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GUIDO DELLE COLONNE

Storia della guerra di Troia


Prologo
Le vicende della guerra di Troia furono narrate da diversi autori greci e latini ma spesso furono arricchite con elementi fantastici come per esempio gli interventi degli dei.
I racconti che l'autore ritiene più attendibili perché composti da testimoni oculari sono quelli di Ditti Cretese e Darete Frigio che saranno la principale fonte di Guido delle Colonne. Le due opere citate furono tradotte in latino da Cornelio Nepote il quale per amore di brevità commise troppe omissioni.
L'opera presente parlerà dello scandalo che provocò la guerra tra Greci e Troiani, elencherà i comandanti greci e le loro risorse, i comandanti troiani, le battaglie, i caduti e renderà conto di tutte le cose omesse da Cornelio.

Libro Primo - Capitolo Primo
Nel regno di Tessaglia abitato dai Mirmidoni viveva il re Peleo con la sua sposa Teti, da questa coppia nacque Achille.
Coloro che ritengono che fu la "Grande Grecia" a distruggere Troia affermano che questi Mirmidoni furono gli Abruzzini gente che abita ai confini del regno di Sicilia nella provincia detta Abruzzo dove si trova la città di Tetinia. Questi tuttavia errano, i Mirmidoni abitavano la Tessaglia, Achille ne divenne signore alla morte di Peleo e compì imprese meravigliose. Nelle Metamorfosi Ovidio racconta che quando il regno di Tessaglia rimase deserto per una grave epidemia, il re pregò gli dei che trasformarono le formiche in uomini e ne nacquero i Mirmidoni.
Esone era il fratello maggiore di Peleo che per la vecchiaia aveva lasciato a questi il governo del regno. Di lui Ovidio scrisse che Medea gli rese per un anno il vigore giovanile.
Esone aveva un figlio di nome Giasone, uomo forte, valente e dotato di molte virtù. Giasone era fedele a Peleo ma questi ne era geloso e temeva che lo volesse privare del trono. Peleo cercò a lungo un pretesto per allontanare Giasone finché non si sparse la voce di un'isola detta Colcos, oltre il regno di Troia, nella quale era un montone dal vello d'oro. In quest'isola regnava Oete, potente e ricco ma molto vecchio.
Il vello d'oro era custodito da alcuni buoi che emettevano fiamme dalla bocca, chi voleva impadronirsi del vello doveva domare i buoi e imporre loro il gioco. Inoltre doveva uccidere un enorme dragone e seminare i suoi denti, ne sarebbero nati altrettanti cavalieri che avrebbero combattuto tra loro fino allo sterminio.
Quando Peleo venne a conoscenza di tutto ciò decise di convincere il nipote a tentare la conquista del vello, certo che in questo modo se ne sarebbe liberato. Durante una festa Peleo propose a Giasone di compiere l'impresa promettendogli davanti a molti ospiti di farlo suo unico erede. Giasone accettò con entusiasmo e Peleo incaricò un artigiano di nome Argo di costruire una grande nave adatta alla missione.

Libro Primo - Capitolo Secondo
Quando la nave fu pronta molti nobili della Tessaglia si imbarcarono con Giasone. Era con loro Ercole, figlio di Giove e di Alcmena, molto famoso per le sue avventure: aveva ucciso il gigante Anteo, catturato il cane infernale Cerbero e compiuto innumerevoli imprese che non è qui il caso di narrare, basti dire che le colonne di Ercole segnano ancora oggi il limite raggiunto dall'eroe.
Giasone e Ercole, dunque, partirono con i loro compagni e navigarono con la guida del nocchiero Filottete, conoscitore esperto delle stelle, e giunsero in Frigia al porto del regno di Troia.

Libro Secondo - Capitolo Primo
Gli Argonauti sostarono alcuni giorni in quella spiaggia dissetandosi e ristorandosi senza alcuna intenzione di nuocere agli abitanti di Troia dai quali restavano a prudente distanza, ma il disegno del destino era diverso e Laomedonte re di Troia, informato sui Greci che si trattenevano nel suo dominio, credette trattarsi di nemici e di spie e mandò alcuni ambasciatori dai Greci per ordinare loro di partire immediatamente. Giasone fu profondamente offeso da una simile accoglienza, accettò comunque di riprendere subito il mare, ma Ercole nel prendere commiato dagli ambasciatori promise di tornare entro un anno per vendicare l'offesa subita.
Giasone ed Ercole, senza alcun indugio, ordinarono di salpare e in pochi giorni giunsero all'isola di Colcos, meta della loro spedizione.

Libro Secondo - Capitolo Secondo
Nell'isola di Colcos sorgeva la bella e ricca capitale detta Iaconite, circondata da splendidi giardini, nella quale viveva il re Oete. Giasone e i suoi compagni attraversarono la città destando la curiosità degli abitanti e giunti al palazzo reale furono accolti da Oete con molto onore. Giasone espose le ragioni del suo viaggio e chiese di poter affrontare le prove stabilite per il vello d'oro. Oete acconsentì.

Libro Secondo - Capitolo Terzo
Oete ordinò che si preparasse un banchetto per onorare gli ospiti e fece chiamare la sua unica figlia, la bellissima Medea, donna di vasta cultura, specialmente abile nella magia. Era in grado di evocare le tenebre e la tempesta, poteva costringere gli alberi a fiorire d'inverno, far invecchiare i giovani e ringiovanire i vecchi. Esperta di astronomia prevedeva le eclissi e faceva credere di averle provocate.
Medea indossò per il banchetto i suoi migliori abiti e ornamenti e quando giunse alla tavola imbandita il padre le ordinò di sedere accanto a Giasone, gesto che avrà fatali conseguenze.
Guardando Giasone e sedendogli accanto, Medea si innamorò immediatamente di lui e trascurò cibo e bevande come alcuni commensali notarono. Dopo il banchetto Medea si ritirò nella sua camera segreta, desiderava usare le sue arti magiche per conquistare Giasone ma il suo pudore glielo impediva e in questi dubbi trascorse la notte.
Il mattino seguente fu di nuovo chiamata dal padre che le chiese di far compagnia agli ospiti. Medea colse l'occasione per parlare con Giasone senza essere udita da altri per offrirgli il suo aiuto nella pericolosa impresa che intendeva affrontare. Giasone si disse pronto a seguire i consigli di Medea e la maga gli propose di sposarla e portarla con se, in cambio gli avrebbe fatto ottenere il Vello d'Oro. Giasone accettò con entusiasmo e Medea gli chiese di raggiungerla di notte nella sua camera segreta.

Libro Terzo - Capitolo Primo
Tormentata dall'impazienza, Medea attese nella sua camera che scendesse la notte e che tutti nel palazzo si fossero ritirati, quindi mandò una sua domestica a chiamare Giasone. Medea fece giurare a Giasone di sposarla e rimanerle fedele con la mano su una sacra immagine di Giove.
Quando Giasone ebbe pronunciato il giuramento i due si amarono per il resto della notte. All'alba Medea consegnò a Giasone un'immagine in argento che proteggeva dagli incantesimi, un unguento che proteggeva dal calore, un anello con una pietra magica che annullava gli effetti dei veleni e inoltre rendeva invisibile chi lo portava. La maga consegnò ancora a Giasone un testo da leggere tre volte di fronte al vello d'oro, prima di toccarlo, e infine una caraffa di un liquore da far bere ai buoi per renderli inoffensivi.

Libro Terzo - Capitolo Secondo
Il re Oete fece un ultimo tentativo di dissuadere Giasone dal compiere una così pericolosa impresa ma di fronte alla determinazione del giovane eroe gli accordò il suo consenso. Giasone raggiunse con una barca la piccola isola dove si custodiva il vello d'oro, dall'altro di una torre Medea lo vide sbarcare e pregò gli dei per la sua salvezza. Giasone si cosparse con l'unguento avuto da Medea e si pose al collo l'immagine che lei gli aveva dato, quindi affrontò i buoi fiammeggianti. L'alito infuocato delle bestie ridusse rapidamente in fumo il suo scudo e la sua lancia. Giasone asperse abbondantemente le bocche dei buoi con il liquore preparato dalla maga e le bocche rimasero sigillate, incapaci di emettere fiamme.
Ormai mansueti i buoi si lasciarono aggiogare e Giasone li usò per arare il campo. Un drago si destò e si mosse verso Giasone sputando fiamme e veleno ma Giasone gli mostrò l'anello con la pietra verde avuto da Medea e il mostro, terrorizzato, prese a contorcersi per evitare lo splendore della gemma mentre Giasone lo attaccava colpendolo con il coltello fino a farlo morire. Sempre seguendo le indicazioni avute da Medea, Giasone decapitò il dragone, estrasse i suoi denti e li sparse sul campo appena arato, Dai denti seminati nacquero altrettanti cavalieri completamente armati che combatterono tra di loro finché non ne rimase alcuno in vita. Superate le imprese che Medea aveva predetto, Giasone trovò il montone dal vello d'oro che si lasciò sacrificare senza opporre resistenza.
Giasone scuoiò l'animale e con il vello d'oro raggiunse i suoi compagni che lo accolsero con infinito sollievo, quindi si presentò al re Oete che si mostrò felice di rivederlo e celò l'invidia che provava nei suoi riguardi. Medea evitò di baciarlo ma lo invitò sottovoce a raggiungerla quella sera nella sua stanza. Trascorso un mese Giasone ripartì con i suoi compagni portando con se Medea che lo seguì senza prendere commiato dal padre. Giunsero in Tessaglia e Peleo, pur controvoglia, mantenne la promessa di rendere Giasone signore del suo regno.
Ma Giasone non aveva dimenticato come Laomedonte re di Troia lo aveva offeso e concordò con Ercole le azioni da compiere per vendicare l'affronto. I due eroi esposero a Peleo le proprie intenzioni e convocarono molti principi greci che aderirono al progetto contro il re troiano.

Libro Quarto - Capitolo Primo
Il regno di Sparta era governato dai fratelli Castore e Polluce che secondo i Poeti erano figli di Giove generati da Leda che fu madre anche di Elena, ma secondo alcuni era figlia di Tindaro.
Castore e Polluce accolsero la proposta di Ercole e promisero di partecipare alla guerra contro il re troiano, Ercole passò a Salamina dove ottenne analogo promessa dal re Telamone, poi a Pilo dove anche Nestore aderì al suo piano. Tornato da Peleo lo trovò pronto a partire con venti navi cariche di cavalieri armati.
Si era sotto il segno dell'ariete quando Ercole con Giasone e con gli altri comandanti partì per la nuova missione e la loro serena navigazione si concluse nel porto troiano chiamato Sigeo, dove i Greci sbarcarono e piantarono il loro campo. Peleo convocò tutti i capi nella sua tenda per stabilire la strategia da adottare nell'imminente battaglia.

