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TUCIDIDE


LA GUERRA DEL PELOPONNESO


LIBRO I


La guerra fra Ateniesi e Spartani si presentò dal suo inizio come la più grande fino ad allora combattuta fra Greci perché i due stati erano al massimo della loro potenza e tutte le altre città greche presto si schierarono con l'una o con l'altra.
In tempi antichi la Grecia fu occupata da successivi flussi migratori e in molte regioni si avvicendarono genti diverse ma chi occupò l'Attica vi rimase stabilmente e senza lotte intestine. Ciò attirò molti profughi ad Atene e la città crebbe rapidamente, tanto che gli Ateniesi fondarono colonie fin nella Ionia.
Gli antichi abitanti della Grecia non avevano un nome comune. Fu Elleno figlio di Deucalione a dare il proprio nome prima agli abitanti della Ftiotide, della quale era originario, e progressivamente ad altre città alleate, ma ancora ai tempi di Omero il nome Elleni indicava i soli compagni di Achille.
La guerra di Troia fu la prima impresa che vide le genti greche coalizzate contro un comune nemico. Dai tempi più remoti ha prevalso chi disponeva di una flotta e della capacità di dominare il mare.
Il primo fu Minosse di Creta che colonizzò le Cicladi e combattè la pirateria, all'epoca molto diffusa e considerata lecita e non disonorevole. Molto spesso i pirati erano Carii o Fenici e abitavano le isole ma ne vennero in gran parte cacciati da Minosse. Le abitudini degli antichi Greci erano simili a quelle dei "barbari" dei tempi dell'autore: erano sempre armati perché le città erano prive di difesa e le strade erano pericolose. Gli Ateniesi furono i primi ad adottare costumi più rilassati, gli Spartani nello stesso periodo cominciarono a mostrarsi nudi durante i giochi e a pareggiare lo stile di vita delle varie classi.
Agamennone era figlio di Atreo al quale lo zio Euristeo aveva affidato il regno di Micene prima di affrontare gli Eraclidi; Euristeo era rimasto ucciso e Atreo era divenuto definitivamente re di Micene (transizione pacifica fra una gente autoctona e altre provenienti dall'Asia Minore).
Tucidide non crede che la guerra di Troia sia stata scatenata dal rapimento di Elena e che le forze greche si siano radunate spontaneamente per ottemperare a un giuramento, ma ritiene che Agamennone abbia coinvolto altri stati con il terrore disponendo della flotta più potente.
In base a varie considerazioni sui poemi omerici, l'autore ritiene che le forze partite dalla Grecia alla volta di Troia fossero molto meno ingenti di quanto è stato tramandato e ciò non per scarsità di popolazione ma per le difficoltà del vettovagliamento che furono anche la causa della estrema durata della guerra.
Anche dopo la guerra di Troia la situazione in Grecia conobbe importanti sommovimenti come l'occupazione del Peloponneso da parte dei Dori guidati dagli Eraclidi e quella della Beozia dal popolo dei Beoti cacciati dalla Tessaglia. Solo molto più tardi si giunse alla calma e alla sicurezza e Atene e Sparta iniziarono a fondare colonie.
Ancora il possesso di una flotta e il dominio del mare resero opulenta Corinto e più tardi gli Ioni permisero a Policrate tiranno di Samo di sottomettere molte isole e ai Focesi di Marsiglia di sconfiggere i Cartaginesi.
I tiranni siciliani e i Corciresi ebbero flotte potenti prima che Temistocle convincesse i concittadini a costruire le navi di Atene.
Seguì il periodo delle tirannidi durante il quale molte città della Grecia si limitarono a combattere con i vicini e si chiusero in se stesse sotto l'avidità dei governanti. Sparta, che da secoli godeva di una buona costituzione, fece cadere tutte le tirannidi.
Poco dopo gli Ateniesi affrontarono i Persiani nella battaglia di Maratona. Dieci anni dopo il nemico tornò ad attaccare e questa volta fu sconfitto dalla coalizione di tutti i Greci, ma successivamente le città si divisero alleandosi con Atene che controllava il mare o con Sparta che dominava la terraferma e presto fra i due schieramenti fu la guerra.
Terminato questo breve excursus sugli avvenimenti precedenti alla Guerra del Peloponneso, Tucidide dichiara che intende raccontare fatti certi e documentati ai quali spesso ha preso personalmente parte e che anche i discorsi che farà pronunciare ai suoi protagonisti saranno il più possibile vicini a quanto fu effettivamente detto nelle rispettive circostanze.
A Tucidide non interessa produrre un'opera affascinante ma raccontare la verità.
Il vero motivo della guerra fu la preoccupazione degli Spartani per la crescente potenza ateniese, ma le ragioni ufficiali furono altre.
Epidamno (Durazzo) era una florida colonia dei Corciresi ma quando si trovò in difficoltà a causa di discordie interne e di guerre con i barbari confinanti chiese aiuto alla madrepatria senza ottenerlo. Gli ambasciatori di Epidamno consegnarono la città ai Corinzi che accettarono volentieri per odio verso i Corciresi. Questi ultimi per reazione assediarono Epidamno. Iniziata la contesa presero via via posizione numerose città. Le trattative fallirono e si venne a una battaglia navale nelle acque di Azio in cui i Corciresi sconfissero duramente i Corinzi ed espugnarono Epidamno. A seguito di questa vittoria i Corciresi ebbero il dominio di quel mare e compirono rappresaglie contro gli alleati dei Corinzi.
Dal canto loro i Corinzi presero ad armare nuove navi per vendicare la sconfitta subita ed entrambi i rivali si rivolsero agli Ateniesi per cercare la loro alleanza.
Seguono i primi due discorsi che Tucidide inserisce nell'opera: quello dei Corciresi che ricordano di essere sempre stati neutrali e non aver mai offeso gli Ateniesi e offrono ad Atene, in cambio di aiuto, la loro alleanza resa invitante dalla loro potente flotta, e quello dei Corinzi che ricordano agli Ateniesi di essere in debito con loro per aiuti ricevuti in passato.
Gli Ateniesi scelsero di accordarsi con i Corciresi ma non strinsero la piena alleanza, che avrebbe comportato la rottura della vigente tregua con il Peloponneso, ma solo un trattato difensivo che prevedeva il mutuo soccorso in caso di pericolo.
Inviarono quindi dieci navi a Corcira in funzione difensiva e con l'ordine di non attaccare se i Corinzi non avessero tentato di sbarcare sull'isola. Al comando erano Lacedemonio, Diotimo e Protea.
Contemporaneamente salpava una flotta composta da novanta navi di Corinto e sessanta degli alleati e si ormeggiava al Chimerio, porto della Tesprozia, minacciando Corcira. La comandava Senoclide.
I Corciresi, dal canto loro, affidarono a Miciade, Esimide e Euribato il comando di centodieci navi che si portarono alle isole Sibote insieme alle dieci navi ateniesi.
Fu per numero di navi la più grande battaglia combattuta fino ad allora fra Greci e Greci. I contendenti erano poco esperti di combattimenti navali e le sorti dello scontro si giocarono fra gli opliti sui ponti dopo l'arrembaggio che si affrontavano come fossero stati sulla terraferma. I più esperti erano gli Ateniesi ma nonostante il loro aiuto i Corciresi vennero sopraffatti e sarebbero stati completamente massacrati se a sera non fossero sopraggiunte altre venti navi da Atene comandate da Glaucone e Andocide alla cui vista i Corinzi si ritirarono.
Al mattino seguente i Corinzi, pur avendo vinto la battaglia, non osarono attaccare in considerazione del nuovo contingente ateniese e delle perdite subite e tornarono a Corinto dopo aver innalzato un trofeo votivo alle Sibote.
Dopo questi eventi, che furono una prima occasione di ostilità fra Atene e Corinto, gli Ateniesi adottarono misure preventive come la consegna degli ostaggi per evitare che gli abitanti di Potidea, loro alleati e tributari, passassero al nemico.
Perdicca re di Macedonia mosse guerra agli Ateniesi che avevano fatto alleanza con i suoi rivali e cercò di accordarsi con Sparta, Potidea e altre città del Peloponneso.
Trenta navi ateniesi raggiunsero in Macedonia Filippo e Derda, avversari di Perdicca (Filippo era anche suo fratello) e presero posizione mentre i Corinzi inviavano a Potidea truppe al comando di Aristeo.
Gli Ateniesi avevano mandato altre forze in Macedonia ma alla notizia della ribellione di Potidea e della spedizione di Aristeo le richiamarono per intervenire contro i Corinzi.
Lo scontro avvenne nei pressi dell'istmo e anche se Aristeo e i suoi soldati scelti misero in fuga una parte degli Ateniesi le forze del Peloponneso furono sconfitte.
Dopo la vittoria gli Ateniesi circondarono Potidea e Aristeo decise di far partire più persone possibili per far durare più a lungo le provviste alimentari. Era deciso a rimanere a difendere Potidea ma tutti preferirono che partisse per andare in cerca di aiuti.
Mentre Potidea era sotto assedio gli Spartani convocarono gli alleati per discutere la situazione. Parlarono i Corinzi rimproverando agli Spartani di non essere intervenuti contro gli Ateniesi e di non adeguare la propria organizzazione ai mutati equilibri politici e militari della Grecia mentre Atene, spinta dal desiderio di dominare sulle altre città, è in continua evoluzione. Se Sparta, conclusero, non interverrà in difesa di Potidea, per Corinto sarà legittimo cercare nuove alleanze.
Dal canto loro gli ambasciatori ateniesi dopo aver ricordato i meriti acquisiti dalla loro città combattendo contro i Persiani in difesa di tutti i Greci e la potenza dimostrata in quell'occasione, invitarono gli Spartani a non prendere decisioni affrettate e a ben meditare sulle possibili conseguenze delle loro azioni.
Allontanati gli ambasciatori stranieri, gli Spartani si riunirono per decidere in merito alle richieste di Corinto. Il re Archidamo propose una linea moderata: mandare ambascerie ad Atene per tentare di risolvere la crisi di Potidea con la diplomazia o comunque per guadagnare il tempo necessario ad approntare un apparato bellico adeguato per fronteggiare una guerra lunga, difficile e dagli esiti imprevedibili.
Al contrario l'eforo Stenelaida sostenne la necessità di ricorrere subito alle armi e invitò l'assemblea a votare immediatamente la guerra.
Prevalse al voto la linea di Stenelaida. In questa occasione, per la prima volta, gli Spartani espressero il proprio voto spostandosi in un determinato punto, invece che gridando.
Si decise di convocare l'assemblea degli alleati per discutere insieme sull'inizio della guerra.
A questo punto Tucidide, con una digressione sui precedenti cinquant'anni, illustra rapidamente il periodo che va dalla fine delle guerre persiane all'inizio della Guerra del Peloponneso, periodo durante il quale Atene raggiunse la massima potenza grazie al controllo del mare.
Questo racconto inizia esattamente dal punto in cui si interrompe quello di Erodoto, cioè dall'assedio di Sesto, città che gli Ateniesi riconquistarono prima di tornare in Attica e cominciare la ricostruzione delle loro case e delle loro mura.
Gli Spartani tentarono di far desistere gli Ateniesi dal ricostruire le mura perché erano preoccupati per la potenza di Atene, così come lo erano molte altre città greche, ma Temistocle intrattenne abilmente lunghe trattative dando il tempo ai concittadini di riedificare le fortificazioni.
Fu inoltre completato il porto del Pireo che venne a sua volta fortificato in quanto Temistocle lo riteneva strategico in caso di pericolo.
Spartani e Ateniesi effettuarono spedizioni congiunte contro Cipro e Bisanzio al comando del re spartano Pausania. Questi si comportò in modo dispotico, fu sospettato di aspirare alla tirannide e richiamato in patria dove fu processato ed assolto dalle accuse maggiori ma a causa sua gli alleati non affidarono più il comando delle missioni a Sparta e molti si avvicinarono ad Atene.
A questo punto Atene, egemone sulle città greche alleate, prese a raccogliere contributi e a armare spedizioni punitive contro territori soggetti ai Persiani. Guidati da Cimone figlio di Milziade, gli Ateniesi liberarono dai Persiani Eione e Sciro e sottomisero Nasso che si era ribellata. Ancora Cimone riportò una grande vittoria sui Persiani all'Eurimedonte.
Combatterono per motivi territoriali contro Taso i cui abitanti, sconfitti ed assediati, si rivolsero agli Spartani che avrebbero invaso l'Attica ma si verificò nella loro regione un grave terremoto e contemporaneamente una rivolta degli iloti che li distolsero da ogni iniziativa contro gli Ateniesi così che Taso dovette arrendersi ed accettare l'abbattimento delle mura e la consegna delle navi.
Gli Spartani chiesero aiuti contro Itome che aveva accolto gli Iloti ribelli e li ricevettero anche da Atene ma per diffidenza congedarono le milizie ateniesi provocando un incidente diplomatico che portò alla rottura dell'alleanza.
L'assedio di Itome durò dieci anni e alla fine i superstiti furono espulsi dal Peloponneso ed accolti dagli Ateniesi che li insediarono a Naupatto, quindi anche i Megaresi che erano in guerra con Corinto si allearono con Atene.
Inaro re di Libia provocò la ribellione dell'Egitto contro i Persiani e chiamò in suo aiuto gli Ateniesi che intervennero conquistando la valle del Nilo fino a Menfi.
Intanto scoppiò una guerra fra Atene ed Egina e i Corinzi ne approfittarono per attaccare Megara ma gli Ateniesi riuscirono a combattere su entrambi i fronti impiegando anche i più anziani e i più giovani che in un primo tempo erano rimasti in città e vinsero i due scontri.
Mentre gli Ateniesi costruivano le Lunghe Mura per unire la città al Pireo, la guerra continuava con alterne fortune. Gli Spartani vinsero a Tanagra e furono sconfitti a Enofita, gli Ateniesi furono cacciati dall'Egitto da un esercito persiano subendo un vero massacro.
Nel terzo anno di guerra fu stipulata una tregua quinquennale fra i due schieramenti durante la quale gli Ateniesi conquistarono Cipro e si rivolsero contro Cheronea, Orcomeno e altre città della Beozia, tuttavia i Beoti ebbero la meglio ed ottennero l'autonomia.
Poco dopo Atene fronteggiò la defezione contemporanea dell'Eubea e di Megara mentre Plistoanatte re di Sparta tentava di invadere l'Attica, tuttavia Pericle che aveva il comando militare riuscì a mantenere il controllo della situazione.
Non molto più tardi fu conclusa una nuova tregua trentennale fra Sparta e Atene. Sei anni dopo gli Ateniesi intervennero nella guerra fra Samo e Mileto, occuparono Samo e vi stabilirono un governo democratico, ma i fuoriusciti samii con il supporto di Pissutne satrapo di Lidia ripresero l'isola, cacciarono i democratici e si prepararono a combattere contro Mileto.
Una serie di interventi di navi ateniesi guidate da Pericle e da altri comandanti nel giro di nove mesi ridusse all'impotenza i Samii che si arresero ed accettarono di consegnare la flotta e demolire le mura.
A questi fatti seguirono quelli già narrati di Corcira e Potidea. Durante questo periodo gli Spartani rimasero tranquilli mentre la potenza ateniese cresceva, ma infine decisero che la tregua era stata violata e mossero guerra con gli auspici favorevoli dell'oracolo di Delfi.
Gli Spartani riunirono ancora gli alleati e la guerra fu definitivamente approvata. Durante l'anno seguente, che servì loro per i preparativi, inviarono ambasciatori ad Atene con varie richieste che erano altrettanti pretesti per giustificare la guerra.
Fra queste richieste era quella di fare ammenda per un sacrilegio avvenuto molti anni prima, quando gli Ateniesi avevano fatto strage in un luogo sacro di Cilone e dei suoi compagni che avevano tentato un colpo di stato.
L'obiettivo degli Spartani era l'allontanamento di Pericle i cui antenati erano stati partecipi del sacrilegio o, almeno, metterlo in cattiva luce presso i concittadini ricordando lo spiacevole episodio.
Anche gli Ateniesi chiesero agli Spartani di espiare i loro atti di empietà: avevano ucciso alcuni iloti nel tempio di Poseidone ed avevano fatto morire il loro re Pausania all'interno del recinto sacro del tempio di Atena. Per illustrare quest'ultimo episodio Tucidide introduce una breve digressione sulla fine di Pausania, colpevole di intelligenza con i Persiani che era stato tradito da un suo messaggero. Udita la delazione gli efori avevano fatto in modo con un espediente di ascoltare di nascosto Pausania che ammetteva le sue trame.
In seguito Pausania si era rifugiato nell'area sacra ma era stato murato vivo in un piccolo edificio e lasciato morire di fame.
A loro volta gli Spartani pretesero che Temistocle subisse una fine analoga a quella di Pausania perché altrettanto colpevole di aver trattato con i Persiani. Temistocle, che già si trovava in esilio ad Argo, venne a sapere di essere in pericolo e fuggì presso Admeto re dei Molossi che per intercessione della moglie gli concesse la sua protezione.
Con l'aiuto di Admeto Temistocle giunse a Pidna e da qui raggiunse la Persia dove riuscì a farsi accogliere dal nuovo re Artaserse presso il quale acquisì grande prestigio per le sue doti politiche e per la sua intelligenza. Ebbe dal re le rendite delle città di Magnesia, Lampsaco e Miunte. Morì di malattia o forse suicida e fu sepolto a Magnesia ma si dice che più tardi i parenti traslarono segretamente le sue spoglie in Attica.
Infine gli Spartani posero un ultimatum: gli Ateniesi avrebbero dovuto interrompere ogni azione riguardante Potidea, Egina e Megara altrimenti sarebbe stata la guerra.
Il primo libro si conclude con il discorso di Pericle che parlando alla cittadinanza sostiene che Atene dispone di risorse e di esperienza militare tali da poter affrontare la guerra più serenamente degli Spartani e propone di rispondere che gli Ateniesi renderanno conto delle proprie azioni sul piano legale, rispetteranno l'autonomia dei loro alleati quanto Sparta rispetterà quella dei suoi e non inizieranno la guerra ma respingeranno chi li attaccherà.
Le proposte di Pericle furono approvate, le sue risposte consegnate agli ambasciatori spartani e da quel momento cessarono fra le due città le visite diplomatiche.

