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ODISSEA


CANTO I

Invocazione alla Musa perché narri le gesta e le avventure dell'artefice della caduta di Troia. Sono trascorsi dieci anni dalla fine della guerra e tutti i Greci sopravvissuti sono tornati in patria ad eccezione di Ulisse, trattenuto nell'isola di Ogigia dalla ninfa Calipso, innamorata di lui. Tutti gli dei provano compassione per Ulisse, tranne Poseidone, adirato contro l'eroe che ha accecato suo figlio Polifemo (canto IX).
Mentre Poseidone riceve sacrifici nella terra degli Etiopi, gli dei si riuniscono nella reggia di Zeus.
Zeus parla di Egisto, amante di Clitennestra e assassino di Agamennone, a sua volta ucciso da Oreste, che aveva ignorato i consigli di Mercurio e perseverando nei suoi intenti era andato ineluttabilmente contro la morte.
Atena porta subito il discorso sulle pene del suo protetto Ulisse e critica Zeus per il suo accanimento contro l'itacense, ma Zeus ribatte che non sua, ma di Poseidone è l'ira che provoca le sciagure di Ulisse e incita gli dei a trovare una soluzione.
Atena chiede a Zeus di inviare Poseidone da Calipso con l'ordine di lasciar partire Ulisse ed assunto l'aspetto del vecchio Mente re dei Tafi ed amico di Laerte, si reca ad Itaca per aiutare Telemaco.
La casa di Itaca è occupata dai Proci, principi degli stati vicini, che gozzovigliano in attesa che Penelope scelga fra loro un nuovo sposo.
Qui Telemaco accoglie l'ospite. Mentre, offrendogli cibo e riposo, i due siedono in disparte, tenendosi fuori dalla confusione dei Proci ubriachi, Telemaco confida al vecchio le proprie pene ed il suo sdegno verso gli abusi dei Proci. Atena lo conforta e gli consiglia di riunire il popolo di Itaca rendendo noto a tutti il comportamento dei Proci, quindi di partire alla volta di Pilo e di Sparta per chiedere a Nestore ed a Menelao notizie di Ulisse.
Ciò detto Atena si congeda e Telemaco comprende di aver parlato con una divinità.
Tornato tra gli ospiti del banchetto Telemaco incontra Penelope che sta pregando l'aedo Femio di non cantare più le gesta degli eroi greci a Troia, argomento che le ricorda Ulisse riempiendola di malinconia. Con nuova autorità Telemaco la esorta a ritirarsi e Penelope, impressionata, torna alle sue stanze, dove Atena le invia un gradevole sonno. Telemaco apostrofa arditamente i Proci ordinando loro di sgombrare, e polemizza con Antinoo; Eurimaco gli chiede notizie del misterioso ospite e Telemaco risponde che si tratta di Mente dei Tafi ma è ormai convinto di essere stato visitato da Atena. Infine scende la notte e Telemaco si ritira nella sua stanza accompagnato dalla fedele Euriclea.

CANTO II
Al mattino Telemaco convoca l'assemblea degli itacensi. E' la prima assemblea dopo la partenza di Ulisse, come nota il vecchio Egizio. Telemaco denuncia con fermezza all'assemblea il comportamento dei pretendenti e gli abusi che essi compiono nella sua casa.
Le sue parole sono confutate da Antinoo, il più prepotente dei Proci: la colpa è di Penelope, dice Antinoo, che temporeggia da più di tre anni ed ha ingannato i suoi spasimanti con l'espediente della tela. Penelope aveva infatti chiesto ai Proci di attendere finchè non avesse completato la tessitura del velo funebre per Laerte, padre di Ulisse ma disfacendo di notte il lavoro del giorno era riuscita a guadagnare tempo finchè l'inganno non era stato scoperto. Mentre Telemaco risponde maledicendo i Proci, Zeus invia un prodigio. Due aquile volano sull'assemblea e combattono ferendosi a sangue prima di dileguarsi.
L'indovino Aliterse, figlio di Mentore, interpreta il prodigio come un segno dell'imminente ritorno di Ulisse e della sua vendetta sui pretendenti. Non viene creduto, anzi Eurimaco lo minaccia di morte ed insiste perché Telemaco induca Penelope a risposarsi. Telemaco chiede che gli si prepari una nave per andare in cerca di notizie di Ulisse a Pilo ed a Sparta: se entro un anno non avrà avuto conferma che il padre sia ancora vivo tornerà ad Itaca e gli tributerà adeguati onori funebri, quindi acconsentirà finalmente che la madre contragga un nuovo matrimonio. Il vecchio Mentore, amico di Ulisse e tutore di Telemaco tenta di sollevare la folla contro i Proci ma senza risultato. Sconsolato Telemaco si apparta sulla spiaggia per pregare Atena e questa gli appare con l'aspetto di Mentore esortandolo a partire e promettendo di assisterlo durante il viaggio. Tornato a casa Telemaco viene deriso dai Proci che sono ben lieti di vederlo partire e sperano che muoia fra i molti pericoli del viaggio.
Telemaco prende congedo dalla nutrice Euriclea, che tenta di trattenerlo.
Intanto Atena, nelle sembianze del giovane principe, organizza la nave e l'equipaggio, quindi fa addormentare i Proci perché non tentino di danneggiare Telemaco durante la partenza o di inseguirlo.
Ripreso l'aspetto di Mentore, Atena avverte Telemaco che la nave è pronta, caricate le provviste per il viaggio Telemaco ed il suo equipaggio lasciano il porto di Itaca. Accanto a Telemaco la dea, sempre apparendo come Mentore, ordina ai venti di soffiare propizi alla navigazione così che si giunga in una sola notte a Pilo, patria di Nestore.

CANTO III

Telemaco, sempre accompagnato dal falso Mentore, viene ricevuto da Nestore che trova intento con la sua gente a sacrificare agli dei. Fra gli altri è Pisistrato, figlio di Nestore.
Dopo aver offerto da bere agli ospiti Nestore li interroga sulla loro identità, quindi comincia a narrare la partenza degli Achei da Troia. La guerra era durata dieci anni, al momento della partenza si era accesa una controversia fra Menelao, che voleva partire subito, ed Agamennone che voleva trattenersi per offrire sacrifici.
Una parte dei Greci infine partirono con Menelao e fra questi Ulisse, ma giunto a Tenedo, a causa di nuove discordie, Ulisse tornò indietro e da quel momento Nestore non ebbe più sue notizie.
Quanto agli altri Nestore sa che i Mirmidoni tornarono in patria guidati da Neottolemo, figlio di Achille; così i Cretesi guidati da Idomeneo.
Agamennone fu ucciso da Egisto e vendicato dal figlio Oreste.
Telemaco e Nestore parlano quindi della situazione ad Itaca ed il giovane impreca contro gli dei che non gli danno la forza di cacciare i Proci.
Poi Telemaco chiede a Nestore di raccontare più dettagliatamente la fine di Agamennone. Nestore narra: Egisto sedusse Clitennestra dopo aver eliminato il vecchio poeta che, per incarico di Agamennone, vegliava sulla sua fedeltà. Tornato in patria, Agamennone fu ucciso a tradimento da Egisto, il quale si impadronì del regno e governò Micene per sette anni.
Al momento del delitto Menelao era ancora in viaggio, deviato da una tempesta. Durante l'ottavo anno Oreste, figlio di Agamennone, vendicò il padre uccidendo Egisto e Clitennestra. Nello stesso giorno giungeva in patria anche Menelao. A questo punto Nestore consiglia a Telemaco di recarsi a Sparta dove può sperare di avere da Menelao notizie più recenti.
Atena, che ha sempre l'aspetto di Mentore ringrazia Nestore per l'ospitalità, gli consiglia di mandare il figlio Pisistrato ad accompagnare Telemaco ed improvvisamente scompare, svelando la sua vera natura. Nestore si compiace con Telemaco dell'intervento divino, certamente anticipatore di lieti eventi e dispone che l'indomani vengano offerti ad Atena solenni sacrifici, quindi offre all'ospite un banchetto ed una notte di riposo nella sua casa.
All'alba Nestore ed i suoi figli organizzano il rito ed il fabbro Laerce riveste d'oro le corna della mucca sacrificale.
Compiuto il sacrificio Policasta, figlia di Nestore, lava ed unge Telemaco, quindi lo veste di un ricco manto per farlo sedere accanto al vecchio re. Dopo il cerimoniale Telemaco, accompagnato da Pisistrato parte su un carro alla volta di Sparta.