Libro Quarto - Capitolo Secondo
L'intero capitolo è occupato dalla descrizione della battaglia che si svolge di fronte alle mura di Troia con sorti alterne finché la forza dei Greci prevale e i superstiti troiani fuggono abbandonando il campo di battaglia.
Particolare rilievo viene dato alle gesta di Laomedonte per i Troiani e a quelle di Ercole per i Greci.

Libro Quarto - Capitolo Terzo
Vinta la battaglia, i Greci passarono a saccheggiare la città portando terrore e morte tra gli anziani, le donne e i bambini che cercavano scampo nei templi degli dei. Il saccheggio durò un mese, i Greci uccisero tutti tranne le donne che furono catturate e fatte schiave.
Quando trovarono la bellissima Exiona figlia di Laomedonte, Ercole la assegnò come preda a Telamone che era stato il primo a entrare in città e Telamone ne fece una concubina.
Dopo aver distrutto Troia, i Greci tornarono in patria carichi di ricchezze, furono accolti con gioia e la loro vittoria fu celebrata con molti sacrifici.

Libro Quinto - Capitolo Primo
Alla distruzione di Troia non aveva assistito Priamo figlio del re Laomedonte che era impegnato nell'assedio di un castello ribelle in altra parte del regno.
Moglie di Priamo era Ecuba, la coppia aveva cinque figli (Ettore, Paride o Alessandro, Deifobo, Eleno, Troilo) e tre figlie (Creusa, Cassandra, Polissena), Virgilio attribuisce a Priamo ed Ecuba altri due figli: Polidoro che fu affidato a un re amico che lo uccise a tradimento per impadronirsi del suo denaro, e Ganimede che fu rapito da Giove e divenne coppiere degli dei. Oltre a questi, Priamo aveva avuto trenta figli naturali da donne diverse: Udubal, Antonio, Esdron, Oelio, Sinsileno, Quintileno, Modemo, Bassibilano, Diadocon, Dorastato, Pittagora, Gitilanor, Eliastor, Menelao, Isidoro, Graris, Gelidonio, Einargoras, Madian, Sardo, Margariton, Achille, Fantel, Bruno, Matan, Almadian, Diole, Godelaio, Duglas, Candor.

Libro Quinto - Capitolo Secondo
Priamo pianse per molti giorni la morte di Laomedonte e la distruzione della città, poi decise di ricostruire Troia più grande e più forte, capace di resistere a qualsiasi attacco nemico. Reclutate maestranze, carpentieri ed altri artefici, si raccolsero molti marmi pregiati di tutti i colori, si eliminarono le macerie e si cominciò la costruzione della più grande città che si fosse mai vista. La si circondò con una cinta di mura con molte torri, con sei porte (Dardania, Cimbria, Elia, Schea, Troiana, Anterida) ed un profondo fossato.
Furono costruiti bellissimi edifici, piazze, strade, quartieri. Ovunque si aprivano botteghe di artisti e artigiani. La città era attraversata dal fiume Xanto che alimentava vari canali, riceveva fognature e muoveva mulini.
La nuova Troia fu densamente popolata, spesso vi si tenevano giochi, feste e spettacoli.
Nel luogo più alto Priamo fece costruire il proprio palazzo e la rocca detta Ilion. Nel palazzo si trovava un salone con il trono, i sedili per le grandi riunioni e un altare consacrato a Giove rivestito di marmi pregiati e di pietre preziose.
Quando la città fu completata, Priamo decise che fosse giunto il momento di vendicare le offese e le violenze dei Greci e convocò tutti i cittadini, Dimostrandosi cauto e moderato, Priamo propose di mandare ambasciatori ai Greci per chiedere la restituzione di Exiona e di evitare una guerra dall'esito incerto. L'ambasciata fu affidata a Antenore il quale raggiunse il re Peleo nella sua sede in Tessaglia ma fu cacciato con "parole minaccevoli" e con il più secco rifiuto di ogni trattativa. Antenore raggiunse Salamina dove rinnovò a Telamone la richiesta della restituzione di Exiona, ottenendo un nuovo rifiuto. Si recò quindi in Acaia presso Castore e Polluce i quali risposero che le offese lamentate da Priamo erano state causate dal comportamento di Laomedonte, quindi ordinarono all'ambasciatore di ripartire immediatamente, pena la morte.
Analoghe minacce fece Nestore, visitato da Antenore in Pilo. Durante il viaggio di ritorno, la nave di Antenore fu colta dalla tempesta che durò per tre giorni con eccezionale violenza. Superato anche questo pericolo, Antenore rientrò in patria e, prima di ogni altra azione, volle offrire sacrifici agli dei per lo scampato pericolo.
Ascoltando da Antenore il resoconto della spedizione, Priamo ne fu addolorato e perse la speranza di rivedere la sorella.

Libro Sesto - Capitolo Unico
Ascoltate le risposte date dai Greci a Antenore, Priamo decise di armare una flotta per vendicare in Grecia le offese subite. Convocò tutti i nobili del regno e, riferendo l'esito della missione di Antenore, li convinse ad armarsi contro i Greci.
Priamo riunì a consiglio tutti i suoi figli e pianse ancora per la morte di Laomedonte e per la servitù di Exiona, facendo leva sui rapporti familiari li incitò alla guerra chiedendo a Ettore di assumere il comando supremo.
Prudentemente Ettore consigliò al padre di valutare bene la potenza dei Greci e l'imprevedibilità della fortuna prima di affrontare la guerra. Ad Ettore replicò Paride insistendo per affrontare la guerra e chiedendo di poter comandare la spedizione. Per spiegare il proprio ottimismo narrò di aver sognato, durante una pausa nella caccia sul Monte Ida, il dio Mercurio che gli appariva accompagnato da Venere, Pallade e Giunone. Le tre dee, aveva spiegato Mercurio, erano in gara per aggiudicarsi un pomo prezioso destinato alla più bella ed avevano eletto Paride per scegliere la vincitrice. Ciascuna gli offriva un dono: Giunone gli offriva il potere sui grandi del mondo, Pallade gli offriva la conoscenza e Venere gli prometteva la più bella donna della Grecia. Dopo aver esaminato le tre dee nude, Paride aveva scelto Venere e questa gli aveva confermato la promessa di Mercurio.
In base a questo sogno, Paride insisteva per andare in Grecia a prelevare la donna più bella, che in seguito si sarebbe potuta scambiare con Exiona.
Parlò quindi Deifobo, terzo figlio di Priamo, appoggiando la proposta di Paride, ma Eleno, quarto figlio notoriamente dotato di capacità divinatorie, avvertì che l'impresa di Paride avrebbe provocato la distruzione di Troia e l'eccidio dei suoi cittadini. L'ultimo a parlare fu Troilo che negò la possibilità di Eleno di predire il futuro e lo accusò di vigliaccheria, invitando il padre a ordinare la partenza della flotta.
Priamo ordinò a Paride e Deifobo di reclutare molti cavalieri in Pannonia e con quelli imbarcarsi per la Grecia.
Il giorno seguente, Priamo sottopose la questione all'assemblea della cittadinanza chiedendo di confermare con il voto la sua decisione. Intervenne Porteo figlio di Euforbo che predisse la rovina come aveva fatto Eleno, ma fu tacitato dalla folla e la partenza venne confermata.
L'ultima ad opporsi alla guerra presagendo la sventura fu Cassandra, figlia di Priamo, che si lasciò andare alla disperazione, ma non servì a nulla perché il destino di Troia era segnato.

Libro Settimo - Capitolo Primo
In primavera Paride e Deifobo imbarcarono tremila cavalieri su ventuno navi. Partecipavano alla spedizione anche Antenore, Enea e Polidamante.
Durante il viaggio incontrarono la nave di Menelao diretta a Pilo su invito di Nestore. Menelao era fratello di Agamennone e marito di Elena a sua volta sorella di Castore e Polluce e madre di Ermione. La nave di Menelao compì una deviazione evitando di incrociare la nave dei Troiani.
I Troiani approdarono all'isola di Citerea (Citera - Cerigo), che apparteneva alla Grecia, dove si trovava un importante tempio di Venere. Proprio in quel periodo si festeggiava la festa annuale della dea che attirava in quell'isola gente di ogni provenienza.
Paride si recò al tempio e offrì in abbondanza oro e argento alla dea. La bellezza di Paride e la ricchezza dei doni colpirono i presenti e molti tentarono di conoscere il visitatore. Paride e i suoi compagni spiegarono di essere Troiani in missione in Grecia per recuperare la principessa Exiona, fatta schiava ai tempi del re Laomedonte. Ben presto a Elena giunse la notizia del bel principe troiano arrivato a Citera e la donna volle intervenire alla festa per conoscerlo.
Già dai primi sguardi nacque nei due giovani fortissima attrazione reciproca. Paride riunì i suoi compagni con i quali concordò di assalire il tempio per catturare quanti vi si trovavano (soprattutto Elena) e per depredare il tesoro. Il piano fu attuato quella stessa sera e i Troiani riuscirono a ripartire con molti prigionieri, molti preziosi e soprattutto con la regina Elena, la donna più bella della Grecia che non oppose alcuna resistenza al suo rapitore.
Compiuto il viaggio di ritorno, i Troiani approdarono a Tenedo, una località distante sei miglia da Troia.
Priamo esultò alla notizia del ritorno di Paride e dei suoi successi e si tenne una grande festa ma Elena, ora che era giunta in terra straniera, piangeva continuamente di paura e di nostalgia. Con pazienza e gentilezza Paride riuscì a consolarla, le assicurò che sarebbe stata trattata con ogni onore e con sollecitudine, le fece avere splendidi doni, vestiti, un bellissimo cavallo.
Da Tenedo, Elena fu accompagnata a Troia dove Priamo la accolse con i massimi onori tra la cittadinanza esultante. Il giorno seguente, nel tempio di Pallade, fu celebrato il matrimonio di Paride e Elena.
Mentre tutta la città era in festa, Cassandra si disperava annunciando la disgrazia e l'eccidio, la caduta di Troia e pregando i concittadini di restituire Elena per evitare la totale distruzione. Non riuscendo a farla tacere, Priamo ordinò di rinchiuderla in un chiostro dove rimase per molto tempo, ignorata dai Troiani.

