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PLUTARCO DI CHERONEA


VITE DI LISANDRO E SILLA




VITA DI LISANDRO


Lisandro apparteneva ad una famiglia nobile ma fu allevato in povertà, educato al rispetto delle tradizioni, si mostrò presto molto ambizioso. Non amò il denaro e, pur se procurò a Sparta grandi ricchezze con la guerra contro Atene, non ne approfittò mai personalmente.
La guerra fra Sparta e Atene si prolungava, gli Ateniesi, dopo la sconfitta subita in Sicilia, si stavano riprendendo grazie alla riorganizzazione della flotta curata da Alcibiade. Gli Spartani decisero a loro volta di potenziare il proprio apparato navale e militare ed affidarono il comando della flotta a Lisandro. Questi si stabilì ad Efeso dove aprì molti cantieri e rianimò i traffici del porto, con grande beneficio per la città. Instaurò rapporti amichevoli con Ciro il Giovane, figlio del re di Persia Dario II e satrapo di Sardi, dal quale ottenne aiuti finanziari per la sua flotta.
Il primo scontro fra Lisandro e gli Ateniesi si verificò quando una nave ateniese, per provocazione, penetrò nel porto di Efeso. La battaglia, che fu vinta dagli Spartani, non fu un episodio rilevante se non per il discredito che ne derivò per Alcibiade, il quale venne destituito dal comando.
Lisandro si procurò numerosi sostenitori dei quali favoriva, spesso senza scrupoli, l'avidità e le ambizioni. Quando scadde la sua carica di navarco (406 a.C.) venne sostituito dal giovane Callicratida.
Lisandro si adoperò per denigrare e mettere in difficoltà il successore, questi dovette a sua volta cercare l'aiuto di Ciro il Giovane ma senza ottenerlo e morì poco dopo nella battaglia delle Arginuse. Una legge vietava a chiunque di ricoprire per due volte la carica di navarco ma gli Spartani, per compiacere i loro alleati e Ciro il Giovane, trovarono un espediente per reintegrare Lisandro nel comando.
Qui Plutarco da un primo ritratto negativo di Lisandro: disonesto e opportunista esaltava la giustizia solo quando ne traeva vantaggio, privilegiando sempre il proprio tornaconto. Anche nelle cose militari si serviva dell'inganno usando dire "dove non arriva la pelle di leone bisogna cucirvi sopra quella di volpe".
A Mileto, dove Callicratida aveva trasferito il quartier generale della navarchia, Lisandro sostenne gli aristocratici mentre tramava per provocare un'insurrezione popolare che poi egli stesso represse nel sangue.
Ciro il Giovane rinnovò i suoi aiuti a Lisandro e gli promise, prima di partire per incontrare il padre Dario II, di procurargli molte navi per ingrandire la flotta. In attesa di questi rinforzi Lisandro si dedicò alla conquista di alcune isole, quindi attaccò e conquisto Lampsaco.
Ad Egospotami, non lontano da Lampsaco, la flotta spartana fu raggiunta da quella ateniese ma Lisandro rifiutò il combattimento per cinque giorni dando l'impressione di non sentirsi preparato per lo scontro. Gli Ateniesi acquistarono coraggio e finirono per diminuire l'attenzione. Il quinto giorno Lisandro attaccò improvvisamente catturando molte navi mentre le sue truppe di terra, lungo la costa, massacravano gli Ateniesi che erano sbarcati. Dopo una cruenta ma brevissima battaglia la flotta ateniese era distrutta (si salvarono solo poche navi sotto la guida dello stratego Conone) e la guerra del Peloponneso, così lunga e complessa, era finalmente terminata.
La rapidità della vittoria fece pensare a molti ad un intervento degli dei, non mancò chi disse di aver visto i Dioscuri presso la nave di Lisandro e chi speculò sul prodigio di una grande pietra caduta dal cielo presso i luoghi della battaglia.
Lisandro affermò l'egemonia spartana sulle città sottomesse e su quelle alleate comportandosi da tiranno, conferendo cariche e primati ai suoi amici e rendendosi complice di stragi, ingiustizie e proscrizioni. Infine Lisandro assediò Atene costringendo i cittadini alla resa. Le condizioni imposte dagli efori furono dure: la distruzione del Pireo e delle Lunghe Mura, lo sgombero di tutte la città già nella sfera ateniese con il rientro in patria di tutti gli Ateniesi che vi si trovavano, il sequestro di tutte le navi.