CANTO IV

Nella reggia di Menelao si sta festeggiando il matrimonio dei due figli del re: Ermione che sposa Neottolemo e Megapente, avuto da una schiava, che sposa la figlia di Alettore.
Telemaco e Pisistrato, appena giunti, vengono invitati a partecipare al sontuoso banchetto. I giovani sono stupefatti dal lusso della reggia, tanto da paragonarla a quella di Zeus, ma Menelao confida loro di non essere felice.
Dopo dieci anni di guerra ed otto di viaggio, egli non è felice: ha conosciuto enormi sofferenze e suo fratello è stato ucciso vilmente.
Fra le sue molte angosce Menelao cita la scomparsa di Ulisse ed il suo sconosciuto destino. A queste parole Telemaco si commuove e Menelao intuisce di chi si tratti. Sopraggiunge Elena che riconosce a sua volta Telemaco per la sua grande somiglianza con Ulisse.
Parla Pisistrato per confermare 'identità di Telemaco e svelare di essere figlio di Nestore e fratello di Antiloco, caduto a Troia. Dopo un momento di generale commozione si riprende a banchettare, Elena introduce nel vino un farmaco che induce all'allegria.
Elena ricorda quindi l'astuzia ed il coraggio con cui una volta Ulisse, travestito da mendicante, si era introdotto a Troia per spiare il nemico.
Solo lei l'aveva riconosciuto, senza per altro tradirlo. A sua volta Menelao ricorda l'impresa del cavallo di Troia e la saggezza di Ulisse che aveva dissuaso lui ed altri compagni, durante l'attesa nel ventre del cavallo, dal rispondere ai richiami che la stessa Elena mandava dall'esterno, imitando le voci delle loro mogli.
L'indomani Telemaco chiede a Menelao notizie di Ulisse, raccontandogli dei Proci e della situazione ad Itaca. Effettivamente Menelao ha notizie di Ulisse e racconta come le ha avute: durante il viaggio di ritorno aveva tralasciato i sacrifici ed era stato punito dagli dei che avevano sospinto la sua nave sull'isola di Faro, presso la corte egiziana.
Qui era rimasto bloccato per venti giorni, infine era stato aiutato da Idotea, figlia della divinità marina Proteo. Idotea lo aveva aiutato a catturare il vecchio Proteo per conoscere dalle facoltà divinatorie del Dio il modo di proseguire il viaggio. Travestiti con pelli di foca Menelao ed alcuni compagni avevano teso un agguato nella grotta dove il vecchio usava riposare. Proteo si era difeso cambiando forma più volte ma alla fine era stato costretto ad aiutare i Greci. Il vecchio aveva consigliato a Menelao di recarsi a compiere sacrifici in Egitto per placare gli dei e poter ripartire. Gli aveva inoltre raccontato la morte di Aiace d'Oileo, affogato per aver offeso Poseidone, e quella di Agamennone ucciso da Egisto, amante di Clitennestra. Infine gli aveva rivelato che Ulisse era trattenuto da Calipso nell'isola di Ogigia.
Ora Menelao vorrebbe trattenere Telemaco ma questi, ansioso di raggiungere i suoi compagni in attesa a Pilo, prende commiato.
Intanto ad Itaca i Proci continuano a banchettare, ma Antinoo, preoccupato per il viaggio di Telemaco e per gli aiuti che questi potrebbe trovare a Pilo e a Sparta decide di tendere un agguato al giovane, aspettandolo in mare presso Itaca.
Ne viene informata Penelope che aveva fino a quel punto ignorato la partenza del figlio. Alla disperata regina non resta che pregare Atena finchè questa, impietosita, non la fa addormentare. Penelope, per opera della dea, sogna la sorella Iftima che la rassicura sul destino di Telemaco ma rifiuta di darle notizie di Ulisse. All'alba Penelope si sveglia pervasa di inconsueta tranquillità.

CANTO V

E' l'alba. Gli dei si riuniscono sull' Olimpo ed Atena insiste a chiedere che si aiuti Ulisse a tornare in patria. Zeus ordina a Mercurio di visitare Calipso perché lasci partire Ulisse su una zattera. Dopo venti giorni di navigazione - dice Zeus - egli approderà alla terra dei Feaci che lo aiuteranno a raggiungere Itaca. Mercurio trova Calipso nella sua dimora in un ambiente idilliaco, fra splendidi alberi e fiori, ma Ulisse non è con lei: siede sulla spiaggia piangendo di nostalgia.
Calipso accoglie degnamente Mercurio offrendogli un banchetto di nettare ed ambrosia ma, udita la volontà di Zeus, inorridisce ed impreca, tuttavia deve rassegnarsi. Partito Mercurio Calipso cerca Ulisse e lo informa. Egli dovrà preparare la zattera, lei gli fornirà vesti e provviste, ma Ulisse diffida, temendo un inganno, e chiede alla dea di giurare.
Calipso giura sulla terra, sul cielo e sulle acque dello Stige, giuramento sacro per gli dei. Durante l'ultimo banchetto Calipso tenta ancora inutilmente di convincere Ulisse a rimanere con lei. L'indomani, all'alba Ulisse inizia a costruire la sua zattera. Il lavoro dura quattro giorni, Calipso, definitivamente rassegnata aiuta Ulisse e gli prepara la vela. Dopo un ultimo saluto, infine, Ulisse prende il largo.
Quando Ulisse ha già avvistato la terra dei Feaci, viene notato da Poseidone, di ritorno dall'Etiopia. Furioso, il dio del mare, scatena la tempesta rovesciando la zattera. Ulisse viene soccorso dalla dea marina Leucotea che gli fa dono di una fascia miracolosa che lo aiuterà a raggiungere a nuoto la terraferma. Prudente come sempre Ulisse diffida anche di Leucotea e decide di rimanere aggrappato alla zattera ma quando un'onda più violenta distrugge la fragile imbarcazione è costretto a seguire il consiglio di Leucotea. Dopo tre giorni, con l'aiuto di Atena che ha intanto placato i venti, Ulisse giunge a nuoto in vista della terra e la dea lo aiuta di nuovo ispirandogli il consiglio del punto migliore dove prendere terra evitando gli scogli.
Infine Ulisse giunge stremato sulla spiaggia alla foce di un fiume e, memore dalla richiesta di Leucotea, scaglia la cintura in mare restituendola alla dea. Con le sue ultime forze l'eroe trova un rifugio fra la vegetazione e, preparatosi un letto di foglie, si addormenta profondamente.

CANTO VI

Il canto si apre con una breve nota sull'origine dei Feaci: originari di Iperea, terra di Ciclopi, erano migrati sotto la guida del re Nausitoo (figlio di Poseidone e di Peribea figlia di Eurimedonte) nell'isola di Scheria (non identificata) ed erano ora governati dal saggio Alcinoo, successore di Nausitoo.
Durante la notte Atena compare in sogno a Nausica, giovane figlia di Alcinoo, e - apparendo con l'aspetto di un'amica di lei - le consiglia di recarsi al fiume a lavare gli indumenti per prepararsi a prossime nozze. Nausica si sveglia molto incuriosita dal sogno e, subito, chiede ed ottiene dal padre un carro trainato da muli.
Nausica e le sue ancelle portano al fiume molti indumenti propri e dei fratelli. Dopo averli lavati banchettano sull'erba, danzano e giocano a palla finchè, per l'ennesimo intervento di Atena, la palla non finisce in mare. Le ragazze gridano svegliando Ulisse che ancora dormiva, non visto, fra la vegetazione.
L'apparizione di Ulisse nudo, coperto di foglie e di salsedine mette in fuga tutte le giovani tranne Nausica.
Con la solita abilità dialettica Ulisse - che si tiene a distanza per non spaventare Nausica - la copre di complimenti e le racconta di aver fatto naufragio, dopo venti giorni trascorsi in mare, su quell'isola per lui sconosciuta, le chiede quindi un indumento e indicazioni per raggiungere la città. Nausica, accantonato ogni timore e lusingata dai complimenti, richiama le sue ancelle ed ordina loro di aiutare il naufrago. Ulisse -pudicamente - rifiuta di farsi aiutare nel bagno e si lava da solo nel fiume. Grazie anche all'aiuto di Atena, quando torna al cospetto di Nausica il suo aspetto è completamente cambiato e la fanciulla ne rimane affascinata.
Dopo aver offerto cibo e vino ad Ulisse, Nausica gli propone di seguirla fino ad un bosco sacro ad Atena nei pressi della città e qui separarsi da lei per evitare i pettegolezzi di quanti potrebbero vederli giungere in compagnia. Ulisse dovrà presentarsi da solo, dopo qualche tempo, al cospetto del re e della regina che sicuramente non gli negheranno ospitalità ed aiuto.
Durante l'attesa nel bosco Ulisse rivolge una preghiera ad Atena che lo ascolta ma evita di manifestarsi per non irritare suo zio Poseidone, spietato nemico di Ulisse.

CANTO VII

Ulisse vaga in cerca del palazzo di Alcinoo quando gli appare Atena, sotto le spoglia di una ragazza del posto. Ulisse le chiede indicazioni e la dea lo accompagna rendendolo invisibile ai Feaci che potrebbero diffidare dello straniero. Giunti in vista del palazzo Atena prende commiato, dopo aver suggerito ad Ulisse di rivolgere la sua prima preghiera ad Arete, moglie di Alcinoo. Impressionato dal lusso del palazzo dalle porte d'oro Ulisse raggiunge la sala dove Alcinoo e la sua corte stanno banchettando e subito si prostra ai piedi di Arete chiedendole aiuto, quindi si ritira a sedere umilmente fra le ceneri del focolare. Il primo a scuotersi dal generale stupore è il vecchio eroe Echeneo che incita il re ad accogliere l'ospite alla sua tavola.
Ulisse viene accolto alla mensa e rifocillato mentre Alcinoo promette di farlo scortare in patria. Finito il banchetto ed usciti i commensali Arete, riconoscendo i panni di Ulisse (glieli aveva donati Nausica), chiede allo straniero di raccontare la propria storia. Ulisse racconta i sette anni trascorsi ad Ogigia, trattenuto da Calipso, il suo ultimo viaggio, il naufragio e l'incontro con Nausica, dalla quale ha appunto avuto i vestiti. Rammaricandosi di non poterlo avere come genero Alcinoo conferma all'ospite le sue promesse di aiuto. Infine tutti si ritirano per la notte: all'alba inizieranno i preparativi per la partenza.