Libro Ottavo - Capitolo Primo
Menelao si trovava ancora presso Nestore quando fu informato dell'attacco dei Troiani a Citerea e del rapimento di Elena. Fu preso dalla disperazione pensando ai suoi sudditi rapiti o uccisi e, soprattutto, a sua moglie nelle mani del nemico. Nestore fece del suo meglio per consolarlo. Ripresosi dalla crisi Menelao ripartì per la sua città e quando vi fu giunto mandò a chiamare suo fratello Agamennone e i fratelli Castore e Polluce.
Agamennone incoraggiò il fratello promettendogli vendetta e prese in mano la situazione. Scrisse lettere a tutti i nobili greci per coinvolgerli in una grande spedizione contro Troia. Tra i primi ad accorrere furono Achille, Patroclo e Diomede, presto seguiti da molti altri. Formarono una grande esercito e concordemente affidarono a Agamennone il comando supremo.
Castore e Polluce non vollero attendere gli altri e si imbarcarono immediatamente sperando di liberare Elena raggiungendo le nati troiane prima che arrivassero a destinazione, tuttavia fecero naufragio a causa di una tremenda tempesta e perirono in mare con tutto il loro seguito. Si dice che furono trasportati in cielo e che divennero dei aggiungendo allo Zodiaco il segno dei Gemelli.
A questo punto l'autore inserisce una descrizione dei principali personaggi ricavandola da Darete Frigio. Elena risplendeva per grandissima bellezza; Agamennone era di bassa statura ma molto robusto, era inoltre buon oratore. Il fratello Menelao era meno raffinato ma molto coraggioso. Achille era bellissimo con capelli biondi e crespi, occhi grandi e azzurri, era molto alto con larghe spalle e membra fortissime. Alto e robusto era anche Aiace d'Oileo. Aiace Telamonio era di carnagione chiara con capelli neri e crespi, amava cantare e suonare.
Ulisse era tra i più belli ma pieno di malizia, bugiardo ed imbattibile come oratore.
Diomede era grande con ampio petto e forti spalle, forte e coraggioso nei combattimenti, ma molto lussurioso.
Anche Nestore era alto e robusto, parlava molto bene e dispensava saggi consigli.
Protesilao fu valente uomo "di bella e convenevole statura", Palamede figlio di Naulo era molto bello, coraggioso e generoso.
Podalirio e Macaone erano fieri e coraggiosi, ma molto superbi.
Briseide figlia di Calcante, con i capelli biondi e la pelle candida, attraeva molti uomini ed ebbe molti amanti.
Il re Priamo era alto e asciutto, dotato di voce profonda, amava la verità e odiava gli adulatori. Suo figlio Ettore era forte e valoroso, gentile e amato dai concittadini.
Deifobo e Eleno, figli di Priamo, erano molto simili tra loro e somigliavano molto al padre. Troilo era forte e magnanimo, aveva molto successo con le damigelle.
Paride fu famoso per la bellezza e per la chioma bionda che sembrava d'oro, era ambizioso e audace.
Enea era "grosso nel petto e non grande nel corpo", molto saggio e colto, abile nel parlare, dispensava savi consigli.
Antenore era alto e magro, grande parlatore, molto amato da Priamo. Suo figlio Polidamante era alto come il padre, forte nei combattimenti e dotato di grande controllo.
Ecuba era di aspetto mascolino, molto forte e saggia.
Andromaca moglie di Ettore era molto bella ed era la più onesta tra le donne.
Cassandra desiderava conservare la propria verginità, fu capace di predire molti eventi ed era dotata di grandi conoscenze.
Polissena, "vergine tenerissima, fue di molta beltade dilicata", fu virtuosa e modesta.

Libro Nono - Capitolo Primo
Il catalogo delle navi greche:
- Agamennone re di Micene, capo della spedizione, con 100 navi
- Menelao re di Sparta, marito di Elena, con 60 navi
- Arcesilao e Protenore, signori della Beozia, con 50 navi
- Ascalafo e Elimne dalla provincia di Orcomeno, con 3 navi
- Epistrofo e Tedio, dalla Focide, con 50 navi
- Aiace Telamonio da Salamina, con 50 navi
- Teutranio, Anfimaco, Dorione, Polisseno, Teseo compagni di Aiace Telamonio
- Nestore da Pilo con 50 navi
- Toante re di Etolia con 50 navi
- Defimos con 50 navi
- Aiace d'Oileo da Locri con 37 navi
- Polibeo e Anfimaco dalla provincia di Calcedonia con 30 navi
- Idomeneo e Merione da Creta con 80 navi
- Ulisse da Itaca con 50 navi
- Meleo da Pigris con 10 navi
- Prototaco e Protesilao dalla Filoca con 50 navi
- Macaone e Podalirio dal regno di Trica con 22 navi
- Achille da Ftia con 50 navi
- Telapolo da Rodon con 20 navi
- Euripilo da Orcomeno con 50 navi
- Antipo e Anfimaco dall'Elide con 11 navi
- Polibete e Logio da Trica con 60 navi
- Diomede, Teleno, Eurialo da Argo con 80 navi
- Polifemo da Melibea con 7 navi
- Protolio da Demarasa con 50 navi
- Capino di Cappadocia con 50 navi
- Travio re di Pea con 22 navi
- Menesteo da Atene con 69 navi

Libro Decimo - Capitolo Primo
Agamennone riunì tutti i capi e rivolse loro un discorso di incoraggiamento quindi propose di mandare ambasciatori a Delfi per consultare l'oracolo di Apollo in merito all'impresa che stavano per affrontare. La missione fu affidata ad Achille e Patroclo, i quali giunsero nell'isola di Delfi dopo breve e agevole navigazione. Nell'isola si trovava il tempio di Apollo con una grandissima immagine d'oro del dio. Qui la Pitonessa pronunciava i suoi oracoli.
Da questo punto in avanti l'autore divaga parlando della divinazione presso cli antichi che ottenevano risposte oscure e spesso errate perché si rivolgevano ai falsi dei. Da ciò si passa a una sintetica teogonia e all'elenco dei principali dei pagani. L'errore - scrive Guido - era certamente indotto da Satana, l'angelo abbattuto dai molteplici nomi, autore dell'inganno che indusse Adamo e Eva al peccato. Con la lunga digressione si concluse che Apollo dava i suoi responsi oracolari per inganno diabolico.
Da questo punto in avanti l'autore divaga parlando della divinazione presso cli antichi che ottenevano risposte oscure e spesso errate perché si rivolgevano ai falsi dei. Da ciò si passa a una sintetica teogonia e all'elenco dei principali dei pagani. L'errore - scrive Guido - era certamente indotto da Satana, l'angelo abbattuto dai molteplici nomi, autore dell'inganno che indusse Adamo e Eva al peccato. Con la lunga digressione si concluse che Apollo dava i suoi responsi oracolari per inganno diabolico.
Achille e Patroclo offrirono molti doni al tempio e formularono il loro quesito in merito alla guerra che i Greci stavano preparando. L'oracolo rispose che dopo dieci anni Troia sarebbe caduta e il suo re Priamo sarebbe morto come la gran parte dei suoi sudditi.
Mentre Achille e Patroclo si trovano ancora nel tempio, sopraggiunge il sacerdote troiano Calcante il quale si recava a sua volta ad interrogare l'oracolo. Il dio ordinò a Calcante di non tornare a Troia e seguire Achille mettendo la sua arte divinatoria al servizio dei Greci. Calcante ubbidì e Achille rientrò portando ai Greci l'incoraggiante responso.

Libro Undicesimo - Capitolo Primo
Accompagnato da Achille e Patroclo, Calcante si recò nella tenda di Agamennone dove erano riuniti molti comandanti e si rivolse loro per sollecitare la partenza. Si doveva partire - disse - per non mostrarsi indulgenti o negligenti, per approfittare dei responsi oracolari favorevoli e della bella stagione propizia alla navigazione. Convinti dalle parole di Calcante, tutti concordarono di partire immediatamente ma quando si furono imbarcati ed ebbero percorso un breve tratto di mare il tempo improvvisamente cambiò e fortissima pioggia prese a cadere mentre i venti provocavano onde mostruose.
Calcante spiegò che la dea Diana era adirata perché i Greci non le avevano offerto sacrifici prima di partire, era quindi necessario raggiungere il tempio della dea in Aulide e placare con le offerte la collera divina.
Agamennone si affrettò ad eseguire le disposizioni di Calcante e subito la tempesta si placò e in Greci ripresero il mare in sicurezza arrivando rapidamente alle rive del regno di Troia. Gli abitanti del posto accorsero per impedire ai nuovi arrivati di sbarcare ma furono sopraffatti dai Greci che ne uccisero la maggior parte, saccheggiarono il castello che si trovava su quella riva e ripresero le navi per raggiungere il porto di Tenedo a sei miglia da Troia. Qui si trovava un altro castello ben armato i cui difensori affrontarono i Greci in battaglia. Il combattimento durò a lungo con molte perdite da ambo le parti. I Troiani che riuscirono a fuggire raggiunsero le mura della città e qui si svolsero altri durissimi combattimenti. Al termine degli scontri il castello di Tenedo era distrutto, i Greci tornarono alle navi dopo aver compiuto una prima strage di Troiani e aver depredato i loro beni.

Libro Dodicesimo - Capitolo Primo
Agamennone fece riunire quanto era stato saccheggiato ed operò una giusta spartizione della preda, il mattino successivo riunì in assemblea tutti i comandanti. Agamennone propose di agire con moderazione e tentare ancora una soluzione pacifica mandando ambasciatori a chiedere al re Priamo la restituzione di Elena e dei preziosi trafugati. La proposta fu accettata e la missione fu affidata a Diomede e Ulisse.
Gli ambasciatori furono ricevuti nello splendido palazzo reale del quale ammirarono gli arredi. Di fronte a Priamo non tributarono omaggi ma vennero subito all'oggetto della loro visita. Ulisse con poche parone chiese la restituzione di Elena offrendo in cambio la pace e minacciando la morte e lo sterminio in caso di rifiuto.
Senza lasciarsi impressionare, Priamo ricordò che i Greci gli avevano ucciso il padre ed i fratelli e avevano rapito sua sorella Exiona, avevano inoltre respinto la sua richiesta di liberare Exiona maltrattando il suo ambasciatore. Ribadendo che non poteva esserci pace tra i loro popoli, Priamo ordinò ai due visitatori di andarsene, Seguì uno scambio di minacce e battute provocatorie tra Enea e Diomede, saggiamente Ulisse vi pose fine prendendo commiato da Priamo e i due tornarono al campo greco dove la risposta di Priamo fu ascoltata con stupore mentre tutti si rendevano conto di come sarebbero andati i rapporti con i Troiani.
A questo punto la narrazione viene interrotta per lasciare spazio a un rapido ritratto di Enea. Dopo la prima caduta di Troia, Anchise con i superstiti navigò nel Tirreno e dopo molti eventi divenne principe e iniziatore della schiatta a cui apparteneva Cesare Augusto. Come fu ricordato nel libro delle leggi di Giustiniano, Enea figlio di Anchise e i suoi discendenti originarono e per primi governarono la repubblica romana. Le gesta di Enea sono descritte nell'Eneide di Virgilio.