LIBRO II


Dopo quattordici anni di tregua ebbe inizio la Guerra del Peloponneso (431 a.C.).
Il primo evento del conflitto fu l'occupazione di Platea da parte delle milizie tebane. I Tebani agivano in accordo con una parte dei cittadini di Platea contrari ad Atene che contavano di prendere il potere insieme agli invasori ma questi si limitarono a stabilire un presidio di occupazione e a proporre l'alleanza ai Plateesi senza compiere azioni violente.
I dissidenti plateesi attaccarono di notte i Tebani del presidio e ne uccisero molti prima che i superstiti si arrendessero.
Quando sopraggiunse un più numeroso esercito tebano i Plateesi trattarono per evitare un nuovo attacco o la cattura di quanti abitavano nel contado promettendo che se i Tebani avessero posto fine alle ostilità i centoottanta prigionieri sarebbero stati rilasciati.
I Plateesi non rispettarono i patti ed uccisero i prigionieri, intanto avevano inviato un araldo a Atene a chiedere aiuto e gli Ateniesi intervennero portando rifornimenti a Platea e mettendo al sicuro donne, bambini e uomini inabili alle armi che si trovavano in città.
Dopo i fatti di Platea gli Spartani completarono il reclutamento di un grande esercito e il re Archidamo ne assunse il comando con un solenne discorso. Inviarono quindi un araldo a Atene per un ultimo tentativo di trattativa ma l'araldo venne respinto.
Dal canto suo Pericle, nell'imminenza dell'attacco nemico, volle far conoscere pubblicamente che aveva rapporti di ospitalità con Archidamo ma per evitare sospetti avrebbe reso disponibili ai concittadini i suoi beni se il nemico li avesse risparmiati.
Gli Ateniesi che abitavano nel contado si ritirarono in città con tutti i loro averi. Non era un trasferimento indolore perché queste famiglie erano particolarmente attaccate alle loro case (che in molti casi avevano ricostruito dopo le devastazioni delle guerre persiane) e ai loro villaggi che erano stati indipendenti fin quando Teseo li aveva riuniti in un'unica organizzazione cittadina. Molti furono costretti a sistemazioni di fortuna e anche luoghi pubblici o sacri come il Pelargico vennero occupati.
I Peloponnesi attaccarono e cercarono inutilmente di espugnare la fortezza di Enoe al confine fra Attica e Beozia. Gli indugi a Enoe procurarono gravi critiche a Archidamo, sospettato di favorire gli Ateniesi, ma infine i Peloponnesi avanzarono ed invasero l'Attica in piena estate.
Dopo alcuni saccheggi posero il campo ad Acarne. Archidamo temporeggiò ancora attendendo la reazione degli Acarnesi, che fornivano un contributo importante all'esercito ateniese.
Molti in Atene volevano compiere una sortita contro gli invasori ma Pericle riuscì a trattenerli per rispettare i piani prestabiliti mentre inviava una flotta di cento navi a circondare il Peloponneso. Unitisi a cinquanta navi inviate da Corcira gli Ateniesi attaccarono la città di Metone che fu validamente difesa da Brasida, quindi penetrarono nell'Elide attaccando e saccheggiando varie località. Conquistarono Egina e ne deportarono gran parte della popolazione.
Durante quell'estate gli Ateniesi stabilirono buoni rapporti diplomatici con i Traci invitando in città come prosseno Ninfodoro di Abdera cognato di Sitalce figlio di Tere della dinastia regnante degli Odrisi. Grazie alla mediazione di Ninfodoro Sitalce re di Tracia e Perdicca re di Macedonia divennero alleati di Atene.
Le navi ateniesi conquistarono la cittadina di Sollio e liberarono Astaco dal tiranno Euarco mentre l'isola di Cefallenia li accolse favorevolmente alleandosi con Atene.
Quindi Pericle comandò l'invasione della Megaride e guidò l'esercito a ricongiungersi con le cento navi che circondavano il Peloponneso.
L'inverno successivo lo spodestato Euarco riuscì a tornare in patria con l'aiuto dei Corinzi.
Quando fu il momento di celebrare le tradizionali esequie a spese dello Stato in onore dei caduti della prima parte della guerra, toccò a Pericle pronunciare l'elogio funebre.
Più che le parole, disse Pericle, contano i fatti, quindi per ricordare ed onorare il coraggio e l'abnegazione dei concittadini caduti l'argomento più idoneo è descrivere la grandezza e la potenza che Atene ha raggiunto grazie al loro sacrificio e a quello di tanti altri appartenenti alle generazioni precedenti.
Il discorso di Pericle, relativamente breve, terminò con parole di consolazione per quanti avevano perduto i loro cari durante quel primo anno di guerra.
All'inizio dell'estate gli Spartani e i loro alleati invasero l'Attica al comando di Archidamo. Poco dopo Atene fu colpita da una gravissima epidemia che si disse provenire dall'Etiopia e dall'Egitto. L'autore descrive in modo drammatico i sintomi della malattia, l'assenza di cure efficaci, il rapido dilagare del contaggio e il senso di disperazione che per effetto della pestilenza rapidamente si impadronì degli Ateniesi.
Sconvolti dalla disgrazia gli Ateniesi abbandonarono le loro usanze religiose, trascurarono i riti funebri (troppi erano i cadaveri), violarono molte leggi. Chi poteva cercava di concedersi ogni piacere prima dell'inevitabile fine.
Intanto il nemico procedeva nell'invasione occupando la fascia costiera, ma Pericle invece di tentare sortite contro gli invasori preferì salpare con cento navi per attaccare il Peloponneso. Qui giunto attaccò diverse località costiere con le relative terre: Epidauro, Trezene ed altre. Al ritorno trovò che i nemici si erano ritirati dall'Attica, forse per paura dell'epidemia.
Gli Ateniesi portarono un nuovo attacco a Potidea ma l'operazione fallì a causa della pestilenza che uccise altri mille dei quattromila attaccanti.
La drammatica situazione portò gli Ateniesi a criticare la politica di Pericle e a desiderare un accordo con gli Spartani, per non perdere il controllo Pericle convocò l'assemblea e parlò di nuovo ai concittadini.
L'eloquenza di Pericle convinse gli Ateniesi a non mutare politica e a non chiedere la pace, tuttavia lo statista fu multato perché in molti erano adirati con lui, ma poco dopo gli fu nuovamente affidata la carica di stratego. Tucidide dimostra di stimare Pericle, "potente per dignità e per senno, chiaramente incorruttibile al denaro". Questo giudizio non gli impedisce comunque di affermare che il potere di Pericle rendeva quella di Atene una democrazia di facciata mentre le sorti dello stato erano di fatto rette da un uomo solo, invece i suoi successori cercarono di primeggiare uno sull'altro e concessero molto potere al popolo per ottenerne il favore. Fra i loro numerosi errori il più grave fu la spedizione in Sicilia che fu affrontata con mezzi insufficienti. In questa impresa furono disperse grandi risorse mentre in città regnava la discordia e molti alleati si ribellavano.
Ambasciatori spartani si misero in viaggio per andare a chiedere aiuto ai Persiani ma attraversando la Tracia furono catturati da Sadoco figlio di Sitalce e consegnati agli Ateniesi che li misero a morte.
Si verificarono ostilità fra gli abitanti di Ambracia e quelli di Argo Anfilochico (che facevano risalire la fondazione della loro città all'eroe Anfiloco combattente a Troia).
Gli Anfilochi chiesero la protezione degli Acarnani ed entrambi i contendenti si rivolsero agli Ateniesi che inviarono trenta navi comandate da Formione. Questi occupò Argo e ristabilì l'ordine, quindi fu stabilita un'allenza fra Atene e gli Acarnani.
Nell'inverno successivo Potidea finalmente si arrese agli strateghi ateniesi occupanti che lasciarono allontanarsi gli abitanti con indumenti e denaro per il sostentamento, dotandoli di salvacondotti. Potidea fu quindi occupata da coloni ateniesi.
Nell'estate seguente (429-428 a.C.), terzo anno di guerra) i Peloponnesi guidati da Archidamo mossero contro Platea. Ambasciatori plateesi protestarono perché ai tempi delle guerre persiane il re spartano Pausania aveva garantito loro indipendenza e libertà come ricompensa per l'aiuto ricevuto e Archidamo rispose che avrebbe rispettato questo impegno se Platea si fosse schierata con il Peloponneso o almeno si fosse mantenuta neutrale.
Fu stabilita una tregua in attesa della decisione dei Plateesi ma infine le trattative fallirono e i Plateesi preferirono rimanere alleati con Atene.
Archidamo tentò di prendere rapidamente la città ma i Plateesi riuscirono abilmente a neutralizzare i suoi mezzi di assalto. Anche un tentativo di incendiare la città fallì a causa di un'improvvisa e copiosa pioggia che spense il fuoco, quindi i Peloponnesi iniziarono l'assedio di Platea dopo aver costruito un muro intorno alla città.
Contemporaneamente gli Ateniesi inviarono contro i Calcidesi e i Bottiei una spedizione che ebbe esito infausto e costò loro quattrocentotrenta caduti.
Non ebbe miglior fortuna il tentativo di invadere l'Acarnania e conquistare la città di Strato operato dagli Spartani con molti alleati. Gli invasori, comandati da Cnemo, furono respinti dagli Acarnani stessi e tornando in patria via mare si imbatterono nelle navi ateniesi comandate da Formione e furono sconfitti.
Da Sparta furono inviati Timocrate, Brasida e Licofrone come consiglieri di Cnemo per preparare una rivincita.
Anche Formione ricevette il rinforzo di venti navi con le quali, in attesa di una nuova battaglia, svolse una missione a Creta contro gli abitanti di Codonia che erano nemici di Nicia, prosseno di Atene.
Le flotte nemiche si ormeggiarono quindi nei pressi di Panormo dove si fronteggiarono per sette giorni preparandosi allo scontro.
All'inizio della battaglia i Peloponnesi riuscirono ad attirare le navi ateniesi nel golfo di Crisia e a catturarne una parte grazie alla loro superiorità numerica ma durante l'inseguimento delle imbarcazioni superstiti furono sopraffatti. Gli Ateniesi recuperaron o le navi catturate e affondarono una nave mercantile, manovra inattesa che gettò i Peloponnesi nella confusione. Gli Ateniesi ne approfittarono e riportarono un'altra vittoria. Timocrate, uno dei comandanti spartani, si suicidò.
Brasida e Cnemo progettarono un attacco al Pireo con navi megaresi, ma all'ultimo momento, forse per il vento contrario, preferirono attaccare Salamina dove catturarono tre navi e devastarono il territorio. Da qui si ritirarono rapidamente a Megara prima che gli Ateniesi riuscissero a intervenire.
All'inizio dell'inverno il re di Tracia Sitalce per rispettare impegni presi con Atene mosse guerra alla Macedonia e alle città calcidesi con l'intento di spodestare il re macedone Perdicca II e dare il trono a Aminta II.
Tucidide introduce una breve digressione sulle dimensioni e sulle ricchezze del regno degli Odrisi, una delle dinastie più ricche e potenti dell'Europa Orientale nel suo secolo.
Un'altra digressione descrive quindi i popoli e i territori sottomessi dai Macedoni per costituire il regno di Perdicca qual'era ai tempi dell'attacco dei Traci.
Effettuate varie conquiste in Macedonia, Sitalce mandò parte dell'esercito contro le città calcidesi ostili ad Atene mentre intavolava trattative con Perdicca. Alcuni popoli confinanti, preoccupati dalle azioni di Sitalce, cominciarono ad armarsi per prevenire eventuali attacchi, intanto Seute nipote di Sitalce si lasciò corrompere da Perdicca e convinse lo zio ad abbandonare l'impresa. Poco dopo Seute sposò Stratonice sorella di Sitalce.
Intanto Formione penetrò nell'Acarnania con truppe di opliti ateniesi e messeni per esiliare personaggi antiateniesi ma interruppe la missione a causa delle condizioni del terreno reso paludoso dalle piogge e dei sedimenti del fiume Acheloo. Questo fiume con i suoi depositi alluvionali stava lentamente collegando le isole Echinadi alla terraferma e secondo una leggenda in questi luoghi si stabilì Alcmeone dopo aver ucciso la madre. Apollo gli aveva infatti predetto che avrebbe trovato pace solo in quella terra che all'epoca del matricidio non fosse stata terra e non fosse stata mai vista dal sole.
Formione lasciò l'Acarnania, sostò a Naupatto e tornò ad Atene. Era la fine del terzo anno di guerra.