CANTO VIII

Alcinoo organizza un grande banchetto. Si cercano i volontari per accompagnare Ulisse, con la collaborazione di Atena sotto le mentite spoglie di un banditore. Tutti sono ben disposti.
Durante il banchetto il cantore Demodoco racconta episodi della guerra di Troia, Ulisse tenta di nascondere la propria commozione, ma la cosa non sfugge ad Alcinoo che, per non rattristarlo, dichiara concluso il banchetto ed ordina che si intraprendano le gare sportive.
Nelle gare (di corsa, di lotta, di lancio del disco) si distinguono i figli di Alcinoo Eurialo e Laodamante i quali invitano Ulisse a partecipare. Ulisse rifiuta ma Eurialo insiste in modo provocatorio insinuando che l'aspetto dell'ospite sia più quello di un trafficante o di un pirata che quello di un atleta. Offeso Ulisse accetta di competere ed afferrato un disco particolarmente pesante lo scaglia molto più lontano di quanto avessero fatto tutti gli altri contendenti.
Quindi Ulisse si vanta di poter accettare qualsiasi sfida da parte dei Feaci, salvo che nella corsa perché teme che le sue gambe non siano più forti e veloci come un tempo.
Con molta eleganza Alcinoo interviene a porre fine alle sfide per evitare atteggiamenti arroganti da parte della sua gente ed ordina di passare alla danza, arte nella quale i Feaci eccellono, come nella navigazione.
I danzatori si esibiscono accompagnati dal cantore Demadoco che racconta il mito degli amori furtivi fra Marte e Venere. Efesto (Vulcano), marito di Venere li aveva scoperti ed aveva teso loro una trappola; catturati in una rete inestricabile i due amanti nudi nel letto, li aveva esposti alla disapprovazione di tutti gli dei. Pudicamente le dee non erano volute intervenire, ma il povero Vulcano si era coperto di ridicolo davanti agli dei che lo deridevano ed ammiravano le grazie di Venere. Infine, per intercessione di Poseidone, i due adulteri erano stati liberati.
Deliziato Ulisse si congratula con Alcinoo per la bravura dei danzatori, quindi riceve ed accetta molti doni fra cui quello di Eurialo, unito alle scuse di questi per essere stato arrogante nei suoi confronti.
Più tardi, dopo un bagno ristoratore, Ulisse è di nuovo a banchetto alla mensa di Alcinoo. Il cantore cieco Demadoco prende a raccontare i casi della guerra di Troia, in particolare lo stratagemma del cavallo.
Di nuovo Ulisse si commuove ma questa volta Alcinoo insiste perché l'ospite riveli la propria identità e spiega i motivi per cui le storie di Troia lo fanno sempre piangere.

CANTO IX

Inizia il racconto di Ulisse che, finalmente rivela il proprio nome. Partito da Troia Ulisse era giunto ad Ismaro, patria dei Ciconi, dove aveva saccheggiato la città ricavandone ricco bottino. Tuttavia nella prima battaglia e nella seconda che seguì quando i Ciconi si riorganizzarono i Greci subirono gravi perdite. Ripreso il mare incontrarono una tempesta che li costrinse ad approdare di nuovo per riparare le vele. La prima tappa è nella terra dei Lotofagi, bizzarro ed innocuo popolo di mangiatori di loto. Due compagni di Ulisse, andati in esplorazione caddero nel potere della droga e fu necessario riportarli con la forza alle navi perché il loto aveva tolto loro ogni ricordo della loro casa ed ogni desiderio di farvi ritorno.
La tappa successiva fu nell'isola dei Ciclopi dove Ulisse e di suoi cacciarono capre selvatiche e passarono un giorno a banchettare allegramente.
L'indomani Ulisse decise di avventurarsi ad esplorare le coste dell'isola con una sola nave ed un ristretto numero di compagni e giunse all'immensa spelonca abitata da Polifemo. Ulisse con dodici uomini lasciò la nave per visitare il luogo, portava con se delle vivande ed un orcio di un vino eccezionale, proveniente dalla terra dei Ciconi. Nella spelonca trovarono grandi formaggi e tutti gli attrezzi della pastorizia.
Impressionati dalle dimensioni degli oggetti i compagni volevano tornare alla nave, ma Ulisse, per la curiosità di vedere il gigante decise di attenderlo.
Polifemo giunse al tramonto ed introdotto il gregge nella spelonca ne bloccò l'accesso con un masso enorme. Dopo aver munto le pecore il ciclope si accorse dei Greci e li interrogò. Ulisse rispose con diplomazia ma, scaltramente, finse di aver fatto naufragio ed essere rimasto privo di nave. Improvvisamente il ciclope divorò due compagni di Ulisse quindi, sazio si addormentò. L'indomani si cibò di altri due uomini prima di uscire e richiudere l'antro.
Durante la giornata Ulisse escogitò il famoso piano e preparò il bastone appuntito per accecare il gigante. Quando la sera Polifemo ebbe cenato con altri due sventurati greci Ulisse gli offrì il vino che aveva portato con se, fingendo di chiedere clemenza. Entusiasta del vino il ciclope chiese il nome di chi glielo offriva per poter riconoscerlo e divorarlo per ultimo, era questo, infatti, il modo singolare con cui l'orrenda creatura intendeva ricambiare la cortesia. Notoriamente Ulisse dichiarò di chiamarsi Nessuno. Il ciclope confermò la sua promessa prima di cadere in un sonno profondo a causa del molto vino bevuto.
Ulisse ed i suoi ne approfittarono subito per accecare Polifemo e quando questi gridò agli altri Ciclopi che accorrevano di essere stato ferito da "Nessuno", i fratelli lo credettero impazzito, abbandonandolo al suo destino.
Quando all'alba Polifemo, cieco e disperato, rimosse il macigno per far uscire il gregge Ulisse ed i suoi compagni superstiti si portarono in salvo aggrappandosi al di sotto degli enormi montoni.
Riguadagnata la nave Ulisse salpò immediatamente, ma dopo essersi allontanato in pace dalla riva prese a gridare invettive contro Polifemo.
Mancò poco che il ciclope, scagliando un masso enorme, riuscisse ad affondare la nave, tuttavia Ulisse volle urlargli il proprio vero nome.
Polifemo, a cui un indovino aveva pure predetto l'arrivo di Ulisse lo maledisse ed invocò suo padre Poseidone perché lo vendicasse, quindi lanciò un secondo macigno ma anche questa volta invano.
La nave di Ulisse raggiunse le altre dei suoi compagni e tutti, dopo aver sacrificato agli dei lasciarono l'isola dei Ciclopi.

CANTO X

Continua il racconto di Ulisse: le sue navi giunsero ad Eolia, ove ha sede il palazzo di Eolo. Qui il signore dei venti trascorre l'intera giornata banchettando con i suoi dodici figli, sei maschi e sei femmine sposati fra loro. Dopo averlo ospitato per un mese ed aver ascoltato i suoi racconti Eolo congedò Ulisse dandogli un otre che conteneva tutti i venti. Dopo nove giorni e nove notti di navigazione i compagni di Ulisse, convinti che l'otre contenesse un tesoro, mentre l'eroe dormiva, aprirono il recipiente scatenando la furia dei venti in esso contenuti. Le navi furono respinte dalla tempesta quando ormai erano prossime a Itaca, ed infine costrette ad approdare di nuovo ad Eolia ma qui Ulisse venne scacciato in quanto la sua sventura venne interpretata da Eolo come segno evidente dell'inimicizia degli dei.
Fuggiti da Eolia, dopo altri sette giorni di mare, i Greci arrivarono nella terra dei Lestrigoni. Prudentemente Ulisse ormeggiò la propria nave fuori dal porto ed inviò due esploratori a terra. Ma i Lestrigoni erano terribili giganti antropofagi che subito fecero strage dei Greci e ne distrussero la flotta.
Si salvò solo la nave di Ulisse, grazie alla prontezza di questi e, dopo ulteriore vagare giunse all'isola Eea, dimora della maga Circe.
Dopo una sosta sulla spiaggia dell'isola durante la quale i Greci si rifocillarono con un grande cervo cacciato da Ulisse, un gruppo di esploratori, guidato da Euriloco, partì alla ricerca degli abitatori di quella terra. Uno degli esploratori, di nome Polite, sentendo la voce di Circe che canta mentre tesse una tela, convinse gli altri ad entrare nella sua casa. La maga ricevette gentilmente i Greci, ma nella bevanda da lei offerta era un filtro magico che li trasformò in maiali.
Scampò solo Euriloco che aveva evitato di entrare nella casa di Circe.
Tornato indietro Euriloco, sconvolto, riferì il prodigio e propose di fuggire abbandonando i compagni catturati da Circe al loro destino. Ma Ulisse si incamminò verso la casa della maga e, strada facendo, incontrò Mercurio che lo dotò di un farmaco capace di neutralizzare le pozioni di Circe. Mercurio consigliò ad Ulisse di minacciare Circe per spaventarla e quindi di accettare le profferte che lei gli farà, ma dopo averla legata con giuramento sacro a non tentare altri sortilegi.
Circe accolse come al solito il visitatore offrendogli la bevanda stregata ma il rimedio di Mercurio protesse Ulisse che subito aggredì la maga ordinandole di liberare i compagni, come previsto Circe gli offrì il suo letto che Ulisse accettò solo dopo aver ottenuto il giuramento. Dopo l'amplesso Circe liberò i compagni di Ulisse dall'incantesimo e convinse l'eroe a tirare la nave in secco e tornare da lei con tutti i suoi uomini.
L'unico a resistere alla proposta fu Euriloco, ma venne costretto dalla maggioranza, ed i Greci rimasero per un anno nella casa di Circe, in una comoda e lussuosa ospitalità.
Infine Ulisse prese congedo dalla maga ma questa lo avvertì che, per volere degli dei, egli dovrà recarsi nel regno dei morti per incontrare l'indovino Tiresia, quindi lo istruì sulla rotta da tenere per giungere ad un ingresso dell'oltretomba e sui riti da svolgere per potervi penetrare.
L'indomani Ulisse ordina la partenza e comunica ai compagni la destinazione, molti se ne disperano ma, infine, tutti si rassegnano al volere degli dei. Quindi i Greci lasciano l'Eea, una volta tanto senza vittime, ad eccezione di Elpenore, un giovane poco accorto, che stordito dal vino cade da un tetto poco prima della partenza.