Libro Tredicesimo - Capitolo Primo
Su proposta di Agamennone, i Greci inviarono Achille e Telefo figlio di Ercole all'isola di Messa con l'incarico di procurare approvvigionamenti adeguati per il loro esercito. A Messa regnava pacificamente il re Teutrano, molti ritengono che l'isola di Messa corrisponda alla Sicilia e che il nome derivi da quello di Messina.
Quando i Greci sbarcarono sull'isola si scontrarono con il re Teutrano e la sua gente, fu una battaglia cruenta che i Greci vinsero grazie al valore di Achille. Questi duellò con Teutrano e lo avrebbe ucciso se Telefo non fosse intervenuto in suo favore. Telefo spiegò di aver contratto in passato un debito di ospitalità con Teutrano e Achille rinunciò ad ucciderlo.
Dopo la battaglia, Telefo e Achille furono ricevuti nel palazzo reale e alcuni giorni dopo Teutrano, morendo per le ferite subite, nominò Telefo suo erede in memoria dell'aiuto ricevuto molto tempo prima da suo padre Ercole.

Libro Tredicesimo - Capitolo Secondo
Achille riprese il mare e tornò a Tenedo mentre Telefo rimase nel suo nuovo regno promettendo di inviare regolarmente vettovaglie all'esercito. I Greci accolsero con grande letizia Achille e le notizie che recava.
A questo punto l'autore, seguendo la struttura dell'opera di Darete Frigio, inserisce il catalogo degli alleati di Troia:
- Re Pandaro, Re Gapor, Re Andastro con 3.000 cavalieri - Re Carras, Re Imasio, Re Nestor, Re Anfimaco dalla provincia di Colofon con 5.000 cavalieri - Re Glaucone con il figlio Sarpedone, dalla Licia con 1.000 cavalieri - Re Eufemo dalla Licaonia con 1.000 cavalieri - Re Neupor e Re Cupeo da Larissa con 1.500 cavalieri - Re Remo da Tabaria con 3.000 cavalieri - Re Files dalla Tracia con 1.100 cavalieri - Re Pretermisti e Duce Stupes dalla Pannonia con 1.000 cavalieri - Anfino, Fortunio, Sommo dalla Beozia con 1.200 cavalieri - Re Boetis e Re Epistino dal Regno Brotino con 1.000 cavalieri - Re Filimenio dal regno di Paflagonia con 2.000 cavalieri - Re Perseo e Re Mennone e Segamone dall'Etiopia con 3.000 cavalieri - Re Tesio e Archiloco dal regno di Troia con 1.000 cavalieri - Due re dell'isola di Agresta con 1.200 cavalieri - Re Epistrofo del regno di Delesinia con 1.000 cavalieri e un centauro.
Libro Quattordicesimo - Capitolo Primo
Mentre i Greci erano ancora a Tenedo giunse Palamides figlio del re Naulo che si scusò per il ritardo dovuto a una sua malattia. Palamides era un personaggio prestigioso per competenza ed esperienza e fu subito nominato consigliere di Agamennone.
Diomede parlò agli altri capi deprecando la loro indecisione per la quale già da un anno sostavano a Tenedo. Le sue parole scossero chi le ascoltò e il mattino seguente la flotta greca salpò alla volta di Troia.

Libro Quattordicesimo - Capitolo Secondo
I Troiani accorsero al lido in gran numero e in modo disordinato. I Greci non avrebbero potuto sbarcare se non scontrandosi con loro. I venti spinsero violentemente a terra le navi, alcune delle quali si infransero facendo perire gli occupanti, altri greci scesero a terra dove li attendeva la morte per mano dei nemici.
Via via che le navi greche arrivavano alla spiaggia, i Greci prendevano coraggio e respingevano sempre più efficacemente gli assalti troiani. La lunga descrizione della battaglia comprende vari duelli individuali come quello tra Ulisse e Filimeno e quello in cui Palamede uccise Segamone.
Protesilao che fu il primo a sbarcare sul lido di Troia uccise numerosissimi nemici battendosi con grande coraggio ma infine fu ucciso da Ettore. Quest'ultimo respinse il nemico verso le navi e combatté contro molti avversari finché la stanchezza non lo costrinse a rientrare in città. Nello stesso momento scendeva dalla sua nave il possente Achille con i suoi Mirmidoni. L'intervento di Achille volse la battaglia in favore dei Greci mentre i Troiani rientrarono in città lasciando molti caduti sul campo. Quella sera i Greci per ordine di Agamennone piantarono il loro campo sulla riva ed ebbe così inizio l'assedio di Troia.

Libro Quindicesimo - Capitolo Primo
Il mattino seguente Ettore convocò tutti i combattenti troiani davanti al tempio di Diana, li dispose opportunamente per il combattimento e ordinò di aprire la Porta Dardania.
Troiani e alleati furono divisi in dieci squadre, ciascuna guidata da uno o più comandanti. L'ultima squadra, comprendente cinquemila cavalieri troiani, era sotto il diretto comando di Ettore. Prima di uscire dalla città, Ettore affidò al padre un contingente di armati con il quale difendere le mura di Troia respingendo eventuali assalti nemici. Mentre l'esercito si schierava di fronte al nemico, le donne salivano sulle torri per osservare la battaglia, con loro era Elena con il cuore colmo di apprensione.

Libro Quindicesimo - Capitolo Secondo
Da parte sua Agamennone organizzò ventisei schiere e scelse i comandanti come segue: - Patroclo con i Mirmidoni - Memnone, Idomeneo, Menesteo con gli Ateniesi - Ascalafo e il figlio Filimeno con i Cumani - Arcesilao e Protenore dalla Beozia - Menelao con gli Spartani - Epistrofo e Celido dalla provincia di Fedise - Aiace Telamonio da Salamina insieme a Tesio, Anfimaco, Dorio, Polisaro - Toas - Aiace d'Oileo - Filitore - Idomeneo e Merione - Nestore - Uex figlio di Malente - Ulisse - Umelio - I compagni del defunto Protesilao - Podalirio e Macaone - Roa - Euripilo d'Orcomeno - Xantippo e Anfimaco - Filottete di Larissa - Diomede e Stenelo - Eneo di Cipro - Protilao - Capenoro di Cappadocia - Agamennone Greci e Troiani si fronteggiavano sul campo di battaglia quando Ettore iniziò la carica contro i nemici. Si scontrò con Patroclo che comandava la prima schiera dei Greci e lo uccise, lottò quindi con molti altri nemici ma non riuscì a prendere per se le armi di Patroclo.
Troilo fu sopraffatto dai nemici guidati da Menesteo che tentarono di prenderlo prigioniero ma Xantippo lo impedì e attaccò Menesteo mentre intorno a loro la battaglia si faceva sempre più cruenta. Segue una lunga descrizione degli scontro, molti dei capi citati in questo capitolo e nel precedente vengono descritti mentre uccidono o muoiono in altrettanti duelli.
Alla fine del capitolo Ettore combatte contro Aiace Telamonio e viene a sapere che quest'ultimo è figlio di Exiona, sorella di Priamo, ed è quindi suo cugino. Per effetto di questo riconoscimento i due smettono di combattere e la battaglia, per quel giorno, viene interrotta.

Libro Sedicesimo - Capitolo Primo
Greci e Troiani concordarono una tregua di due mesi per seppellire e piangere i caduti.
Cassandra continuamente si disperava predicendo la tragica fine di Troia e pregando i Troiani di restituire Elena e chiedere la pace. Non riuscendo a farla tacere, Priamo la fece chiudere in un chiostro.
Presso i Greci Pallamides (Palamede) criticava Agamennone e metteva in dubbio la legittimità del suo comando.
Trascorsi i due mesi di tregua, Ettore e Achille disposero opportunamente le rispettive truppe e aprirono i combattimenti scontrandosi e disarcionandosi a vicenda. Il duello fu durissimo ma prima che uno degli avversari perdesse la vita il sopraggiungere delle schiere pose fine allo scontro individuale. Fedele allo stile omerico, l'autore descrive una serie di duelli: Troilo e Diomede, Menelao e Paride ed altri.
Al termine della giornata la battaglia fu favorevole ai Troiani che respinsero i Greci costringendoli a riparare nel loro accampamento.

Libro Diciassettesimo - Capitolo Unico
In una riunione dei capi greci tutti convengono sulla necessità di eliminare Ettore, azione che solo Achille può riuscire a compiere.
Il mattino seguente all'alba Ettore aveva già schierato per la battaglia la sua squadra, subito imitato da Troilo, Paride, Deifobo.
La battaglia che seguì ebbe al centro il combattimento tra i due campioni, Ettore e Achille, che si ferirono gravemente l'un l'altro senza per questo smettere di battersi. Intorno a loro si concentrarono i due eserciti e, come al solito, l'autore parla di più scontri individuali che della battaglia nel suo insieme. Paride riuscì a ferire Menelao ma questi, prontamente medicato, tornò in campo e si sarebbe vendicato finalmente di Paride se non fosse intervenuto Enea.
Si continuò a combattere fino al calar della notte, una strage di Greci e di Troiani che si concluse senza vincitori nè vinti.

Libro Diciottesimo - Capitolo Unico
Priamo consultò i suoi comandanti sul modo di giustiziare il re Toante che era prigioniero dei Troiani. Enea consigliò di risparmiarlo per poterlo scambiare con chi fosse caduto nelle mani dei Greci, Ettore approvò e sostenne l'opinione di Enea e Priamo accolse il loro consiglio. Quel giorno non vi furono combattimenti. La notte cadde moltissima pioggia e il vento sconvolse le tende dei Greci. Il mattino seguente i Greci si prepararono a combattere, Achille con la sua schiera fu il primo a scendere in campo.
Achille uccise Uppone re di Larissa, Ettore uccise Ortomeno, Diomede uccise Antipo.
Ettore uccise Epistrofo e il fratello Cedio, Enea uccise Anfimaco, Achille uccise Filon, Ettore uccise Alpino e Dorio.
Dopo un momento di crisi, i Troiani recuperarono le loro posizioni grazie all'intervento di Epistropo con tremila cavalieri. Con Epistropo combatteva un centauro dalle forme ibride di uomo e cavallo che spaventò i cavalieri nemici e i loro cavalli. Con il suo arco e le sue frecce il centauro uccise molti Greci. Mentre i Greci correvano alle loro tende, Diomede si trovò di fronte al centauro e fu costretto ad affrontarlo, venne ferito da una freccia ma riuscì ad abbattere l'avversario riequilibrando le sorti della battaglia.
Prima che il tramonto ponesse fine alla lotta, i Greci catturarono Antenore senza che suo figlio Polidamante riuscisse a liberarlo.