LIBRO III


Quarto anno di guerra (428-427 a.C.). Spedizione contro l'Attica comandata da Archidamo.
Gli abitanti di Lesbo, ad eccezione di Metimna, defezionarono da Atene. L'intervento ateniese fu ritardato dalla peste e si cercò una soluzione diplomatica ma le trattative non andarono in porto ed iniziò una nuova guerra. Ambasciatori di Mitilene proposero l'alleanza dei Lesbi agli Spartani e li convinsero a svolgere nuove azioni contro l'Attica approfittando dell'epidemia che indeboliva gli Ateniesi, ma questi ultimi riuscirono a reagire e allestirono rapidamente cento nuove navi di fronte alle quali la flotta dei Peloponnesii ripiegò senza combattere.
Intanto si svolgeva una spedizione di navi ateniesi intorno al Peloponneso comandata da Asopio figlio di Formione. Le forze ateniesi saccheggiarono territori della Laconia e arrivarono a Naupatto e Nerico ma qui Asopio venne ucciso dai difensori.
Gli Ateniesi passarono quindi ad assediare Mitilene raccogliendo tributi per coprire le spese dell'assedio in quanto la guerra stava prosciugando le loro risorse finanziarie.
Durante l'inverno una parte degli abitanti di Platea tentò una sortita notturna per liberarsi dell'assedio dei Peloponnesii che avevano cinto la loro città con un fossato e con un muro. L'impresa riuscì e, anche grazie alla confusione che Tucidide descrive con vivacità, oltre duecento uomini riuscirono a fuggire e a raggiungere Atene eludendo l'inseguimento.
Nell'estate successiva (quinto anno di guerra) quaranta navi dei Peloponnesii furono inviate a Mitilene e per consentire loro di navigare indisturbate Cleomene di Sparta guidò azioni diversive ai danni dell'Attica. Ma le navi tardarono e i Mitilenesi trattarono con gli Ateniesi e stabilirono una tregua per poter mandare ambasciatori a Atene.
Arrivato tardi a Mitilene, Alcida decise di tornare indietro nonostante il parere contrario di quanti erano con lui.
L'ateniese Pachete occupò Mitilene e mandò ad Atene i capi della diserzione. Nel giudicarli gli Ateniesi si lasciarono in un primo momento vincere dall'ira e decisero di sopprimere non solo quei prigionieri ma tutti i Mitilenesi in età adulta, tuttavia il giorno successivo tornarono sulla decisione.
Parlò all'assemblea Cleone insistendo per la condanna dell'intera popolazione di Mitilene. Dopo di lui parlò Diodoto esprimendo il parere contrario e sostenendo che la distruzione di Mitilene avrebbe recato danno anche ad Atene che non avrebbe più riscosso i tributi della città.
Infine vinse la linea moderata e si riuscì ad evitare all'ultimo momento che gli Ateniesi a Lesbo distruggessero Mitilene in base all'ordine partito il giorno precedente.
Nella stessa estate l'ateniese Nicia conquistò l'isola di Minoa dove si trovavano fortificazioni di Megara. Scacciati i nemici, Nicia stabilì sull'isola un presidio ateniese.
Nel frattempo i Plateesi stremati dall'assedio si consegnarono agli Spartani ed ottennero di poter parlare davanti ai giudici che dovevano decidere il loro destino.
Nel loro discorso i portavoce di Platea, oltre a ribadire gli antichi vincoli di amicizia fra i loro antenati e quelli dei Lacedemoni, chiesero di essere risparmiati e liberati oppure, se questo non sarà concesso, di essere rimandati a combattere perché mai si sarebbero arresi ai Tebani.
Intanto le quaranta navi dei Peloponnesi che erano andate in soccorso di Lesbo dopo varie vicissitudini tornarono al Peloponneso e si unirono ad altre navi sotto il comando di Brasida e Alcida che preparavano una spedizione a Corcira. In quest'isola erano tornati i prigionieri catturati dai Corinzi a Epidauro che erano stati corrotti per consegnare l'ìsola ai Corinzi.
Costoro con i loro tentativi di convincere i concittadini a rompere gli accordi con Atene creavano tensioni con citazioni giudiziarie e anche con atti di violenza.
Uccisero il consigliere Pitia, prosseno di Atene, che si opponeva ai loro piani e presero il potere imponendo una legge antiateniese.
Si combattè a Corcira fra gli oligarchi, partigiani dei Corinzi, e il popolo che cercava di deporli. Gli oligarchi incendiarono molti edifici per impedire ai popolari di impadronirsi degli arsenali. Dopo due giorni di combattimenti urbani arrivarono aiuti ateniesi comandati dallo stratego Nicostrato.
Nicostrato aprì trattative e ristabilì la pace ma poiché gli oligarchi non ispiravano fiducia i popolari ne confinarono circa quattrocento su un'altra isola. Alcuni giorni dopo giunsero Alcida e Brasida con cinquantatre navi. I Corciresi li affrontarono in modo disordinato e poco efficace mentre Nicostrato con le sue dodici navi si sforzava di rallentare l'attacco nemico per permettere ai Corciresi di mettersi in salvo.
I Peloponnesi riportarono nella battaglia una incerta vittoria ma non ebbero il coraggio di assalire Corcira e rientrarono in patria con tredici navi catturate navigando con molta fretta perché si era saputo dell'imminente arrivo di oltre sessanta navi ateniesi.
Eurimedonte, comandante delle navi ateniesi, si trattenne a Corcira sette giorni durante i quali i popolari giustiziarono quanti avevano fatto cadere la democrazia ma molti approfittarono dell'occasione anche per eliminare nemici personali e creditori.
Quella di Corcira, secondo Tucidide, fu la prima delle numerose guerre civili locali combattute nel contesto del Peloponneso e fu molto sanguinosa. Anche dopo la partenza di Eurimedonte gli esuli si riorganizzarono e dalla terraferma tentarono azioni per riprendere possesso dell'isola e gli scontri continuarono.
Durante quell'estate in Sicilia era scoppiata la guerra fra Siracusa e Leontini. Con Siracusa erano schierate le città siciliane doriche e filospartane ad eccezione di Camarina. Con Leontini le città calcidesi e Camarina. Tra le città italiote Locri era alleata di Siracusa e Reggio di Leontini.
I Leontini erano di stirpe ionica e in forza di antiche amicizie si rivolsero agli Ateniesi che accettarono di aiutarli sperando di sottomettere la Sicilia.
Sul finire dell'estate l'ateniese Lachete con venti navi si portò a Reggio per intervenire in favore dei Leontini. Durante l'inverno, mentre la peste tornava a massacrare la popolazione di Atene, i Reggini insieme agli Ateniesi distaccati in Sicilia attaccarono e saccheggiarono le Isole Eolie (Lipari, Didime, Strongile, Iera) abitate da coloni di Cnido alleati dei Siracusani
Con l'inverno finì il quinto anno di guerra. In estate gli Spartani, al comando del re Agide, prepararono una nuova invasione dell'Attica ma desistettero a causa di forti terremoti e maremoti che distrussero varie località.
Gli Ateniesi attaccarono Melo costringendo gli abitanti, che si erano mantenuti neutrali, a diventare loro alleati.
I Lacedemoni fondarono la colonia di Eraclea Trachinia in posizione favorevole per attaccare l'Eubea e per marciare in Tracia, tuttavia i vicini tessali, sentendosi minacciati, attaccarono più volte la nuova città fino a ridurla in condizioni di poter più nuocere a loro, all'Eubea o agli Ateniesi.
Nella stessa estate le navi ateniesi che sostavano intorno al Peloponneso attaccarono Leucade insieme agli alleati acarnani che avrebbero voluto espugnare definitivamente quella città, ma lo stratego Demostene, persuaso dai Messene, preferì muovere contro gli Etoli con trecento soldati ateniesi e molti alleati messeni, cefalleni e zacinti mentre gli Acarnani rifiutarono di seguirlo.
Giunto in Etolia, Demostene conquistò alcuni villaggi ma quando gli Etoli si riunirono e reagirono subì una grossa sconfitta perdendo molti uomini. Poco dopo gli Etoli mandarono ambasciatori a Sparta e Corinto chiedendo forze per assalire Naupatto e vendicare la spedizione ateniese.
Gli Spartani inviarono tremila opliti comandati da Euriloco, Macario e Menedeo. A Delfi le schiere spartane si unirono con molti alleati e a Naupatto con l'esercito degli Etoli.
Demostene, che dopo la sconfitta non aveva osato tornare a Atene ed era rimasto a Naupatto, riuscì a persuadere gli Acarnani a mandare aiuti e quelli fornirono mille uomini per difendere Naupatto. Alla notizia di questi rinforzi Euriloco sospese l'attacco rimanendo in quei luoghi per appoggiare gli Ambracioti contro Argo Anfilochico.
Durante l'inverno, infatti, si verificò un'importante battaglia fra l'esercito di Euriloco e quello composto da Ateniesi, Acarnani ed alleati il cui comando era stato affidato a Demostene. I Peloponnesi furono sconfitti, Euriloco e Macario persero la vita e a Menedeo non rimase che scendere a patti con Demostene.
L'indomani nacquero nuovi scontri con nuove milizie provenienti da Ambracia che furono a loro volta massacrate.
Dopo la partenza di Demostene gli Acarnani e gli Anfilochi conclusero un patto che li impegnava per cento anni a non compiere azioni militari contro il Peloponneso o contro Atene.
Quell'inverno gli Ateniesi purificarono Delo per obbedire ad un antico oracolo e portarono via dall'isola tutte le sepolture.
In Sicilia gli Ateniesi sbarcarono nel territorio di Imera e assalirono le Isole Eolie. Giunsero da Atene altre quaranta navi comandate da Pitodoro per bilanciare le nuove navi che i Siracusani stavano costruendo.
Pitodoro attaccò Locri ma fu sconfitto.
Con la notizia di un'eruzione dell'Etna si concludono il sesto anno di guerra e il terzo libro dell'opera.