CANTO XI

Continua il racconto di Ulisse: lasciarono il Circeo con le provviste date loro dalla maga e raggiunsero la terra dei Cimmeri, eternamente avvolta nel buio e nella nebbia. Qui Ulisse svolse i sacrifici prescritti e ne promise altri, una volta rimpatriato, in onore delle anime dei defunti.
Presto il luogo si popolò di spiriti assetati che bramavano il sangue delle vittime ma Ulisse li tenne lontani con la spada in attesa di Tiresia. Si presentò l'anima di Elpenore (morto incidentalmente alla fine del canto precedente) a supplicare una sepoltura ed una cerimonia funebre, che Ulisse senz'altro gli promise. Comparve poi l'ombra di Anticlea, madre di Ulisse che egli aveva lasciato vivente alla sua partenza da Itaca. Con grande dolore Ulisse respinse anche Anticlea, in attesa di Tiresia. Finalmente giunse Tiresia, indovino tebano che, dopo essersi dissetato spiegò ad Ulisse che le disavventure erano provocate da Poseidone, a causa dell'accecamento del figlio di questi Polifemo. Nonostante tutto Ulisse potrà tornare ad Itaca (disse Tiresia), purché resista alla tentazione di toccare le mandrie del Sole quando arriverà in Trinacria. Anche ad Itaca Ulisse troverà difficoltà e nemici, disse l'indovino a proposito dei Proci, e dopo averli vinti dovrà ripartire ed ancora vagare finché non troverà un popolo che non conosca il sale ed il remo. Solo allora potrà definitivamente tornare a casa e rimanervi fin quando non sopraggiungerà una morte serena.
Infine Tiresia spiegò ad Ulisse che, se voleva parlare con Anticlea, doveva lasciarle bere il sangue delle vittime. Infatti dopo essersi dissetata, Anticlea lo riconobbe. Ad Ulisse, che chiedeva notizie della sua casa, la donna disse che Penelope gli era fedele, Telemaco, fattosi uomo vigilava i suoi averi e Laerte era ridotto come un mendicante per la vecchiaia e la tristezza. Lei stessa era morta di crepacuore non vedendolo tornare dalla guerra. Ulisse tentò tre volte di abbracciare la madre e tutte inutilmente perché, come gli spiegò Anticlea, gli spiriti non sono che ombre, le loro carni, consumate dal fuoco non sono più reali.
Giunsero, accompagnate da Persefone, molte donne famose che Ulisse lasciò dissetarsi una alla volta, per poter ascoltare i loro racconti.
La prima fu Tiro, figlia di Salmoneo che amando Poseidone partorì Neleo e Pelia. Venne poi Antiope che amata da Zeus aveva concepito Zeto e Anfione, costruttori delle porte di Tebe.
Alcmena, madre di Eracle; Megara una delle mogli di Eracle; Epicasta (Giocasta), madre e sposa di Edipo. Ancora Cloride, moglie di Neleo e madre di Nestore e di Periclimeno.
Venne quindi Leda sposa di Tindaro e madre di Castore e Polluce. Quindi Ifimedia, amata da Poseidone e madre di Oto ed Efialte, Fedra, Procri, Arianna uccisa da Artemide per denuncia di Dioniso, Mera, Climene, Erifile e molte altre che Ulisse non cita.
Dopo una interruzione dovuta alle lodi dei suoi ascoltatori, Ulisse riprende a narrare degli eroi che, dopo le donne, si avvicinarono per bere il sangue delle sue vittime. Il primo fu Agamennone.
L'Atride svelò ad Ulisse di essere stato ucciso da Egisto, amante di Clitennestra e maledisse tutte le donne. Solo di Penelope lodò la fedeltà; non di meno consigliò ad Ulisse di essere prudente al suo ritorno ad Itaca. Infine Agamennone chiese ad Ulisse notizie di Oreste ma l'itacense non poté accontentarlo.
Fu poi la volta di Achille, che rimpiangeva amaramente la vita e chiese notizie del padre Peleo e del figlio Neottolemo. Del primo Ulisse non sapeva nulla, ma di Neottolemo poté tessere grandi lodi e garantire che dopo aver gloriosamente combattuto a Troia era tornato illeso a casa.
Aiace Telamonio si dimostrò ancora adirato con Ulisse che gli aveva vinto le armi di Achille.
Ulisse vide ancora Minosse, Orione e Tizio, quest'ultimo tormentato dagli avvoltoi per aver tentato di violare Latona. Tantalo, torturato dalla sete e dalla fame, Sisifo, condannato eternamente a spingere la sua pietra.
Ulisse vide poi il fantasma di Eracle, si trattava di una sembianza dell'eroe che siede sull'Olimpo. Eracle paragonò le proprie fatiche alle sofferenze di Ulisse. Dopo molto tempo Ulisse, che avrebbe voluto conoscere Teseo e Piritoo fu preso dal timore di incontrare la Gorgone e si allontanò rapidamente per raggiungere la nave e riprendere il mare.

CANTO XII

Tornati alla terra di Circe, Ulisse ed i suoi trascorsero la notte riposando sulla spiaggia, all'alba alcuni si recarono a recuperare la salma di Elpenore alla quale vennero tributate le dovute esequie. Seguì un banchetto di addio offerto da Circe che non lesinò istruzioni dettagliate per il viaggio ad Ulisse. Così Circe avvertì Ulisse del pericoloso fascino delle Sirene e lo istruì su come salvarsi, gli disse dello stretto di mare minacciato da Scilla e da Cariddi. L'alternativa era passare fra le rupi erranti ma da queste si era salvato solo Giasone con l'aiuto di Era. Scilla era un mostro dotato di dodici piedi e sei teste e divorava marinai e pesci che capitavano presso il suo scoglio. Sull'altra sponda Cariddi deglutiva, di tanto in tanto, enormi quantità di acqua marine per vomitarle subito dopo con grande sommovimento delle onde e pericolo dei naviganti. Circe consigliò di passare vicino a Scilla, rischiando la vita di alcuni uomini piuttosto che affrontare il maremoto provocato da Cariddi che avrebbe potuto distruggere la nave.
A Ulisse che progettava di combattere Scilla, Circe raccomandò di accettare qualche perdita e fuggire, piuttosto che rischiare un secondo attacco da parte di quel mostro immortale ed indistruttibile, anzi gli consigliò di invocare Crateide, padre di Scilla, perché trattenesse la creatura da ulteriori aggressioni.
Superato lo stretto di Scilla e Cariddi, avvertì Circe, le coste della Trinacria offriranno l'invitante spettacolo delle mandrie del Sole, custodite dalle ninfe Faetusa e Lampezie, figlie del Sole.
E' proibito toccare questi armenti, ammonì Circe, pena la morte sicura. Del resto Tiresia, nel canto precedente, aveva preannunziato lo stesso avvertimento.
All'alba la nave di Ulisse prese il mare ed informati i compagni delle prescrizioni di Circe, egli fece loro turare le orecchie con la cera per non sentire il canto delle Sirene. Legato all'albero Ulisse ascoltò il soave canto: le creature, che tutto sapevano delle sue avventure lo invitavano irresistibilmente ad unirsi a loro, ma i compagni, resi sordi dalla cera, rifiutavano di slegarlo, anzi stringevano i nodi.
Appena superata l'isola delle Sirene i compagni liberarono Ulisse ma subito si sentì un terribile fragore. Ulisse ordinò al timoniere di tenersi vicino alla riva di Scilla per evitare Cariddi, ma contrariamente al consiglio di Circe si armò per combattere il mostro. Tentò inutilmente di scorgere Scilla ma quando tutti si distrassero per il gran movimento di onde provocato da Cariddi, Scilla improvvisamente afferrò sei marinai che Ulisse vide morire orribilmente davanti ai suoi occhi.
Superato lo stretto apparve la Sicilia ed Ulisse, memore degli avvertimenti di Tiresia e di Circe propose di oltrepassarla senza sbarcare, ma i compagni erano esausti, fra loro prese la parola Euriloco ed insitendo perché Ulisse concedesse una notte di riposo.
Ulisse si vede costretto ad acconsentire ma chiede che tutti giurino di non toccare il bestiame che vedranno sull'isola.
I Greci intendevano fermarsi una sola notte ma un vento contrario impedì loro di riprendere il mare per un mese ed essi esaurirono le provviste donate da Circe.
Euriloco prese a sobillare i compagni perché si cibassero delle mandrie del Sole: il sacrilegio, diceva Euriloco, sarà perdonato innalzando un tempio al Sole non appena tornati in patria. Così, compiuti i voti rituali, mentre Ulisse riposava in disparte, i compagni sacrificarono alcune giovenche. Irato ed offeso il Sole si rivolse a Zeus che promise di punire i sacrileghi affondandone la nave. La punizione arrivò quando, sei giorni dopo, calò il vento ed i Greci ripresero il mare. La nave venne distrutta dalla tempesta e si salvò solo Ulisse che non aveva mangiato le carni delle mandrie del Sole. Aggrappato ad un legno Ulisse venne risospinto verso lo stretto e fu risucchiato da Cariddi. Si mise in salvo aggrappandosi alle radici del fico gigantesco sotto il quale dimorava il mostro. Per sua fortuna Scilla non si accorse di lui e ripreso il mare con un relitto Ulisse riuscì ad allontanarsi.
Dopo essere andato per nove giorni e nove notti alla deriva fu spinto dalle onde su una spiaggia dove venne soccorso da Calipso.

