lontano dal campo di Annibale.
    Rendendosi conto di non poter affrontare due eserciti contemporaneamente, Annibale tendeva imboscate, in una di queste perse la vita Marcello ed il collega Crispino venne ferito.
    L'anno seguente, 207 a.C., furono eletti Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone.
    Asdrubale, fratello di Annibale, a capo di un nuovo esercito valicò a sua volta le Alpi agevolato dai passaggi aperti da Annibale ed entrò in Italia con il progetto di ricongiungersi al fratello in Umbria. Fu tuttavia intercettato da due eserciti consolari che ingaggiarono nei pressi del fiume Metauro una delle più importanti battaglie della seconda guerra punica.
    Asdrubale perì nel combattimento. Il console Claudio Nerone fece decapitare il cadavere ed inviò la testa ad Annibale che si rese conto di trovarsi ormai isolato in terra straniera.


    Riferimenti letteratura:
  • Polibio di Megalopoli - Storie
  • Diodoro Siculo - Biblioteca storica
  • Livio - Storia di Roma
  • Aulo Gellio - Notti Attiche
  • Plutarco - Vite di Pericle e Fabio Massimo
  • Giustino - Epitome delle Storie Filippiche Di Pompeo Trogo
  • Agostino di Ippona - La città di Dio
  • Girolamo Serra - Storia dell'antica Liguria e di Genova
  • Theodor Mommsen - Storia di Roma Antica


    Vedi anche:
  • Prontuario nomi cartaginesi



  • Indice sezione