In un clima di terrore, Lisandro modificò la costituzione ateniese sopprimendo la democrazia ed istituendo il consiglio dei Trenta al quale affidò il governo della città. Consegnò le grandi ricchezze che aveva accumulato durante la guerra a Gilippo perché le portasse a Sparta. Gilippo si impadronì di una parte del bottino e, scoperto, venne esiliato.
Molti Spartani furono contrari all'introduzione delle monete in argento e oro ed in generale al lusso ed alla ricchezza così lontani dal loro tradizionale stile di vita.
Nonostante la sua smisurata ambizione Lisandro disprezzava il denaro e non ne tenne per se destinando tutti i ricchi doni che riceveva alla città ed alle offerte votive. La dittatura di Lisandro corse un grave rischio quando fu denunciato dal satrapo della Frigia Ellespontica Farnabazo, alleato degli Spartani, nella cui provincia Lisandro aveva compiuto numerosi saccheggi.
Gli efori richiamarono Lisandro a Sparta per giudicare il suo comportamento. Preoccupato Lisandro fece visita a Farnabazo pregandolo di ritirare la denuncia ed ottenere dal satrapo una lettera sigillata da presentare agli efori. Ma Farnabazo aveva ingannato Lisandro e sostituito all'ultimo momento la lettera con una nuova denuncia, aggravando notevolmente la situazione.
A fatica Lisandro ottenne il permesso di allontanarsi da Sparta con il pretesto di recarsi in Africa per sciogliere una promessa votiva fatta al dio Ammone prima delle sue battaglie ma durante la sua assenza i due re scacciarono da Sparta molti sostenitori di Lisandro.
Nel frattempo, in Atene, i trenta tiranni erano stati deposti da una rivolta democratica. A questa notizia Lisandro tornò rapidamente a Sparta e convinse i cittadini ad intervenire e a rendergli il comando, tuttavia uno dei due re - Pausania - lo accompagnò per impedire che si impadronisse del potere.
Pausania sedò la rivolta e, riconciliando gli Ateniesi, stroncò i progetti tirannici di Lisandro ma presto una nuova ribellione capovolse la situazione e la responsabilità ricadde su Pausania.
Alla morte di Agide II Lisandro convinse il fratello di questi Agesilao a pretendere il trono opponendosi a Leotichida, figlio di Agide, la cui paternità era dubbia, correva infatti voce che fosse figlio di Alcibiade che aveva avuto una relazione con la moglie di Agide.
Dopo l'elezione di Agesilao, Lisandro convinse il nuovo re ad intraprendere una spedizione in Asia Minore contro i Persiani (spedizione che durò dal 396 al 394 a.C.). Agesilao prese con se Lisandro come suo consigliere ma presto divenne geloso del prestigio personale del generale e prese ad umiliarlo e ad allontanarlo. Lisandro fu per qualche tempo ambasciatore nell'Ellesponto ma non ebbe più incarichi militari. Allo scadere del mandato, pieno di rancore, tornò a Sparta deciso a destituire le due famiglie regnanti e a far riconoscere la possibilità di ascendere al trono a tutti gli Spartiati confidando che, se questa riforma fosse stata approvata, nessuno avrebbe potuto competere con lui.
Per raggiungere il suo scopo Lisandro si servì di tutto il suo prestigio e potere personali, ma anche di inganni e corruzione. Consapevole che oratoria e politica non sarebbero bastati a promuovere una riforma tanto radicale, cercò di corrompere le sacerdotesse degli oracoli ed i sacerdoti del dio Ammone in Africa perché convincessero la popolazione che il grande cambiamento era voluto dagli dei.
Arrivò ad inscenare una complicata storia approfittando della diceria che nel Ponto da una ragazza sedotta da Apollo fosse nato un figlio del dio. Lisandro rintracciò il ragazzo e corruppe alcuni sacerdoti perché consegnassero pubblicamente al giovanotto certi scritti oracolari segreti che, ovviamente, erano stati compilati ad arte per dimostrare le sue tesi.