Libro Diciannovesimo - Capitolo Unico
Nuovo giorno e nuova battaglia, la sesta, il cui esito fu favorevole ai Greci. Il giorno successivo Ulisse e Diomede si presentarono a Priamo per proporre una tregua di tre mesi. Priamo consultò la sua gente e tutti furono propensi a concedere la tregua tranne Ettore che la proposta celasse un inganno, ma la maggioranza prevalse e la tregua fu confermata. I prigionieri furono liberati, tra loro Toante e Antenore.
L'indovino troiano Calcante che per volontà degli dei si era trasferito presso i Greci, aveva una figlia molto bella e gentile, di nome Briseide, che era rimasta a Troia. I due ambasciatori pregarono Priamo di lasciarle raggiungere il padre e Priamo lo concesse.
Durante la tregua Ettore visitò il campo dei Greci ed incontrò Achille. I due, pur usando un elegante linguaggio cavalleresco, si promisero reciprocamente di ammazzarsi entro un anno per soddisfare l'odio che li animava.
Ettore propose una sfida a duello promettendo che nel caso Achille avesse vinto i Troiani avrebbero consegnato Elena e abbandonato il loro regno, in caso contrario i Greci sarebbero dovuti ripartire ponendo fine alla guerra. La sfida avrebbe avuto luogo immediatamente se Agamennone e molti altri Greci non lo avessero impedito. Anche i Troiani presenti convennero che non fosse giusto affidare a due soli cavalieri le sorti della guerra.
Intanto a Troia, Troilo e Briseide, che erano amanti, si disperavano per l'imminente separazione. Trascorsero insieme l'ultima notte e al mattino Troilo tornò al palazzo paterno con grande tristezza nel cuore.
Quando Briseide fu accompagnata al campo nemico le venne incontro una scorta di Greci tra i quali era Diomede che si innamorò immediatamente della giovane e subito le presentò le sue proposte d'amore. Briseide gli rispose in modo ambiguo che comunque lo autorizzò a sperare. Prima di lasciarla andare dal padre Diomede le sottrasse un guanto.
Calcante accolse con gioia la figlia ma questa lo rimproverò per aver abbandonato la sua gente e tradito la sua patria. Calcante, che da indovino prevedeva il futuro, rispose prosaicamente che era meglio essere traditori che venire uccisi. Da parte sua Briseide si consolò rapidamente vedendo la cortesia e i doni con cui i Greci l'accoglievano e ben presto il suo amore per Troilo cominciò a intiepidire.

Libro Ventesimo - Capitolo Unico
Dopo la tregua di tre mesi gli schieramenti nemici tornarono in campo e l'autore, che dichiara di dipendere da Darete Frigio, ne elenca i comandanti.
Si passa quindi al racconto della battaglia secondo il modello già più volte usato nei capitoli precedenti. Ettore uccise Filis, Xantippo, Merione e centinaia di altri nemici, altrettanto fece Achille tra le cui vittime furono Licaone e Euforbio.
Un breve episodio costituisce un inciso nel racconto della battaglia: Diomede riesce a disarcionare Troilo e a prendere il suo cavallo che manda con un messo a Briseide come dono d'amore e Briseide mostra di gradire il presente con buona pace di Troilo abbandonato.
Si continuò a combattere per trenta giorni, le vittime greche superarono quelle troiane ma Priamo perse sei figli in questa occasione.
Fu concordata una nuova tregua di sei mesi.

Libro Ventunesimo - Capitolo Unico
Durante la tregua furono sepolti i caduti ed Ettore curò le proprie ferite nella dala della bellezza, un locale della reggia troiana lussuosamente arredato.
Diomede, intanto, si struggeva d'amore per Briseide la quale si divertiva a negarsi lasciando all'innamorato ogni speranza di successo.
Terminata la guerra si combattè ancora per dodici giorni ma Agamennone propose ancora un mese di tregua per superare il periodo più torrido dell'estate. L'ultima notte prima della ripresa dei combattimenti, Andromaca moglie di Ettore sognò la morte del marito. Molto impressionata, la donna pregò inutilmente Ettore di non combattere quel giorno ma poiché il marito la ignorava, si rivolse ai suoceri ed ottenne conforto da Priamo che ordinò a Ettore di non uscire da Troia in quel giorno. Ettore non si lasciò convincere neppure quando Andromaca gli mostrò il figlioletto ancora lattante pregandolo di rinunciare per lui a combattere. Infine un secondo intervento perentorio di Priamo fece rientrare Ettore controvoglia nel suo appartamento.
Un re di Frigia di nome Miseres intanto veniva catturato da Menelao e liberato da Troilo, mentre Achille uccideva Margariton, figlio naturale di Priamo. Quando seppe della morte del fratellastro, Ettore corse al campo di battaglia senza che fosse più possibile trattenerlo, uccise molti Greci e i Troiani, nel vederlo combattere, ripresero coraggio. Tra le vittime di Ettore fu Politene, un ricco signore indiano amico di Achille. Quest'ultimo affrontò Ettore deciso a ucciderlo: venne ferito gravemente ma in un secondo scontro riuscì a far cadere morto il suo grande nemico.
Un alleato troiano di nome Odemor, volendo vendicare Ettore, riuscì a ferire gravemente Achille che, quasi morto, fu portato al campo greco dai Mirmidoni mentre i Troiani rientravano in città con il cadavere di Ettore.

Libro Ventiduesimo - Capitolo Primo
Fu grande a Troia il lutto per la morte di Ettore, i più nobili della città portarono il suo corpo nella reggia dove Priamo, disperato, rischiò di morire di dolore sulle spoglie del figlio. Con lui piangevano la madre Ecuba, le sorelle Polissena e Cassandra e la moglie Andromaca. Priamo convocò i più sapienti del regno e li incaricò di trattare il cadavere in modo che rimanesse incorrotto e visibile a tutti i cittadini.
Il corpo fu recato nel Tempio di Apollo dove venne costruito un grande tabernacolo ornato d'oro e di pietre preziose. Reso incorruttibile con unguenti appositi, il corpo fu collocato sul tabernacolo in posizione seduta, circondato da lampade d'oro. Priamo istituì un gruppo di sacerdoti che ebbe il compito di conservare e sorvegliare il monumento.

Libro Ventiduesimo - Capitolo Secondo Agamennone convocò tutti i comandanti greci, si compiacque per la morte di Ettore e ricordò tutte le sue vittime, quindi propose di chiedere a Priamo una tregua di due mesi per seppellire i caduti e per dare il tempo di guarire alle ferite di Achille.
Palamede contestò la "signoria" di Agamennone e questi non ebbe difficoltà a rinunciare al comando. Si votò per eleggere il nuovo comandante e fu scelto Palamede. Quando Achille ne fu informato deprecò la decisione affermando che Palamede non era all'altezza di Agamennone, ma essendo stato eletto dalla maggioranza, Palamede ebbe comunque la carica.

Libro Ventitreesimo - Capitolo Unico
Scaduta la tregua, Priamo decise di partecipare personalmente alla prossima battaglia per vendicare Ettore. Quel giorno, dice Darete, centocinquantamila uomini scesero in campo guidati dai rispettivi comandanti con Priamo in testa. Lo schieramento dei Greci fu disposto dal nuovo comandante Palamede.
Priamo affrontò Palamede e lo disarcionò, continuò a combattere compiendo gesta incredibili per un uomo della sua età. La battaglia come sempre terribile e sanguinosa, fu vinta quel giorno dai Troiani soprattutto grazie al coraggio e alla forza di Priamo e dei suoi figli che costrinsero i Greci a rientrare nel loro accampamento.
Trascorso un anno dalla morte di Ettore, i Troiani celebrarono quindici giorni di lutto in memoria del loro eroe mentre i combattimenti venivano sospesi per una nuova tregua. Durante le tregue i Troiani potevano visitare il campo nemico e i Greci potevano entrare in città. Volle farlo Achille che visitò Troia senza armi ed entrò nel tempio di Apollo dove si trovava il corpo imbalsamato di Ettore circondato da uomini e donne che rendevano omaggio. Vicino al corpo si trovava la regina Ecuba con la sua giovane figlia Polissena la cui bellezza era esaltata dalle lacrime e dal pallore. Achille rimase folgorato dal fascino di Polissena e si innamorò della principessa al punto di tralasciare ogni altra cura. Scendeva la sera e Polissena tornò con Ecuba al palazzo. Anche Achille tornò alla sua tenda e rimase a tormentarsi per il suo amore proibito per una persona sua nemica che certamente lo odiava.

Libro Ventiquattresimo - Capitolo Unico Pensando per tutta la notte al suo nuovo amore, Achille decise di mandare a Ecuba una proposta segreta: se potrà sposare Polissena farà in modo che i Greci desistano dalla guerra. All'alba istruì un servo fedele e lo mandò a presentare la sua proposta a Ecuba.
Ecuba gradì il messaggio ricevuto ma disse al messaggero di tornare dopo tre giorni lasciandole il tempo per consultare Priamo e Paride.
Priamo decise di accettare, nonostante lodio che ovviamente nutriva per Achille, per mettere fine alla guerra; da parte sua Paride approvò la scelta del padre senza aggiungere altro. Quando il messaggero tornò da lei, Ecuba sciolse la riserva e accettò la proposta nuziale a condizione che Achille mantenesse la sua promessa prima del matrimonio.
Achille aveva promesso ciò che non poteva garantire, tuttavia tentò di mantenere la parola data e convocò tutti i comandanti. Parlò dell'enorme sacrificio sopportato fino a quel momento e dei pericoli futuri da affrontare ancora per una sola donna: la morte di Ettore e tante altre imprese già compiute potevano bastare per tornare in patria con grande onore, quanto all'abbandono di Elena era compensato dall'aver prigioniera Essione sorella di Priamo.
Toas e Menesteo e la maggior parte dei presenti non approvarono le parole di Achille il quale, pieno d'ira, ordinò ai suoi Mirmidoni di non combattere più contro i Troiani.
In seguito i Greci esaurirono i rifornimenti e decisero di mandare Agamennone all'isola di Mezza per ottenere da Telefo nuovi approvvigionamenti. La missione ebbe buon esito e al ritorno di Agamennone Palamede ordinò di riparare e restaurare tutte le navi.