CANTO XIII

Il racconto di Ulisse è terminato. Il mattino successivo Alcinoo ed i Feaci recano grandi doni per Ulisse e si svolge un grande banchetto di commiato per l'itacense impaziente di partire. Finalmente, a sera Ulisse riesce a prendere commiato da Alcinoo. Preso posto sulla nave Ulisse si addormenta profondamente. Grazie all'abilità dei rematori la nave procede velocissima e sicura ed all'alba approda in un porto naturale di Itaca. I Feaci sbarcano Ulisse senza svegliarlo e lo depongono sulla riva, quindi collocano tutti i doni sotto un ulivo sacro per proteggerli dai ladri e riprendono silenziosamente il mare.
Sdegnato Poseidone si rivolge a Zeus: come hanno osato i Feaci aiutare il suo nemico Ulisse? Come li dovrà punire per togliere loro il vizio di aiutare i naufraghi? Zeus gli risponde con ironia: un dio antico e potente come lui sarà sicuramente in grado di punire i Feaci. Poseidone lo fa in modo esemplare, pietrificando la nave già in vista delle sponde di Scheria.
Alla vista del prodigio Alcinoo comprende di aver offeso Poseidone ed ordina solenni sacrifici per placarne l'ira.
Intanto Ulisse si risveglia e non riconosce Itaca. Disperato prende ad imprecare ed a maledire i marinai che l'hanno condotto in una terra sconosciuta. Gli appare Atena con l'aspetto di un pastorello. Ulisse interroga il ragazzo sul luogo in cui si trovano e, con somma gioia, apprende finalmente di essere giunto ad Itaca. Diffidente come sempre Ulisse racconta al pastorello di essere un cretese fuggito dalla patria dopo aver ucciso un rivale. Divertita e compiaciuta per la furbizia di Ulisse la dea si rivela. Ulisse si scusa e chiede conferma di trovarsi veramente ad Itaca. Atena gli spiega che non lo ha mai abbandonato ma che ha dovuto evitare di scontrarsi con lo zio Poseidone, ancora irato per l'accecamento di Polifemo. Disperdendo la nebbia che aveva creato per proteggere Ulisse dormiente da sguardi indiscreti, la dea gli mostra i luoghi a lui ben noti e cari dell'isola natia. Nascosti i doni dei Feaci in una grotta Ulisse e Atena siedono a discutere il modo di sbaragliare i Proci.
Atena, dopo aver promesso ad Ulisse tutto il suo aiuto nell'impresa, gli ordina di non farsi per il momento riconoscere se non dal vecchio e fedele guardiano dei porci Eumeo e lo informa che Telemaco si trova a Sparta presso Menelao. Lei stessa ha voluto quel viaggio per dare importanza al giovane e, nel contempo metterlo al sicuro.
Ciò detto trasforma l'aspetto di Ulisse in quello di un vecchio e misero mendicante.

CANTO XIV

Separatosi da Atena Ulisse, protetto dal travestimento, si reca in cerca del pastore di maiali Eumeo. Trova su un colle la dimora del pastore ed il recinto nel quale Eumeo fedelmente accudiva ai porci di Ulisse, costretto dai pretendenti ad inviare giornalmente un capo per i loro banchetti. Eumeo aveva quattro aiutanti, ma questi si trovavano altrove, intenti alle cure del bestiame, all'arrivo di Ulisse. I cani da guardia del porcile aggrediscono l'intruso che viene salvato dal tempestivo intervento di Eumeo. Eumeo accoglie lo straniero con molta ospitalità, offrendogli cibo, vino e tutti i conforti della sua modesta dimora.
Mentre Ulisse mangia, Eumeo gli racconta del mancato ritorno del suo padrone dalla guerra di Troia, delle passate ricchezze e delle prepotenze dei Proci.
Ulisse propone al pastore di dargli qualche notizia del suo padrone ma Eumeo è scettico: troppi vagabondi hanno mentito in proposito per abusare dell'ospitalità della reggia di Itaca.
Il finto mendicante giura che Ulisse tornerà ma Eumeo non gli da ascolto, preferisce cambiare discorso e chiede di conoscere la storia del vecchio. Ulisse si finge cretese, figlio di un nobile e di una schiava. Racconta di essere stato un famoso guerriero e di aver partecipato alla guerra di Troia, dopo di che era stato in Egitto dove, conquistata l'amicizia del re, aveva accumulato grande ricchezza durante sette anni di permanenza. Infine era stato ingannato da un mercante fenicio che lo aveva depredato dei suoi beni e venduto in Libia come schiavo. Tuttavia la nave che lo trasportava in Libia era affondata in una tempesta ed egli, naufrago, si era salvato rimanendo nove giorni in mare fino a raggiungere la terra dei Tesproti.
Presso la corte del re dei Tesproti, il vecchio dice di aver ascoltato notizie di Ulisse. Ripartito era di nuovo fatto schiavo dai marinai ed era riuscito a fuggire, arrivando ad Itaca ove ora si trovava.
Eumeo ha ascoltato la storia con interesse, tuttavia non accetta di credere alle notizie su Ulisse.
Intanto si è fatta sera, tornano gli aiutanti di Eumeo e si appresta per l'ospite un rustico ma lauto banchetto.
Dopo mangiato è il momento di coricarsi, ma piove e spira un vento freddo ed Ulisse è privo di mantello. Per ottenerlo - come sempre mette in risalto l'astuzia dell'eroe - egli racconta un episodio immaginario: come proprio Ulisse, con il quale egli si trovava in missione presso Troia, lo avesse aiutato - con un piccolo inganno - ad ottenere un mantello. Commosso dalla storia che riguardava il suo adorato padrone Eumeo prepara un caldo giaciglio per il vecchio e gli presta il suo mantello.
Il canto si chiude sull'intima soddisfazione di Ulisse per la fedeltà del suo servitore.