LIBRO IV


Nell'estate successiva Messina defezionò da Atene e chiamò Siracusani e Locresi. I Locresi attaccarono e saccheggiarono anche Reggio che non era in grado di reagire a causa di lotte interne.
Gli Spartani invasero ancora l'Attica mentre Atene inviava altre navi in Sicilia.
Demostene si fece promotore dell'occupazione di Pilo, località alla quale attribuiva grande importanza strategica. L'iniziativa non trovava d'accordo gli strateghi ma, essendo la flotta bloccata da una bonaccia, gli Ateniesi costruirono delle fortificazioni presso Pilo prima di ripartire alla volta della Sicilia, lasciando in quei luoghi Demostene con cinque navi.
Informati sulle attività ateniesi, gli Spartani abbandonarono l'occupazione dell'Attica e inviarono aiuti agli abitanti di Pilo. Un contingente di opliti del Peloponneso fu sbarcato sull'isola di Sfacteria antistante il porto di Pilo e gli Ateniesi furono attaccati contemporaneamente dalla terra e dal mare ma Demostene aveva abilmente posizionato i suoi uomini nei luoghi più facili da difendere e sapeva bene come approfittare delle difficoltà che il nemico incontrava nello sbarco.
Gli scontri proseguirono per tre giorni, nel quarto giunsero molte navi da Zacinto e Naupatto in aiuto a Demostene e sconfissero gravemente gli Spartani.
Una parte dei Peloponnesi rimase bloccata nel porto che era sorvegliato dalle navi ateniesi e per liberarli a Sparta si decise di chiedere una tregua e di inviare ambasciatori ad Atene.
Gli Ateniesi accettarono la proposta e fu stabilito di non combattere fino al ritorno degli ambasciatori. L'offerta di pace che la delegazione spartana propose all'assemblea ateniese non venne accettata soprattutto per l'opposizione di Cleone, che in quel momento godeva di grande prestigio e credibilità e che pose come condizione per ogni trattativa la consegna degli assediati di Pilo e la restituzione di molti territori che Sparta deteneva in forza di trattati precedenti alla guerra.
Gli ambasciatori giudicarono inaccettabili queste condizioni e rientrarono con un nulla di fatto, subito la tregua fu sciolta e a Pilo si riprese a combattere.
Si combatteva anche in Sicilia dove Siracusani e Locresi sferrarono diversi attacchi approfittando del fatto che molte navi ateniesi erano impegnate a Pilo. Qui, con l'avvicinarsi dell'inverno e il perdurare dell'assedio, gli Ateniesi erano in difficoltà per carenza di viveri e di acqua mentre gli assediati, nonostante la sorveglianza, riuscivano comunque a ricevere approvvigionamenti dal Peloponneso grazie a iloti che per ottenere la libertà sfidavano il pericolo di penetrare in città di notte e a quanti lo facevano per ottenere compensi in denaro.
Intanto a Atene si cominciava a cambiare opinione sulla linea di condotta promossa da Cleone.
Dal canto suo Cleone accusava lo stratega Nicia perché non aveva deciso un intervento a Pilo, inaspettatamente Nicia cedette il comando a Cleone il quale, colto di sorpresa, cercò di declinare ma alla fine fu costretto dalla pressione popolare a farsi carico dell'organizzazione e della dichiarazione dell'impresa e dichiarò che avrebbe espugnato Pilo utilizzando soltanto truppe ausiliarie, senza impegnare soldati ateniesi.
Giunto a Pilo, Cleone unì le sue forze agli assedianti che erano comandati dallo stratego Demostene e l'esercito risultante sbarcò sull'isola di Sfacteria.
Dopo una lunga battaglia i Peloponnesi, esauriti dal lungo assedio e svantaggiati per le loro armature pesanti che li rallentavano, finirono con l'arrendersi. Avevano perso centinaia di uomini mentre gli attaccanti, che avevano usato soprattutto frecce, giavellotti e altre armi leggere avevano subito perdite contenute.
Dopo settantadue giorni di assedio i superstiti furono fatti prigionieri e portati ad Atene dove furono incarcerati e considerati ostaggi per evitare nuove invasioni dell'Attica.
Agli eventi di Pilo seguì poco dopo una spedizione ateniese in territorio corinzio comandata da Nicia. La spedizione minacciava il villaggio di Soligea e a difenderlo accorsero due strateghi corinzi fu una battaglia lunga e molto dura, alla fine prevalsero gli Ateniesi e durante la ritirata i Corinzi persero molti soldati e uno stratego. Gli Ateniesi, temendo l'arrivo di altre milizie da Corinto o dal Peloponneso lasciarono rapidamente il campo e navigarono fino a Crommione, quindi a Epidauro, Metone e Trezene saccheggiando queste località prima di tornare a casa.
Gli Ateniesi Eurimedonte e Sofocle, diretti in Sicilia, sostarono a Corcira dove gli oligarchi ribelli avevano occupato un forte. I ribelli si arresero e i due strateghi li lasciarono in consegna ai Corciresi in attesa del trasferimento a Atene ma i democratici indussero i prigionieri a violare la tregua quindi ne approfittarono per farne strage.
Alla fine dell'estate Ateniesi e Acarnani conquistarono Anattorio sul golfo di Ambracia.
L'inverno trascorse senza eventi di rilievo e all'inizio dell'estate successiva (424 - 423 a.C. - ottavo anno di guerra) gli esuli di Lesbo occuparono la città di Antandro ai piedi del monte Ida ed avviarono preparativi per bloccare Lesbo.
Intanto gli Ateniesi Nicia e Nicostrato guidavano una spedizione all'isola di Citera, importante approdo dei Lacedemoni, e la occuparono. Questo episodio, insieme agli altri eventi di Pilo, ebbe pessimo effetto sul morale degli Spartani. Gli Ateniesi navigarono oltre Epidauro e occuparono Tirea, località che gli Spartani avevano in precedenza conquistato e concesso agli Egineti fuggiaschi.
Si tenne a Gela un incontro fra gli ambasciatori dei Sicelioti per avviare trattative. Il siracusano Ermocrate pronunciò un discorso persuasivo sulla necessità delle città della Sicilia di fare pace fra di loro per respingere insieme il comune nemico ateniese che intendeva approfittare delle loro discordie per sottometterle.
La tesi di Ermocrate fu accolta e le città della Sicilia trovarono soluzioni pacifiche alle loro controversie stabilendo una tregua che fu accettata dagli strateghi ateniesi Pitodoro, Sofocle e Eurimedonte i quali tornarono in patria, ma giunti ad Atene furono puniti per non aver sottomesso la Sicilia quando ne avevano l'opportunità.
Gli esuli di Megara premevano per poter rientrare in città e una parte della popolazione, stanca di combattere su più fronti, era favorevole. I capi democratici, preoccupati dall'eventuale ritorno dei loro avversari, decisero di consegnare la città agli Ateniesi e si accordarono in tal senso con gli strateghi Ippocrate e Demostene. Il piano prevedeva una rapida azione notturna che avrebbe permesso agli opliti inviati da Atene di entrare in Megara, ma non tutto andò come previsto e gli Ateniesi dovettero limitarsi a occupare il sobborgo di Nisea, lo fortificarono e vi si stabilirono per preparare nuove azioni.
Quando fu informato di questi eventi lo spartano Brasida, che si trovava presso Corinto, accorse sul luogo con molte milizie per liberare Nisea o, almeno, difendere Megara, ma i Megaresi diffidarono delle sue intenzioni e non lo lasciarono entrare in città.
All'alba successiva arrivò anche un esercito di Beoti che si scontrò con quello ateniese in una lunga battaglia che non cambiò la situazione.
Quando Spartani, Beoti e Ateniesi si furono tutti allontanati da Megara i fuoriusciti tornarono in città sotto giuramento di non serbare rancore ma poco dopo ripresero il potere e fecero uccidere i loro avversari.
Gli strateghi ateniesi Ippocrate e Demostene entrarono in contatto con un movimento di dissenzienti beoti che intendeva istituire nella città della Beozia costituzioni democratiche sul modello di quelle ateniesi. I due strateghi appoggiarono le iniziative dei ribelli ed avviarono preparativi.
Intanto Brasida con millesettecento opliti intraprese l'attraversamento della Tessaglia con guide locali per recarsi in Macedonia. La marcia non fu senza ostacoli perché i Tessali erano per lo più favorevoli agli Ateniesi e un gruppo di loro tentò di fermare gli Spartani ma rinunciò alle assicurazioni di Brasida di essere venuto in pace.
Brasida si recava in Macedonia per portare aiuto a Perdicca, timoroso di essere attaccato dagli Ateniesi, e anche per distogliere i nemici dal Peloponneso.
Insieme a Brasida, Perdicca fece subito una spedizione contro Arrabeo re dei Lincesti, ma Brasida trattò con Arrabeo risolvendo la controversia pacificamente, cosa che non fu gradita a Perdicca.
Successivamente Brasida mosse contro Acanto, colonia di Andro, e poiché nella città due fazioni discutevano se accoglierlo come alleato o respingerlo, Brasida ottenne di entrare da solo e tenne un discorso nel quale dosò abilmente lusinghe e minacce convincendo il popolo di Acanto ad allearsi con Sparta defezionando da Atene.
All'inizio dell'inverno gli strateghi ateniesi Demostene e Ippocrate intrapresero spedizioni in Beozia. Demostene tornò indietro senza aver ottenuto risultati perché la notizia della spedizione era trapelata e non fu possibile interagire come previsto con i dissidenti locali.
Ippocrate occupò Delo, sede di un santuario di Apollo, e vi costruì una fortezza, quindi trasferì il grosso del suo esercito a una certa distanza in attesa della reazione dei Beoti.
I capi beoti non erano concordi sul da farsi perché Ippocrate, allontanandosi da Delo, aveva oltrepassato il confine, ma prevalse il parere del tebano Pagonda che sostenne che si dovevano attaccare gli Ateniesi indipendentemente dalla loro posizione.
La battaglia fu vinta dai Beoti e non poca parte nella vittoria ebbe l'abilità strategica di Pagonda, tuttavia il tempio di Delo rimase in mano agli Ateniesi con le fortificazioni da loro costruite. Nei giorni successivi le parti inviarono reciprocamente araldi per discutere la restituzione dei caduti e lo sgombero di Delo ma non trovarono un accordo.
I Beoti, quindi, attaccarono di nuovo Delo con l'aiuto dei Megaresi e questa volta la presero incendiando le fortificazioni. Fra i caduti in questa battaglia fu anche lo stratego Ippocrate.
Negli stessi giorni morì Sitalce re degli Odrisi combattendo contro i Triballi. Gli successe Seute.
Brasida, con gli alleati della Tracia, intraprese una spedizione contro la colonia ateniese di Anfipoli. In Anfipoli erano in corso forti ostilità fra la fazione filospartana e quella filoateniese. Quando Brasida raggiunse la città l'avrebbe forse conquistata facilmente ma vide che gli Anfipoli filospartani non prendevano iniziative quindi decise di attendere.
Intanto l'altra fazione mandava ambasciatori agli Ateniesi che affidavano la questione a Tucidide, l'autore di quest'opera.
Tucidide aveva influenti relazioni in Tracia ed era facoltoso, quindi temendo che potesse conquistare la città per gli Ateniesi, Brasida si affrettò a trattare con gli Anfipoli proponendo condizioni molto miti e riuscì a farsi consegnare la città.
Dal canto suo Tucidide sbarcò a Eione dove poco dopo respinse un attacco di Brasida. La conquista spartana di Anfipoli costituiva per Atene un duro colpo in termini di perdita di tributi e di legname, inoltre la politica di Brasida che si dichiarava liberatore della Grecia indusse molte città a defezionare dall'alleanza con Atene.
Nello stesso inverno Brasida operò nella regione di Megara, quindi passò nella Calcidica per conquistare la città di Torone che era in mano agli Ateniesi. Brasida riuscì facilmente in questa impresa con l'aiuto dei cittadini che gli erano favorevoli mentre i militari ateniesi che si trovavano in città si rifugiarono in un vicino forte detto Lecito. Dopo due giorni di tregua ed uno di assedio Brasida conquistò anche il Lecito e con questi eventi si concluse l'ottavo anno di guerra.
Seguì un anno di tregua nel quale tutti i contendenti sperarono di trovare una soluzione al conflitto.
Durante la tregua la città di Scione nella Pallene defezionò da Atene ed accolse Brasida che offriva l'amicizia ed il sostegno di Sparta come aveva già fatto con Acanto e Torone.
Mentre partiva da Scione, Brasida fu informato della tregua e seppe che gli Ateniesi minacciavano di attaccare gli Scionei perché risultava che la defezione di Scione fosse avvenuta dopo la stipula della tregua stessa. Ma anche Mende, altra città della Pallene, defezionò e Brasida la accolse preoccupandosi di portare al sicuro donne e bambini scionei e mendesi e di preparare difese contro un probabile attacco ateniese.
Brasida partecipò con Perdicca ad una spedizione contro i Lincesti, popolazione suddita della Macedonia il cui re Arrabeo si era ribellato. Brasida e Perdicca sconfissero duramente i Lincesti e Brasida, che aveva chiamato mercenari illirici, intendeva avanzare nel loro territorio per sottometterli definitivamente ma Brasida, che aveva fretta di tornare a proteggere Mende, non era disposto a continuare la campagna. Gli Illiri assoldati da Perdicca tradirono e passarono a Arrabeo.
Trovandosi lontano dall'accampamento di Brasida, Perdicca si allontanò dal paese dei Lincesti senza riunirsi agli alleati e l'esercito di Brasida fu costretto ad affrontare da solo gli Illiri e i Lincesti. Gli Spartani vinsero la battaglia grazie alle superiori capacità strategiche di Brasida ma da allora i rapporti con la Macedonia cominciarono a guastarsi.
Mentre Brasida era assente, gli Ateniesi avevano organizzato una spedizione comandata da Nicia e Nicostrato contro Mende e Scione. Il primo giorno gli abitanti di queste città si difesero validamente e gli Ateniesi furono respinti.
Il giorno seguente assediarono Scione e saccheggiarono i dintorni, ma i cittadini non erano concordi e una parte di loro si ribellò contro Polidamida che comandava le difese. Ne approfittò Nicia per occupare rapidamente la città e porvi un presidio prima di occuparsi di Scione.
A Scione gli Ateniesi assediarono la città dopo aver vinto quanti erano usciti incontro a loro. Perdicca, ormai avversario dichiarato di Brasida, trattò con gli Ateniesi offrendo loro il suo aiuto.
Durante l'estate i Tebani abbatterono le mura di Tespie. Nell'inverno, grazie alla tregua, si ebbero eventi poco rilevanti come uno scontro dall'esito incerto fra Mantineesi e Tegeati o un tentativo senza successo di Brasida contro Potidea.
Con l'inverno finì il nono anno di guerra.