Libro Venticinquesimo - Capitolo Primo
Un'altra battaglia, la decima descritta nell'opera, ha inizio con la morte del re Creso dell'Agresta ucciso da Deifobo. I Greci sono in difficoltà ma in loro soccorso scendono in campo Palamede e Diomede con ventimila uomini.
Anche Aiace Telamonio ferisce gravemente Sinsileno (Sisieno) figlio di Priamo e Palamede colpisce Deifobo. Paride riesce ad accompagnare fuori dalla mischia Deifobo agonizzante e questi gli chiede di vendicarlo. Paride cerca Palamede, lo trova mentre sta uccidendo Sarpedone e lo uccide con una freccia avvelenata. A queste uccisioni individuali segue la descrizione di uno scontro di massa tra i due eserciti. I Troiani prevalgono e raggiungono le navi greche incendiandone molte ma prima che distruggano l'intera flotta interviene Aiace Telamonio con un nutrito seguito di soldati e respinge i nemici allontanandoli dalle navi.
Tra i caduti fu Eber, figlio del re di Tracia che prima di spirare raggiunse Achille nella sua tenda e lo accusò di lasciar morire la sua gente pur potendo aiutarla. Nè le parole di Eber, nè le sollecitazioni dei suoi compagni spinsero Achille a riprendere le armi.
Quando Paride confermò a Deifobo di aver ucciso Palamede, Deifobo si fece togliere la lancia spezzata confitta nel suo torace e subito spirò.
Priamo fece innalzare solenni monumenti per seppellire Deifobo e Sarpedone mentre nel campo greco si rendevano gli onori funebri a Palamede. Il comando dell'intera armata greca venne restituito a Agamennone.

Libro Venticinquesimo - Capitolo Secondo
Il giorno seguente si combattè ancora, questa volta sotto la pioggia battente. L'eroe del giorno fu Troilo che mandò all'oltretomba molti nobili greci e così il giorno successivo finché i Greci non chiesero un'ulteriore tregua per seppellire i morti.
Durante la tregua Nestore, Ulisse e Diomede, inviati da Agamennone, fecero visita a Achille per convincerlo a tornare a combattere, ma gli argomenti e l'eloquenza dei tre ambasciatori non riuscirono a far cambiare la decisione di Achille e i tre, delusi, tornarono a riferire l'esito della missione ad Agamennone che convocò l'assemblea generale per riferire la posizione di Achille.
Menelao, ovviamente, si oppose alla pace ma Ulisse e Nestore erano ormai convinti che non fosse possibile vincere Troia senza l'aiuto di Achille. La decisione finale, tuttavia, dipese dall'intervento di Calcante che ribadì che la guerra era voluta dagli dei e che ritrarsene sarebbe stato sacrilegio.

Libro Ventiseiesimo - Capitolo unico
Nuova battaglia. Troilo fece strage di nemici e finalmente incontrò Diomede che odiava per motivi di gelosia e riuscì a disarcionarlo. Troilo ferì e disarcionò anche Menelao e Agamennone.
Briseide visitò spesso Diomede ferito e, ormai dimenticato Troilo, decise di accettare l'amore di Diomede quando questi si fosse rimesso.
Agamennone e Nestore tentarono ancora di convincere Achille a combattere e ottennero che ai Mirmidoni fosse permesso tornare in battaglia. Seguirono numerose battaglie nelle quali i Mirmidoni, esperti combattenti, arrecarono gravi danni ai Troiani, ma vennero infine sopraffatti e molti di loro persero la vita.
Achille era combattuto tra l'amore per Polissena e il desiderio di tornare nel campo di battaglia ma quando fu informato che i Troiani avevano invaso il campo greco e stavano massacrando i suoi compagni direttamente nelle loro tende mise da parte le questioni di cuore e impugnò le armi. Come sempre fortissimo, Achille uccise molti nemici ma Troilo riuscì a ferirlo gravemente costringendolo a ritirarsi e rimanere per diversi giorni a letto.
Si era ormai alla diciannovesima battaglia quando Achille, ancora convalescente, ordinò ai Mirmidoni superstiti di circondare Troilo e colpirlo ripetutamente ma lasciando a lui l'ultimo colpo. I Mirmidoni eseguirono e Troilo venne privato del cavallo e dell'elmo e più volte ferito, infine Achille si avventò su di lui colpendolo fino a decapitarlo, quindi legò il cadavere alla coda del proprio cavallo per trascinarlo attraverso il campo di battaglia. A questo punto l'autore inserisce una nota polemica sotto forma di apostrofe ad Omero sostenendo che Achille non era mai stato l'eroico cavaliere di cui si legge nell'Iliade ma era un opportunista che non aveva esitato a uccidere Ettore e Troilo quando erano già sopraffatti.
Memnone attaccò Achille per punire la sua crudeltà e riuscì a ferirlo gravemente. Come aveva fatto per Troilo Achille ordinò ai Mirmidoni di accerchiare Memnone e "prepararlo" a combattere con lui. L'autore conclude che Achille non uccise mai alcuno valoroso uomo se non a tradimento .

Libro Ventisettesimo - Capitolo unico
Grande lutto a Troia per la morte di Troilo. Priamo chiese una tregua e tributò gli onori funebri a Troilo e Memnone.
Per vendicarsi di Achille, Ecuba decise di convocarlo per parlare del suo matrimonio con Polissena, ma intanto organizzò con Paride un'imboscata nel tempio di Apollo per ucciderlo. Achille giunse al tempio accompagnato da Antilogo figlio di Nestore, Paride con venti compagni lo aggredì. Achille riuscì ad uccidere sette assalitori prima di cadere morto insieme all'amico Antilogo. I corpi di Achille e Antilogo furono esposti nella piazza di fronte al tempio e i Troiani gioirono nel vederli, quindi Priamo, accogliendo una richiesta di Agamennone, mandò i due cadaveri al campo greco, concedette inoltre che Achille fosse sepolto all'entrata di una porta di Troia. Nonostante la perdita del loro compagno, i Greci decisero di continuare la guerra e, su proposta di Aiace, Menelao fu inviato presso Licomede a prelevare Neottolemo detto Pirro, figlio di Achille.
Nel frattempo Greci e Troiani si affrontarono ancora in battaglia. Paride assunse il comando dei Troiani al posto dei suoi fratelli già caduti (Ettore, Deifobo e Troilo) e si comportò eroicamente riuscendo a ferire Aiace con le sue frecce avvelenate ma prima di morire Aiace riuscì a colpire a morte Paride.
Giunta la notte i Troiani rientrarono in città e i Greci strinsero l'assedio mentre nel palazzo reale si piangeva la morte di Paride. Elena lo pianse con tale dolore che Priamo e Ecuba ebbero pietà di lei.

Libro Ventottesimo - Capitolo unico
Per due mesi Priamo tenne chiuse le porte di Troia proibendo alla sua gente di uscire per combattere, nonostante i ripetuti inviti di Agamennone, e prendendo tempo in attesa della regina delle Amazzoni che stava arrivando in suo soccorso.
Il regno delle Amazzoni era uno stato matriarcale in cui le donne vivevano divise dagli uomini e combattevano in cerca di gloria. Ne era regina Pentesilea che arrivò a Troia con mille guerriere per combattere contro i Greci. Pentesilea partecipò al dolore dei Troiani per la morte di Ettore quindi chiese a Priamo di lasciar uscire l'esercito per battersi insieme alle sue giovani.
Il mattino seguente Amazzoni e Troiani uscirono dalla città e affrontarono i nemici. Pentesilea disarcionò Menelao e prese il suo cavallo, affrontò Diomede e Aiace Telamonio mettendoli in grave difficoltà. Le Amazzoni spinsero i Greci fino al mare, calò la sera e la battaglia fu interrotta. Si continuò la guerra nei giorni seguenti e intanto giunse Neottolemo figlio di Achille che fu accolto con onore e letizia da tutti i Greci. Fu nominato cavaliere e Agamennone gli assegnò le armi di Achille.
L'indomani Pirro scese in campo con i Mirmidoni e si combattè una grande battaglia in cui prevalsero i Troiani con l'aiuto delle Amazzoni, Pirro e Pentesilea si scontrarono più volte prima che la sera mettesse fine alla lotta.
Per un mese si combattè ogni giorno con grandi perdite da entrambe le parti, in una battaglia particolarmente violenta Pentesilea riuscì a ferire gravemente Pirro ma questi la colpì mortalmente e, vedendola in terra, sfogò il suo odio facendola in pezzi, quindi svenne per il molto sangue perduto e fu portato al suo padiglione. Le Amazzoni si batterono al limite delle loro forze per vendicare la loro regina, migliaia furono i caduti da ogni parte e a sera Troiani e Amazzoni rientrarono in città completamente demoralizzati.

Libro Ventinovesimo - Capitolo unico
Anchise e Antenore con i figli Enea e Polidama, decisero di tradire Troia per salvarsi in quella situazione che ritenevano disperata. Antenore e Enea vollero tentare ancora di convincere Priamo a chiedere la pace ma il tentativo si concluse con una violenta lite e in seguito Priamo, certo che i due stessero per tradire, ordinò di ucciderli a Anfimaco, suo figlio naturale. La notizia, non si sa come, trapelò e Enea e Antenore furono informati delle intenzioni di Priamo e Anfimaco e quando furono convocati a consiglio si presentarono con una scorta di armati e Priamo ordinò a Anfimaco di non agire. Infine fu deciso di tentare una trattativa di pace, ne fu incaricato Antenore che incontrò i deleati greci, Taltibio, Ulisse e Diomede.
In realtà Antenore si offrì di consegnare loro la città a condizione dell'immunità per se, per Enea e per i loro familiari, suggellato con giuramenti il patto segreto, Antenore tornò a Troia accompagnato da Taltibio.
A Troia Antenore spiegò di fronte alla cittadinanza che si poteva ottenere la pace solo pagando forti somme ai Greci a titolo di indennizzo per i danni della guerra. Greci e Troiani scambiarono altre ambasciate, Ulisse, parlando a Troia, ribadì le richieste di indennizzo e chiese che Anfimaco fosse esiliato (la richiesta veniva da Antenore che voleva punire l'opposizione di Anfimaco alle proposte di pace).
In un segreto colloquio, Antenore spiegò a Ulisse e Diomede che secondo una profezia Troia non sarebbe caduta finché nel suo tempio fosse rimasto un simulacro di Atena, detto Palladio, di miracolosa origine. Per superare l'ostacolo Antenore aveva corrotto il sacerdote che custodiva il Palladio e promise che al più presto il sacro oggetto avrebbe lasciato Troia per essere consegnato ai Greci.