La finzione non ebbe successo perché uno dei sacerdoti corrotti, vinto dalla paura all'ultimo momento la fece fallire.
Lisandro morì prima del ritorno di Agesilao, nel corso della guerra beotica. Plutarco presenta varie concause di questa guerra che fu combattuta fra Sparta e Tebe fra il 395 ed il 386 a.C., fra cui l'opera di corruzione dei Persiani che avrebbero finanziato le città della Beozia contro Sparta per costringere Agesilao a tornare in patria ed abbandonare l'offensiva in Asia.
I Tebani, inoltre, avevano contribuito ad abbattere i Trenta Tiranni in Atene e, in generale, avevano contrastato l'egemonia spartana. Lisandro fu fra i principali promotori della guerra ed ottenne il comando di una parte dell'esercito per attaccare la Beozia attraverso la Focide mentre Pausania ed il resto delle forze, dopo un lungo giro, dovevano giungere dalla direzione opposta.
I Tebani riuscirono a prevenire il tentativo di occupare la città di Aliarto e Lisandro, che non si era ancora ricongiunto con Pausania, morì in combattimento e le sue truppe persero molti uomini.
A Pausania non rimase che chiedere una tregua per recuperare i corpi dei caduti. Lisandro fu sepolto in territorio non ostile agli Spartani, lungo la strada fra Delfi e Cheronea. Dopo la sua morte venne in evidenza l'estrema povertà in cui era vissuto non appropriandosi mai delle ricchezze che aveva procurato alla patria.

VITA DI SILLA


Silla era di famiglia patrizia. Un suo antenato, Publio Cornelio Rufino, raggiunse il consolato nel 290 a.C. ma subì anche il disonore di essere espulso dal Senato quando si seppe che possedeva, contro la legge, oltre dieci libre d'argento. La famiglia non era ricca e lo stesso Silla condusse in gioventù un tenore di vita dimesso tanto da suscitare sospetti di disonestà con la successiva agiatezza.
Aveva gli occhi chiari ed un colorito rossiccio punteggiato dall'eritema. Amava mangiare, bere e circondarsi di mimi, comici e ballerine. Da giovane si invaghì di un attore e continuò ad amarlo per tutta la vita. Ebbe anche una lunga relazione con una prostituta che alla fine lo lasciò erede delle sue sostanze. Con questa eredità e con quella della matrigna raggiunse una discreta situazione economica.
Divenuto questore nel 107 a.C., Silla partì con Mario per la guerra contro Giugurta. In Africa entrò in buone relazioni con Bocco, re di Mauretania, alleato e suocero di Giugurta del quale accolse e protesse alcuni ambasciatori.
Bocco, che detestava Giugurta, decise di tradirlo e lo consegnò a Silla. In questo modo la guerra fu vinta e Mario celebrò il trionfo, non senza gelosia per il prestigio improvvisamente acquisito dal suo questore. Silla continuò a militare sotto Mario, come legato riuscì a catturare Copillo, capo dei Tectosagi, come tribuno militare convinse i Marsi ad allearsi con i Romani.
Consapevole della gelosia di Mario, Silla si avvicinò a Quinto Lutazio Catulo che gli affidò volentieri importanti incarichi. Combattè contro i barbari che vivevano sulle Alpi reprimendo alcune insurrezioni. Al suo ritorno a Roma decise di intraprendere la carriera politica: ebbe l'edilità, la pretura, quindi venne inviato in Cappadocia.
Molto controversa è la datazione delle cariche rivestite da Silla in questo periodo: vengono collocate dagli autori antichi e dagli studiosi moderni in anni diversi fra il 99 ed il 91 a.C.
In Cappadocia (ma probabilmente la sua vera carica fu quella di propretore in Cilicia con giurisdizione anche sulla Cappadocia) Silla doveva reinsediare sul trono Ariobarzane che era stato scacciato da un usurpatore, ma la missione aveva anche lo scopo di contenere le mire di Mitridate VI Eupatore re del Ponto che in quel periodo aveva iniziato i suoi tentativi di espansione.
Silla svolse con successo il suo compito ed intavolò trattative diplomatiche con i Parti.