LIBRO V


L'estate successiva (422 - 421 a.C. = decimo anno di guerra) la tregua fu sciolta ma ne fu conclusa un'altra fino ai Giochi Pitici.
Gli Ateniesi deportarono in Asia tutti gli abitanti di Delo per completare la purificazione dell'isola (vedi libro III).
Cleone attaccò la città di Torone che era occupata dai Peloponnesi e se ne impadronì facendo prigioniero fra gli altri Pasitelida comandante del presidio spartano.
Poiché in Leontini gli oligarchi avevano cacciato i democratici e si erano accordati con i Siracusani creando tensioni, l'ambasciatore di Atene Feace svolse una campagna in Sicilia per cercare alleati contro Siracusa che stava acquisendo eccessiva potenza. Ottenne solo il consenso di Camarina e Agrigento e, durante il viaggio di ritorno, quello dei coloni locresi cacciati da Messina.
Proseguendo nella sua spedizione, Cleone si portò presso Anfipoli e qui pose il campo in attesa di ricevere rinforzi dalla Macedonia e dalla Tracia. Brasida si accampò di fronte a lui spiandone i movimenti, certo che Cleone si sarebbe allontanato. Infatti i soldati di Cleone erano impazienti, l'attesa creava tensione e per non perdere il controllo Cleone decise di muovere il campo. Intanto vedendo che Anfipoli era sguarnita progettava di appropriarsene ma appena si fu allontanato Brasida entrò in città e la occupò.
Quando ritenne giunto il momento opportuno, Brasida comandò una sortita cogliendo gli Ateniesi di sorpresa, poco dopo una seconda sortita comandata da Clearida portò lo scompiglio generale fra le file ateniesi. Nella battaglia che seguì cadde Cleone e Brasida, gravemente ferito, fu portato in salvo ma spirò poco dopo.
In seguito alla battaglia di Anfipoli e alla morte di Brasida e Cleone che erano i due più accesi sostenitori della guerra, Sparta e Atene erano fortemente propense a concludere un conflitto che stava durando molto più a lungo del previsto con altissimi costi di vite e di risorse.
Il principale fautore della pace nel Peloponneso era Plistoanatte re di Sparta, mentre a Atene era Nicia. Ciascuno aveva i suoi motivi: Plistoanatte, che era rientrato dall'esilio, voleva far cessare le calunnie nei suoi confronti recuperando i prigionieri, Nicia voleva conservare la grande stima di cui godeva governando nella serenità che solo la pace poteva garantire.
Fu indetta una nuova tregua per svolgere trattative che portarono alla firma della cosiddetta Pace di Nicia alla quale non aderirono Beoti, Corinzi, Elei e Megaresi.
Il trattato prevedeva: la restituzione agli Ateniesi di Anfipoli, Acanto, Olinto e altre località minori; la restituzione ai Lacedemoni di Citera, Metana e altre; la cessazione dell'assedio di Scione da parte ateniese; la reciproca restituzione dei prigionieri.
Questo trattato fu firmato alla fine dell'inverno, esattamente dieci anni dopo l'inizio della guerra.
Non tutti gli alleati di Sparta lo accettarono. I Calcidesi impedirono la restituzione di Anfipoli e altre città presero atteggiamenti minacciosi perciò Spartani e Ateniesi oltre alla pace firmarono un'alleanza di mutuo soccorso.
La pace durò sei anni e dieci mesi. A questo punto dell'opera si legge un brano che sembra avere funzione di prologo per la parte successiva, cioè per la narrazione del secondo periodo di guerra. Critici moderni hanno ipotizzato un'interpolazione e vari interventi da qui in avanti per rifinire il materiale probabilmente non perfezionato da Tucidide. Si è pensato che il curatore possa essere stato Senofonte.
Il periodo intermedio fra le due guerre non fu di pace perfetta perché non tutti i patti vennero rispettati, si verificarono vari episodi di discordia e conflitti minori, quindi Tucidide sostiene che sia lecito parlare di un'unica guerra durata in tutto ventisette anni.
L'autore, che da questo punto parla in prima persona, racconta di aver vissuto tutte le fasi della guerra, di essere stato esiliato dopo i fatti di Anfipoli e di aver avuto modo di osservare gli eventi da diversi punti di vista.
Dopo la pace di Nicia gli ambasciatori di Corinto proposero a Argo un'alleanza alla quale avrebbe potuto aderire qualsiasi altra città greca ad eccezione di Sparta e Atene. Gli Argivi accettarono.
Mantinea fu la prima a defezionare da Sparta per avvicinarsi ad Argo e in tutto il Peloponneso la tensione era alta per il timore che Sparta volesse conquistare la supremazia con l'aiuto di Atene.
Gli Spartani si sforzarono di mantenere gli equilibri con la diplomazia, Corinto, Argo, le città della Calcidica ed altre si unirono staccandosi da Sparta, non così Beoti e Megaresi perché avevano costituzioni affini a quella lacedemone.
In quell'estate, mentre si cercava di mantenere la difficile pace, gli Ateniesi espugnarono Scione e i Focesi e i Locresi iniziarono una guerra.
Plistoanatte re di Sparta guidò una spedizione in Arcadia e dalla Tracia tornarono in patria i soldati di Brasida guidati da Clearida.
I rapporti amichevoli fra Sparta e Atene cominciarono a guastarsi alla fine dell'estate perché i Lacedemoni che per sorteggio avrebbero dovuto restituire per primi le località occupate non lo avevano fatto e non avevano convinto i loro alleati ad accettare i trattati.
L'inverno successivo furono nominati a Sparta nuovi efori e due di loro, Senare e Cleobulo, che erano contrari alla pace con Atene, presero contatti con Corinzi, Beoti e Argivi per formare nuove alleanze. L'iniziativa si arenò perché le parti non erano concordi e la situazione non era chiara. Gli Ateniesi non avevano ancora riconsegnato Pilo perché protestavano per i loro concittadini prigionieri dei Beoti al forte di Panacto. Gli Spartani per ottenere Panacto e restituire i prigionieri ad Atene si allearono con i Beoti ma il forte, prima di essere riconsegnato, venne distrutto.
Rivalutando la situazione gli Argivi temettero di rimanere isolati e decisero di allearsi con Sparta.
Ambasciatori spartani condussero ad Atene i prigionieri liberati dai Beoti ma quando gli Ateniesi seppero della distruzione di Panacto la considerarono una violazione degli accordi. Di questa situazione approfittò Alcibiade che era stato escluso dal trattato di pace perché troppo giovane e faceva parte di color che avrebbero voluto riaprire le ostilità contro Sparta.
Alcibiade contattò gli Argivi sollecitandoli a cercare l'alleanza con Atene e gli Argivi, nonostante le trattative già avviate con gli Spartani, accettarono l'invito e inviarono ambasciatori.
Contemporaneamente si trovavano in Atene ambasciatori di Sparta che avevano il compito di risolvere i problemi nati dalla distruzione di Panacto e ottenere la restituzione di Pilo. Alcibiade si oppose loro favorendo l'alleanza con Argo ma prevalse Nicia che propose di sospendere ogni decisione ed inviare una nuova ambasceria a Sparta per approfondire gli elementi del contendere. Questa ambasceria, guidata dallo stesso Nicia, doveva chiedere agli Spartani la ricostruzione di Panacto, la restituzione di Anfipoli e l'annullamento degli accordi con i Beoti a meno che tali accordi non venissero estesi anche ad Atene.
Il trattato vigente fra Sparta e Atene, infatti, prevedeva che alleanze con altre città fossero ammesse solo se stipulate da entrambe le parti. Per questo motivo, dunque, la decisione riguardo agli Argivi avrebbe dovuto attendere l'esito di questa missione.
Gli Spartani, pur rinnovando i giuramenti, rifiutarono di rompere l'alleanza con i Beoti e al rientro degli ambasciatori a Atene si decise di concludere l'accordo con Argo, Mantinea ed Elea. Non vi aderirono i Corinzi che si dissero soddisfatti dell'esistente alleanza difensiva e ricominciarono a avvicinarsi a Sparta. Del resto nonostante i nuovi eventi i trattati fra Spartani e Ateniesi non furono denunciati da una delle due parti.
A causa della conquista di Lepreo gli Elei esclusero gli Spartani dai Giochi Olimpici e furono inamovibili nella decisione. Ciò creò molta tensione ma non ebbe in pratica conseguenze.
Durante l'inverno Tucidide registra soltanto che popolazioni della Tessaglia attaccarono Eraclea Trachinia che era stata costruita contro la loro volontà. In questi scontri morì lo spartano Senare. Di Eraclea si impadronirono i Beoti all'inizio dell'estate successiva.
Alcibiade tentò di fortificare il porto di Patre per controllare l'accesso al Golfo di Naupatto, ma rinunciò per l'opposizione di Corinto e Sicione.
Gli Argivi organizzarono una spedizione per conquistare Epidauro e ne saccheggiarono il territorio. Anche gli Spartani pianificarono alcune azioni ma vi rinunciarono perché i responsi dei sacrifici non erano favorevoli, così trascorse un'altra estate.
Anche l'inverno passò senza eventi di rilievo, si verificarono solo imboscate e scorrerie fra Argivi e Epidauri e con l'inverno finì il tredicesimo anno di guerra.
In estate gli Spartani riunirono un grande esercito per combattere contro Argo e risolvere definitivamente la questione Epidauro, gli Argivi fecero altrettanti preparativi ed entrambi gli eserciti erano potenziati da numerosi alleati ma quando stava per iniziare una battaglia sotto le mura di Argo i comandanti argivi Trasillo e Alcifrone trattarono con il re Agide che comandava gli Spartani e lo scontro fu evitato.
I due eserciti si ritirarono ma la situazione provocò molte critiche nei confronti dei comandanti delle due parti che avevano agito senza il consenso delle rispettive maggioranze. Poco dopo, infatti, anche per le pressioni degli Ateniesi gli Argivi e i loro alleati scesero di nuovo in campo e conquistarono Orcomeno.
La mancata battaglia con gli Argivi e la perdita di Orcomeno crearono in Sparta grande malumore contro Agide che rischiò di essere severamente punito ma riuscì ad ottenere un'altra possibilità, tuttavia fu imposta al re la collaborazione di dieci consiglieri per condurre azioni militari.
Giunse a Sparta la notizia che se Tegea, minacciata dagli Argivi, non avesse ricevuto subito aiuti sarebbe passata al nemico. I Lacedemoni si mossero con insolita rapidità facendosi raggiungere da molti alleati ma nei pressi di Tegea Agide decise di rimandare di nuovo il combattimento.
Agide impegnò i suoi uomini per deviare un corso d'acqua sapendo che questo avrebbe spinto i nemici a spostarsi in una posizione a lui più favorevole, ma il giorno successivo presso Mantinea avvenne lo scontro che vedeva contro i Lacedemoni gli Argivi con i loro alleati mantineesi e ateniesi.
La battaglia, per il numero dei combattenti e per l'importanza delle città che parteciparono, fu la più grande in questa fase della guerra. Gli Spartani incontrarono varie difficoltà e non tutte le decisioni di Agide ebbero successo ma alla fine risultarono vittoriosi e Tucidide valuta che le perdite spartane siano state di circa trecento uomini mentre i nemici ne persero oltre mille.
Durante l'inverno i Lacedemoni proposero un accordo agli Argivi e, per le pressioni politiche degli oligarchi di Argo, l'accordo venne stipulato. In forza di questo accordo gli Spartani si ritirarono da Tegea. I Mantineesi, non avendo le forze per opporsi agli Argivi, si adeguarono e si unirono alla nuova alleanza.
Poco dopo venne abbattuto il governo popolare di Argo e instaurata l'oligarchia.
In estate (quindicesimo anno di guerra) tuttavia il popolo di Argo si sollevò e cacciò gli oligarchi prima che gli Spartani potessero intervenire. Gli Argivi quindi cercarono di nuovo l'alleanza di Atene e costruirono delle lunghe mura fino al mare per poter ricevere approvvigionamenti con l'aiuto degli Ateniesi nel caso fossero stati assediati dagli Spartani, ma le mura non ancora completate furono distrutte durante l'inverno da una spedizione guidata da Agide. La stessa spedizione occupò la località di Isie nel territorio di Argo uccidendo molte persone.
Alcibiade raggiunse Argo con venti navi e catturò trecento cittadini favorevoli a Sparta che furono esiliati, intanto gli strateghi ateniesi Cleomede e Tisia invadevano l'isola di Melo, colonia spartana, e prima di attaccare intavolarono trattative.
Gli Ateniesi insistevano perché i Meli si sottomettessero loro accettando di pagare un tributo ma conservando le loro terre e i loro averi ma i Meli rifiutarono e gli Ateniesi passarono senza indugio ad assediare le città dell'isola.
L'intervento spartano sul quale i Meli avevano fatto affidamento non ci fu e alla fine dell'inverno successivo dovettero arrendersi agli Ateniesi che uccisero tutti gli uomini adulti e resero schiavi le donne e i bambini.