Libro Trentesimo - Capitolo primo
Antenore riferì a Priamo le quantità di oro, argento e grano richieste dai Greci per concludere la pace. Antenore quindi corruppe il sacerdote Toante custode del Palladio e lo convinse a consegnargli il sacro simulacro che egli fece avere ad Ulisse. Come aveva previsto a Troia si credette che il Palladio fosse stato trafugato da Ulisse, perciò Antenore e Toante rimasero liberi da ogni sospetto.
Avvennero due prodigi mentre i Troiani offrivano sacrifici: non fu possibile accendere il fuoco e un'aquila ghermì le interiora delle vittime e le portò alle navi greche. Cassandra interpretò i prodigi: il primo mostrava l'ira di Apollo perché il suo tempio era stato contaminato con l'uccisione di Achille, il secondo significava che Troia era stata tradita. Al campo greco anche Calcante fu consultato per il prodigio dell'aquila e lo interpretò come sicuro segno della prossima vittoria dei Greci.
Il prete Crisis consigliò ai Greci di costruire un grande cavallo di metallo nel quale nascondere mille guerrieri. Dispose che il cavallo venisse costruito da Epe, abile artefice, e che si chiedesse a Priamo di lasciarlo entrare in città come offerta per il tempio di Atena.
Quando seppero che Priamo stava trattando la pace con i Greci, i suoi alleati lo abbandonarono e tornarono ai rispettivi paesi.
Il mattino seguente Troiani e Greci si incontrarono e giurarono di rispettare la pace, Priamo restituì Elena ma rifiutò di far entrare il cavallo finché Enea e Antenore non lo convinsero che era un dono adatto per espiare il furto del Palladio.
Per far entrare il cavallo fu necessario allargare una porta della città. Tra quanti vi erano nascosti era un certo Sinone che aveva il compito al momento opportuno di far uscire gli altri dal cavallo e fare segnali a quanti aspettavano fuori le mura. Simulando la partenza, i Greci si recarono in nave alla vicina Tenedo e qui attesero la notte prima di tornare a Troia.

Libro Trentesimo - Capitolo secondo
Nella notte Sinone aprì le chiusure del cavallo e accese un fuoco per dare il segnale ai Greci che entrarono attraverso la porta danneggiata e aggredirono i Troiani che dormivano nelle loro case. Prima dell'alba oltre ventimila uomini uccisero e razziarono le case e i templi.
Priamo corse al tempio di Apollo e si prostrò davanti all'altare aspettando la morte che presto giunse per mano di Pirro. Ecuba e Polissena, fuggendo, incontrarono Enea. La regina gridò contro di lui chiamandolo traditore e gli chiese, almeno, di salvare Polissena. Toccato dalle parole della donna, Enea prese con se la giovane e la nascose in un luogo segreto. Mentre la città veniva distrutta dalle fiamme, Agamennone riunì tutti i capi nel tempio di Minerva per discutere la spartizione del bottino, ma Aiace Telamonio approfittò della riunione per proporre di uccidere Elena, responsabile di tante tragedie. Molti aderirono alla proposta tanto che Agamennone e Menelao riuscirono con difficoltà a proteggere Elena mentre Ulisse, con la sua eloquenza, convinceva tutti a risparmiare la donna.
Su richiesta di Antenore ed Enea furono liberati Cassandra e Eleno che erano sempre stati contrari alla guerra, da parte sua Eleno chiese clemenza per Andromaca e i suoi figli e la ottenne, infine Pirro propose di liberare tutte le nobildonne scampate all'eccidio.
Le cattive condizioni del mare impedirono per oltre un mese ai Greci di partire e Calcante sentenziò che alla partenza si opponeva l'anima di Achille che non aveva avuto soddisfazione. Pirro chiese di sacrificare Polissena in onore del padre ma la giovane rimase nascosta e salva fino al tradimento di Antenore che la consegnò a Pirro. Molti Greci avevano pietà di Polissena e l'avrebbero risparmiata ma Calcante insistette sulla necessità del sacrificio per poter are inizio al viaggio.
Prima di morire Polissena ringraziò gli dei che lasciavano che morisse vergine e nella sua città. Pirro la uccise e ne fece a pezzi il corpo di fronte a Ecuba la quale impazzì e prese a mordere e a tirare pietre. La portarono in una vicina isola e la lapidarono.

Libro Trentunesimo - Capitolo unico
Aiace Telamonio si lamentò pubblicamente perché il Palladio era andato a Ulisse e non a lui e qui parlò a lungo delle proprie imprese e dei vantaggi che aveva procurato all'esercito greco.
Ulisse rispose che erano state le sue abili iniziative a procurare la vittoria e che in particolare era suo il merito della conquista del Palladio, il prezioso cimelio del quale i Greci non conoscevano l'esistenza fino alla sua scoperta.
I due contendenti passarono alle minacce e agli insulti ma la questione fu giudicata da Agamennone che assegnò il Palladio a Ulisse con grande ira di Aiace. Il mattino seguente Aiace fu trovato morto nel suo letto, il corpo coperto di ferite. La notizia della sua morte fece grande scalpore e molti sospettarono di Agamennone, di Menelao e soprattutto di Ulisse, quest'ultimo fu minacciato da Pirro e, rendendosi conto di essere in pericolo, partì furtivamente una notte lasciando il Palladio a Diomede.
Antenore invitò a banchetto tutti i capi dei Greci e fece loro ricchi doni. In quell'occasione si decise che Enea, nascondendo Polissena, aveva violato i segreti accordi con i Greci, gli si ordinò quindi di lasciare Troia per sempre concedendogli venti vecchie navi e quattro mesi di tempo per ripararle. Da parte sua Enea si vendicò convincendo gli altri Troiani ad espellere Antenore.
Antenore partì con diverse navi e molti compagni ma durante il viaggio perse molti uomini per un assalto dei pirati. Giunse infine in un paese detto Gerbendia il cui re Oetides gli concesse il terreno per fondare una città chiamata Menalon. La città fu fortificata e quando a Troia se ne ebbe notizia, molti vollero partire e raggiungere Antenore per vivere in pace e sicurezza.
Cassandra fu interrogata sul futuro da molti concittadini ai quali predisse lutti e sventure. Erincide e Antissaco figlio di Aiace Telamonio e, rispettivamente, di Glausca e Ecimissa furono affidati alle cure di Teucro.
Agamennone e Menelao, preso congedo dall'esercito, ripartirono per tornare alle rispettive dimore. Trascorse del tempo e molti altri Greci presero il mare ma era ormai inverno e una tremenda tempesta fece naufragare molti di loro. Tra questi fu Aiace di Oileo che si salvò a nuoto e giunse nudo e sfinito a una spiaggia dove il giorno seguente fu trovato da alcuni compagni. Questo naufragio fu causato dalla dea Minerva, offesa con Aiace che aveva violato Cassandra nel suo tempio.

Libro Trentaduesimo - Capitolo unico
Il re Naulo (Nauplio) padre di Palamede, venne informato della morte del figlio ma gli fu riferito che era stato vittima di un inganno ordito da Ulisse e Diomede mentre in realtà Palamede era morto in battaglia. Secondo la versione che fu raccontata a Nauplio, Ulisse e Diomede lapidarono Palamede dopo averlo convinto a calarsi in un pozzo per recuperare un tesoro. Ditti Cretese racconta lo stesso episodio come realmente accaduto mentre nel nostro testo è soltanto un'invenzione per calunniare Ulisse e Diomede. In ogni caso Nauplio decise di vendicare la morte del figlio. Insieme a un altro figlio di nome Oete(in altri autori Eace) decise di attirare tra gli scogli i Greci che rientravano da Troia con segnalazioni luminose ingannevoli.
La trappola fece affondare oltre duecento navi greche mentre le altre, compreso l'inganno, riuscivano a salvarsi riprendendo il mare aperto, fra queste erano le navi di Agamennone, Menelao e Diomede.
Oete figlio di Nauplio scrisse a Clitennestra per informarla che Agamennone aveva sposato una figlia di Priamo con la quale stava tornando in patria e che intendeva far morire Clitennestra per rendere regina la nuova moglie.
Durante l'assenza di Agamennone, Clitennestra era diventata amante del sacerdote Egisto dal quale aveva avuto una figlia chiamata Erigone.
Quando Agamennone giunse a casa, Clitennestra finse di accoglierlo con gioia ma nella notte fu ucciso nel sonno da Egisto. Pochi giorni dopo Clitennestra sposò Egisto rendendolo re di Micene. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, ancora bambino fu affidato a Idomeneo re di Creta, suo parente.
Oete tramò un inganno simile anche per Diomede alla cui moglie Egea scrisse una lettera analoga a quella inviata a Clitennestra. Fece credere ad Egea che suo fratello Adrasto morto in guerra fosse stato ucciso con il consenso di Diomede che voleva impadronirsi della sia eredità. Egea ordinò agli Argivi suoi sudditi di non lasciar sbarcare Diomede che fu costretto a vagare in cerca di una nuova patria. A Salamina dovette fuggire da Teucro che lo credeva responsabile della morte di suo fratello Telamone.
Anche Demofonte e Attamas furono cacciati dai rispettivi paesi e si rifugiarono presso Nestore che li invitò a riconciliarsi con i loro concittadini con la diplomazia. Intanto gli abitanti di varie città vicine a Troia cercavano di depredare quanto era rimasto delle ricchezze troiane dopo la catastrofe. Difendeva Troia Enea che stava ancora curando la riparazione delle proprie navi. Enea mandò a chiamare Diomede che vagava esule e gli propose di assumere la difesa di Troia, Diomede accettò, riorganizzò i superstiti troiani ed insieme a Enea ebbe in pochi giorni ragione dei nemici di Troia.
Quando le navi furono pronte, Enea partì e dopo una lunga e avventurosa navigazione raggiunse l'Italia e approdò in Toscana. Per le successive imprese di Enea, l'autore rimanda all'Eneide di Virgilio.
Quanto a Diomede fu richiamato da sua moglie Egea e potè finalmente tornare alla sua casa.