La rivalità fra Mario e Silla aumentava ed incendiava gli animi, tuttavia lo scontro fu rimandato a causa dello scoppio della guerra sociale. Durante questa guerra Mario non riuscì a compiere imprese di rilievo mentre Silla ottenne grandi successi. Cominciò a nascere la sua fama di uomo fortunato, cioè di prediletto dalla dea Fortuna (Felix). Silla accettava volentieri questa fama, anzi si sforzava di accrescerla e nelle sue memorie sostenne di essere nato più per la fortuna che per la guerra e di essere un "figlio del destino".
Il suo comportamento era spesso incoerente e contraddittorio, adulava chi poteva essergli utile e mostrava di disprezzare chi aveva bisogno di lui, puniva i suoi soldati con pene mai proporzionate alla colpa. Indifferente al giudizio altrui, si preoccupava soltanto di annientare Mario e di ottenere il comando della guerra mitridatica.
Dopo la guerra sociale, Silla ottenne il consolato con Quinto Pompeo (88 a.C.) e sposò Cecilia Metella, figlia del pontefice massimo Metello Dalmatico.
In precedenza Silla aveva avuto tre mogli: Ilia [Iulia o Giulia, cognata di Mario] , Elia e Clelia, quest'ultima ripudiata con il pretesto della sterilità poco prima del matrimonio con Metella.
Il consolato non bastava a Silla che nutriva ben altre ambizioni ma i suoi progetti erano ostacolati da Mario che, nonostante la vecchiaia, aspirava ancora alla gloria ed al successo e che cominciava ad ordire la "sedizione funestissima" che tanti danni procurò ai Romani. Si riteneva che questa sedizione fosse stata preannunciata da una serie di infausti prodigi dei quali Plutarco fornisce un rapido resoconto.
Il tribuno Sulpicio Rufo, del quale Plutarco presenta un ritratto estremamente negativo, propose che il comando nella guerra mitridatica fosse assegnato a Mario che era riuscito a farlo passare dalla sua parte.
I consoli in carica (Quinto Pompeo e lo stesso Silla) reagirono dichiarando la sospensione degli affari pubblici per impedire l'approvazione della proposta, tuttavia Sulpicio riuscì a scatenare disordini gravissimi nei quali perse la vita il figlio di Pompeo e costrinse Silla a revocare la sospensione.
Silla fuggì e raggiunse le sue legioni prima dei tribuni militari che erano stati incaricati di prenderle in consegna: i soldati lapidarono i tribuni mentre a Roma i seguaci di Mario massacravano gli amici di Silla.
Consultati gli aruspici, Silla decise di marciare sulla città. Quando giunse a Roma con le legioni si fece strada con il fuoco incendiando le case. "Accecato dalla passione, scrive Plutarco, non ragionava più, ma lasciava che fosse l'ira a guidare le sue azioni."
Silla riunì il Senato e fece condannare a morte Mario e Sulpicio, quest'ultimo venne immediatamente sgozzato. Plutarco depreca la condanna di Mario come atto sleale ed ingeneroso considerando che durante i disordini Mario aveva salvato la vita di Silla nascondendolo nella sua casa.
Senato e popolo mostravano odio e risentimento verso Silla il quale, per migliorare la situazione, fece eleggere console Lucio Cinna, del partito avversario facendogli comunque prestare giuramento di lealtà.
In quel periodo Mitridate aveva esteso il suo dominio in Asia e continuava la sua campagna di conquista. Il generale Archelao, a capo della flotta, operava in Grecia ed aveva incontrato un serio ostacolo solo nel romano Bruzio Sura, legato del pretore di Macedonia Caio Senzio. Tuttavia Bruzio venne rimosso da Lucullo, legato di Silla, e fece rientro in Macedonia.
Tutte le città greche aprirono le porte a Silla tranne Atene che venne cinta d'assedio. Per finanziare l'assedio di Atene Silla operò senza scrupoli sequestrando l'intero tesoro di Delfi.
Fra le ragioni dell'accanimento di Silla nell'assedio Plutarco considera il comportamento del tiranno di Atene Aristone (un uomo probabilmente imposto da Mitridate) che dalle mura insultava spesso lo stesso Silla e sua moglie Cecilia Metella che lo aveva accompagnato nell'impresa.