LIBRO VI


Gli Ateniesi coltivavano l'ambizione di conquistare la Sicilia sottovalutando le dimensioni dell'isola e della sua popolazione.
I primi ad abitare la Sicilia furono Lestrigoni e Ciclopi la cui origine e il cui destino si perdono nel mito. Seguirono i Sicani che sostenevano di essere autoctoni ma in realtà erano Iberi scacciati dai Liguri. Si stanziarono nella parte occidentale dell'isola.
Dopo la caduta di Troia un gruppo di profughi si stabilì presso il confine dei Sicani. Furono detti Elimi e fondarono Erice e Segesta.
Giunse quindi un gruppo di Focesi e poi i Siculi provenienti dall'Italia scacciati dagli Opici (identificati con gli Ausoni). Un re dei Siculi che si chiamava Italo aveva dato il nome all'Italia. I Siculi, molto numerosi, giunsero circa trecento anni prima dei Greci, combatterono contro i Sicani ridimensionandone il territorio e occuparono gran parte dell'isola alla quale dettero il nome di Sicilia.
I Fenici si stabilirono in molte località costiere e in piccole isole adiacenti per commerciare con i Siculi ma all'arrivo dei Greci si concetrarono sulla costa sudoccidentale (più vicina a Cartagine) ai confini degli Elimi con i quali si allearono.
Giunsero finalmente i Greci: i primi furono Calcidesi guidati da Tucle fondatori di Nasso e più tardi di Leontini e Catania. Archia venne da Corinto e fondò Siracusa sull'isola che liberò scacciandone i Siculi.
Coloni di Megara guidati da Lamide fondarono una località di nome Trotilo, quindi Tapso. Dopo la morte di Lamide gli stessi coloni fondarono Megara Iblea su terreno concesso dal re dei Siculi Iblone. Centro anni dopo inviarono Pamillo a fondare Selinunte, ma duecentoquarantacinque anni dopo la fondazione di Megara Iblea ne furono cacciati da Gelone di Siracusa.
Antifemo da Rodi e Entimo da Creta fondarono Gela, circa un secolo dopo Aristonoo e Pistilo di Gela fondarono Agrigento.
Un gruppo di predoni di Cuma fondò Zancle ma più tardi si unirono coloni calcidesi. Gli abitanti di Zancle furono allontanati da profughi di Samo in fuga dai Persiani che a loro volta vennero cacciati da Anassilao tiranno di Reggio che cambiò il nome della città in Messene come quello della sua patria.
Coloni di Zancle fondarono Imera, mentre i Siracusani fondarono Akrai, Casmene e Camarina.
Quando i Segestani entrarono in guerra con Selinunte per questioni territoriali si rivolsero a Atene per chiedere aiuto facendo presente che Selinunte era sostenuta da Siracusa la quale, se non ostacolata, sarebbe presto divenuta padrona dell'intera Sicilia e a quel punto avrebbe potuto minacciare anche la potenza ateniese.
Attratti anche dai finanziamenti offerti dai Segestani, nell'estate del diciassettesimo anno di guerra (415-414 a.C.) gli Ateniesi decretarono di mandare in Sicilia sessanta navi comandate da Alcibiade, Nicia e Lamaco. Nicia si oppose alla decisione: Tucidide riporta un discorso nel quale attaccò Alcibiade accusandolo di mirare al vantaggio personale più che al bene della città e propose all'assemblea di riaprire la discussione sull'intervento in Sicilia che, a suo giudizio. avrebbe comportato molti rischi e nessun beneficio per Atene.
Nella sua risposta Alcibiade, oltre a respingere le critiche di Nicia sulla sua età e sui suoi modi esibizionistici, sostenne la necessità di aiutare gli alleati per evitare che i loro nemici, acquistando potenza, diventassero più pericolosi ed auspicò la concordia fra i cittadini di tutte le età.
Alcibiade e gli ambasciatori di Segesta e Leontini riuscirono a convincere la maggioranza, Nicia fece un altro tentativo parlando di mezzi militari e logistici che erano necessari per la spedizione sperando che l'enormità della spese facesse mutare il parere dell'assemblea ma anche questa volta non riuscì nel suo intento e furono decretrati pieni poteri per gli strateghi con l'incarico di curare tutti i preparativi.
Mentre si svolgevano gli arruolamenti, una notte, tutte le erme (i busti di Ermes) di Atene vennero mutilate.
Gli avversari di Alcibiade ne approfittarono per accusarlo di essere coinvolto in questo e in altri atti sacrileghi che si erano verificati in precedenza. Alcibiade chiese di essere processato prima di partire per la Sicilia ma i suoi avversare, per avere il tempo di costruire meglio le loro accuse, insistettero per la partenza immediata.
L'apparato dell'esercito che prese il mare diretto in Sicilia era grandioso per il numero dei soldati e dei marinai, per le dotazioni delle navi e per i grandi capitali che Atene e le città alleate avevano devoluto nell'impresa.
Intanto a Siracusa erano giunte notizie più o meno precise riguardo alla spedizione greca e Ermocrate, che riteneva affidabili le sue fonti, ne parlò alla cittadinanza.
Ermocrate propose di organizzare adeguate difese chiedendo di partecipare a tutte le città della Sicilia e cercando l'alleanza dei Cartaginesi, degli Spartani e dei Corinzi. Proponeva inoltre di andare incontro alla flotta ateniese per affrontarla nel mare di Taranto dove, a suo parere, i nemici sarebbero stati in grave difficoltà combattendo senza punti di appoggio sulla terraferma, mentre i Siracusani potevavno contare sull'aiuto di Taranto loro alleata.
I Siracusani erano scettici sugli argomenti di Ermocrate e contro di lui parlò Atenagora accusandolo di fare dell'allarmismo per il suo tornaconto personale e dicendosi convinto che gli Ateniesi fossero troppo esperti delle cose di guerra per affrontare una spedizione tanto pericolosa.
Infine gli strateghi si fecero carico di preparare le difese per un eventuale attacco e di tenere sotto controllo la situazione, sedando sul nascere le tensioni che la minaccia esterna e le rivalità interne potevano provocare.
La flotta greca partì e raggiunse il Promontorio Iapigio e Taranto senza mai trovare una città disposta ad accogliere i naviganti e commerciare con loro. Solo a Reggio fu concesso ai Greci di sbarcare, piantare un campo fuori dalla città e acquistare rifornimenti. I Reggini dichiararono che sarebbero rimasti neutrali, intanto in Sicilia, eliminati i dubbi sull'arrivo degli Ateniesi, si lavorava alacremente alle difese.
Navi inviate a Segesta in avanscoperta tornarono con la notizia che le ricchezze vantate dai Segestani non esistevano e che gli ambasciatori erano stati ingannati.
A questo punto Nicia propose di ridimensionare gli obiettivi della spedizione per evitare di andare incontro a costi eccessivi e di limitarsi a risolvere la questione fra Segesta e Selinunte.
Alcibiade, invece, era dell'avviso che tornare in patria con così modesti risultati sarebbe stato vergognoso e proponeva di cercare alleanze e finanziamenti presso altre città siciliane, a cominciare da Messina.
Dal canto suo Lamaco proponeva di attaccare a sorpresa Siracusa per isolarla e stabilire una base a Megara che non era difesa ed era vicina a Siracusa.
Gli strateghi, tranne uno, partirono con sessanta navi costeggiando l'isola. Furono accolti a Nasso ma non a Catania. Gli Ateniesi inviarono alcune navi a Siracusa per esortare i Leontini che vi si trovavano a unirsi a loro e Alcibiade veniva inviato a trattare con Catania. Mentre Alcibiade parlava all'assemblea l'esercito greco penetrò in città e i Catanesi filosiracusani fuggirono mentre gli altri accettarono subito l'alleanza con gli Ateniesi.
Arrivò una nave da Atene che recava a Alcibiade l'ordine di tornare per essere processato a proposito degli episodi di sacrilegio. La vicenda aveva avuto in Atene molto risalto e provocando molte delazioni spesso malevole aveva creato un clima di grande sospetto. Tucidide trae spunto da questa situazione per introdurre una digressione sull'episodio di Armodio e Aristogitone.
Alla morte di Pisistrato il potere era passato al figlio maggiore Ippia. Il popolo non era scontento del governo dei Pisistratidi che, pur essendo tiranni, avevano pretese moderate e governavano con capacità.
Un cittadino di media condizione di nome Aristogitone era l'amante del giovane Armodio del quale Ippia si era innamorato.
Armodio respinse le advances di Ippia il quale lo offese in vari modi provocando l'odio dei due amanti che, con altro congiurati, organizzarono un attentato per le feste Panatenee, ma al momento dell'azione fu ucciso Ipparco. Aristogitone in un primo momento sfuggì all'arresto mentre Armodio venne ucciso sul posto.
Da quel giorno Ippia divenne sospettoso e crudele e le condizioni di vita degli Ateniesi peggiorarono drammaticamente.
Ippia fu deposto tre anni dopo e si trasferì a Lampsaco presso Eantida, figlio del tiranno Ippoclo, al quale aveva fatto sposare la figlia Archedice, in seguito si recò presso il re Dario e venti anni dopo prese parte alla spedizione persiana contro la Grecia.
A quanto si diceva Armodio e Aristogitone avevano perso il controllo quando avevano visto un altro congiurato parlare con Ippia e avevano creduto che li stesse denunciando.
Il periodo di Pisistrato e dei suoi figli era ancora vivo nella memoria degli Ateniesi che erano molto sospettosi verso qualsiasi episodio inusuale e a aggravare i sospetti fu un delatore che, in cambio dell'impunità, indicò gli autori del sacrilegio delle erme. Alcibiade era seriamente sospettato di aver profanato i riti misterici e di aver complottato con Spartani e Argivi per occupare Atene e prendere il potere, cosa che si credeva sarebbe certamente accaduta se i suoi congiurati in città non fossero stati catturati grazie al delatore.
Alcibiade ricevette dunque l'ordine di rientrare a Atene per il processo ma fuggì nel Peloponneso e durante il viaggio fu condannato a morte in contumacia con i suoi compagni.
I due strateghi rimasti in Sicilia ridivisero l'esercito fra loro. Nicia ottenne trenta talenti da Segesta e altri fondi furono raccolti con la vendita degli schiavi. Alla fine dell'estate l'esercito greco si trovava a Catania.
Durante l'inverno i Siracusani attesero a lungo senza agire e i Siracusani, preso coraggio, stavano organizzandosi per attaccarli. In realtà anche gli Ateniesi si stavano preparando ma cercavano l'occasione per trovare una posizione loro favorevole vicino a Siracusa. Se la procurarono con uno stratagemma: fecero credere ai Siracusani che se li avessero attaccati dove si trovavano la popolazione di Catania avrebbe collaborato.
Ciò bastò per attirare il grosso dell'esercito siracusano molto lontano e dare il tempo agli Ateniesi che si erano intanto avvicinati a Siracusa navigando di notte, di scegliere il luogo più adatto e piantarvi un campo fortificato.
Il giorno successivo ebbe luogo la battaglia. I Siracusani e i loro alleati erano molto numerosi e non mancava loro il coraggio ma le loro capacità militari erano molto inferiori a quelle dei nemici. La lunga battaglia alla fine fu vinta dagli Ateniesi che non tentarono altre azioni contro Siracusa e tornarono via mare a Catania rimandando un nuovo attacco alla primavera mentre progettavano di far arrivare da Atene una cavalleria in grado di fronteggiare quella nemica.
A Siracusa Ermocrate parlò in assemblea per infondere coraggio ai cittadini e proporre che fossero nominati nuovi strateghi, in numero minore dei quindici che in quel periodo comandavano l'esercito, e con maggiori esperienze e capacità.
La proposta fu approvata e furono eletti tre strateghi: Eraclide, Sicano e lo stesso Ermocrate.
Durante l'inverno gli Ateniesi tentarono senza successo la conquista di Messene con l'aiuto dei cittadini dissidenti, ma Alcibiade prima di partire aveva avvertito gli abitanti filospartani di Messene e ciò fece fallire il progetto.
Siracusani e Ateniesi inviarono ambasciatori a Camarina per ottenerne l'alleanza. Per Siracusa andò personalmente Ermocrate che pronunciò un discorso non privo di minacce esortando i Camarinesi ad aiutare i Siracusani senza preoccuparsi di un vecchio trattato di alleanza che avevano con Atene a scopo difensivo e non riguardava le presenti circostanze in cui erano gli Ateniesi ad attaccare.
Per gli Ateniesi parlò l'ambasciatore Eufemo il quale ovviamente respinse le accuse di Ermocrate e spiegò che gli Ateniesi cercavano alleati in Sicilia per combattere le mire espansionistiche dei Siracusani nell'isola ma anche per impedire il loro intervento in Grecia in favore degli Spartani.
I cittadini di Camarina avevano timore della rappresaglia del vincitore se fosse capitato loro di accettare l'alleanza dello sconfitto, quindi risposero che per rispetto di tutti gli accordi esistenti si sarebbero mantenuti neutrali e congedarono gli ambasciatori.
Gli Ateniesi continuarono a cercare alleati in Sicilia, in Italia e anche a Cartagine, i Siracusani continuarono a inviare ambasciatori nel Peloponneso per suscitare azioni contro Atene.
A Sparta si trovava Alcibiade in esilio che prese ad appoggiare le proposte dei Siracusani. Parlò in assemblea dei veri obiettivi della spedizione Ateniese in Sicilia che solo in apparenza aveva lo scopo di aiutare Segestani e Leontini, in realtà si voleva sottomettere l'intera isola e, se possibile, l'Italia Meridionale e Cartagine, quindi raccogliere enormi risorse militari e finanziarie e concentrarle contro il Peloponneso: se gli Spartani non fossero intervenuti subito in Sicilia si sarebbero trovati a fronteggiare un nemico che mai, in tutta la guerra, era stato così forte.
Alcibiade esortò quindi gli Spartani ad inviare truppe in Sicilia e in e a intensificare le azioni in Attica. Giustificò il suo comportamento dicendo che non intendeva tradire la sua patria ma liberarla da quanti l'avevano tradito ed esiliato e, sperava con l'aiuto degli Spartani di poter tornare in Atene per ripristinarvi la libertà.
Gli Spartani approvarono le proposte di Alcibiade e affidarono a Gilippo il compito di preparare una spedizione e di prendere contatti con i Siracusani e con gli alleati di Corinto.
Si era alla fine del diciassettesimo anno di guerra.
All'inizio della primavera del diciottesimo anno di guerra (414-413 a.C.), gli Ateniesi occuparono il territorio di Megara di Sicilia. I Siracusani decisero di sorvegliare un luogo elevato detto Epipoli che, se occupato dal nemico, avrebbe costituito un vero pericolo per le loro difese ed affidarono questa sorveglianza ad un esule di Andro di nome Diomilo.
Furono tuttavia preceduti dagli Ateniesi che durante la notte erano sbarcati a Tapso, non lontano da Siracusa, e con un'azione molto rapida occuparono le Epipoli sbaragliando la guardia ed uccidendo Diomilo.
Il giorno successivo gli Ateniesi costruirono un forte sul Labdalo all'estremità delle Epipoli e con i contributi degli alleati riunirono seicentocinquanta cavalieri.
Accampatisi fuori Siracusa, gli Ateniesi protessero il loro campo con un muro circolare. Anche i Siracusani costruirono un muro e una palizzata ma li custodirono con negligenza e una rapida azione ateniese bastò a distruggere le loro nuove fortificazioni.
Finalmente gli Ateniesi attaccarono e colpirono duramente le difese Siracusane. Tucidide racconta anche momenti della battaglia in cui una o l'altra ala dell'esercito attaccante si trovò in difficoltà, ma alla fine lo scontro fu vinto dagli Ateniesi mentre le loro navi, costeggiando da Tapso, raggiungevano il porto grande di Siracusa.
Dopo di ciò gli Ateniesi, avendo riunito esercito e flotta e ricevuto rinforzi da nuovi alleati siculi, bloccarono i Siracusani con un doppio muro dalle Epipoli al mare.
Nicia era ormai l'unico comandante perché Lamaco era caduto nell'ultima battaglia. I Siracusani avviarono trattative con lui e intanto destituirono i loro strateghi sostituendoli con Eraclide, Eucle e Tellia.
Gilippo di Sparta e Pitane di Corinto attraversarono lo Ionio con poche navi fino a Taranto ma qui rimasero bloccati dalle condizioni del mare.
Nella stessa estate gli Argivi furono attaccati dai Lacedemoni e gli Ateniesi, per difenderli, ruppero scopertamente la tregua.