Libro Trentatreesimo - Capitolo unico
Quando Oreste fu diventato adulto, il re Idomeneo che lo aveva allevato gli suggerì di vendicare il padre e riottenere il suo regno e a questo fine gli offrì mille cavalieri. Oreste ne reclutò altri mille ed entrò nella città di Troenzen dove regnava Forese, amico di Agamennone e nemico di Egisto che era stato suo genero e aveva ripudiato sua figlia per sposare Clitennestra. Forese si mise al servizio di Oreste con trecento cavalieri.
Oreste, accompagnato da Forese, si portò a Micene e la cinse di assedio. Egisto si era assentato per cercare aiuti e Oreste, dopo quindici giorni di attacchi continui, riuscì ad espugnare Micene. Clitennestra fu imprigionata con tutti coloro che avevano agito contro Agamennone e in quello stesso giorno i cavalieri di Oreste sconfissero e catturarono Egisto che era tornato in città.
Oreste uccise personalmente la madre e comandò che fosse gettata nuda ai cani. Egisto fu trascinato nudo e poi impiccato con tutti i suoi sostenitori.
Intanto Menelao, scampato a molti pericoli, era giunto insieme a Elena a Creta e qui era stato informato della morte del fratello e della vendetta di Oreste prima di ripartire e raggiungere Micene.
Giudicando eccessiva e sacrilega la vendetta che Oreste aveva preso sull madre, Menelao lo citò in giudizio davanti a un tribunale di re riuniti in Atene. Difeso dal duca di Atene, Oreste venne assolto da tutte le accuse e giudicato degno di regnare su Micene, tornò quindi a Micene e sedette sul trono del padre. In seguito Oreste si riconciliò con Menelao e sposò sua figlia Ermione mentre Erigone, figlia di Egisto e Clitennestra, si suicidò.
Ulisse giunse a sua volta a Creta con due navi fu perseguitato dai pirati, venne alle mani con la gente di Telamone e fu fatto prigioniero da Nauplio ma riuscì a fuggire.
Accolto dal re Idomeneo, Ulisse raccontò il suo viaggio che era stato tranquillo finché una tempesta lo aveva costretto a sbarcare in Sicilia. Qui lui e i suoi compagni furono aggrediti e denudati dalla gente del luogo, molti suoi uomini vennero uccisi e Ulisse, insieme a un compagno di nome Alfenore, fu fatto prigioniero dal principe Polifemo. Questi li rilasciò dopo sei mesi ma Alfenore rapì la sorella di Polifemo della quale si era innamorato. Seguirono combattimenti nei quali la giovane rapita fu recuperata ma Polifemo perse un occhio scontrandosi con Ulisse.
Ulisse continua il suo racconto: ripreso il mare fu sospinto dal vento nell'isola di Eolide gavernata da due bellissime ragazze esperte nelle arti negromantiche che trattenevano tutti i visitatori con la loro bellezza e i loro incantesimi tramutando in animali quanti resistevano. Le due giovani si chiamavano Circe e Calipso. Con una pozione, Circe riuscì a trattenere Ulisse per un anno intero durante il quale rimase incinta e partorì un bambino.
Anche Ulisse era esperto di pratiche magiche e con le sue conoscenze riuscì ad annullare gli incantesimi che trattenevano lui e i suoi compagni, tuttavia il vento spinse indietro le navi e Ulisse e i suoi furono di nuovo catturati, questa volta da Calipso. Infine Ulisse riuscì a superare anche gli incantesimi di Calipso e di nuovo presero il mare. Giunsero a un'altra isola dove un oracolo rispose a molte domande di Ulisse.
Continuarono il viaggio e incontrarono le Sirene, esseri metà umani e metà pesci, che sono in grado di trattenere i naviganti con il loro canto: i malcapitati si addormentano cullati dal suono delle loro voci e quando le navi sono senza governo le Sirene le fanno affondare uccidendo quanti si trovano a bordo. Usando ancora le sue arti oscure, Ulisse privò dell'udito se stesso e i compagni, affrontarono così le Sirene senza pericolo e dopo averne uccise molte proseguirono la navigazione fino allo stretto tra Scilla e Cariddi Qui il mare fece affondare metà delle navi di Ulisse, Ulisse scampò dal naufragio e con le navi superstiti giunse in Fenicia. La gente del posto aggredì i compagni di Ulisse uccidendone molti e depredando le navi. Ulisse venne imprigionato con i pochi compagni sopravvissuti. Li rilasciarono senza rendere loro quanto avevano preso e Ulisse, ormai solo e povero, giunse alla dimora di Idomeneo.
Colpito dal racconto di Ulisse, Idomeneo lo volle suo ospite e gli offrì molti doni. Quando infine Ulisse volle ripartire da Creta il re gli donò due navi e lo pregò di fare visita al re Alcinoo. Anche Alcinoo ascoltò il racconto di Ulisse che qui fu informato sulle vicende di sua moglie Penelope, insidiata dai corteggiatori che avevano occupato il suo regno e la sua casa.
Telemaco figlio di Ulisse raggiunse il padre alla reggia di Alcinoo e il re concesse loro una scorta di cavalieri con la quale Ulisse tornò nel suo regno. Qui, sbarcando di notte, attaccarono i nobili traditori nelle loro case e, sorprendendoli nel sonno, li uccisero tutti. Penelope e tutti i concittadini accolsero con gioia il loro re che era tornato dopo una così lunga assenza.
Telemaco sposò Nausicaa figlia di Alcinoo e Ulisse trovò finalmente pace nel suo regno.

Libro Trentaquattresimo - Capitolo unico
Si passa a raccontare le gesta di Pirro figlio di Achille. I suoi nonni paterni erano Peleo e Teti. Achille lo generò con Deidamia figlia del re Licomede figlio di Acasto.
Acasto, che era molto vecchio, detestava Pirro e tutti i suoi parenti, aveva cacciato Peleo dal regno di Tessaglia e fatto vari tentativi di uccidere Pirro.
Partito da Troia, Pirro dovette affrontare molti pericoli del mare che lo costrinsero a gettare in acqua gran parte della preda conquistata. Giunse a Moloa dove fece rifornire e riparare le sue navi quasi distrutte. Qui venne a sapere dell'odio di Acasto e della cacciata di Peleo.
Intanto Peleo si era nascosto in un vecchio edificio abbandonato in un bosco dove a volte i re di Tessaglia si recavano per cacciare. Peleo scrutava spesso il mare sperando di avvistare le navi di Pirro di ritorno da Troia.
Quando le sue navi furono pronte, Pirro partì per la Tessaglia per punire Acasto e vendicare Peleo. Il mare lo portò proprio nei pressi del nascondiglio di Peleo che subito lo riconobbe per la sua grande somiglianza con Achille. Dopo gli abbracci e la commozione dell'incontro, Peleo si unì alla gente di Pirro.
In quel tempo Filistene e Menalippo, figli di Acasto, si recarono in quel bosco per cacciare. Pirro si presentò loro vestito con vecchi e logori indumenti e disse di essere un greco naufragato mentre tornava da Troia. Pirro rimase con i due fratelli e alla prima occasione li uccise. Trovò quindi Acasto e stava per ucciderlo quando apparve Teti, la sposa di Peleo, che di Acasto era figlia e gli impedì di colpire il vecchio re. Giunse anche Peleo che pregò Pirro di lasciar vivere Acasto così che soffrisse per la perdita dei suoi figli.
Riconciliato con Peleo, Acasto dichiarò di rinunciare al regno cedendolo a suo nipote Pirro che fu incoronato il giorno successivo e governò la Tessaglia in pace per il resto della sua vita.
Il re di Creta Idomeneo morì lasciando due figli: Merione e Laorta, Merione morì poco dopo e Laorta ebbe tutto il regno. Telemaco, figlio di Ulisse, ebbe da Nausicaa un figlio che chiamò Deifobo.
Tornando a Pirro, si innamorò di Ermione figlia di Elena e Menelao e moglie d'Oreste e riuscì a sedurla. Oreste ne fu addolorato ma, non avendo la forza per attaccare Pirro nel suo regno, decise di attendere l'occasione propizia per vendicarsi.
Pirro si recò a Delfi per ringraziare Apollo per la sua fortuna e lasciò nel suo palazzo Andromaca vedova di Ettore ed Ermione. Ermione scrisse al padre che Pirro la trascurava per Andromaca e lo pregò di uccidere la sua rivale. Menelao accolse la richiesta ma Andromaca si rivolse al popolo gridando sulla piazza e mostrando il suo piccolo Laomedonte e il popolo si sollevò contro Menelao costringendolo a fuggire. Intanto Oreste tese un agguato a Pirro nell'isola di Delfi e lo uccise.
Pirro venne sepolto a Delfi, Oreste recuperò Ermione e tornò a casa, Peleo e Teti presero con loro Andromaca incinta di Pirro e suo figlio Laomedonte e si stabilirono nella città di Molosa. Qui Andromaca partorì un bambino che fu chiamato Achilleide. Quando divenne adulto, Achilleide rinunciò al regno di Tessaglia in favore del fratello Laomedonte e liberò tutti i Troiani che si trovavano schiavi in Grecia.

Libro Trentacinquesimo - Capitolo unico
Una notte Ulisse sognò un essere di meravigliosa bellezza che respingeva il suo abbraccio e diceva che se si fossero toccati uno dei due sarebbe morto. Gli indovini interpretarono il sogno e avvertirono Ulisse che sarebbe stato ucciso da suo figlio. Spaventato Ulisse fece rinchiudere Telemaco e si stabilì in un luogo fortificato e sicuro in compagnia di pochi amici.
Ulisse aveva un altro figlio di nome Telegono, nato da Circe e con questa rimasto, che compiuti i quindici anni fu informato dalla madre sull'identità del padre e si mise in viaggio per incontrarlo. Giunto al luogo in cui Ulisse viveva protetto, si scontrò con le guardie e ne uccise molto ma venne gravemente ferito. Richiamato dai rumori della lotta, Ulisse uscì dal suo rifugio e si scontrò con lo sconosciuto visitatore rimanendo ferito a morte. Quando Telegono fu informato sull'identità della sua vittima cadde tramortito dal dolore. Con le sue ultime energie, Ulisse riconobbe e consolò Telegono, fece chiamare Telemaco e gli presentò il fratello ordinandogli di amarlo e proteggerlo. Ulisse fu portato in Acaia dove morì dopo tre giorni.
Telemaco ebbe il regno del padre e tenne con se Telegono concedendogli molti onorima dopo un anno e mezzo Telegono prese congedo. Circe accolse con gioia il ritorno del figlio ma dopo qualche tempo si ammalò e morì. Telegono ereditò il suo regno e lo governò per sessanta anni prima di morire a sua volta.
Telemaco regnò per settanta anni, Ulisse morì all'età di sessantatre anni.
L'autore conclude la sua opera accennando ad alcune discordanze tra le sue fonti principali (Darete e Ditti) e riepilogando le vittime dei principali eroi della guerra.
Firmandosi giudice Guido delle Colonne di Messina, prende commiato dai lettori garantendo la completezza della propria narrazione.