Silla conquistò Atene e fece strage dei suoi abitanti e se non li eliminò tutti fu per l'intercessione dei senatori romani che erano con loro. Presa Atene si portò in Beozia perchè temeva che l'Attica non fosse in grado di fornire risorse adeguate per il sostentamento del suo esercito. Qui ricevette rinforzi, probabilmente provenienti dalla Macedonia.
Nonostante la netta superiorità del nemico, la strategia di Silla ed il valore dei suoi ufficiali Gabinio, Murena ed Ortensio portarono alla vittoria di Cheronea nella quale le truppe di Archelao vennero duramente sconfitte dai Romani (86 a.C.). Plutarco fornisce una dettagliata descrizione della battaglia, delle manovre dei due eserciti e dei luoghi in cui si svolsero, luoghi che doveva conoscere per esperienza diretta essendo Cheronea la sua città natale.
Giunse notizia che da Roma un esercito comandato da Valerio Flacco (mariano, successore di Mario nel consolato) si stava portando in Grecia per partecipare alla guerra. Silla comprese che Flacco avrebbe agito contro di lui e si spostò in Tessaglia per affrontarlo ma giunto ad Orcomeno si scontrò con un nuovo esercito di Mitridate VI comandato da Dorilao che giungeva a soccorrere Archelao ed i superstiti di Cheronea. Ad Orcomeno Silla riportò una seconda grande vittoria compiendo una tale strage di nemici che duecento anni dopo, ai tempi di Plutarco, era ancora possibile rinvenire nella palude vicina ai luoghi della battaglia archi barbarici, elmi ed altre armi.
Le notizie che provenivano da Roma, dove Lucio Cinna stava spargendo il terrore, spinsero Silla a ricercare una rapida soluzione della guerra. Egli quindi accettò di buon grado di incontrare Archelao per trattare le condizioni di resa.
Durante le trattative Silla non fece alcuna concessione davanti alle resistenze ed alle esitazioni di Mitridate il quale era interessato alla pace perché preoccupato dall'avanzare contro di lui dell'esercito romano, quello che Valerio Flacco aveva guidato in Oriente. Valerio Flacco era stato ucciso dal suo legato Fimbria che aveva assunto il comando ed ora stava marciando direttamente verso il Ponto. Infine Archelao organizzò a Dardano un incontro fra Silla e Mitridate VI Eupatore. Quest'ultimo accettò le condizioni poste da Silla e la pace fu conclusa.
Davanti ai suoi soldati che avrebbero voluto vedere Mitridate più duramente punito, Silla si giustificò spiegando che non avrebbe potuto resistere a Mitridate e Fimbria insieme se si fossero alleati.
Prima di rientrare in Italia, Silla si preparò ad affrontare Fimbria ma i soldati dei due eserciti fraternizzarono senza combattere e Fimbria si suicidò. Al suo rientro in Italia Silla si trovò ad affrontare le forze schierate dai suoi avversari guidate da Caio Mario il Giovane e dal console Norbano, ed inferse loro una prima sconfitta nei pressi di Capua.
In una serie di scontri successivi sconfisse o disperse i suoi oppositori. Mario il Giovane fu costretto a rifugiare a Preneste, il console Scipione vide gran parte del suo esercito disertare per unirsi agli uomini di Silla; il più importante dei suoi avversari, Gneo Papirio Carbone, fuggì dal proprio esercito e si imbarcò per l'Africa.
L'ultimo scontro fu con Ponzio Telesino, capo dei Sanniti. Costui stava accorrendo a Preneste quando si rese conto di rischiare di rimanere intrappolato dalle truppe di Silla. Con grande audacia decise di attaccare direttamente Roma, che in effetti era poco difesa in quel momento, e riuscì a fare molte vittime prima dell'arrivo di Silla.
Anche Silla, i cui soldati erano stremati dalle molte battaglie combattute, ebbe grandi difficoltà e subì gravi perdite. Soltanto il giorno successivo riuscì ad avere la meglio sui Sanniti e fece giustiziare in piazza seimila prigionieri mentre, per la prima volta dal suo ritorno, rientrava in Senato.
Hanno così inizio le proscrizioni: l'eliminazione sistematica di tutti i rivali di Silla ma anche di molti cittadini estranei alla politica che cadevano vittime di vendette personali come sempre accade in clima di terrore. Migliaia e migliaia furono gli assassinati, anche a causa delle ricche taglie che Silla pagava a chi uccideva un proscritto.