LIBRO VII


Gilippo e Pitane costeggiarono da Taranto fino a Locri Epizefiri quindi decisero di approdare a Imera e da lì raggiungere Siracusa da terra per attaccare all'altezza delle Epipoli. Alle loro forze si unirono truppe di Siculi e altre giunte da Corinto, oltre ovviamente ai Siracusani. Prima di combattere Gilippo offrì una tregua agli Ateniesi per lasciare l'isola entro cinque giorni, Nicia rifiutò ma schierò il suo esercito ed attese senza attaccare. Anche Gilippo si accampò su un'altura mandando soldati a conquistare il forte di Labdalo.
In sostanza i due eserciti presero tempo per rinforzare le rispettive fortificazioni finché Gilippo decise di attaccare ma commise un errore scegliendo di combattere in uno spazio troppo ristretto per la cavalleria.
Gli Ateniesi vinsero la battaglia ma furono sconfitti nello scontro successivo e i Siracusani ne approfittarono per completare la loro muraglia che andava dalla città al mare ed impediva al nemico di bloccare il passaggio.
Arrivarono altre navi da Corinto e da Leucade e Nicia, preoccupato per la situazione, scrisse ad Atene chiedendo di rinunciare all'impresa o di ricevere nuovi cospicui rinforzi. Nella lettera lamentava le difficoltà con gli approvvigionamenti, con la manutenzione delle navi, con le diserzioni dei mercenari. Chiedeva inoltre di essere esonerato per motivi di salute.
L'assemblea decise di inviare un altro esercito di terra e di mare e Nicia non fu destituito ma per alleviare le sue fatiche e le sue responsabilità gli vennero affiancati due colleghi, Menandro ed Eutidemo, che si trovavano già in Sicilia in attesa che giungessero i comandanti del nuovo esercito: Demostene e Eurimedonte. Quest'ultimo partì subito per informare Nicia sulle decisioni prese ad Atene e portare i primi soccorsi.
Finiva il diciottesimo anno di guerra.
All'inizio della primavera successiva (19mo anno, 413-412 a.C.) gli Spartani invasero l'Attica guidati dal re Agide e costruirono un forte a Decelea in posizione strategica rispetto ad Atene.
Contemporaneamente dal Peloponneso furono inviate in Sicilia navi mercantili cariche di opliti e da Atene partì Demostene con il nuovo esercito.
Gilippo tornò con forze reclutate in diversi luoghi della Sicilia e con l'aiuto di Ermocrate convinse i Siracusani a sferrare un attacco a sorpresa sul mare ingaggiando una battaglia navale con gli Ateniesi. L'esperienza marittima dei Siracusani non era all'altezza di quella degli Ateniesi che vinsero la battaglia ma mentre le navi erano impegnate nel combattimento Gilippo conquistò facilmente tre forti nemici lungo la costa, recando gravissimo danno agli Ateniesi che venivano così privati degli approvvigionamenti dal mare.
Anche in Attica gli Ateniesi subivano gravi danni e pericoli a causa del forte di Decelea dal quale gli Spartani facevano continue incursioni impedendo il lavoro dei campi e depredando il territorio. Migliaia di schiavi approfittando della situazione erano fuggiti da Atene, molto bestiame era perduto, molti cavalli erano feriti o morti nei combattimenti contro gli Spartani.
Le finanze Ateniesi risentivano pesantemente delle due guerre in corso e del maggior costo degli approvvigionamenti dovuti al blocco dei trasporti stradali a Decelea (si doveva infatti trasportare ogni merce via mare aggirando il promontorio del Sunion), perciò un contingente di milletrecento mercenari traci fu rimandato indietro per evitare le spese del loro compenso.
Diitrefe ebbe l'incarico di ricondurli indietro utilizzandoli lungo la marcia per recare danni al nemico. Assalì la città di Micalesso dove i Traci, lasciandosi andare al saccheggio, fecero una strage di violenza inaudita. Allontanandosi da Micalesso i mercenari furono attaccati dalla cavalleria tebana che ne uccise circa duecentocinquanta.
Demostene e Eurimedonte continuavano ad arruolare opliti per la guerra in Sicilia mentre Conone a Naupatto si preparava ad affrontare la battaglia navale contro i Corinzi. Anche a Siracusa si concentravano nuove risorse militari, contingenti inviati da Gela, da Camarina e da altre città che fino ad allora non erano intervenute.
Demostene e Eurimedonte partirono da Corcira con l'esercito, fecero sosta a Metaponto dove raccolsero altri rinforzi e quindi a Turi dove aveva preso il potere la fazione filoateniese.
Le navi Ateniesi di Naupatto si scontrarono con quelle di Corinto nelle acque dell'Acaia all'altezza di Erineo ma l'esito della battaglia non fu chiaro perchè entrambe le parti subirono soltanto danni alle navi, quindi sia gli Ateniesi, sia i Corinzi, alzarono trofei considerando di aver vinto.
Una più grande battaglia fu combattuta in due giornate nel porto grande di Siracusa. I Siracusani che avevano imparate dalle precedenti sconfitte, avevano modificato le loro navi rendendole più robuste a prora e in grado di fronteggiare meglio il modo di combattere degli Ateniesi. La scelta risultò opportuna e gli Ateniesi persero in questo scontro molte navi e molti uomini.
. Nondimeno l'arrivo del nuovo esercito comandato da Demostene sbigottì i Siracusani che lo considerarono una dimostrazione dell'inesauribile potenza ateniese. Demostene decise di sfruttare la situazione e di attaccare subito per impadronirsi delle Epipoli e abbattere il muro di protezione di Siracusa.
Attaccando di notte, Demostene riuscì ad eludere le sentinelle e a impadronirsi delle Epipoli ma nei combattimenti che seguirono a causa dell'oscurità si creò grande confusione e i Siracusani che conoscevano meglio i luoghi vinsero la battaglia respingendo gli Ateniesi e uccidendone molti.
Dopo la sconfitta Demostene propose di abbandonare la Sicilia mettendo subito fine ad un'impresa che si stava rivelando inutile e senza speranza di successo. Il suo collega Eurimedonte appoggiò questa opinione ma Nicia, che aveva ricevuto in segreto un messo della fazione siracusana favorevole alla resa, si oppose alla partenza sostenendo che continuando l'assedio i Siracusani, che si servivano prevalentemente di milizie mercenarie, avrebbero dovuto capitolare per mancanza di denaro.
Quando i Siracusani ricevettero una nuova armata dal Peloponneso, tuttavia, anche Nicia cambiò opinione e non si oppose più alla partenza, ma mentre l'esercito Ateniesi si stava imbarcando si verificò un'eclissi di luna e gli indovini affermarono che non si sarebbe potuta lasciare l'isola prima di ventisette giorni.
Gilippo, informato di questi eventi, decise di agire subito e dopo una rapida azione terrestre i Siracusani ingaggiarono una battaglia navale che vinsero gloriosamente affondando diciotto nati Ateniesi. L'esito della battaglia fu determinante per il morale dei contendenti: gli Ateniesi erano ormai del tutto scoraggiati e si rendevano conto che l'avversario li eguagliava in tutto e non potevano sconfiggerlo, i Siracusali erano orgogliesi della vittoria e progettavano di bloccare e distruggere le navi e l'esercito nemico in modo da compiere un'azione di enorme rilievo davanti a tutto il mondo greco. In questa guerra, infatti, erano state coinvolte numerose città della Grecia e della Sicilia e, lungi dall'essere un conflitto locale, era stata una grande guerra fra Ioni e Dori.
Tucidide fornisce qui un catalogo dettagliato degli alleati di Atene (§57) e di quelli di Siracusa (§58).
Dal canto loro gli Ateniesi, ben consapevoli del pericolo che correvano, decisero di affrontare un'ultima battaglia navale nel porto di Siracusa per poterne uscire in sicurezza. Più che di una battaglia navale doveva trattarsi di un combattimento di fanteria perché le imbarcazioni Ateniesi sarebbero state cariche di soldati ben oltre la consuetudine.
Avendo subito molti danni nelle occasioni precedenti per gli "orecchioni" e le varie attrezzature da combattimento che i Siracusani avevano montato sulle loro navi, si attrezzarono con le "mani di ferro" che dovevano servire a bloccare i natanti nemici e i Siracusani, avendolo notato, rivestirono parti delle loro navi di cuoio per rendere più difficile la presa delle mani di ferro.
Gli strateghi Demostene, Menandro e Eutidemo salparono con la flotta e si diressero verso lo sbarramento del porto per forzarlo e uscire mentre Nicia schierava a terra gli opliti non imbarcati per incoraggiare e aiutare come poteva quanti erano sulle navi.
Tucidide descriveva la battaglia con grande tensione, circa duecento navi che si scontravano nello spazio ristretto del porto dove i piloti spesso non avevano possibilità di manovrare liberamente. Le navi si scontravano e subito i soldati che erano a bordo cominciavano a battersi tentando di conquistare la nave avversaria. Ovunque grida, clamore, orribile confusione.
Infine i Siracusani, pur subendo grandi perdite, vinsero la battaglia e si videro gli Ateniesi precipitarsi verso la riva per cercare soccorso fra i compagni. Pochi tentarono di proteggere ancora il muro di cinta del campo ateniese, i più tentarono di darsi a una fuga disperata e senza meta.
Demostene e Nicia decisero di caricare tutti i loro soldati sulle navi rimaste e tentare di forzare il blocco del porto all'alba per prendere il mare e fuggire ma i soldati si rifiutarono di imbarcarsi per paura di essere nuovamente battuti e pensavano di ritirarsi per via di terra.
Ermocrate, che lo aveva previsto, sollecitò i Siracusani perché impedissero ai nemici di disperdersi nell'isola dove in seguito avrebbero potuto riorganizzarsi e costituire di nuovo un pericolo. Non era facile, tuttavia, organizzare subito la sorveglianza perché i Siracusani vincitori si erano dati ai festeggiamenti e al bere, così Ermocrate inviò alcuni informatori dagli strateghi Ateniesi con il malevolo consiglio di rimandare la partenza perché le strade erano presidiate. Lo stratagemma riuscì e gli Ateniesi attesero due giorni prima di muoversi.
Fu una partenza drammatica: quattromila uomini fra Ateniesi e alleati che si muovevano lasciando dietro di se i malati, i feriti e i cadaveri insepolti. Ognuno aveva preso con se il minimo indispensabile sapendo che non sarebbe bastato perché nel campo era finito il grano. Partivano mestamente a piedi, tutte le navi perdute, in parte bruciate dagli stessi Ateniesi, in parte requisite dagli uomini di Gilippo che le avevano trovate abbandonate.
I Greci marciavano schierati in quadrato, con gli opliti lungo i lati e gli altri al centro. Giunti al fiume Anapo trovarono sentinelle di Siracusa, le misero in fuga e superarono il guado ma poco dopo furono molestati dalla cavalleria e dalla cavalleria nemiche.
Dopo alcuni giorni di tentativi falliti, Demostene e Nicia decisero di lasciare la via per Catania e deviare verso Gela e Camarina. Partirono di notte e guadagnarono un certo vantaggio ma quando i Siracusani raggiunsero la retroguardia ateniese che era formata dall'esercito di Demostene, la dispersero rapidamente. Gilippo offrì l'incolumità in cambio della resa e seimila Ateniesi gettarono le armi e furono condotti a Siracusa.
L'esercito di Nicia riuscì a superare il fiume Erineo e quando fu raggiunto dai Siracusani oppose alle offerte di Gilippo la proposta di un riscatto in denaro. I Siracusani rifiutarono e ripresero i combattimenti.
Raggiunto il fiume Assinaro gli Ateniesi si gettarono freneticamente sulla riva stremati dalla sete ma subirono un nuovo massacro perché i Peloponnesiaci di Gilippo, che si trovavano in posizione elevata, li colpirono agevolmente con frecce e giavellotti. Infine Nicia, per salvare i superstiti, si arrese a Gilippo che ordinò di catturare tutti gli Ateniesi ancora vivi.
Una parte riuscì a fuggire subito, altri fuggirono o furono liberati dopo un periodo di schiavitù e si rifugiarono a Catania.
I prigionieri furono gettati nelle latomie dove furono tenuti in condizioni disumane per mesi prima di essere venduti come schiavi.
Demostene e Nicia furono uccisi contro il volere di Gilippo che avrebbe preferito portarli con se a Sparta come prigionieri di guerra.