CANTO XV

Atena si reca a Sparta per sollecitare Telemaco (sempre ospite di Menelao) a tornare ad Itaca e metterlo in guardia contro la trappola che i Proci stanno preparando ai suoi danni.
All'alba Telemaco chiede a Menelao di lasciarlo tornare ad Itaca e Menelao si affretta a far preparare il consueto banchetto di commiato. Da Elena Telemaco riceve un peplo prezioso, destinato alla sua futura sposa, da Menelao una preziosa urna in argento e oro.
Al momento della partenza Menelao prega Pisistrato, compagno di Telemaco, di salutare suo padre Nestore. Telemaco, commosso, rimpiange di non avere anche lui un padre ad attenderlo a casa.
Alle sue parole compare un'aquila che rapisce un'oca, consueta manifestazione dell'attenzione di Zeus. Elena interpreta il prodigio come un annuncio del ritorno di Ulisse e della sua vendetta sui pretendenti.
Partiti da Sparta i due giovani giungono a Pilo dove Pisistrato esorta Telemaco ad imbarcarsi subito per evitare che il vecchio Nestore, per affetto ed ospitalità, lo trattenga. Mentre Telemaco svolge rapidamente i rituali propiziatori che si usavano prima di ogni partenza, si avvicina un viandante, l'indovino Teoclimeno, discendente dell'eroe Melampo: Omero divaga in accenni sulla storia di Melampo che, per aiutare il fratello Biante a conquistare Pero, figlia di Neleo, aveva affrontato ardite imprese ed aveva sofferto la schiavitù. Tramite un breve elenco genealogico (Mantio e Antifate, figli di Melampo, Oicleo figlio di Antifate, Anfiarao figlio di Oicleo, Antiloco e Alcmeone, figli di Anfiarao, Mantio generò Clito e Polifide, Polifide generò Teoclimeno), Omero torna a parlare di Teoclimeno. L'indovino, informatosi sull'identità del giovane, lo prega di portarlo con se perché ha ucciso un uomo ed è inseguito. Telemaco lo accoglie sulla nave che, con l'aiuto di Atena, prende subito a veleggiare velocemente.
Intanto Ulisse, ancora ospite di Eumeo, annuncia la sua intenzione di recarsi in città per mendicare ed offrire i suoi servizi ai pretendenti. Eumeo lo mette in guardia contro la tracotanza dei Proci ed insiste perché il mendicante attenda il ritorno di Telemaco. Ulisse accetta e lo prega di parlargli dei suoi anziani genitori. Eumeo racconta della triste vecchiaia di Laerte, del suo rimpianto per il figlio perduto e per la morte della moglie. Il pastore coglie anche l'occasione per raccontare la propria storia. Originario di un'isola chiamata Siria, era figlio di un principe. Trafficanti fenici avevano convinto una schiava a seguirli ed a rapire il figlio del principe, ancora bambino. Gli dei avevano punito la donna facendola perire in mare ed Eumeo era stato portato ad Itaca e venduto come schiavo. Qui era stato allevato da Anticlea insieme a Ctimene, sorella di Ulisse che più tardi aveva sposato un principe di Cefalonia (forse Euriloco).
Il mattino seguente Telemaco approda ad Itaca, su una spiaggia appartata per evitare le insidie dei Proci e decide di passare da Eumeo prima di entrare in città. Teoclimeno gli chiede istruzioni e Telemaco gli suggerisce di presentarsi ad Eurimaco. Mentre i due parlano appare uno sparviero con una colomba tra gli artigli. L'indovino interpreta rapidamente il presagio: la casa di Ulisse tornerà all'antica potenza. Telemaco affida Teoclimeno al compagno Pireo e si dirige verso la dimora di Eumeo.

CANTO XVI

Eumeo ed Ulisse stanno preparando la cena quando, festosamente accolto dai cani, giunge Telemaco alla capanna. Eumeo lo accoglie con entusiastico affetto e subito Telemaco si informa sulla situazione ad Itaca.
I tre consumano una cena frugale, quindi Telemaco si informa sul forestiero. Ascoltato il resoconto di Eumeo decide di far avere all'ospite indumenti e vivande, ma li manderà alla capanna perché teme che, nella sua casa, il vecchio possa essere offeso dai Proci.
Ulisse commenta che Telemaco dovrebbe ribellarsi ma il giovane confessa di non sentirsi in grado di affrontare da solo tanti rivali ed invia Eumeo ad informare Penelope del suo ritorno.
Appena Eumeo esce dalla capanna appare Atena, visibile al solo Ulisse, e restituisce all'eroe il suo normale aspetto. Stupefatto dalla trasformazione del vecchio, Telemaco crede di trovarsi al cospetto di un dio ma Ulisse, finalmente, svela il segreto e abbraccia commosso il figlio. Telemaco è dubbioso, teme di essere ingannato dai capricci di un nume ma Ulisse gli spiega i travestimenti con cui Atena suole aiutarlo. Finalmente i due si abbandonano al pianto e alla commozione.
Numero e provenienza dei Proci
52 da Dulichio
24 da Samo
20 da Zacinto
12 da Itaca
108 in totale
Quindi Ulisse passa a preparare la vendetta, si informa sul numero dei Proci ed avverte Telemaco che si presenterà alla reggia con l'aspetto del mendicante. Telemaco dovrà sopportare le offese che lo vedrà subire, preparandosi allo scontro e confidando nell'aiuto di Atena.
Intanto Eumeo ha svolto l'ambasciata presso Penelope ed un araldo ha avvertito i Proci del rientro di Telemaco. I Proci si riuniscono per decidere il da farsi: l'agguato è fallito ed Antinoo propone di eliminare Telemaco che si è dimostrato troppo astuto e pericoloso.
Informata da un servo sopraggiunge Penelope ed accusa di infamia Antinoo. Eurimaco, con ipocrisia, dichiara di garantire per la vita di Telemaco.
Penelope torna alle sue stanze, sconsolata, e Atena fa si che si addormenti. Intanto la dea ha ridato ad Ulisse l'aspetto del mendicante perché Eumeo non lo riconosca. Eumeo torna alla capanna e racconta di aver visto rientrare la nave mandata dai Proci contro Telemaco. I tre festeggiano ancora, quindi si addormentano.

CANTO XVII

All'alba Telemaco ritorna in città dopo aver ordinato ad Eumeo di accompagnarvi anche lo straniero perché possa procurarsi, mendicando, il proprio sostentamento.
Ulisse lo saluta continuando a fingersi il vecchio mendicante davanti a Eumeo, si metterà in cammino più tardi - dice - per evitare il freddo delle prime ore.
Giunto a casa Telemaco viene accolto da Penelope che attendeva con ansia sue notizie, ma il giovane si allontana subito per raggiungere Teoclimeno che - come avevano concordato - lo attendeva nella casa di Pireo.
Pireo - che ha custodito per lui i doni di Menelao - vorrebbe subito restituirglieli ma Telemaco gli chiede di tenerli ancora per evitare che cadano in mano ai Proci nel caso lo uccidessero.
Tornato a casa Telemaco racconta a Penelope gli incontri avuti durante il viaggio: da Nestore non ha avuto notizie, Menelao gli ha parlato di Ulisse bloccato presso Calipso ed impossibilitato a ripartire. Teoclimeno interviene per consolare Penelope e dice di aver appreso dall'apparizione di uno sparviero che Ulisse è vivo, si trova già ad Itaca e prepara la sua vendetta.
Intanto Eumeo ed Ulisse messisi in cammino, incontrano il pastore Melanzio che - fedele ai Proci - prende ad insultarli ed aggredisce il vecchio mendicante. Ulisse sopporta e trattiene la sua ira per evitare di rivelare la propria identità.
Davanti alla reggia i due decidono che Eumeo entri per primo. Mentre discutono, il vecchissimo cane Argo, riconoscendo Ulisse, si muove a fatica per andargli incontro e dopo aver scodinzolato con le sue ultime forze muore ai piedi del padrone, vinto dall'emozione.
Nella reggia i Proci stanno banchettando. Ulisse, esortato da Telemaco, inizia a mendicare. Con la consueta arroganza Antinoo minaccia il vecchio e vuole scacciarlo ma Telemaco lo difende e gli altri Proci danno al vecchio di che cibarsi.
Ulisse ed Antinoo arrivano alla lite quando l'uno rimprovera l'arroganza dell'altro ed Antinoo colpisce con uno sgabello il vecchio mendicante. La brutale violazione delle sacre leggi dell'ospitalità provoca l'indignazione di Telemaco e perfino quella degli altri Proci, ma Antinoo, noncurante delle critiche, continua a banchettare.
Anche Penelope viene informata dell'accaduto e depreca il comportamento dell'odiato Antinoo. Eumeo la informa che il mendicante dice di aver conosciuto Ulisse e la donna lo manda a chiamare il vecchio, sperando possa darle notizie.
Ulisse, temendo che Penelope possa riconoscerlo rinvia l'incontro al tramonto adducendo come scusa il timore dei Proci.
Penelope approva la prudenza dell'ospite ed Eumeo dopo aver salutato Telemaco, torna alle sue stalle.

CANTO XVIII

Il mendicante Iro, abituale della reggia, sopraggiunge e tenta di scacciare Ulisse che crede un rivale. Ulisse cerca di evitare la rissa ma Iro continua a provocarlo. I Proci, divertiti, promettono premi al vincitore e lo scontro diventa inevitabile. Prima di accettare Ulisse fa promettere ai presenti di non intervenire.
I contendenti si spogliano e la vista delle possenti membra di Ulisse spaventa Iro che vorrebbe ritirarsi, ma i Proci lo costringono a lottare.
Ulisse ha rapidamente ragione di Iro e, tramortitolo, lo trascina fuori dalla reggia. Al suo rientro è accolto festosamente dai Proci. Il giovane Anfinomo gli porge pane bianco ed una coppa di vino augurandogli giorni più felici. Ulisse risponde con un discorso allusivo, ammonendolo di abbandonare i compagni prima del ritorno dell'eroe. Anfinomo sente con angoscia la verità della profezia, ma il suo destino è ormai segnato ed egli rimarrà ad Itaca andando incontro alla sua fine.
Intanto Penelope, per ispirazione di Atena, decide di raggiungere il figlio nella sala del banchetto. Rifiuta di truccarsi per mostrarsi agli odiati pretendenti, ma interviene di nuovo Atena rendendola bellissima.
Giunta in sala Penelope rimprovera Telemaco per aver permesso che i Proci maltrattassero l'ospite, ma Telemaco le spiega che si è trattato di un combattimento leale e che ora Iro giace vinto e malconcio come egli si augura che possa presto accadere ai Proci.
I Proci approfittano come sempre della presenza di Penelope per sollecitare una sua decisione: a questo proposito le rammentano che lo spuntare della barba di Telemaco segna il limite di tempo trascorso il quale Ulisse, partendo le aveva consentito di risposarsi.
Penelope risponde deprecando quei pretendenti che invece di recarle doni, come d'uso, depredano la sua casa. La risposta suscita la segreta ammirazione di Ulisse ed i Proci gareggiano nell'offrire a Penelope ricchissimi doni.
Più tardi le ancelle si occupano di accendere lumi ma il finto mendicante le manda a far compagnia a Penelope, offrendosi di badare personalmente all'illuminazione ed ai bisogni dei Proci che, intanto, continuano a banchettare.
La schiava Melanto - amante di Eurimaco - gli risponde villanamente, anche Eurimaco attacca il vecchio mendicante insultandolo.
L'alterco rischia di degenerare in rissa ma interviene Telemaco riportando la calma e sollecitando tutti a ritirarsi per la notte.
Il saggio intervento di Telemaco colpisce i Proci che dopo l'ennesimo brindisi raggiungono i loro letti.