In quel periodo Mario il Giovane si suicidò per evitare di essere catturato. Silla punì i dodicimila abitanti di Preneste, colpevoli di aver ospitato e protetto Mario, uccidendoli tutti.
Autoproclamatosi dittatore, Silla si arrogò i pieni poteri e la completa impunità. Operò ogni genere di abuso. Costrinse Pompeo Magno, con il quale voleva imparentarsi a ripudiare la moglie e a sposare Emilia, figlia di primo letto di Cecilia Metella, la quale era incinta e morì poco dopo di parto.
Fece sgozzare Lucrezio Ofella, suo luogotenente e conquistatore di Preneste perché aveva osato candidarsi al consolato senza il suo consenso.
Celebrò il trionfo per la vittoria su Mitridate (27 e 28 gennaio 81 a.C.) e si fece attribuire l'appellativo di Felix per sottolineare come la fortuna lo avesse sempre assistito, e quando Cecilia Metella partorì due gemelli li volle chiamare Fausto e Fausta.
Infine depose la dittatura consentendo libere elezioni consolari e si ritirò a vita privata.
Contravvenendo alle leggi che egli stesso aveva emanato si diede uno stile di vita lussuoso e molto dispendioso, offrendo banchetti che si protraevano per più giorni. Cecilia Metella si ammalò e per evitare che la morte contaminasse la sua casa la ripudiò mentre era ancora viva e la fece trasportare altrove.
Rimasto vedovo, Silla si sposò per la quinta volta con Valeria, figlia di Marco Valerio Messalla, che aveva casualmente conosciuto durante uno spettacolo di gladiatori e che lo aveva sedotto con la sua civetteria.
Nonostante il nuovo matrimonio Silla continuò a vivere con i suoi costumi dissoluti, circondandosi di attrici e mimi e bevendo smodatamente. Tutto ciò acuì una malattia che aveva contratto da qualche tempo, malattia che Plutarco definisce "verminosi".
Da un ascesso intestinale i parassiti si diffusero rapidamente in tutto il corpo provocando orrendi sintomi di decomposizione e portando Silla ben presto alla morte.
Molti chiesero che gli fossero negati gli onori funebri ma per intercessione di Pompeo il cadavere fu trasportato a Roma dove ricevette le più solenni esequie.
Sulla sua tomba nel Campo Marzio si leggeva un epitaffio composto dallo stesso Silla che diceva che nessun amico lo superò nel fare il bene e nessun nemico nel fare il male.

CONFRONTO FRA LISANDRO E SILLA


L'analogia fra i due personaggi per Plutarco consiste nel fatto che raggiunsero il potere solo grazie alla proprie forze e qualità, la prima differenza nel consenso dei cittadini che mancò a Silla e non a Lisandro.
Operando in uno stato sano, Lisandro si servì di mezzi sostanzialmente legali e pur rimanendo al potere assoluto non stravolse le leggi di Sparta. Silla invece visse in un'epoca di scelleratezza e corruzione e ne approfittò in ogni modo per il proprio personale tornaconto. Lisandro ebbe la colpa di favorire tutti gli amici, Silla quella di nuocere a chiunque pur di tenere saldamente il potere.
Lisandro danneggiò la sua città portandovi troppe ricchezze e spingendo i concittadini al lusso ed a vizi dai quali egli stesso si asteneva scrupolosamente, mentre Silla per tutta la vita coltivò le proprie depravazioni e danneggiò Roma impoverendola con i suoi abusi.
Sul piano militare Silla non teme alcun confronto e le vittorie di Lisandro sono poca cosa rispetto alle campagne di Silla che ottenne successi molto più numerosi contro nemici ben più temibili.
Plutarco considera la vittoria su Mitridate come la più gloriosa impresa di Silla che in quel caso seppe anteporre il bene comune all'interesse personale rifiutando le offerte del nemico e rimanendo fermo sulle sue posizioni.
In conclusione Plutarco assegna a Silla (che ebbe più successi) il primato come comandante militare mentre Lisandro (che commise meno errori) viene riconosciuto superiore nella padronanza di se e nella temperanza.