LIBRO VIII


La notizia della disfatta in Sicilia gettò gli Ateniesi nella più cupa disperazione e suscitò in loro la paura di essere attaccati da ogni direzione ora che non avevano più uomini e mezzi per difendersi.
In effetti tutte le città soggette ad Atene erano pronte a ribellarsi e quelle che si erano fin qui mantenute neutrali progettavano di attaccare gli Ateniesi per avere la loro parte di benefici.
Tuttavia gli Ateniesi trovarono la forza per reagire, nominarono nuovi magistrati ed avviarono la costruzione di una nuova flotta preparandosi ad affrontare qualunque sacrificio e riducendo ogni possibile spesa.
Dal canto loro gli Spartani, entusiasti per la situazione e fidando nell'alleanza di Siracusa, affidarono al re Agide l'incarico di raccogliere insieme agli alleati un poderoso esercito ed allestire una nuova flotta per sferrare l'attacco decisivo.
Per svolgere queste mansioni Agide si stabilì a Decelea e qui ricevette ambasciatori degli Eubeesi che erano pronti a defezionare da Atene. Analoghe notizie ebbe da Lesbo mentre i Chii e gli Eritrei si rivolsero direttamente a Sparta chiedendo sostegno per la loro ribellione. Anche i Persiani erano interessati ad un accordo con Sparta perché volevano ripristrinare il versamento dei tributi delle città greche un tempo soggette al controllo persiano e poi entrate nell'influenza ateniese.
Due legazioni persiane giunsero contemporaneamente a Sparta: quella di Tissaferne satrapo delle regioni costiere dell'Asia Minore e quella di Farnabazo satrapo della Frigia. Entrambi i satrapi pretendevano la precedenza nelle azioni da svolgersi in alleanza con Sparta contro Atene, ma gli Spartani decisero di favorire Tissaferne.
Con la primavera successiva, inizio del ventesimo anno di guerra (412-411 a.C.) a Sparta si decise di intervenire a Chio e a questo fine furono preparate a Corinto trentanove navi fra quelle persiane e quelle alleate.
La flotta era comandata da Calcideo, dopo Chio avrebbe proseguito per Lesbo al comando di Alcamene e poi per l'Ellesponto dove avrebbe preso il comando Clearco.
La partenza fu rimandata a causa della tregua per i Giochi Istmici e quando Alcamene partì da Corinto con metà delle navi preparate dirigendosi a Chio, gli Ateniesi avevano ormai conosciuto i piani di ribellione dei Chii e intercettarono le navi dei Peloponnesiaci, ne affondarono molte ed uccisero molti uomini fra cui Alcamene nei pressi del porto dove le superstiti imbarcazioni spartane rimasero bloccate e sorvegliate dagli Ateniesi.
Gli Spartani, demoralizzati da questo primo insuccesso in quella fase del conflitto che sarà poi detta "guerra della Ionia", stavano per abbandonare la spedizione a Chio ma Alcibiade convinse Endio e gli altri Efori a perseverare e partì egli stesso per Chio insieme a Calcideo con cinque navi. Rapidamente indussero alla defezione Chio, Eritra e Clazomene.
La notizia spinse gli Ateniesi a servirsi delle riserve finanziarie che in precedenza si erano proposti di non usare mai per la guerra ed allestirono nuove navi per intervenire sulle città ribelli prima che il loro esempio si diffondesse fra gli alleati.
L'ateniese Strombichide con otto navi visitò Samo e Teo per assicurarsi che rimanessero fedeli a Atene, ma anche Calcideo raggiunse Teo e distrusse il forte costruito dagli Ateniesi. Calcideo e Alcibiade fecero defezionare anche Mileto e poco dopo Sparta firmò un'alleanza contro Atene con Tissaferne e con il re di Persia.
Divenne navarco della flotta spartana Astioco. A lui si unirono le navi che erano riuscite a forzare il blocco ateniese a Chio.
Intanto a Samo il partito democratico, con aiuto Ateniesi, si ribellò al governo oligarchico e prese il potere.
Gli Ateniesi Leonte e Diomedonte con venticinque navi, agendo con grande rapidità, riuscirono a occupare Mitilene e a reprimere la defezione di Clazomene senza che Astioco potesse opporre significativa resistenza.
Intanto altre navi ateniesi attaccarono Lesbo (negli scontri fu ucciso Calcideo), poi si unirono a quelle di Leonte e Diomedonte e fecero rotta verso Chio.
Vinti i Chii in tre battaglie consecutive, gli Ateniesi saccheggiarono l'isola che era molto ricca perché aveva sempre evitato danni di guerra e la defezione da Atene era il primo errore politico che i Chii commettevano dopo molto tempo.
Gli strateghi ateniesi Frinico, Onomacle e Scironide attaccarono Mileto e sconfissero i Peloponnesiaci che vi si erano recati con Calcideo e un contingente di Tissaferne, ma i Milesi vinsero gli Argivi che combattevano con gli Ateniesi. Gli strateghi considerarono comunque vinta la battaglia ed iniziarono l'assedio di Mileto ma presto arrivò una flotta di Lacedemoni e di Siracusani proveniente dalla Sicilia. Su consiglio di Frinico gli Ateniesi decisero di non affrontare in quel momento un pericoloso scontro con il nemico e si spostarono a Samo provocando l'indignazione degli Argivi che tornarono alla loro città.
Anche i Peloponnesiaci non sostarono a Mileto e, accogliendo una richiesta di Tissaferne, andarono a conquistare la città di Iaso che era occupata dal ribelle persiano Amorge figlio di Pissutne. Amorge fu catturato e consegnato a Tissaferne, Iaso venne saccheggiata.
L'inverno successivo (ventunesimo anno di guerra, 412-411 a.C.) le forze ateniesi si concentrarono a Samo con l'aggiunta di trentacinque navi comandate dagli strateghi Carmino, Strombichide e Euctemone, quindi una parte di questa flotta mosse contro Chio mentre gli altri rimasero a Samo compiendo incursioni contro Mileto.
In questo frangente, Astioco tentò senza successo di prendere in mano la situazione cercando inutilmente di occupare Clazomene e di sollevare altre ribellioni antiateniesi in varie località. Lo spartano Ippocrate recò aiuti alla città di Cnido che si era ribellata e respinse gli Ateniesi quando tentarono di espugnarla. Astioco rifiutò aiuto agli abitanti di Chio assediati dagli Ateniesi e fu segnalato a Sparta da Pedarito comandante delle forze spartane a Chio.
Lo spartiata Antistene al comando di ventisette navi si diresse verso la Ionia, era con lui una commissione incaricata di indagare sull'operato di Astioco e, se necessario, di deporlo dal comando sostituendolo con Antistene.
Quando Astioco, che stava finalmente per recarsi a Chio, seppe dell'arrivo degli ispettori, decise di andare loro incontro e facendolo si scontrò con le navi dello stratego ateniese Carmino in una battaglia che riuscì a vincere pur perdendo alcune sue navi.
La commissione spartana si incontrò con Tissaferne e invalidò i trattati di alleanza affermando che Sparta non avrebbe tolto la libertà a città greche per sottometterle ai Persiani.
Procedendo il viaggio i Lacedemoni giunsero a Rodi e riuscirono a provocarne la defezione da Atene. Intanto i rapporti di Alcibiade con gli Spartani si erano guastati per vari motivi fra cui la sua ostilità verso Agide, perciò l'ateniese si procurò l'amicizia di Tissaferne e prese a dargli consigli per nuocere ai Peloponnesiaci, in particolare in materia finanziaria.
Alcibiade suggeriva inoltre a Tissaferne di non tentare di affrettare la fine della guerra evitando che uno dei contendenti, vincendo, diventasse troppo forte e rifiutasse di cooperare con i Persiani.
Accogliendo i consigli di Alcibiade, Tissaferne distribuiva i compensi concordati con i Peloponnesiaci in modo irregolare e non li lasciava combattere in mare in modo che la loro flotta, divenuta molto potente, rimanesse inutilizzata.
Intanto Alcibiade scriveva ai comandanti degli Ateniesi di stanza a Samo lettere che fecero nascere l'idea di una restaurazione oligarchica. Abbandonare la costituzione democratica era infatti condizione indispensabile per ottenere l'amicizia di Tissaferne e del re.
Mentre le proposte di Alcibiade andavano riscuotendo attenzione e favore, il solo Frinico si opponeva denunciando le vere intenzioni di Alcibiade e evidenziando come un cambiamento di regime in Atene non avrebbe cambiato le sorti della guerra.
In breve si formò intorno ad Alcibiade una congiura per abbattere la democrazia e i congiurati inviarono Pisandro da Samo a Atene per proporre il rientro di Alcibiade e l'alleanza con Tissaferne.
Pur di rovinare i piani di Alcibiade, Frinico prese a tramare con Astioco ma questi (pare per interesse personale) lo denunciò a Alcibiade e a Tissaferne. Alcibiade scrisse agli Ateniesi di Samo che Frinico si accordava con il nemico ma non venne creduto.
Pisandro svolse con abilità la sua missione a Atene e convinse il popolo che l'oligarchia e l'amicizia dei Persiani erano indispensabili per evitare che la città venisse distrutta dai Peloponnesiaci. Ebbe quindi l'incarico di ripartire e condurre le necessarie trattative con Alcibiade e Tissaferne; riuscì inoltre a far destituire dal comando Frinico e il suo collega Scironide che furono sostituiti da Diomedonte e Leonte. Questi ultimi compirono un'azione vittoriosa contro i Peloponnesiaci a Rodi mentre a Chio Pedarito perse la vita tentando di forzare l'assedio ateniese.
Alcibiade fece in modo che le richieste di Tissaferne a Pisandro fossero troppo esose per evitare che la delegazione ateniese concludesse l'accordo e per screditare gli ambasciatori e Tissaferne rinnovò il trattato con gli Spartani pagando il mantenimento delle loro milizie.
Nel ventunesimo anno di guerra (411-410 a.C.), gli Spartani spinsero alla defezione Abido e Lampsaco ma l'ateniese Strombichide, che si trovava a Chio, intervenne prontamente e fece rientrare le ribellioni, inoltre stabilì un presidio sull'Ellesponto.
Intanto ad Atene veniva abbattuta la democrazia e Pisandro e Diitrefe ricevevano l'incarico di visitare le città soggette ad Atene per arrecare lo stesso cambiamento politico.
Il nuovo regime, come tutti i regimi, fu affermato con la violenta eliminazione degli avversari e con un clima di paura e diffidenza.
Furono scelte cento persone che a loro volta ne scelsero tre a testa costituendo così il Consiglio dei Quattrocento che aveva pieni poteri e poteva consultare, quando lo riteneva opportuno, l'assemblea che non poteva superare i cinquemila cittadini.
Questa organizzazione fu proposta da Pisandro ma il vero autore della formula era Antifonte. Uomo di grande oratoria e capacità, preferì lavorare nell'ombra influenzando con le sue opinioni e i suoi consigli le vicende politiche di quegli anni. Altri esponenti di spicco della fazione oligarchica che riuscì ad abbattere la democrazia ateniese che ormai governava da cento anni furono Frinico e Teramene.
I Quattrocento si insediarono presentandosi alla prima riunione ciascuno con un pugnale nascosto, particolare significativo, e liquidarono i precedenti magistrati pagando loro i compensi stabiliti.
Inviarono ambasciatori a Decelea presso Agide proponendo la pace a nome del nuovo governo ma Agide diffidò della novità e si portò davanti alle mura di Atene con tutto l'esercito, non notando reazioni da parte ateniese tornò indietro ed attese. Quando i Quattrocento inviarono un'altra ambasceria Agide si mostrò più disponibile e furono avviate trattative.
Furono inoltre inviati messi anche a Samo per assicurare l'esercito e i marinai sulla situazione. Intanto a Samo erano accadute novità fra gli Ateniesi che vi si trovavano: una fazione oligarchica di cui faceva parte lo stratego Carmino si preparava ad assalire gli avversari democratici che a loro volta si rivolsero a Leonte, Diomedonte, Trasibulo e Trasillo, tutti personaggi fortemente avversi all'oligarchia.
Un certo Cherea andò in missione ad Atene e tornato a Samo raccontò quanto aveva visto esagerando e mentendo sul comportamento dei Quattrocento per esacerbare l'animo dei soldati. Gli Ateniesi a Samo, insieme con gli abitanti dell'isola, finirono col costituire una repubblica retta democraticamente. Tutti i comandanti favorevoli all'oligarchia furono destituiti e sostituiti con altri fra i quali furono Trasibulo e Trasillo. Il possesso della flotta garantiva la possibilità di chiudere il porto bloccando i rifornimenti e i commerci degli oligarchici e ciò li incoraggiava a prepararsi a combattere per ripristinare la democrazia in Atene.
I Peloponnesiaci erano scontenti per l'immobilismo di Astioco e per l'irregolarità dei pagamenti di Tissaferne. Per mettere riparo alla tensione Astioco e i suoi ufficiali decisero un attacco navale contro Samo ma durante la navigazione seppero che Strombichide stava rientrando all'Ellesponto accrescendo la flotta stanziata a Samo e tornarono indietro.
Allora i Peloponnesiaci si rivolsero a Farnabazo al quale inviarono Clearco con quaranta navi ma questa missione fu annullata a causa di una tempesta che disperse la flotta.
Trasibulo convinse gli Ateniesi di Samo a far rientrare Alcibiade e Alcibiade portò ai concittadini la promessa di Tissaferne di aiutarli abbandonando gli Spartani. Subito nominato stratego, Alcibiade ripartì senza indugio e tornò da Tissaferne per concordare il da farsi.
La tensione nei confronti di Astioco continuò ad aumentare finché da Sparta non fu mandato Mindaro per sostituirlo.
Intanto da Atene giunsero ambasciatori a Samo ma i soldati non accolsero le loro parole rassicuranti e sarebbero subito partiti per attaccare il Pireo se Alcibiade, con il suo grande ascendente, non fosse riuscito a trattenerli. Alcibiade era consapevole che se fosse scoppiata una guerra fra le opposte fazioni ateniesi i nemici ne avrebbero approfittato e rimandò gli ambasciatori raccomandando agli oligarchici di proteggere la città.
Tissaferne, sempre incalzato dai Peloponnesiaci che lo sospettavano dichiaratamente per la sua amicizia con Alcibiade, prese tempo andando ad Aspendo dove una flotta fenicia ordinata dal re di Persia aspettava di essere consegnata ai Lacedemoni. Tissaferne non voleva favorire nè l'uno nè l'altro contendente quindi rimandò ancora con un pretesto la consegna delle navi. Alcibiade, che aveva saputo della sua partenza, si affrettò a raggiungerlo.
Gli oligarchici ateniesi più radicali (Frinico, Aristarco, Pisandro e Antifonte) avevano già inviato ambasciatori a Sparta ma quando vennero a conoscenza della posizione di Alcibiade e di quanti si trovavano a Samo decisero di bruciare le tappe e Antifonte e Frinico si recarono personalmente a Sparta per concludere la pace ad ogni costo, intanto si costruivano fortificazioni al Pireo per tenere il porto sotto controllo per ogni eventualità.
Al ritorno da Sparta Frinico venne ucciso da un soldato in seguito a una congiura, catturato e torturato l'esecutore non rivelò chi fosse il suo mandante ma dagli interrogatori si comprese che i congiurati erano molti e appartenevano a diversi ambienti.
Poco dopo Teramene e Aristocrate suscitarono la ribellione degli opliti che stavano fortificando il Pireo. Lo stratego degli oligarchici Alessicle fu imprigionato e rilasciato il giorno successivo ma le fortificazioni vennero demolite.
I Quattrocento inviarono delegati che riuscirono a sedare momentaneamente la rivolta e fu fissato un giorno per discutere la situazione in un'assemblea generale, ma il giorno dell'assemblea si seppe che quarantadue navi nemiche comandate da Agesandrida costeggiavano Salamina.
A causa dei disordini interni gli Ateniesi non riuscirono a organizzare rapidamente le difese e furono battuti in mare presso Eretria. Quanti cercarono scampo a Eretria credendola amica furono trucidati dai cittadini improvvisamente ribellatisi ad Atene. Rapidamente i Peloponnesiaci occuparono l'Eubea.
L'evento era gravissimo per gli Ateniesi che si riunirono e destituirono i Quattrocento affidando il potere ai Cinquemila. Alcibiade venne richiamato in città e furono inviati messi a Samo ad esortare l'esercito a difendere lo stato.
Pisandro, Alessicle e altri oligarchici fuggirono, Aristarco riuscì ad occupare con un inganno la fortezza di Enoe.
Intanto gli Spartani decisero di abbandonare Tissaferne che continuava a non pagare il sostentamento delle milizie e di passare a Farnabazo che li aveva invitati. Le navi peloponnesiache al comando di Mindaro salparono da Mileto per l'Ellesponto ma furono trattenute a Chio da una tempesta, gli Ateniesi di Samo decisero di prevenire Mindaro all'Ellesponto ed inviarono cinquantacinque navi al comando di Trasillo.
Si svolsero vari combattimenti a Ereso, Imbro, Lemno e Eleunte, ma la battaglia più importante vide schierate nelle acque dell'Ellesponto settantasei navi ateniesi comandate da Trasibulo e Trasillo contro ottantasei navi peloponnesiache e siracusane.
Lo scontro volgeva decisamente a favore dei Peloponnesiaci quando questi commisero l'errore di allentare il proprio schieramento mentre inseguivano il nemico. Gli Ateniesi non persero l'occasione per capovolgere la situazione e riportarono un'importante vittoria.
Pochi giorni dopo gli Ateniesi sconfissero altre navi nemiche e conquistarono Cizico che si era ribellata.
Alcibiade annunciò di aver convinto Tissaferne a non consegnare le navi fenicie ai Peloponnesiaci.
Sul guastarsi dei rapporti fra Tissaferne e i Peloponnesiaci termina, incompiuta, l'opera di Tucidide.