CANTO XIX

Rimasto solo con Telemaco Ulisse gli ordina di rimuovere dalla sala le armi appese alla parete. Mentre Telemaco esegue, Penelope scende dalle sue stanze per incontrare lo straniero e sorprende Melanto che sta di nuovo offendendo l'ospite. Penelope rimprovera e scaccia l'ancella e si rivolge al falso mendicante: vuole prima di tutto conoscere le origini del suo ospite. Conversando la regina confida allo straniero l'inganno della tele che per tre anni ha finto di tessere come sudario funebre per Laerte, guadagnando tempo con i pretendenti.
Infine, scoperta, è stata costretta a completare la tela ed ora non trova altri espedienti per ingannare i Proci. Dal canto suo Ulisse racconta di essere cretese, figlio di Deucalione e fratello del re Idomeneo. A Creta aveva conosciuto Ulisse, ivi sospinto dal vento durante il viaggio d'andata a Troia e lo aveva ospitato ed onorato.
Nel raccontare queste prudenti menzogne Ulisse stenta a contenere la commozione davanti alle lacrime di Penelope.
Per metterlo alla prova Penelope gli chiede di descrivere l'abbigliamento e l'aspetto di Ulisse durante quella sua lontana visita a Creta, il finto mendicante ovviamente, risponde con esattezza e con dovizia di particolari, aumentando l'emozione della donna.
L'ospite giura di aver appreso che Ulisse è ancora vivo e che dopo lunghe e terribili avventure sta per ritornare ad Itaca.
Penelope rimane scettica, comunque ordina alla servitù di lavare e rivestire il falso questuante, di preparargli un comodo letto e di nutrirlo degnamente al mattino.
Ulisse chiede che a servirlo sia un'ancella anziana e Penelope gli offre la vecchia nutrice Euriclea.
Durante le abluzioni Euriclea scorge e riconosce sulla coscia di Ulisse la cicatrice di un morso di cinghiale che in gioventù l'eroe aveva ricevuto durante una battuta di caccia in compagnia di Autolico. Per l'emozione del riconoscimento Euriclea lascia cadere il piede di Ulisse che urta rumorosamente la conca di rame ma Penelope, per intervento di Atena, non si accorge di nulla. Ulisse, bisbigliando, le impone di tacere.
Euriclea giura di mantenere il segreto e si allontana.
Tornata accanto all'ospite Penelope racconta un sogno: un'aquila uccideva le sue oche quindi, parlando con voce umana, le diceva di essere Ulisse e di aver sterminato i Proci. Ulisse sostiene che il sogno sarà veritiero ma Penelope lo ammonisce che non sempre si deve credere nei sogni: essi escono da due porte, una di corno e l'altra d'avorio, ma solo la prima lascia passare attendibili profezie.
A questo punto la regina confida allo straniero di aver deciso di mettere alla prova i Proci: sposerà quello che riuscirà a scagliare una freccia attraverso gli anelli di dodici scuri come sapeva fare Ulisse.
Ulisse la esorta ad indire la prova al più presto e Penelope prende congedo da lui ritirandosi per la notte.

CANTO XX

Durante la notte Ulisse veglia nel suo giaciglio ascoltando le ancelle infedeli che si concedono ai Proci e meditando la vendetta.
Ancora una volta gli appare Atena per tranquillizzarlo e gli infonde un "sopor dolcissimo". più tardi Penelope si sveglia e prende a lamentarsi, ed invoca gli dei e la morte: la sua voce ridesta Ulisse che esce all'aperto chiedendo un segno a Zeus. Zeus lo accontenta tuonando a cielo sereno. Presagio e prodigio sono anche le parole di una serva che, intenta a macinare il grano, prega Zeus perché cessi l'arroganza dei Proci.
Con il mattino la reggia prende vita: Telemaco chiede ad Euriclea se l'ospite è stato degnamente alloggiato, le ancelle svolgono le pulizie e tutti i servi lavorano e preparano un nuovo banchetto.
Il capraio Melanzio insulta e deride Ulisse che tutto sopporta mentre in cuor suo promette vendetta.
Il pastore Filesio, invece, gli rivolge parole gentili, colpito dall'aspetto nobile del vecchio mendicante e commosso dal pensiero che anche il suo signore Ulisse possa aver subito un destino di sventura ed indigenza.
Inizia l'ennesimo banchetto dei Proci e di nuovo Telemaco invita il vecchio ospite a sedere porgendogli cibo e vino, fra le critiche e le larvate minacce dei pretendenti.
L'arrogante Ctesippo, per insultare il mendicante, gli scaglia contro un piede di bue che Ulisse riesce appena a schivare.
L'atmosfera è estremamente tesa, Telemaco difende coraggiosamente il suo ospite. La risolutezza del giovane colpisce un certo Agelao che parla per mitigare gli umori dei compagni e cerca di convincere Telemaco a spingere la madre a scegliere uno sposo fra i Proci, per mettere fine alla incresciosa situazione.
Atena sconvolge la mente dei Proci portandoli a ridere follemente, riso che diventa pianto angoscioso quando l'indovino Teoclimeno (anch'egli ospite di Telemaco) predice la rovina dei pretendenti. Teoclimeno sta per essere cacciato ma preferisce allontanarsi di sua volontà.
I Proci continuano a beffare Telemaco e ad insultarlo, il giovane sopporta tutto ma non cessa di sogguardare il padre, in attesa di un segnale. Anche Penelope, dalle sue stanze, ode le voci e le risa dei Proci intenti a consumare, ignari, il loro ultimo banchetto.

CANTO XXI

Ispirata da Atena, Penelope decide di iniziare la famosa gara di tiro con l'arco. Preleva dalla stanza più custodita della reggia l'arco di Ulisse, dono di Ifito, già appartenuto al mitico Eurito.
Penelope compare ai Proci recando l'arco e le frecce di Ulisse ed ordina i preparativi della gara.
Telemaco interviene: anche lui parteciperà alla gara e, se vincerà, i Proci dovranno rinunciare alle loro pretese su Penelope. E' il primo a tentare di piegare l'arco per tendere la corda: fallisce tre volte ma quando sta per riuscire desiste per un cenno di diniego di Ulisse. Antinoo ordina che l'arco venga unto e riscaldato presso il fuoco per renderlo più flessibile ma, nonostante l'espediente molti falliscono la prova.
Intanto Ulisse, non notato, è uscito dalla reggia in compagnia dei fedeli Eumeo e Filesio ai quali decide di rivelare la propria identità, che dimostra mostrando loro la famosa cicatrice.
I servi riconoscono il padrone con grande emozione, ma Ulisse, ormai prossimo all'azione, ordina loro di tacere e di aiutarlo: rientrati nella sala dovranno occuparsi di chiudere tutte le porte.
Fallito anche il tentativo di Eurimaco, Antinoo propone di rimandare la gara all'indomani.
Ulisse approfitta della pausa per chiedere di provare a tendere l'arco; Penelope e Telemaco prendono ancora una volta le difese dell'ospite. Del resto - dichiara Penelope - anche riuscendo nella prova il vecchio non la potrebbe sposare ed Eurimaco ammette che il loro timore è solo quello di essere battuti e disonorati da un contendente così misero ed anziano.
Mentre Penelope polemizza con i Proci Telemaco interviene con grande autorità: il vecchio tenterà la prova ed ella deve ritirarsi nelle sue stanze lasciandogli il governo della situazione.
Eumeo, nonostante le minacce dei Proci, obbedendo a Telemaco consegna l'arco ad Ulisse. Intanto Filesio, aiutato da Euriclea, provvede ad allontanare le ancelle e a bloccare tutte le uscite.
Ulisse, dopo aver con calma esaminato l'arco, lo tende senza sforzo.
Mentre l'eroe fa vibrare la corda tesa dell'arma per saggiarne la elasticità Zeus fa rombare il tuono, con grande sgomento dei Proci. Infine Ulisse scocca una freccia attraversando con precisione gli anelli delle dodici scuri.
Dimostrata la propria forza ed abilità Ulisse fa a Telemaco un cenno convenuto e subito il giovane si arma della sua spada.

CANTO XXII

Ulisse finalmente si manifesta e mette in atto la sua vendetta.
Il primo a morire è Antinoo, colpito alla gola da una freccia.
I Proci non capiscono subito cosa stia accadendo ma quando Ulisse dichiara la sua identità Eurimaco cerca scampo attribuendo tutte le colpe al morto Antinoo.
In cambio della vita i pretendenti promettono di reintegrare le ricchezze che hanno sperperato, ma Ulisse respinge ogni proposta e li invita a combattere. Eurimaco, bandita la spada, si scaglia su Ulisse ma questi lo uccide con una freccia prontamente scagliata.
Anfinomo viene ucciso da Telemaco, il quale corre a prendere armi per se, per il padre e per i fedeli servitori Eumeo e Filesio.
Malaccortamente Telemaco lascia aperta la porta della stanza dove si custodivano le armi, ne approfittano i Proci per rifornirsi di spade, elmi e scudi.
Per la prima volta Ulisse esita vedendosi circondato da così numerosi nemici. Tuttavia non viene meno a se stesso ed ordina ad Eumeo di chiudere la sala delle armi e di catturare Melanzio.
Eumeo e Filesio, infatti legano strettamente ad una colonna il capraio traditore.
Intanto Atena appare ad Ulisse nelle sembianze di Mentore - suo compagno a Troia - e lo rimprovera aspramente per la sua esitazione, quindi assume la forma di una rondine e si ritira fra le travi del tetto, ad osservare la battaglia.
In quattro contro molti Ulisse, Telemaco ed i due pastori combattono valorosamente aiutati da Atena che manda a vuoto le lance scagliate dai Proci.
Quando molti Proci sono caduti Atena si manifesta nel suo vero aspetto, brandendo l'egida, ed infonde il panico nei superstiti.
La scena si fa sempre più feroce: l'indovino Leode implora pietà ma Ulisse lo decapita con un colpo di spada. Vengono risparmiati solo due Proci, il cantore Femio e l'araldo Medante, per intercessione di Telemaco.
Compiuta la strage Ulisse manda a chiamare la vecchia nutrice Euriclea, perché gli indichi le ancelle infedeli che avevano familiarizzato con i Proci. Esse devono rimuovere i cadaveri e ripulire la sala della strage, quindi verranno giustiziate, la condanna pronunziata da Ulisse viene aggravata da Telemaco che, ansioso di vendicare le offese subite dalle serve infedeli, anziché passarle a fil di spada preferisce impiccarle.
Tra i Proci che combattono e cadono in questo canto sono: Demoptolemo, Eurimaco e Euridamante uccisi da Ulisse, Euriade e Leocrito uccisi da Telemaco, Elato e Polibo uccisi da Eumeo, Ctesippo e Pisandro uccisi da Filesio, non viene indicato l'uccisore di Eurinomo.
Quindi Telemaco ed i due pastori si occupano di Melanzio al quale vengono tagliati orecchie, naso, genitali e piedi.
La vendetta è ormai completa. Ulisse ordina che si purifichi la casa e che vengano chiamate le ancelle fedeli. Incontrandole Ulisse si commuove, nota un po' contrastante con la ferocia che ha dimostrato per tutto il canto.

CANTO XXIII

L'inviata da Ulisse Euriclea corre esultante ad annunciare a Penelope il ritorno dello sposo, tuttavia Penelope non riesce a crederle ed anche quando viene a conoscenza della fine dei Proci ipotizza che sia stato un nume a farne strage. Euriclea non demorde ed infine convince Penelope a seguirla. Con fine psicologia Omero tratteggia le esitazioni di Penelope tra speranza e timore di delusione, fra entusiasmo e pudore. Quando infine giunge al cospetto del marito, incapace di governare i propri sentimenti siede in silenzio, attonita. Telemaco la incita a riabbracciare lo sposo ma Penelope risponde che non lascerà il suo ritegno finché non avrà avuto prove certe. Ulisse comprende ed approva la prudenza di Penelope e decide di aspettare. Tanto più che bisogna organizzare una difesa in vista della vendetta dei parenti dei Proci. Ordina quindi che si insceni una festa perché i passanti credano che i Proci siano ancora vivi e si possa guadagnare tempo.
Durante la festa Ulisse prende un bagno ed indossa abiti signorili, Atena provvede a renderlo particolarmente affascinante agli occhi di Penelope. Per metterlo alla prova Penelope ordina ad Euriclea di trasportare fuori dalla "stanza maritale" il letto di Ulisse ed offrirlo all'ospite, ma Ulisse ben ricorda di aver scolpito personalmente quel letto nel tronco di un ulivo non divelto e di aver costruito intorno la stanza nuziale, nessun mortale può dunque essere in grado di spostare quel letto.
Questa è per Penelope la prova decisiva, dopo un breve svenimento la donna getta finalmente le braccia al collo del suo sposo. L'incontro dei due si svolge in un clima di grande commozione, Atena - per compiacere gli sposi finalmente riuniti - fa in modo che l'Aurora ritardi il cammino prolungando la notte.
Prima di coricarsi Ulisse svela a Penelope la profezia di Tiresia: egli dovrà ripartire e visitare molte città portando con se un remo, solo quando troverà un popolo che non conosce il mare e scambi il suo remo per un ventilabro potrà ritornare in patria e trascorrevi una serena vecchiaia.
Finalmente gli sposi si ritirano nella propria stanza e qui Penelope racconta le sue sofferenze a causa dei Proci mentre Ulisse le narra, nel corso della lunga notte d'amore, tutte le sue avventure.
Al mattino Ulisse si veste ed esce per andare a trovare il vecchio Laerte, ma prima ordina alla donna di barricarsi in casa per prevenire qualche rivalsa da parte dei parenti dei Proci.

CANTO XXIV


Intanto le anime dei Proci sono state radunate da Mercurio e da questi guidate nella dimora dei morti. Qui i Proci incontrano, tra gli altri alcuni eroi della guerra di Troia: Achille, Patroclo, Antiloco, Aiace Telamonio, Agamennone.
I famosi personaggi dialogano fra loro ricordando la propria morte, tramite un discorso fra Achille ed Agamennone, Omero racconta la fine dei due, la fine gloriosa di Achille, caduto durante l'ennesimo assalto alla rocca troiana, e quella più triste di Agamennone, ucciso in casa sua dalla moglie Clitennestra e dall'amante di questa, Egisto.
Agamennone racconta le grandiose esequie tributate ad Achille, il cordoglio della sua divina madre Teti, i giochi funebri in suo onore. Il colloquio dei due viene interrotto dal sopraggiungere della schiera dei Proci, fra i quali Agamennone riconosce Anfimedonte, figlio del suo amico Melanio. Su richiesta dell'Atride Anfimedonte racconta in breve gli anni trascorsi dai Proci assediando la sposa di Ulisse, l'incrollabile fedeltà di Penelope, ed infine, la terribile vendetta. Alla fine del racconto Agamennone si mostra ammirato per le virtù di Penelope, tanto in contrasto con la crudeltà di Clitennestra.
Intanto Ulisse e Telemaco sono giunti alla dimora del vecchio Laerte.
Trovano Laerte intento a curare l'orto, è distrutto dalla vecchiaia e dal dolore e veste abiti miserrimi.
Come sempre Ulisse evita di farsi riconoscere immediatamente, anzi provoca il vecchio con un discorso tendenzioso.
Fingendosi uno straniero chiede conferma di essere giunto ad Itaca e racconta di aver una volta ospitato Ulisse nella sua casa, cinque anni prima. Questa volta però l'inganno dura poco perché la disperazione del vecchio commuove Ulisse che lo abbraccia svelandogli la verità. Come Penelope, anche Laerte rimane incredulo ma Ulisse lo convince ricordando episodi della sua infanzia.
Viene subito imbandito un allegro banchetto al quale si unisce il fedele servitore Dolio con i suoi figli, per festeggiare l'ormai inatteso ritorno dell'eroe.
Nel frattempo la notizia della strage è stata divulgata ed i parenti dei Proci si affollano intorno alla reggia per recuperare le salme.
Eupite, padre di Antinoo, parla agli altri proponendo la vendetta.
Contro di lui parla Medante, uno dei superstiti graziati da Telemaco, che ricorda la forza di Ulisse e come una divinità, con le sembianze di Mentore, rimanesse al suo fianco durante la lotta. Anche il vecchio Aliterse cerca di distogliere gli itacensi dall'intento di punire quello che, secondo lui, è stato un atto di giustizia.
Tuttavia Eupite riesce a raccogliere un gruppo di uomini per dare la caccia ad Ulisse.
Sull' Olimpo Atena chiede consiglio a Zeus e questi le suggerisce di riportare la pace ad Itaca, Ulisse ha avuto la sua vendetta, torni quindi l'amicizia ed egli possa tranquillamente regnare.
Quando Eupite ed i suoi circondano la casa di , Ulisse, Telemaco ed i suoi servi si apprestano a difendersi, ma Atena, ripreso l'aspetto di Mentore consegna una lancia a Laerte e gli infonde la forza necessaria per scagliarla: il colpo uccide Eupite. A questo punto Atena, aiutata dall'effetto di un fulmine di Zeus infonde il terrore negli attaccanti che si danno alla fuga. Ulisse li inseguirebbe se non lo fermasse Atena: è ora di pensare alla pace ed un nuovo accordo regnerà sull'isola, garante la figlia di Zeus, "la gran dea di Atene".